MIRACOLO A MILANO: UN LEADER POLITICO S’IMPEGNA A DIFENDERE LE NOSTRE RADICI CRISTIANE (E UN VESCOVO S’IMBUFALISCE A SENTIR PARLARE DEL VANGELO)
È il mondo alla rovescia. In Piazza Duomo, a Milano, nel corso degli anni si è visto di tutto: dalle bandiere rosse delle manifestazioni comuniste ai sit-in Lgbt con bandiere arcobaleno fino alle folle di musulmani a pregare Allah rivolti verso la Mecca.
Eppure a far insorgere a velocità supersonica un vescovo ambrosiano, sabato scorso, è stato Matteo Salvini “reo” di aver di aver evocato il Vangelo. In particolare le parole di Gesù, “gli ultimi saranno i primi”, riferendole agli italiani che oggi vengono trattati da stranieri in patria.
Nell’occasione Salvini – anticipando simbolicamente davanti alla sua gente il giuramento che dovrebbe fare come Capo del governo, nell’ipotesi di una vittoria elettorale – ha solennemente proclamato: “mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, ai 60 milioni di italiani, di servirvi con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo”.
Immediatamente è insorto monsignor Mario Delpini intimando: “Nei comizi si parli di politica”.
Assistiamo così al singolare spettacolo di un vescovo di Milano che invece di criticare partiti e politici che avanzano programmi anticristiani, si scaglia contro un leader politico che afferma di voler difendere le radici cristiane dell’Italia e di far tesoro dell’insegnamento evangelico.
E’ proibito? Eppure per cinquant’anni la Chiesa ha sostenuto a spada tratta un partito che fin dal nome – Democrazia Cristiana– si richiamava alla fede, ai valori cattolici e alla dottrina sociale della Chiesa (con tanto di croce nel simbolo).
E – una volta finito quel partito – la Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, attraverso il card. Camillo Ruini, ha continuato a insegnare ai politici cattolici di non mettere la loro fede tra parentesi, e ha chiesto energicamente alla politica di difendere il patrimonio di valori cristiani e umanisti della nostra storia.
Ora, per bocca del vescovo di Milano, la Chiesa sembra affermare il contrario ovvero che i politici non devono richiamarsi alla religione, a un orizzonte ideale cristiano. Insomma dovrebbero dimenticare di essere cristiani.
In effetti i vescovi si dimenticano di annunciare il Vangelo e, finendo per somigliare alla Bonino, fanno solo comizi per l’emigrazione e per l’abbraccio con l’Islam.
Ma non possono esigere che pure noi e i politici ci dimentichiamo della nostra tradizione cattolica. Se essi non sanno più qual è il loro mestiere evitino di insegnare agli altri il loro. Il Vangelo è una cosa troppo seria e importante perché sia lasciata ai vescovi. E’ un patrimonio di valori e di identità per tutti, specie in Italia.
Anche per i laici. Infatti il laico Benedetto Croce, nel libro “Perché non possiamo non dirci cristiani”, scriveva:
“Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. […] E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni […] non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primatoperché l’impulso originario fu e perdura il suo”.
E un altro grande intellettuale laico, Federico Chabod, nella sua “Storia dell’idea d’Europa” scriveva:
“Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.
Salvini dunque si è richiamato al pilastro dell’identità italiana e della vera identità europea, un pilastro che oggi si vorrebbe abbattere in nome di un multiculturalismo devastante.
Ma il Vangelo che Salvini ha evocato è anche all’origine della laicità dello Stato prima sconosciuta (“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”). Cioè: il Vangelo è l’antidoto ai fondamentalismi religiosi e a quelli ideologici.
Il Vangelo fu la culla della libertà e della dignità della persona, quindi della democrazia. Non a caso negli Stati Uniti i presidenti usano fare il loro giuramento proprio sulla Bibbia ed evocano Dio in ogni discorso solenne (del resto c’è Dio pure nell’inno nazionale inglese, come pure nel nostro).
Citare la Costituzione insieme al Vangelo, come ha fatto Salvini, significa poi ricordare l’impronta cattolica presente nella Carta, mentre Renzi, in una infelice dichiarazione dopo la legge Cirinnà, aveva opposto la Costituzione al Vangelo.
Il contributo dei cattolici alla Carta trovò una perfetta sintesi con quello di liberali, socialisti e comunisti. E proprio quella Costituzione, brandita anni fa contro il centrodestra, rappresenta oggi la più formidabile bandiera per i sovranisti come Salvini e il centrodestra stesso.
Infatti proclama all’articolo 1 che “la sovranità” in Italia non spetta alla Commissione Europea, né alla Merkel o Macron, né alla Bce, né ai “mercati”. Ma spetta solo al “popolo italiano”.
E all’articolo 11 – come ha ben spiegato Giuseppe Palma – non consente cessioni di sovranità all’Europa, ma solo limitazioni riferite all’Onu per le diatribe internazionali sulla pace e la guerra.
Quindi Salvini ha scelto due simboli perfetti.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 26 febbraio 2018
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