Londra è sempre meno british
e si arrende all’islamizzazione
«Trasformerò la capitale in un faro dell’islam», fu il motto elettorale del socialista Ken Livingstone nel 2012. Forse non è stato completamente merito suo, ma si può dire tranquillamente che a oggi l’obiettivo è stato raggiunto con successo.
La Gran Bretagna ha la terza maggior popolazione musulmana nell’Unione europea, dopo Francia e Germania. I musulmani hanno ormai superato, infatti, anche la soglia dei 4,1 milioni. Il paradigma di una tale crescita ha tre uscite: immigrazione, alto tasso di natalità e disinvoltura nella conversione all’islam.
I musulmani si sono integrati nella società inglese semplicemente occupandola. Importando e imponendo costumi, usi e leggi la diffusione della sharia sembra inarrestabile. E Londra è lo specchio di questo scenario a cominciare dal suo sindaco.
Il giorno dell’epifania, nella cattedrale di St. Mary a Glasgow, è stata proposta una lettura in cui veniva negata la divinità di Gesù Cristo. Il cappellano cercava in questo modo di raggiungere il cuore dei musulmani. Difficile capire, però, per conto di chi operasse. Ma è nelle scuole che è più evidente l’entità del fenomeno. Gli alunni musulmani non solo hanno raggiunto, ma anche superato, i bambini cristiani. Secondo un reportage del Times, nelle scuole primarie inglesi i banchi sono occupati anche al 100% da musulmani. Addirittura in ben quindici scuole cattoliche del Paese gli studenti cristiani sono praticamente scomparsi. E nel frattempo il velo per le ragazze è ormai parte della divisa scolastica. I cittadini dell’Inghilterra di domani sono arabi, nei tratti e nell’identità. Ma non occorre aspettare che crescano per scoprire che cosa questi dati significhino. La quotidianità inglese è fatta di ventenni che si convertono all’islam in prigione e se ne vanno in giro muniti di asce. Come un certo Clayton McKenn, ventidue anni, che una mattina ha pensato bene di affrontare così suo padre perché cristiano. O come Rezzas Abdulla, un trentenne condannato poi a otto mesi di prigione pena sospesa per dargli l’opportunità di ricevere cure per la salute mentale per avere aggredito una donna che passeggiava con sua figlia nella carrozzina. Dopo avere malmenato la giovane mamma, ha sputato in faccia alla bambina di nove mesi imprecando, «le bianche non dovrebbero allevare bambini».
A maggio quattro uomini sono andati a processo per aver stuprato una sedicenne colpevole di essere andata in un negozio di kebab per chiedere informazioni: in quattro, tra cui il proprietario del ristorante, l’hanno violentata a turno. E intanto si moltiplicano da Nord a Sud di Londra le famose «no-go-zone» per le donne, ora segnalate persino agli addetti della consegna postale, vista l’epidemia di «aggressioni da acido». È stato il laburista Stephen Timms a certificare che Londra vanta più sfregi da acido pro capite di qualsiasi altra città del mondo.
Nel 2016, tra ottobre e dicembre, il National Health Service, rivelava che c’erano stati 2.332 casi di mutilazione genitale femminile in Gran Bretagna. I rapporti ufficiali della sanità inglese per i mesi tra aprile e settembre 2017 ne hanno contati 4.503. La terribile pratica dell’infibulazione, che donne velate impongono alle loro figlie, con più o meno nove anni, è una realtà vivissima nell’Inghilterra multiculturale. E se da un lato la cronaca quotidianamente ha a che fare con arresti di uomini e donne che provano disperatamente a organizzare attentati terroristici, dall’altro c’è chi, come l’attore inglese Riz Ahmed, ritiene opportuno sollevare l’attenzione della sua gente avvertendo che «la mancanza di volti musulmani nella tv britannica sta alienando i giovani».
Il Dna di una nazione è stato violato e modificato, ed è così che anche le sue strade sono sempre meno visibilmente inglesi. È Londra probabilmente la capitale per eccellenza dove l’impronta islamica è più tangibile, e non solo per il sangue sui marciapiedi o considerati i distretti dove la guerriglia islamica dà meglio spettacolo. In Gran Bretagna l’islam abita i quartieri dell’alta borghesia, non le case popolari dove disoccupazione e spaccio di droga giocano la parte dei leoni. L’islam inglese veste firmato e compra attici.
Uno studio diffuso dalla Cbre azienda leader nel mondo nella gestione e commercializzazione, dai centri commerciali agli outlet, dai parchi divertimento alle location nei centri storici delle principali città ha certificato che solo nel 2015 (l’anno in cui si fermano le statistiche) il Medio Oriente ha investito 4,2 miliardi di sterline negli immobili commerciali di Londra. Per intenderci hanno comprato lo Shard London Bridge – il terzo grattacielo più alto d’Europa -, Harrod’s – il centro commerciale più glamour che c’è, il Claridge’s – l’hotel più lussuoso in città – e persino l’ex sede dell’ambasciata degli Stati Uniti. E intanto la Charity Commission, un ente di beneficenza, ha certificato che le fantomatiche «associazioni caritatevoli musulmane» hanno legami con il terrorismo islamico: 630 segnalazioni in tre anni.
Camminare per Londra, comunque, vuole dire inciampare in negozi d’abbigliamento, parrucchieri, ristoranti, farmacie, centri benessere arabi al 100%, a cominciare dall’insegna. Ma la presenza islamica è visibile anche, semplicemente, osservando come è stato deturpato il profilo di una città nelle presunte misure di sicurezza contro la violenza jihadista. Blocchi di cemento, metal detector all’ingresso di qualsiasi luogo pubblico, a cominciare dai parchi, sono un triste spettacolo. Per non parlare, poi, dei cartelli che fungono da monito, come l’ormai famoso: «Scappa, nasconditi, racconta». Il cambiamento è in atto, l’islamizzazione dell’Inghilterra continua con successo.
Lorenzo Formicola
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