Ecco perché non abbiamo meritato i mondiali di calcio
Sapete quando ho capito che la Svezia ci avrebbe fatti fuori? Prima ancora che la partita incominciasse, quando San Siro ha fischiato l’inno nazionale svedese.
Possiedo doti di preveggenza? No, mi sono semplicemente detto: un popolo che si comporta così non merita di partecipare ai mondiali, la massima competizione calcistica. Un popolo che si comporta così merita di essere retrocesso nella più infima delle serie inferiori e costretto a meditare sulla propria mancanza di educazione e di rispetto degli altri.
Fischiare l’inno degli avversari è vergognoso, ed è da pusillanimi. Soltanto una persona meschina e vile può abbassarsi a tanto. E purtroppo San Siro è recidivo, perché ricordo che i fischi arrivarono, anni fa, anche durante l’inno della Germania e della Francia.
Dunque, in queste ore, mentre tutti si chiedono perché non ci siamo qualificati e cercano di trovare alibi o colpevoli, la vera domanda è un’altra: ma noi meritavamo di qualificarci? E lo meritavamo, prima ancora che sul piano del gioco, dal punto di vista morale?
La riposta è no. Chi si rende colpevole di un comportamento odioso come fischiare l’inno degli avversari non può essere ammesso ai mondiali.
Qualcuno dirà: ma questo è moralismo. Secondo me, no. Secondo me si tratta di guardarci in faccia e dirci la verità, per quanto possa essere sgradevole. Moralmente, un comportamento come quello di San Siro ci pone fuori dal consesso delle nazioni civili.
Direte: ma Buffon e compagni hanno applaudito, dimostrando di non condividere i fischi del pubblico. Benissimo, e sono contento che il capitano e gli altri si siano comportati così, ma la Nazionale, quando scende in campo, non rappresenta soltanto se stessa: rappresenta la nazione intera. E noi ci siamo squalificati non solo e non tanto come squadra di calcio nazionale, ma proprio come nazione. C’è una differenza tra il non qualificarsi e lo squalificarsi. Noi purtroppo ci siamo squalificati, e credo meritatamente.
A proposito di inno e di simboli ci sarebbe tanto da aggiungere. Avete notato che, allo stadio, il nostro non riusciamo mai a cantarlo tutti insieme? C’è sempre qualcuno che va troppo velocemente, per cui l’inno, che di per sé non è una bellezza (ma questo è un altro argomento) diventa a un certo punto una cacofonia. E avete notato che ci sono sempre bandiere nazionali esposte al contrario, con il rosso al posto del verde e viceversa? Ma dico: un popolo così, che non riesce a cantare il proprio inno all’unisono, e che non ha ancora imparato l’ordine giusto dei colori nella bandiera nazionale, merita di andare ai mondiali?
Se fischiamo l’inno altrui forse è proprio perché noi, in realtà, non riusciamo a capire che cosa sia un inno, che cosa rappresenti, quale sia la sua sacralità. Per noi è solo una canzonetta introduttiva da urlare a squarciagola, ognuno a modo suo. E questa è inciviltà, punto e basta.
La nostra mancata qualificazione ai mondiali di calcio potrà diventare un’occasione di riflessione salutare solo se ci interrogheremo prima di tutto sul nostro stato di salute morale. Le questioni tecniche vengono dopo. Ma chi si occupa più della morale?
Trascurare l’oggettivo valore e l’oggettivo significato morale delle azioni equivale a consegnarsi alla barbarie. Occorre allora esercitare il giudizio e dare le definizioni adeguate. Ci sono le virtù e ci sono i vizi. C’è la costumatezza e c’è il malcostume. C’è l’integrità e c’è la depravazione. C’è il coraggio e c’è la codardia. C’è l’onestà e c’è la corruzione. C’è la lealtà e c’è la falsità. C’è la dignità e c’è l’indegnità. C’è la fierezza e c’è la viltà. Ma solo a pronunciarle ci accorgiamo che queste parole ci introducono in un mondo che non è più il nostro. Un mondo dal quale la valutazione morale è stata estromessa, con tutte le conseguenze che ogni giorno, se ne fossimo capaci, potremmo vedere attorno a noi e in noi.
Nelle scuole calcio, ai bambini, non bisognerebbe chiedere se vogliono fare il portiere o l’attaccante, il difensore o il centrocampista. La prima domanda dovrebbe essere: ma tu chi vuoi essere? Una persona brava o una persona spregevole? Uno che rispetta l’altro o uno che lo vuole superare con ogni mezzo? Uno leale o uno sleale?
Ed ora, chiedendo scusa a tutti gli svedesi per quanto è successo a San Siro, ecco, nella traduzione italiana, le prime strofe dell’inno della Svezia:
«Tu antico, tu libero, tu montuoso Nord / Tu silenzioso, tu bello pieno di felicità! / Io ti saluto, nazione più amichevole del mondo, / Il tuo sole, il tuo cielo, i tuoi prati verdi / Il tuo sole, il tuo cielo, i tuoi prati verdi».
Ciao Svezia, e in bocca al lupo per i mondiali!
Aldo Maria Valli
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