sabato 27 agosto 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER

 parte sesta (a cura di Gemma)

Joseph Ratzinger con Karl Rahner e Martin Bialas
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei"(Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)" 

Prof. Ratzinger: Introduzione al Cristianesimo - Prefazione alla prima edizione (1968)

Cari amici, grazie al grandissimo lavoro della nostra impagabile Gemma possiamo leggere la sesta parte della biografia dedicata al Santo Padre, Benedetto XVI.
Si tratta di un periodo fondamentale nella vita di Joseph Ratzinger che ci permette di capire ancora meglio la personalita' e la statura morale ed intellettuale del nostro Papa.
Straordinari anche gli aneddoti "scovati" da Gemma attraverso piu' fonti diverse e sempre di "prima mano" in quanto sono gli stessi allievi o colleghi del professor Ratzinger a raccontarli.
Notare l'attualita' della dichiarazione dell'allora cardinale al New York Times.
Grazie ancora alla nostra preziosissima Gemma :-)

R.

Gli anni di Ratisbona e la nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga

Nel 1967 lo Stato Libero di Baviera apre a Ratisbona la sua quarta Università. 
Per la cattedra di dogmatica, si pensa fin dall’inizio al professor Ratzinger, ma essendo quest'ultimo all’epoca impegnato a Tubinga, essa viene affidata al suo ex collega di Bonn, Auer. Quando alla fine del ’68 - inizio ’69 viene istituita la seconda cattedra di dogmatica, gli viene rinnovata la proposta. 
Stanco delle logoranti polemiche dell’ambiente accademico di Tubinga, il professor Ratzinger decide di accettare.

Così l’amico Alfred Lapple parla di quel contesto nel suo libro, ‘Benedetto XVI e le sue radici’:

“Per il sensibilissimo e profondamente devoto professore di Dogmatica, quando durante una lezione sulla cristologia, allorché parlò della morte in croce di Gesù, gli fu sbraitato “sadomasochismo”!, fu non solo un’offesa alla decenza, ma anche un efflusso delle idee marxiste e nichiliste”.

E ancora, rievoca:

dei tumulti all’Università di Tubinga e del proprio duro atteggiamento il cardinale Ratzinger parlò in un’intervista al New York Times:

“Compresi che è impossibile discutere col terrore …e che una discussione col terrore significa collaborazione con esso…In quegli anni imparai anche qual è il punto in cui la discussione dev’essere interrotta perché non si trasformi in menzogna e il punto in cui deve iniziare la resistenza per mantenere la libertà” (3).

Così nella sua autobiografia Joseph Ratzinger spiega la scelta di Ratisbona: “ero ancora decano, ma le logoranti polemiche che vivevo all’interno degli organi accademici mi avevano spinto a cambiare atteggiamento e, pertanto, mi mostrai disponibile. Volevo portare avanti la mia teologia in un contesto meno agitato e non volevo farmi coinvolgere da continue polemiche” (1).

Ma alla base del trasferimento, vi è probabilmente ancora una volta anche un motivo familiare, come ricorda il suo ex allievo Martin Bialas nel libro di Gianni Valente, ‘Ratzinger professore’: suo fratello Georg era diventato direttore dei Domspatzen di Regensburg e finalmente i tre fratelli avrebbero potuto vivere insieme. Con la sorella Maria va ad abitare nella vicina periferia a Pentling: “ mi era stato possibile far costruire una piccola casa con giardino, in cui io e mia sorella ci sentivamo davvero a casa nostra e dove mio fratello si fermava spesso volentieri. Ci sentivamo di nuovo insieme, a casa nostra” (1). 

“Lì dice messa tutti i giorni della settimana, con la sorella sempre al fianco. “Ecco che arrivan Giuseppe e Maria”, dicono scherzando i parrocchiani appena li vedono sul sentiero che porta alla Chiesa” (2).

Ad aiutarlo nel trasloco sono come sempre gli allievi più affezionati.

Ad accompagnarlo in uno dei primi viaggi è l’allievo Johannes Lehmann- Dronke che racconta: “appena arrivati a Regensburg, la macchina sovraccarica di libri e bagagli viene fermata dalla polizia stradale”; i due riescono a ripartire solo dopo aver rassicurato i poliziotti sui contenuti del carico esorbitante, e dopo aver dichiarato di provenire da Bierbronnen, la località della Foresta Nera dove Ratzinger tiene i ritiri estivi con gli allievi e che in tedesco significa “fonte della birra” (2).

L’inizio non è facile, gli edifici universitari sono ancora in costruzione e le singole facoltà in via di configurazione, ma in breve tempo la nuova università riesce a raccogliere studenti anche da altri luoghi e il suo gruppo di laureandi diviene ancor più internazionale. Anche qui le polemiche non mancano ma, ricorda, “c’era quel rispetto reciproco di fondo che è così importante per un lavoro fruttuoso”.

Come nel suo stile, per raggiunger l’Università usa di solito i mezzi pubblici, quando non si fa accompagnare dalle “improbabili auto dei suoi allievi e collaboratori: la Citroen due cavalli di Khun, il Maggiolone di Bialas, la più seriosa Opel Kadett di Beinert (2)”.

Durante le conferenze a volte sparisce dalla circolazione e si ritira in un angolo per recitare il breviario o per preparare la conferenza successiva. Qualche testimone ricorda anche la sua abilità nell’usare la tachigrafia per scrivere velocemente le sue lezioni. 

Durante i primi anni di Ratisbona accadono vari eventi importanti. 

Il primo è la chiamata a far parte della Pontificia Commissione Teologica Internazionale, istituita da Paolo VI su istanza dell’ala progressista dei Padri conciliari. 
Come lui stesso racconta, alcuni pensano che questo nuovo organo possa rappresentare un contrappeso alla Congregazione per la Dottrina della Fede o che possa provvedere ad “una sorta di rivoluzione permanente”. 
Come prevedibile, nel suo primo quinquennio, nella prima tornata di lavori, non mancano tensioni al suo interno, ma è per lui motivo di incoraggiamento vedere che altri giudicano la situazione di quel momento ecclesiale esattamente come lui. 
Cita a tal proposito Henri de Lubac e come “si mostrò deciso a combattere contro la minaccia fondamentale cui era esposta la fede, che cambiava tutti gli schieramenti precedenti”, Philippe Delhaye, il teologo cileno suo coetaneo Jorge Arturo Medina Estévez (che da cardinale protodiacono il 19 aprile 2005 annuncerà al mondo la sua elezione a pontefice), M.J. Le Guillou, esperto conoscitore della teologia ortodossa, Louis Bouyer, e Han Urs von Balthasar. L’importante incontro con von Balthasar è avvenuto per la prima volta a Bonn. Di lui in particolare dice :“ l’incontro con Balthasar fu per me l’inizio di un’amicizia durata per tutta la vita, di cui posso solo essere riconoscente. Non ho mai più incontrato uomini con una formazione teologica e culturale tanto ampia come Balthasar e de Lubac e non sono nemmeno in grado di dire quanto io debba all’incontro con loro”
Di quel periodo ricorda come Congar cercò sempre di mediare tra posizioni contrastanti mentre Rahner “si era sempre più fatto coinvolgere dalle parole d’ordine del progressismo e si lasciò trascinare a delle prese di posizione politiche avventurose, che per la verità erano difficilmente conciliabili con la sua filosofia trascendentale”. 
Le discussioni sono vivaci e alla fine Rahner abbandona la commissione perché lontana dalle sue tesi (1).

E’ in quel periodo che in Balthasar, de Lubac, Ratzinger, Bouyer, Le Guillou e Medina nasce l’idea di fondare una rivista internazionale, diversa da Concilium, che possa portare la teologia fuori dall’ideologia politica del momento, capace di operare a partire dalla communio nei sacramenti e nella fede. 
Inizialmente il progetto pare riguardare Germania e Francia ma dopo l’incontro a Milano di Balthasar con Luigi Giussani, fondatore del movimento di “Comunione e Liberazione”, e i suoi giovani, la rivista viene pubblicata prima in Germania e in Italia, con fisionomia diversa in ciascuno dei paesi.

A proposito del progetto dell’edizione italiana di Communio, ecco come il cardinale Angelo Scola, allora studente di teologia, ricorda il suo primo incontro col professor Ratzinger:

«Ho incontrato per la prima volta il Cardinal Ratzinger nel 1971. Era Quaresima». «Un giovane professore di diritto canonico - prosegue il cardinale - due sacerdoti non ancora trentenni studenti di teologia e un giovane editore erano a tavola, invitati dal professor Ratzinger, in un caratteristico ristorante in riva al Danubio che, a Regensburg, scorre né troppo lento né troppo impetuoso così da far ancora pensare al bel Danubio blu. L'invito l'aveva procurato von Balthasar per discutere della possibilità di fare un'edizione italiana di quella rivista che sarebbe poi stata Communio».

«Col suo tratto delicato, i gesti misurati ma gli occhi mobilissimi, Ratzinger ci illustrava il menu: una lunga sequenza di succulenti piatti bavaresi... Mostrava di conoscerlo bene, era senz'altro un habitué del ristorante. Noi, superato l'impaccio dell'inizio, da buoni latini, per giunta giovani, ci lanciammo in paragoni fra menu bavaresi e lombardi. Mi ricordo bene che chiesi al nostro ospite cosa ci consigliasse: pazientemente prese a illustrarci ogni piatto della lista, spingendoci a gustarne più di qualcuno per farci un'idea della cucina bavarese. Non senza disordine finimmo, sotto gli occhi benevoli ed il sorriso, forse un po' impaziente, del nostro ospite, per scegliere un vasto ed esagerato assortimento di piatti. Ratzinger chiuse la lista degli ordini dicendo al cameriere qualcosa come "per me il solito". Il cameriere portò al noto teologo un toast e una sorta di limonata. La nostra sorpresa rischiava l'imbarazzo. Con un sorriso, stavolta veramente largo e bonario, il cardinale ci liberò, esclamando: "Voi siete in viaggio... Se io mangio troppo come si fa poi a studiare?". Al ritorno in auto, notammo però quella battuta: "come al solito"» (4).

Communio inizia le pubblicazioni nel 1974 dapprima in tedesco e in italiano, poi in numerose altre lingue, tra cui quella polacca su iniziativa del nuovo arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla (9). 

Joseph Ratzinger collabora attivamente a Communio fino alla sua elezione a pontefice. A chi negli anni cerca di etichettarlo come un pentito del Concilio risponde: “non sono cambiato io, sono cambiati loro”, dirà più avanti parlando dei teologi che scrivevano con lui su Concilium. Racconta Peter Kuhn: “ricordo che nel tempo in cui noi suoi allievi eravamo ancora euforici per il concilio, lui, citando l’immagine del Vangelo ripeteva: “Abbiamo aperto la porta per spazzare via un diavolo dalla casa, speriamo che non ne siano rientrati sette”. Ma non gli ho mai sentito dire: quello che abbiamo fatto, non avremmo dovuto farlo (2).

Anche a Ratisbona le lezioni di Ratzinger sono le più affollate della Facoltà, seguite normalmente da 150-200 studenti, provenienti da tutta la Germania e da tutto il mondo.
Essendo tanti, non ha il tempo di seguire singolarmente i dottorandi, ma incontra abitualmente il circolo dei più assidui ogni due settimane il sabato mattina presso il seminario diocesano. Al mattino la messa, poi singoli studenti a turno fanno una relazione sull’avanzamento delle proprie ricerche e ne discutono in maniera critica con gli altri. 

«Qualcuno di noi allievi» spiega padre Bialas «ogni tanto si trastullava nell’idea di strutturare una scuola teologica ratzingeriana. Ma il primo a spazzar via queste velleità era il professore. Diceva sempre che lui non aveva una “sua” teologia particolare» (2). 
Le discussioni, in cui il professore fa da moderatore super partes spaziano in vari ambiti e coinvolgono personalità diverse fra loro, il cui futuro destino spazierà dall’impegno in ruoli curiali, al lavoro teologico , a quello missionario, fino alla dissidenza rispetto al maestro su temi come il sacerdozio femminile o il Catechismo unico, come Wolfgang Beinert e Hansjurgen Werweyen; del gruppo fa parte anche una giovane coreana, Jung-Hi Victoria Kim , che colleghi e professore aiutano sia negli studi sia nel superare la nostalgia da casa e i problemi di ambientamento, fino alla tesi, che mette a confronto la caritas in Tommaso D’Aquino con lo jen, concetto centrale del confucianesimo.

«A ripensarci oggi» ammette Zöhrer «mi stupisce la libertà di cui godevamo. Soprattutto ora che ho saputo di come altri Doktorvater con fama di essere molto liberali stringessero gli allievi in un busto stretto stretto, per poi addirittura castigarli non appena affiorava un dissenso sui contenuti…(2).

Altro caso è quello di Barthelemy Adoukonou, oggi segretario del Pontificio Consiglio della cultura, allora giovane sacerdote del Benin, sostenitore delle lotte africane contro gli imperialismi coloniali, che chiede di addottorarsi con Ratzinger con una tesi in cui vuole tentare un’ermeneutica cristiana del vudù, ma dopo un periodo a Parigi, percependo la realtà di Regensburg come troppo moderata, chiede di trasferirsi a Tubinga. 

Ratzinger gli scrive una lettera di presentazione per Kung ma quando dopo qualche lezione rimpiange l’ambiente che ha lasciato, trova le porte sempre aperte. E visti i pochi mezzi che ha a disposizione, anche le porte di casa Ratzinger a Pentling, dove viene spesso invitato a pranzo. Il professore finanzierà anche la pubblicazione della tesi (2).

Intervistato dall’Osservatore Romano sul perdiodo di Ratisbona da allievo del professor Ratzinger dice: “Inizialmente ero condizionato dalla corrente panafricanista per l'affermazione dell'uomo nero e della sua autogestione: una lettura basata sul sospetto verso tutto ciò che era occidentale. Rimettevo in discussione qualsiasi contributo esterno, vedendovi un sottile tentativo d'imperialismo culturale... 

La risposta mi venne un giorno in cui stavo consumando un pasto con il mio maestro a Pentling, quando mi disse: "Sai, Bartélémy, che anche noi, noi tedeschi, dopo la guerra, facevamo fatica a trovare da mangiare ed è stato necessario che gli americani ci aiutassero con il piano Marshall. Colui che non ha la semplicità di ricevere non ha neppure il diritto di dare". Allora ho capito che la vita era un dare e un ricevere, un condividere. Il pensiero di comunione che si esprimeva a partire da ciò come teologia non poteva essere imperialista“ (5).

A parte Adokonou, il professore invita spesso i suoi allievi ed assistenti nella casa di Pentlig per prendere il caffè o per cena, per chiacchierare, per discutere su questioni universitarie e soprattutto per dedicarsi al discorso teologico. Al riguardo, racconta Wolfgang Beinert: “In una splendida, mite serata d'estate eravamo seduti in giardino e ci godevamo l'imparagonabile panorama di Pentling...Maria era in cucina e preparava la cena. 

Ad un tratto si sentirono dei rumori sotto i cespugli ed arrivò un gatto maculato bianco e nero. Lo conoscevo bene. Apparteneva ad una famiglia del vicinato – non siamo mai riusciti a sapere esattamente di chi fosse – e visitava spesso e volentieri i fratelli Ratzinger. Qui trovava due delle cose più importanti nella vita di un gatto: le coccole del padrone e il latte offerto dalla padrona. Oggi però la cosa era diversa: il gatto portava nella bocca un topolino morto e lo depositò con sguardo languido davanti a Ratzinger. Questi lo prese per la coda e sparì in direzione cucina, dove si fermò piuttosto a lungo, di modo che vennero certi dubbi… Finalmente tornò e poco dopo Maria chiamò a tavola, per servire un'ottima cena – vegetariana”

Altro aneddoto raccontato da Beinert, relativo ad un periodo antecedente ma emblematico della personalità del professore e del rapporto con gli allievi: “nella vecchia città universitaria di Württemberg, si festeggiavano i 150 anni della nuova fondazione cattolica della facoltà teologica. Le festività erano cominciate con un atto accademico solenne. I professori erano vestiti con una talare di velluto con la guarnizione viola dei teologi. Erano preceduti dai bidelli, impiegati vestiti in modo medioevale con dei preziosi bastoni cerimoniali. Il rettore portava la pesante collana d'oro del suo ufficio. Così anche il decano, solo che la sua collana era più piccola.
Allora il decano era Joseph Ratzinger. La sera i professori avevano invitato gli studenti ad un rinfresco. Il decano aveva offerto una botte di birra bavarese e ora doveva mettere la spina. Gli studenti erano scettici. Questo andava certo oltre le capacità di questo professore esile che dava l'impressione di vivere un po' fuori dal mondo. Uno studente vicino a me disse: "Ci rimarrà al massimo la metà. Il resto andrà perso per terra"


Il decano si mise un grembiule – e con esattamente due colpi precisi mise a posto la spina. Venne il dubbio che Ratzinger, durante i suoi studi a Monaco, avesse lavorato occasionalmente sulle "Wiesen" (6).

Memorabili per Beinert e gli altri restano anche gli incontri semestrali, fin dai tempi di Tubinga, con teologi e studiosi famosi al di fuori della facoltà. Come l’incontro a Basilea col grande teologo protestante Karl Barth, che finisce lui quasi per inchinarsi davanti al giovane collega, con von Balthasar, infine quasi stizzito per alcune domande non concordate da parte degli impertinenti allievi abituati al dibattito libero e franco, sull’Inferno vuoto. Incontri vengono organizzati anche con Congar, il teologo protestante Pannenberg e i suoi allievi, Kasper (successore di Ratzinger a Tubinga) e nel 77 viene invitato Rahner, a discutere con la cerchia ratzingeriana della sua cristologia.

Riguardo al rapporto con gli studenti, nella sua autobiografia Joseph Ratzinger parla anche di un’altra consuetudine che trae origine da quegli anni. 

Sull’ esperienza di Romano Guardini, che negli anni venti e trenta aveva portato avanti la sua opera non solo in università e che, con un gruppo spontaneo di giovani, aveva realizzato sul castello di Rothenfels un centro spirituale per valorizzare il suo lavoro oltre la dimensione accademica, progetta qualcosa di analogo coi suoi allievi. Grazie alla disponibilità di una vecchia fattoria trasformata in casa di studio, di proprietà di un allievo sul lago di Costanza, dal 70 al 77 organizza insieme all’esegeta Heinrich Schlier corsi estivi di una settimana. E come lui stesso ricorda: “ la serena e informale convivenza nelle cose di ogni giorno rendeva più fecondi anche il dialogo teologico e la preghiera comune” (1). 

Tra gli ex allievi che nel tempo partecipano agli incontri, il più famoso è sicuramente Christoph Schomborn, oggi arcivescovo di Vienna. Di lui dice:

l’ho incontrato per la prima volta nel 1972, quando il mio relatore a Parigi, padre Marie Joseph Le Guillou, suo grande amico, mi mandò da lui affinché potessi frequentare come dottorando il suo seminario di studi. Mi colpì subito la grande cordialità del personaggio insieme con la straordinaria chiarezza del suo discorrere. Fu proprio lì, a Ratisbona, che potei scrivere la maggior parte della mia tesi. Mi ricordo che il professor Ratzinger aveva un gran numero di dottorandi: molti infatti cercavano di averlo come relatore, il giro dei suoi studenti comprendeva veramente tutto il mondo, dall’Asia all’America Latina, dall’Africa all’Irlanda, dagli Stati Uniti all’India. Frequentare le sue lezioni costituiva un’esperienza altamente stimolante. Quando poi Ratzinger diventò arcivescovo di Monaco tanti suoi ex alunni lo pregarono di continuare gli incontri. Così nacque il circolo degli studenti del professor Ratzinger che esiste ancora oggi. E la tradizione di quegli incontri annuali non si è mai interrotta, neppure dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro” (7).

A proposito di Romano Guardini e del castello di Rothenfels, la professoressa Hanna Barbara Gerl-Falkowitz, docente di Filosofia e Religioni Comparate all'Università di Dresda, ricorda un aneddoto particolarmente divertente relativo al suo primo incontro col professor Ratzinger, in occasione di una conferenza in cui lo aveva invitato a parlare del grande intellettuale cattolico tedesco che egli ammirava molto.

Il luogo dell'incontro era proprio il castello Rothenfels, situato in cima a una montagna vicino alla città di Würzburg. Racconta:

Avevo mandato una persona a prenderlo alla stazione, e questi tornò dicendo: 'Il professor Ratzinger non c'era. Non l'ho visto'. Io avevo un castello con 300 persone che lo aspettavano ed ero molto ansiosa”.

“Il castello si trova su uno sperone roccioso. Circa venti minuti dopo ero in piedi sulla cima e accanto a me c'era una siepe che iniziò a muoversi. Allora vidi prima una borsa, poi due mani, e quindi i capelli bianchi – allora aveva già i capelli bianchi – del professor Ratzinger. Stava sudando, sforzandosi di attraversare la siepe. Era salito lungo tutta quella collina così ripida fino al castello. Volevo che la terra sprofondasse sotto di me, ma lui era gentile e sorridente. Mi disse: Ascensio in montem sacrum, che significa: 'Ascesa alla montagna sacra'”.

“Stava alludendo a Guardini, perché è stato lui a permettere che quel castello venisse utilizzato dalla gioventù cattolica tedesca. Quello fu il mio primo incontro con Joseph Ratzinger – i suoi capelli spettinati, le carte che volavano... Non so se lo ricorda, io sì. E' stato terribile – essere invitato a pronunciare un discorso e nessuno che fosse andato a prenderlo!
” (11).

Sul piano magisteriale, grande evento di quegli anni narrato da Joseph Ratzinger nella sua autobiografia, è la pubblicazione del messale di Paolo VI associato al divieto quasi completo del messale precedente, dopo una transizione di circa sei mesi. Dopo un periodo di sperimentazioni, che spesso avevano sfigurato la liturgia, un testo liturgico vincolante è visto come positivo , “ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia”. 

Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al Concilio di Trento, ma Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nuovamente avevano fatto altri suoi successori, senza mai contrapporre un messale ad un altro. “Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta. 
Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C’è solo la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica”. Il nuovo messale viene presentato come qualcosa di nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, divenuto vietato, e questa contrapposizione ha creato secondo Ratzinger gravi danni. In questo modo infatti, dice : “si è sviluppata l’impressione che la liturgia sia ‘fatta’, che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di ‘donato’, ma che dipenda dalle nostre decisioni… Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità, l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita”

Convinto che la crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della liturgia, aggiunge: “se nella liturgia non appare più la comunione della fede , l’unità universale della Chiesa e la sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. 
E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza ma, in quanto unita, ha origine per la fede del Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, che richiami in vita la vera eredità del Concilio Vaticano II” (1).

Sul piano strettamente personale di quel periodo ricorda: “la sensazione di acquisire sempre più chiaramente una visione teologica fu la più bella esperienza degli anni di Ratisbona. Anche per mio fratello quelli furono anni benedetti” (1). 

Anche qui Joseph diventa decano della facoltà e vicerettore dell’università, mentre le esecuzioni musicali di Georg ricevono riconoscimenti internazionali e nel 1976 vengono splendidamente festeggiati i mille anni del coro della cattedrale di Ratisbona. 

A proposito di Georg, Alfred Lapple ricorda:

...”col lieve linguaggio gestuale della sua mano, con l’indice della destra ben sollevato, con l’introversa interiorità del suo volto. Era e resta sempre modesto e la sua felicità e beatitudine non esultavano dopo un concerto ben riuscito dei Piccoli cantori del Duomo. Come maestro di cappella del duomo di Ratisbona fu un esempio di come la vocazione al sacerdozio possa essere donata anche insieme al carisma della musicalità” (3). 

Ratzinger è veramente convinto che quella di Ratisbona sarà la destinazione definitiva, e anche per questo nel frattempo ha fatto trasferire i genitori defunti nel vicino cimitero di Ziegetzdorf.

Il 24 luglio 1976 giunge la notizia della morte del cardinale Julius Doepfner, arcivescovo di Monaco, e con essa voci che indicano il professor Ratzinger come possibile candidato alla sua successione. 
Al riguardo dice: non potevo prenderle sul serio, dato che i limiti della mia salute erano altrettanto noti come la mia estraneità ai compiti di governo e di amministrazione; mi sentivo chiamato ad una vita di studioso e non avevo mai avuto in mente niente di diverso (1).

Ma qualche tempo dopo il nunzio Del Mestri gli fa visita a Ratisbona e gli consegna una lettera che contiene la sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga, con tempo per pensarci e parlarne con il confessore .

Ne parla con il professor Auer, si aspetta che lo sconsigli. Ma con sua grande sorpresa gli suggerisce di accettare (1).

“Mi sono consigliato e mi sono sentito dire che in una situazione straordinaria, come quella che noi viviamo oggi, si deve anche accettare qualcosa che all’inizio può non sembrare in linea con il corso della propria vita. Il problema della Chiesa oggi è strettamente legato a quello della teologia. In questa situazione anche dei teologi devono essere disponibili a svolgere il ministero di vescovi. Per questo ho accettato, con l’intenzione, come ho manifestato nel mio motto episcopale, di essere un “collaboratore della verità”.

“Collaboratore” era pensato al plurale. Mi proponevo, cioè, di mettere il mio carisma, - se posso chiamarlo così- in comunione con i collaboratori e di cooperare, con l’esperienza e la competenza teologica a me concesse, a far si che in questa ora la Chiesa fosse rettamente governata e che l’erdità del Concilio venisse assimilata nel modo giusto“
 (8).

Dopo aver esposto i suoi dubbi al nunzio, sotto i suoi occhi, sulla carta da lettera dell’albergo dove è alloggiato, scrive la sua dichiarazione di assenso alla nomina.

Reinhard Richardi, allora preside della facoltà di giurisprudenza e suo vicino di casa, la cui amicizia con Ratzinger, dai tempi di Ratisbona dura a tutt’oggi, dice: “ricordo bene quando si diffuse la notizia della sua nomina come successore di Dopfner. Proprio quel giorno io, mia moglie e i miei bambini eravamo invitati a casa sua. Ci chiamò al telefono e ci disse: ”guardate che l’invito è confermato, anche se mi hanno fatto vescovo. Ci vediamo più tardi” (2).

Come motto episcopale sceglie due parole della terza lettera di San Giovanni: “collaboratori della verità”: dal momento che nel mondo di oggi l’argomento “verità” è quasi scomparso, perché appare troppo grande per l’uomo, e tuttavia tutto crolla se non c’è la verità, questo motto episcopale mi è sembrato il più in linea con il nostro tempo, il più moderno, nel senso buono del termine.” 

In quanto allo stemma: sullo stemma dei vescovi di Frisinga si trova da circa mille anni il moro incoronato, non si sa quale sia il suo significato. “Per me è l’espressione dell’universalità della Chiesa, che non conosce nessuna distinzione di razza e di classe, poiché noi tutti siamo uno in Cristo (Gal 3,28) (1). 

Gli altri due simboli sono uno la conchiglia, “segno del nostro essere pellegrini, del nostro essere in cammino. Ma essa ricorda a Ratzinger anche la leggenda secondo cui Agostino, che si lambiccava il cervello attorno al ministero della Trinità, avrebbe visto sulla spiaggia un bambino che giocava con una conchiglia, con cui attingeva l’acqua del mare e cercava di travasarla in una piccola buca. 
Gli sarebbe stato detto: tanto poco questa buca può contenere l’acqua del mare, quanto poco la tua ragione può afferrare il mistero di Dio. “Per questo la conchiglia rappresenta per me un richiamo al mio grande maestro, Agostino, un richiamo al mio lavoro teologico e, insieme, alla grandezza del mistero, che è sempre molto più grande di tutta la nostra scienza”. Infine, dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisnga, deriva l’immagine dell’orso. Orso che secondo la leggenda sbrana il cavallo del santo che sta recandosi a Roma. Corbiniano lo rimprovera e come punizione gli carica sulle spalle il fardello del cavallo fino a Roma. L’orso che porta il carico del santo, ricorda a Ratzinger una delle meditazioni sui Salmi di sant’Agostino, che ancora una volta gli pare rappresentare anche il suo destino personale. 

“L’orso con il carico, che sostituì il cavallo o, più probabilmente il mulo di san Corbiniano divenendo-contro la sua volontà-il suo animale da soma, non era e non è un’immagine di quel che devo essere e di quel che sono? Sono divenuto per te come una bestia da soma e proprio così io sono in tutto e per sempre vicino a te” (1).

Come prevedibile, le settimane fino alla consacrazione sono difficili e ammette: “ Interiormente continuavo ad essere titubante…” Anche per il lavoro da portare a termine arriva esausto alla consacrazione, che avviene il 27 maggio 1977 nella cattedrale di Monaco: “quel giorno fu straordinariamente bello..la cattedrale di Monaco magnificamente adornata trasmetteva un’atmosfera di gioia, che coinvolgeva in maniera davvero irresistibile. Ho sperimentato la realtà del sacramento-che qui accade davvero qualcosa di reale”. Poi la preghiera davanti alla colonna della Vergine Maria –la Mariensaule-, l’incontro con le molte persone che accolgono il nuovo venuto (1).

A proposito del ministero vescovile durante la cerimonia dice: ““il vescovo non agisce in nome proprio, ma è un fiduciario di un altro, di Gesù Cristo e della Chiesa. Non è un manager, un capo per propria grazia, bensì l’incaricato di un altro di cui è garante. Dunque non può nemmeno cambiare opinione a piacimento e difendere ora questa ora quella causa, a seconda di come gli sembri conveniente. Non è qui per diffondere le sue idee private, ma è un inviato che deve trasmettere un messaggio più grande di lui. Egli verrà misurato su questa fedeltà: essa è il suo incarico” (3).

Joseph Ratzinger si insedia nei suoi uffici, al n. 5 della Rochustrasse e inizia il suo nuovo impegno. I conflitti e le invettive tra progressisti e tradizionalisti sono all’ordine del giorno, così come le critiche al Papa. 
Ratzinger non si tira indietro: “un vescovo che cercasse di evitare le noie per me è un’idea ripugnante”, risponde da teologo, e come dice un giornale dell’epoca: “dimostra la più solida conoscenza in materia di tradizione e di dottrina”, e ancora:” tra tutti i conservatori della Chiesa,è colui che possiede l’attitudine maggiore al dialogo”.

Dal suo canto egli è sempre più convinto che la Chiesa per non dissolversi deve battersi contro le mode, le tendenze e le derive del mondo esterno: “ la Chiesa non deve mai scendere a patti con lo spirito del tempo” (9)

Qualche giorno dopo il suo insediamento, ad inizio giugno 1977, una nuova visita del nunzio De Mestri lo informa che Paolo VI lo nominerà cardinale nel corso del prossimo concistoro del 27 giugno 1977.

Fu per me una grande sorpresa. Non so ancora darmi una spiegazione di tutto questo. So comunque che Paolo VI teneva presente il mio lavoro come teologo. Tanto che alcuni anni prima, forse nel 1975, mi aveva invitato a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano. Ma non mi sentivo sufficientemente sicuro né del mio italiano né del mio francese per preparare e osare una tale avventura, e così avevo detto di no. Ma questa era una prova che il Papa mi conosceva. Forse una qualche parte in questa storia potrebbe averla avuta monsignor Karl Rauber, oggi nunzio in Belgio, allora stretto collaboratore del Sostituto Giovanni Benelli. Comunque, sta di fatto, mi hanno detto, che di fronte alla terna per la nomina a Monaco e Frisinga, il Papa avrebbe personalmente scelto la mia povertà” (10).
Bibliografia