LE MIE PRIGIONI di Silvio Pellico
PIU' quelle pagine aggiunte dal Pellico relative al tempo quando finalmente ritornò a casa dai suoi genitori.
Pertanto, nella speranza, che ciò vi sia gradito, mi permetto completare l’opera con queste altre poche pagine aggiunte al 99° capitolo de “Le mie prigioni” e che vanno con le scritte:
Appendice alle “Mie prigioni”
Capitoli inediti
ALLE MIE PRIGIONI
Capitolo I°
La prima notte dopo il mio ritorno in famiglia non fu che un succedersi d’ore febbrili, piene di sentimenti contrari, tumultuosi, inspirati ora dal dolore, ora dalla contentezza.
Mi fu impossibile chiudere occhio fino al mattino. Avrei voluto dar tregua a’ miei pensieri, fermandoli su Dio con parole di gratitudine e amore; ma ad ogni momento mi divagava pensando di nuovo agli anni della mia prigionia, ai tempi che la precedettero, agli amici ch’io aveva lasciati in catene, a quelli dei quali lamentava l’assenza o la morte, alle illusioni svanite, tutte le riflessioni che la sventura m’avea suggerito, alla fede di cui erami stata concessa la grazia, alla sorte ottenuta di uscire dal carcere, di rivedere la patria, di ritrovare i genitori e i fratelli.
Tutte queste distrazioni mi commovevano troppo vivamente, e per riacquistare un poco di tranquillità io tornava a rivolgermi a Dio, invocava tutti i suoi Santi, e principalmente la Vergine Maria, di cui pareami avere più che mai sentito la protezione materna nei momenti più ardui del mio recente viaggio.
Ma quella folla di rimembranze non cessava di assediarmi, e di trasportare la mia immaginazione più spesso in mezzo ai dolori, che dal lato delle consolazioni. All’angoscia di siffatto irresistibile agitarsi si aggiungea un fierissimo dolore di capo, e una tale oppressione che mi toglieva il respiro. Pareami al tutto naturale che il mio corpo così affranto non potesse resistere più lungamente, e che quella notte per me fosse l’ultima.
Ringraziai Dio d’avermi ricondotto vivo nella casa di mio padre, e di concedermi di morirvi, se era sua volontà che io morissi. Non pertanto il pensiero della morte mi conturbava, e dominavami il desiderio di vivere ancora, e godere le ineffabili dolcezze della famiglia, e riuscire un durevole e saldo sostegno per la vecchiezza de’ miei genitori.
Sul far del giorno respirai meglio, e potei leggermente assopirmi: il sonno fu breve, ma pur n’ebbi un gran giovamento. Essendomi risvegliato libero dal dolore di capo, saltai dal letto, malgrado la mia stanchezza, provando una gioia indicibile ad accertarmi che quello non era un sogno, che io era veramente in casa mia. Impiegai appena il tempo necessario a vestirmi, e passai nella camera vicina, ove mi gettai in ginocchione per pregare piangendo. Pareami di non poter essere mai abbastanza grato al Signore, la cui bontà aveva spezzato i miei ceppi, e voleva ch’io vedessi sorgere ancora giorni così avventurosi.
Quella fervida adorazione, e quelle lagrime di gioia mi ravvivarono. Mi alzai sentendo i passi di mia madre, che veniva con amorosa sollecitudine a vedere s’io era desto, e ad accertarsi ch’io non fossi malato. Le corsi incontro col cuore palpitante d’amore, e mi slanciai tra le sue braccia.
Alle sue domande inquiete risposi: ma le tacqui la mia veglia, e l’agitazione nella quale aveva passata tutta la notte; finsi avere assai più forza di quella che in fatto avessi; e le parlai della grande misericordia del Signore verso di me. – Amalo dunque, – ella esclamò, – amalo sempre per le grazie ch’egli ti ha compartito, e per quelle di cui ha ricolma la tua povera madre!
Ella proferiva queste singhiozzando e sorridendo ad un tempo. Avresti detto che fosse ancora oppressa dalla memoria della angoscie sofferte nel punto stesso in cui rallegravasi perché le era reso il suo figlio
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