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sabato 27 agosto 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER

 parte sesta (a cura di Gemma)

Joseph Ratzinger con Karl Rahner e Martin Bialas
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei"(Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)" 

Prof. Ratzinger: Introduzione al Cristianesimo - Prefazione alla prima edizione (1968)

Cari amici, grazie al grandissimo lavoro della nostra impagabile Gemma possiamo leggere la sesta parte della biografia dedicata al Santo Padre, Benedetto XVI.
Si tratta di un periodo fondamentale nella vita di Joseph Ratzinger che ci permette di capire ancora meglio la personalita' e la statura morale ed intellettuale del nostro Papa.
Straordinari anche gli aneddoti "scovati" da Gemma attraverso piu' fonti diverse e sempre di "prima mano" in quanto sono gli stessi allievi o colleghi del professor Ratzinger a raccontarli.
Notare l'attualita' della dichiarazione dell'allora cardinale al New York Times.
Grazie ancora alla nostra preziosissima Gemma :-)

R.

Gli anni di Ratisbona e la nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga

Nel 1967 lo Stato Libero di Baviera apre a Ratisbona la sua quarta Università. 
Per la cattedra di dogmatica, si pensa fin dall’inizio al professor Ratzinger, ma essendo quest'ultimo all’epoca impegnato a Tubinga, essa viene affidata al suo ex collega di Bonn, Auer. Quando alla fine del ’68 - inizio ’69 viene istituita la seconda cattedra di dogmatica, gli viene rinnovata la proposta. 
Stanco delle logoranti polemiche dell’ambiente accademico di Tubinga, il professor Ratzinger decide di accettare.

Così l’amico Alfred Lapple parla di quel contesto nel suo libro, ‘Benedetto XVI e le sue radici’:

“Per il sensibilissimo e profondamente devoto professore di Dogmatica, quando durante una lezione sulla cristologia, allorché parlò della morte in croce di Gesù, gli fu sbraitato “sadomasochismo”!, fu non solo un’offesa alla decenza, ma anche un efflusso delle idee marxiste e nichiliste”.

E ancora, rievoca:

dei tumulti all’Università di Tubinga e del proprio duro atteggiamento il cardinale Ratzinger parlò in un’intervista al New York Times:

“Compresi che è impossibile discutere col terrore …e che una discussione col terrore significa collaborazione con esso…In quegli anni imparai anche qual è il punto in cui la discussione dev’essere interrotta perché non si trasformi in menzogna e il punto in cui deve iniziare la resistenza per mantenere la libertà” (3).

Così nella sua autobiografia Joseph Ratzinger spiega la scelta di Ratisbona: “ero ancora decano, ma le logoranti polemiche che vivevo all’interno degli organi accademici mi avevano spinto a cambiare atteggiamento e, pertanto, mi mostrai disponibile. Volevo portare avanti la mia teologia in un contesto meno agitato e non volevo farmi coinvolgere da continue polemiche” (1).

Ma alla base del trasferimento, vi è probabilmente ancora una volta anche un motivo familiare, come ricorda il suo ex allievo Martin Bialas nel libro di Gianni Valente, ‘Ratzinger professore’: suo fratello Georg era diventato direttore dei Domspatzen di Regensburg e finalmente i tre fratelli avrebbero potuto vivere insieme. Con la sorella Maria va ad abitare nella vicina periferia a Pentling: “ mi era stato possibile far costruire una piccola casa con giardino, in cui io e mia sorella ci sentivamo davvero a casa nostra e dove mio fratello si fermava spesso volentieri. Ci sentivamo di nuovo insieme, a casa nostra” (1). 

“Lì dice messa tutti i giorni della settimana, con la sorella sempre al fianco. “Ecco che arrivan Giuseppe e Maria”, dicono scherzando i parrocchiani appena li vedono sul sentiero che porta alla Chiesa” (2).

Ad aiutarlo nel trasloco sono come sempre gli allievi più affezionati.

Ad accompagnarlo in uno dei primi viaggi è l’allievo Johannes Lehmann- Dronke che racconta: “appena arrivati a Regensburg, la macchina sovraccarica di libri e bagagli viene fermata dalla polizia stradale”; i due riescono a ripartire solo dopo aver rassicurato i poliziotti sui contenuti del carico esorbitante, e dopo aver dichiarato di provenire da Bierbronnen, la località della Foresta Nera dove Ratzinger tiene i ritiri estivi con gli allievi e che in tedesco significa “fonte della birra” (2).

L’inizio non è facile, gli edifici universitari sono ancora in costruzione e le singole facoltà in via di configurazione, ma in breve tempo la nuova università riesce a raccogliere studenti anche da altri luoghi e il suo gruppo di laureandi diviene ancor più internazionale. Anche qui le polemiche non mancano ma, ricorda, “c’era quel rispetto reciproco di fondo che è così importante per un lavoro fruttuoso”.

Come nel suo stile, per raggiunger l’Università usa di solito i mezzi pubblici, quando non si fa accompagnare dalle “improbabili auto dei suoi allievi e collaboratori: la Citroen due cavalli di Khun, il Maggiolone di Bialas, la più seriosa Opel Kadett di Beinert (2)”.

Durante le conferenze a volte sparisce dalla circolazione e si ritira in un angolo per recitare il breviario o per preparare la conferenza successiva. Qualche testimone ricorda anche la sua abilità nell’usare la tachigrafia per scrivere velocemente le sue lezioni. 

Durante i primi anni di Ratisbona accadono vari eventi importanti. 

Il primo è la chiamata a far parte della Pontificia Commissione Teologica Internazionale, istituita da Paolo VI su istanza dell’ala progressista dei Padri conciliari. 
Come lui stesso racconta, alcuni pensano che questo nuovo organo possa rappresentare un contrappeso alla Congregazione per la Dottrina della Fede o che possa provvedere ad “una sorta di rivoluzione permanente”. 
Come prevedibile, nel suo primo quinquennio, nella prima tornata di lavori, non mancano tensioni al suo interno, ma è per lui motivo di incoraggiamento vedere che altri giudicano la situazione di quel momento ecclesiale esattamente come lui. 
Cita a tal proposito Henri de Lubac e come “si mostrò deciso a combattere contro la minaccia fondamentale cui era esposta la fede, che cambiava tutti gli schieramenti precedenti”, Philippe Delhaye, il teologo cileno suo coetaneo Jorge Arturo Medina Estévez (che da cardinale protodiacono il 19 aprile 2005 annuncerà al mondo la sua elezione a pontefice), M.J. Le Guillou, esperto conoscitore della teologia ortodossa, Louis Bouyer, e Han Urs von Balthasar. L’importante incontro con von Balthasar è avvenuto per la prima volta a Bonn. Di lui in particolare dice :“ l’incontro con Balthasar fu per me l’inizio di un’amicizia durata per tutta la vita, di cui posso solo essere riconoscente. Non ho mai più incontrato uomini con una formazione teologica e culturale tanto ampia come Balthasar e de Lubac e non sono nemmeno in grado di dire quanto io debba all’incontro con loro”
Di quel periodo ricorda come Congar cercò sempre di mediare tra posizioni contrastanti mentre Rahner “si era sempre più fatto coinvolgere dalle parole d’ordine del progressismo e si lasciò trascinare a delle prese di posizione politiche avventurose, che per la verità erano difficilmente conciliabili con la sua filosofia trascendentale”. 
Le discussioni sono vivaci e alla fine Rahner abbandona la commissione perché lontana dalle sue tesi (1).

E’ in quel periodo che in Balthasar, de Lubac, Ratzinger, Bouyer, Le Guillou e Medina nasce l’idea di fondare una rivista internazionale, diversa da Concilium, che possa portare la teologia fuori dall’ideologia politica del momento, capace di operare a partire dalla communio nei sacramenti e nella fede. 
Inizialmente il progetto pare riguardare Germania e Francia ma dopo l’incontro a Milano di Balthasar con Luigi Giussani, fondatore del movimento di “Comunione e Liberazione”, e i suoi giovani, la rivista viene pubblicata prima in Germania e in Italia, con fisionomia diversa in ciascuno dei paesi.

A proposito del progetto dell’edizione italiana di Communio, ecco come il cardinale Angelo Scola, allora studente di teologia, ricorda il suo primo incontro col professor Ratzinger:

«Ho incontrato per la prima volta il Cardinal Ratzinger nel 1971. Era Quaresima». «Un giovane professore di diritto canonico - prosegue il cardinale - due sacerdoti non ancora trentenni studenti di teologia e un giovane editore erano a tavola, invitati dal professor Ratzinger, in un caratteristico ristorante in riva al Danubio che, a Regensburg, scorre né troppo lento né troppo impetuoso così da far ancora pensare al bel Danubio blu. L'invito l'aveva procurato von Balthasar per discutere della possibilità di fare un'edizione italiana di quella rivista che sarebbe poi stata Communio».

«Col suo tratto delicato, i gesti misurati ma gli occhi mobilissimi, Ratzinger ci illustrava il menu: una lunga sequenza di succulenti piatti bavaresi... Mostrava di conoscerlo bene, era senz'altro un habitué del ristorante. Noi, superato l'impaccio dell'inizio, da buoni latini, per giunta giovani, ci lanciammo in paragoni fra menu bavaresi e lombardi. Mi ricordo bene che chiesi al nostro ospite cosa ci consigliasse: pazientemente prese a illustrarci ogni piatto della lista, spingendoci a gustarne più di qualcuno per farci un'idea della cucina bavarese. Non senza disordine finimmo, sotto gli occhi benevoli ed il sorriso, forse un po' impaziente, del nostro ospite, per scegliere un vasto ed esagerato assortimento di piatti. Ratzinger chiuse la lista degli ordini dicendo al cameriere qualcosa come "per me il solito". Il cameriere portò al noto teologo un toast e una sorta di limonata. La nostra sorpresa rischiava l'imbarazzo. Con un sorriso, stavolta veramente largo e bonario, il cardinale ci liberò, esclamando: "Voi siete in viaggio... Se io mangio troppo come si fa poi a studiare?". Al ritorno in auto, notammo però quella battuta: "come al solito"» (4).

Communio inizia le pubblicazioni nel 1974 dapprima in tedesco e in italiano, poi in numerose altre lingue, tra cui quella polacca su iniziativa del nuovo arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla (9). 

Joseph Ratzinger collabora attivamente a Communio fino alla sua elezione a pontefice. A chi negli anni cerca di etichettarlo come un pentito del Concilio risponde: “non sono cambiato io, sono cambiati loro”, dirà più avanti parlando dei teologi che scrivevano con lui su Concilium. Racconta Peter Kuhn: “ricordo che nel tempo in cui noi suoi allievi eravamo ancora euforici per il concilio, lui, citando l’immagine del Vangelo ripeteva: “Abbiamo aperto la porta per spazzare via un diavolo dalla casa, speriamo che non ne siano rientrati sette”. Ma non gli ho mai sentito dire: quello che abbiamo fatto, non avremmo dovuto farlo (2).

Anche a Ratisbona le lezioni di Ratzinger sono le più affollate della Facoltà, seguite normalmente da 150-200 studenti, provenienti da tutta la Germania e da tutto il mondo.
Essendo tanti, non ha il tempo di seguire singolarmente i dottorandi, ma incontra abitualmente il circolo dei più assidui ogni due settimane il sabato mattina presso il seminario diocesano. Al mattino la messa, poi singoli studenti a turno fanno una relazione sull’avanzamento delle proprie ricerche e ne discutono in maniera critica con gli altri. 

«Qualcuno di noi allievi» spiega padre Bialas «ogni tanto si trastullava nell’idea di strutturare una scuola teologica ratzingeriana. Ma il primo a spazzar via queste velleità era il professore. Diceva sempre che lui non aveva una “sua” teologia particolare» (2). 
Le discussioni, in cui il professore fa da moderatore super partes spaziano in vari ambiti e coinvolgono personalità diverse fra loro, il cui futuro destino spazierà dall’impegno in ruoli curiali, al lavoro teologico , a quello missionario, fino alla dissidenza rispetto al maestro su temi come il sacerdozio femminile o il Catechismo unico, come Wolfgang Beinert e Hansjurgen Werweyen; del gruppo fa parte anche una giovane coreana, Jung-Hi Victoria Kim , che colleghi e professore aiutano sia negli studi sia nel superare la nostalgia da casa e i problemi di ambientamento, fino alla tesi, che mette a confronto la caritas in Tommaso D’Aquino con lo jen, concetto centrale del confucianesimo.

«A ripensarci oggi» ammette Zöhrer «mi stupisce la libertà di cui godevamo. Soprattutto ora che ho saputo di come altri Doktorvater con fama di essere molto liberali stringessero gli allievi in un busto stretto stretto, per poi addirittura castigarli non appena affiorava un dissenso sui contenuti…(2).

Altro caso è quello di Barthelemy Adoukonou, oggi segretario del Pontificio Consiglio della cultura, allora giovane sacerdote del Benin, sostenitore delle lotte africane contro gli imperialismi coloniali, che chiede di addottorarsi con Ratzinger con una tesi in cui vuole tentare un’ermeneutica cristiana del vudù, ma dopo un periodo a Parigi, percependo la realtà di Regensburg come troppo moderata, chiede di trasferirsi a Tubinga. 

Ratzinger gli scrive una lettera di presentazione per Kung ma quando dopo qualche lezione rimpiange l’ambiente che ha lasciato, trova le porte sempre aperte. E visti i pochi mezzi che ha a disposizione, anche le porte di casa Ratzinger a Pentling, dove viene spesso invitato a pranzo. Il professore finanzierà anche la pubblicazione della tesi (2).

Intervistato dall’Osservatore Romano sul perdiodo di Ratisbona da allievo del professor Ratzinger dice: “Inizialmente ero condizionato dalla corrente panafricanista per l'affermazione dell'uomo nero e della sua autogestione: una lettura basata sul sospetto verso tutto ciò che era occidentale. Rimettevo in discussione qualsiasi contributo esterno, vedendovi un sottile tentativo d'imperialismo culturale... 

La risposta mi venne un giorno in cui stavo consumando un pasto con il mio maestro a Pentling, quando mi disse: "Sai, Bartélémy, che anche noi, noi tedeschi, dopo la guerra, facevamo fatica a trovare da mangiare ed è stato necessario che gli americani ci aiutassero con il piano Marshall. Colui che non ha la semplicità di ricevere non ha neppure il diritto di dare". Allora ho capito che la vita era un dare e un ricevere, un condividere. Il pensiero di comunione che si esprimeva a partire da ciò come teologia non poteva essere imperialista“ (5).

A parte Adokonou, il professore invita spesso i suoi allievi ed assistenti nella casa di Pentlig per prendere il caffè o per cena, per chiacchierare, per discutere su questioni universitarie e soprattutto per dedicarsi al discorso teologico. Al riguardo, racconta Wolfgang Beinert: “In una splendida, mite serata d'estate eravamo seduti in giardino e ci godevamo l'imparagonabile panorama di Pentling...Maria era in cucina e preparava la cena. 

Ad un tratto si sentirono dei rumori sotto i cespugli ed arrivò un gatto maculato bianco e nero. Lo conoscevo bene. Apparteneva ad una famiglia del vicinato – non siamo mai riusciti a sapere esattamente di chi fosse – e visitava spesso e volentieri i fratelli Ratzinger. Qui trovava due delle cose più importanti nella vita di un gatto: le coccole del padrone e il latte offerto dalla padrona. Oggi però la cosa era diversa: il gatto portava nella bocca un topolino morto e lo depositò con sguardo languido davanti a Ratzinger. Questi lo prese per la coda e sparì in direzione cucina, dove si fermò piuttosto a lungo, di modo che vennero certi dubbi… Finalmente tornò e poco dopo Maria chiamò a tavola, per servire un'ottima cena – vegetariana”

Altro aneddoto raccontato da Beinert, relativo ad un periodo antecedente ma emblematico della personalità del professore e del rapporto con gli allievi: “nella vecchia città universitaria di Württemberg, si festeggiavano i 150 anni della nuova fondazione cattolica della facoltà teologica. Le festività erano cominciate con un atto accademico solenne. I professori erano vestiti con una talare di velluto con la guarnizione viola dei teologi. Erano preceduti dai bidelli, impiegati vestiti in modo medioevale con dei preziosi bastoni cerimoniali. Il rettore portava la pesante collana d'oro del suo ufficio. Così anche il decano, solo che la sua collana era più piccola.
Allora il decano era Joseph Ratzinger. La sera i professori avevano invitato gli studenti ad un rinfresco. Il decano aveva offerto una botte di birra bavarese e ora doveva mettere la spina. Gli studenti erano scettici. Questo andava certo oltre le capacità di questo professore esile che dava l'impressione di vivere un po' fuori dal mondo. Uno studente vicino a me disse: "Ci rimarrà al massimo la metà. Il resto andrà perso per terra"


Il decano si mise un grembiule – e con esattamente due colpi precisi mise a posto la spina. Venne il dubbio che Ratzinger, durante i suoi studi a Monaco, avesse lavorato occasionalmente sulle "Wiesen" (6).

Memorabili per Beinert e gli altri restano anche gli incontri semestrali, fin dai tempi di Tubinga, con teologi e studiosi famosi al di fuori della facoltà. Come l’incontro a Basilea col grande teologo protestante Karl Barth, che finisce lui quasi per inchinarsi davanti al giovane collega, con von Balthasar, infine quasi stizzito per alcune domande non concordate da parte degli impertinenti allievi abituati al dibattito libero e franco, sull’Inferno vuoto. Incontri vengono organizzati anche con Congar, il teologo protestante Pannenberg e i suoi allievi, Kasper (successore di Ratzinger a Tubinga) e nel 77 viene invitato Rahner, a discutere con la cerchia ratzingeriana della sua cristologia.

Riguardo al rapporto con gli studenti, nella sua autobiografia Joseph Ratzinger parla anche di un’altra consuetudine che trae origine da quegli anni. 

Sull’ esperienza di Romano Guardini, che negli anni venti e trenta aveva portato avanti la sua opera non solo in università e che, con un gruppo spontaneo di giovani, aveva realizzato sul castello di Rothenfels un centro spirituale per valorizzare il suo lavoro oltre la dimensione accademica, progetta qualcosa di analogo coi suoi allievi. Grazie alla disponibilità di una vecchia fattoria trasformata in casa di studio, di proprietà di un allievo sul lago di Costanza, dal 70 al 77 organizza insieme all’esegeta Heinrich Schlier corsi estivi di una settimana. E come lui stesso ricorda: “ la serena e informale convivenza nelle cose di ogni giorno rendeva più fecondi anche il dialogo teologico e la preghiera comune” (1). 

Tra gli ex allievi che nel tempo partecipano agli incontri, il più famoso è sicuramente Christoph Schomborn, oggi arcivescovo di Vienna. Di lui dice:

l’ho incontrato per la prima volta nel 1972, quando il mio relatore a Parigi, padre Marie Joseph Le Guillou, suo grande amico, mi mandò da lui affinché potessi frequentare come dottorando il suo seminario di studi. Mi colpì subito la grande cordialità del personaggio insieme con la straordinaria chiarezza del suo discorrere. Fu proprio lì, a Ratisbona, che potei scrivere la maggior parte della mia tesi. Mi ricordo che il professor Ratzinger aveva un gran numero di dottorandi: molti infatti cercavano di averlo come relatore, il giro dei suoi studenti comprendeva veramente tutto il mondo, dall’Asia all’America Latina, dall’Africa all’Irlanda, dagli Stati Uniti all’India. Frequentare le sue lezioni costituiva un’esperienza altamente stimolante. Quando poi Ratzinger diventò arcivescovo di Monaco tanti suoi ex alunni lo pregarono di continuare gli incontri. Così nacque il circolo degli studenti del professor Ratzinger che esiste ancora oggi. E la tradizione di quegli incontri annuali non si è mai interrotta, neppure dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro” (7).

A proposito di Romano Guardini e del castello di Rothenfels, la professoressa Hanna Barbara Gerl-Falkowitz, docente di Filosofia e Religioni Comparate all'Università di Dresda, ricorda un aneddoto particolarmente divertente relativo al suo primo incontro col professor Ratzinger, in occasione di una conferenza in cui lo aveva invitato a parlare del grande intellettuale cattolico tedesco che egli ammirava molto.

Il luogo dell'incontro era proprio il castello Rothenfels, situato in cima a una montagna vicino alla città di Würzburg. Racconta:

Avevo mandato una persona a prenderlo alla stazione, e questi tornò dicendo: 'Il professor Ratzinger non c'era. Non l'ho visto'. Io avevo un castello con 300 persone che lo aspettavano ed ero molto ansiosa”.

“Il castello si trova su uno sperone roccioso. Circa venti minuti dopo ero in piedi sulla cima e accanto a me c'era una siepe che iniziò a muoversi. Allora vidi prima una borsa, poi due mani, e quindi i capelli bianchi – allora aveva già i capelli bianchi – del professor Ratzinger. Stava sudando, sforzandosi di attraversare la siepe. Era salito lungo tutta quella collina così ripida fino al castello. Volevo che la terra sprofondasse sotto di me, ma lui era gentile e sorridente. Mi disse: Ascensio in montem sacrum, che significa: 'Ascesa alla montagna sacra'”.

“Stava alludendo a Guardini, perché è stato lui a permettere che quel castello venisse utilizzato dalla gioventù cattolica tedesca. Quello fu il mio primo incontro con Joseph Ratzinger – i suoi capelli spettinati, le carte che volavano... Non so se lo ricorda, io sì. E' stato terribile – essere invitato a pronunciare un discorso e nessuno che fosse andato a prenderlo!
” (11).

Sul piano magisteriale, grande evento di quegli anni narrato da Joseph Ratzinger nella sua autobiografia, è la pubblicazione del messale di Paolo VI associato al divieto quasi completo del messale precedente, dopo una transizione di circa sei mesi. Dopo un periodo di sperimentazioni, che spesso avevano sfigurato la liturgia, un testo liturgico vincolante è visto come positivo , “ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia”. 

Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al Concilio di Trento, ma Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nuovamente avevano fatto altri suoi successori, senza mai contrapporre un messale ad un altro. “Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta. 
Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C’è solo la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica”. Il nuovo messale viene presentato come qualcosa di nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, divenuto vietato, e questa contrapposizione ha creato secondo Ratzinger gravi danni. In questo modo infatti, dice : “si è sviluppata l’impressione che la liturgia sia ‘fatta’, che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di ‘donato’, ma che dipenda dalle nostre decisioni… Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità, l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita”

Convinto che la crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della liturgia, aggiunge: “se nella liturgia non appare più la comunione della fede , l’unità universale della Chiesa e la sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. 
E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza ma, in quanto unita, ha origine per la fede del Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, che richiami in vita la vera eredità del Concilio Vaticano II” (1).

Sul piano strettamente personale di quel periodo ricorda: “la sensazione di acquisire sempre più chiaramente una visione teologica fu la più bella esperienza degli anni di Ratisbona. Anche per mio fratello quelli furono anni benedetti” (1). 

Anche qui Joseph diventa decano della facoltà e vicerettore dell’università, mentre le esecuzioni musicali di Georg ricevono riconoscimenti internazionali e nel 1976 vengono splendidamente festeggiati i mille anni del coro della cattedrale di Ratisbona. 

A proposito di Georg, Alfred Lapple ricorda:

...”col lieve linguaggio gestuale della sua mano, con l’indice della destra ben sollevato, con l’introversa interiorità del suo volto. Era e resta sempre modesto e la sua felicità e beatitudine non esultavano dopo un concerto ben riuscito dei Piccoli cantori del Duomo. Come maestro di cappella del duomo di Ratisbona fu un esempio di come la vocazione al sacerdozio possa essere donata anche insieme al carisma della musicalità” (3). 

Ratzinger è veramente convinto che quella di Ratisbona sarà la destinazione definitiva, e anche per questo nel frattempo ha fatto trasferire i genitori defunti nel vicino cimitero di Ziegetzdorf.

Il 24 luglio 1976 giunge la notizia della morte del cardinale Julius Doepfner, arcivescovo di Monaco, e con essa voci che indicano il professor Ratzinger come possibile candidato alla sua successione. 
Al riguardo dice: non potevo prenderle sul serio, dato che i limiti della mia salute erano altrettanto noti come la mia estraneità ai compiti di governo e di amministrazione; mi sentivo chiamato ad una vita di studioso e non avevo mai avuto in mente niente di diverso (1).

Ma qualche tempo dopo il nunzio Del Mestri gli fa visita a Ratisbona e gli consegna una lettera che contiene la sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga, con tempo per pensarci e parlarne con il confessore .

Ne parla con il professor Auer, si aspetta che lo sconsigli. Ma con sua grande sorpresa gli suggerisce di accettare (1).

“Mi sono consigliato e mi sono sentito dire che in una situazione straordinaria, come quella che noi viviamo oggi, si deve anche accettare qualcosa che all’inizio può non sembrare in linea con il corso della propria vita. Il problema della Chiesa oggi è strettamente legato a quello della teologia. In questa situazione anche dei teologi devono essere disponibili a svolgere il ministero di vescovi. Per questo ho accettato, con l’intenzione, come ho manifestato nel mio motto episcopale, di essere un “collaboratore della verità”.

“Collaboratore” era pensato al plurale. Mi proponevo, cioè, di mettere il mio carisma, - se posso chiamarlo così- in comunione con i collaboratori e di cooperare, con l’esperienza e la competenza teologica a me concesse, a far si che in questa ora la Chiesa fosse rettamente governata e che l’erdità del Concilio venisse assimilata nel modo giusto“
 (8).

Dopo aver esposto i suoi dubbi al nunzio, sotto i suoi occhi, sulla carta da lettera dell’albergo dove è alloggiato, scrive la sua dichiarazione di assenso alla nomina.

Reinhard Richardi, allora preside della facoltà di giurisprudenza e suo vicino di casa, la cui amicizia con Ratzinger, dai tempi di Ratisbona dura a tutt’oggi, dice: “ricordo bene quando si diffuse la notizia della sua nomina come successore di Dopfner. Proprio quel giorno io, mia moglie e i miei bambini eravamo invitati a casa sua. Ci chiamò al telefono e ci disse: ”guardate che l’invito è confermato, anche se mi hanno fatto vescovo. Ci vediamo più tardi” (2).

Come motto episcopale sceglie due parole della terza lettera di San Giovanni: “collaboratori della verità”: dal momento che nel mondo di oggi l’argomento “verità” è quasi scomparso, perché appare troppo grande per l’uomo, e tuttavia tutto crolla se non c’è la verità, questo motto episcopale mi è sembrato il più in linea con il nostro tempo, il più moderno, nel senso buono del termine.” 

In quanto allo stemma: sullo stemma dei vescovi di Frisinga si trova da circa mille anni il moro incoronato, non si sa quale sia il suo significato. “Per me è l’espressione dell’universalità della Chiesa, che non conosce nessuna distinzione di razza e di classe, poiché noi tutti siamo uno in Cristo (Gal 3,28) (1). 

Gli altri due simboli sono uno la conchiglia, “segno del nostro essere pellegrini, del nostro essere in cammino. Ma essa ricorda a Ratzinger anche la leggenda secondo cui Agostino, che si lambiccava il cervello attorno al ministero della Trinità, avrebbe visto sulla spiaggia un bambino che giocava con una conchiglia, con cui attingeva l’acqua del mare e cercava di travasarla in una piccola buca. 
Gli sarebbe stato detto: tanto poco questa buca può contenere l’acqua del mare, quanto poco la tua ragione può afferrare il mistero di Dio. “Per questo la conchiglia rappresenta per me un richiamo al mio grande maestro, Agostino, un richiamo al mio lavoro teologico e, insieme, alla grandezza del mistero, che è sempre molto più grande di tutta la nostra scienza”. Infine, dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisnga, deriva l’immagine dell’orso. Orso che secondo la leggenda sbrana il cavallo del santo che sta recandosi a Roma. Corbiniano lo rimprovera e come punizione gli carica sulle spalle il fardello del cavallo fino a Roma. L’orso che porta il carico del santo, ricorda a Ratzinger una delle meditazioni sui Salmi di sant’Agostino, che ancora una volta gli pare rappresentare anche il suo destino personale. 

“L’orso con il carico, che sostituì il cavallo o, più probabilmente il mulo di san Corbiniano divenendo-contro la sua volontà-il suo animale da soma, non era e non è un’immagine di quel che devo essere e di quel che sono? Sono divenuto per te come una bestia da soma e proprio così io sono in tutto e per sempre vicino a te” (1).

Come prevedibile, le settimane fino alla consacrazione sono difficili e ammette: “ Interiormente continuavo ad essere titubante…” Anche per il lavoro da portare a termine arriva esausto alla consacrazione, che avviene il 27 maggio 1977 nella cattedrale di Monaco: “quel giorno fu straordinariamente bello..la cattedrale di Monaco magnificamente adornata trasmetteva un’atmosfera di gioia, che coinvolgeva in maniera davvero irresistibile. Ho sperimentato la realtà del sacramento-che qui accade davvero qualcosa di reale”. Poi la preghiera davanti alla colonna della Vergine Maria –la Mariensaule-, l’incontro con le molte persone che accolgono il nuovo venuto (1).

A proposito del ministero vescovile durante la cerimonia dice: ““il vescovo non agisce in nome proprio, ma è un fiduciario di un altro, di Gesù Cristo e della Chiesa. Non è un manager, un capo per propria grazia, bensì l’incaricato di un altro di cui è garante. Dunque non può nemmeno cambiare opinione a piacimento e difendere ora questa ora quella causa, a seconda di come gli sembri conveniente. Non è qui per diffondere le sue idee private, ma è un inviato che deve trasmettere un messaggio più grande di lui. Egli verrà misurato su questa fedeltà: essa è il suo incarico” (3).

Joseph Ratzinger si insedia nei suoi uffici, al n. 5 della Rochustrasse e inizia il suo nuovo impegno. I conflitti e le invettive tra progressisti e tradizionalisti sono all’ordine del giorno, così come le critiche al Papa. 
Ratzinger non si tira indietro: “un vescovo che cercasse di evitare le noie per me è un’idea ripugnante”, risponde da teologo, e come dice un giornale dell’epoca: “dimostra la più solida conoscenza in materia di tradizione e di dottrina”, e ancora:” tra tutti i conservatori della Chiesa,è colui che possiede l’attitudine maggiore al dialogo”.

Dal suo canto egli è sempre più convinto che la Chiesa per non dissolversi deve battersi contro le mode, le tendenze e le derive del mondo esterno: “ la Chiesa non deve mai scendere a patti con lo spirito del tempo” (9)

Qualche giorno dopo il suo insediamento, ad inizio giugno 1977, una nuova visita del nunzio De Mestri lo informa che Paolo VI lo nominerà cardinale nel corso del prossimo concistoro del 27 giugno 1977.

Fu per me una grande sorpresa. Non so ancora darmi una spiegazione di tutto questo. So comunque che Paolo VI teneva presente il mio lavoro come teologo. Tanto che alcuni anni prima, forse nel 1975, mi aveva invitato a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano. Ma non mi sentivo sufficientemente sicuro né del mio italiano né del mio francese per preparare e osare una tale avventura, e così avevo detto di no. Ma questa era una prova che il Papa mi conosceva. Forse una qualche parte in questa storia potrebbe averla avuta monsignor Karl Rauber, oggi nunzio in Belgio, allora stretto collaboratore del Sostituto Giovanni Benelli. Comunque, sta di fatto, mi hanno detto, che di fronte alla terna per la nomina a Monaco e Frisinga, il Papa avrebbe personalmente scelto la mia povertà” (10).
Bibliografia


venerdì 12 agosto 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta (a cura di Gemma)


LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)" 

Prof. Ratzinger: Introduzione al Cristianesimo - Prefazione alla prima edizione (1968)

Grazie al magistrale lavoro della nostra Gemma leggiamo la quinta parte della biografia del Santo Padre, dedicata interamente agli anni di insegnamento a Tubinga. Vi leggiamo anche alcune "chicche" illuminanti su Kung :-)
Grazie ancora a Gemma
.
R.

Gli anni di Tubinga

Nel semestre estivo del 1966 Joseph Ratzinger comincia le sue lezioni a Tubinga, in condizioni di salute piuttoste precarie dopo le fatiche per la chiusura del Concilio e l'iniziale pendolarismo fra Munster e Tubinga.
Come lui stesso ammette nella sua autobiografia, il fascino della piccola città sveva è molto forte e di altissimo livello il corpo docente della facoltà ma, rispetto alla grandiosità di Munster, gli spazi sono ristretti e maggiore è l'inclinazione alla polemica, anche in vista del cambiamento che avverrà da lì a breve.

A suggerire la sua chiamata è il teologo svizzero Hans Kung, conosciuto nel 1957, durante il convegno dei teologi dogmatici a Innsbruck, dopo la conclusione della recensione sulla sua tesi di dottorato su Karl Barth.
Ratzinger riconosce che lo stile teologico del libro di Kung non è il suo, e subito dopo la recensione c'è tra i due una controversia piuttosto seria sulla teologia del Concilio ma, come lui stesso racconta: "ambedue consideravamo questo come legittima differenza di posizioni teologiche, necessario per un fecondo avanzamento del pensiero, e non sentivamo affatto compromesse da queste differenze la nostra simpatia personale e la nostra capacità di collaborare". (1)

Il professor Wolfgang Beinert, ex allievo di Ratzinger proprio a Tubinga, in una biografia scritta da Gianni Valente per la rivista 30 giorni, ricorda: «Küng forse chiamò Ratzinger proprio perché voleva che gli studenti potessero confrontarsi con un altro teologo del Concilio diverso da lui, che facesse da contrappeso alla sua teologia unilaterale. Altri professori più chiusi nemmeno percepivano le distanze tra i due, e guardavano anche a Ratzinger come a un pericoloso riformatore liberale. Dicevano: di Küng ce ne basta uno». (2)

Hans Kung, a proposito della scelta di allora, in un’intervista al Corriere della sera del 2005 racconta:

" dissi ai colleghi che volevo mettere subito in chiaro la mia opinione sulla nuova cattedra di dogmatica. Secondo me, c' era una sola persona in Germania all' altezza di quel difficile incarico: il teologo Ratzinger, allora a Münster. Sono ancora felice di quella scelta. Guardo a quel periodo in modo positivo. Credo che anche Ratzinger, a proposito dell' esperienza di Tubinga, si esprima allo stesso modo " .

I due si incontrarono per un caffé in un bar di Via della Conciliazione. Il giovane teologo di Tubinga, Hans Küng, giunse a bordo di un' Alfa Romeo Giulia, nuova fiammante.
L'altro giovane teologo, Joseph Ratzinger, arrivò in bicicletta. Era l' ottobre del 1962, l' inizio del Concilio Vaticano II. Cominciava in quel pomeriggio romano, uno dei rapporti personali e intellettuali più controversi della storia della teologia cattolica.. Kung racconta:

“quel caffè a Roma fu il nostro primo, vero incontro. Ne ebbi un' impressione buona, molto gradevole. Lo rividi ancora un paio di volte. Ma non potrei dire che fra di noi cominciasse un rapporto personale, anche perché lui era molto timido. Comunque, durante il Concilio, avevamo costruito un bel tandem. Ricordo che, a un certo punto, avevo appreso che la "Dichiarazione sulle religioni non cristiane" rischiava di venire accantonata.
Così organizzammo la controffensiva e, fra gli altri, chiamai Ratzinger a Santa Maria dell'Anima, dove viveva, per chiedergli di raggruppare alcuni cardinali, che potessero intervenire direttamente su Paolo VI».

…"Anche se non abbiamo mai avuto una vera amicizia personale, ci siamo visti spesso, dopo le lezioni per bere qualcosa. Oppure ci siamo invitati a cena a vicenda, nelle nostre case. Lui viveva insieme con sua sorella Maria, una persona squisita e sempre molto gentile, che si preoccupava molto di proteggerlo. Per esempio, copriva con un telo bianco i libri sparsi sul suo tavolo di lavoro, perché i visitatori non potessero vedere a cosa stesse lavorando il fratello" (6)

Dal 1964 i due sono anche tra i i soci fondatori di Concilium, la rivista internazionale del “fronte unito” dei teologi conciliari (in proposito racconta Ratzinger: “una rivista che voleva essere, per così dire, la voce permanente del Concilio e del suo spirito: perciò fu chiamata Concilium. Su ciò potè influire il fatto che Hans Kung, nel suo libro Strukturen der Kirche, riteneva di aver scoperto un’equivalenza tra le parole ekklesia (Chiesa) e concilium. Negli anni successivi avevo condiviso in qualche misura questa concezione, a prima vista illuminante , che delineava la Chiesa quale permanente “riunione consigliare” di Dio nel mondo“. Nondimeno, pur convinto che l’impostazione di Hans Kung contenesse qualcosa di vero e di attendibile, sentivo che necessitava di un’incisiva correzione. …”Un Concilio può sicuramente costituire un evento vitale per la Chiesa, ma che la Chiesa in se stessa è qualcosa di più e la sua essenza assai più profonda.
La Chiesa fa il Concilio, ma non è un Concilio. La Chiesa non esiste in primo luogo per deliberare, ma per la vita della Parola che ci è donata. A quel punto, quale concetto portante, in grado di esprimere l’essenza stessa della Chiesa, mi si offrì il termine koinomial/comunione. Potevo dunque sintetizzare così il risultato delle mie ricerche: la Chiesa convoca e celebra i Concili, ma essa è comunione. La sua struttura non è perciò designabile come “conciliare”, bensì come “comunionale
”). (3)

Ma le differenze tra i due sono ben presto evidenti, non solo sul piano teologico ma anche caratteriale.
Nonostante sia l'idolo dei media e della contestazione progressista, Kung non disdegna l'Alfa Romeo bianca e il vestiario elegante.
Ratzinger va a piedi, in bicicletta, usa i mezzi pubblici o accetta un passaggio dalla vecchia auto di un allievo
.
Dal racconto di uno di questi a Gianni Valente, un aneddoto al riguardo: “Ad un incontro con la cerchia dei dottorandi tubinghesi il professore arriva un po’ in ritardo a bordo della Cîtroen “Due cavalli” di Peter Kuhn. L’autista frena bruscamente davanti agli studenti in attesa, e la targa di Tubinga si stacca rumorosamente dall’automobile. Tutti scoppiano a ridere” (2)

In quel periodo dice messa ogni mattina nella cappella di uno studentato femminile, e per il resto studia e prepara le sue lezioni mantenendosi fedele al suo stile austero e riservato.
«Quando una volta capitò di fare una trasferta con qualche studente e ci fermammo in una taverna per pranzo» ricorda Kuhn, «ordinò solo würstel viennesi per sé e anche per noi. Pensava che fossimo tutti frugali come lui. Noi quella volta non osammo fargli capire che eravamo giovani e avevamo fame. Forse lo capì da solo, e in altre occasioni di questo tipo si preoccupava che ognuno scegliesse con cura le pietanze del menù che preferiva.

Le sue lezioni e i seminari sono da subito molto frequentati.
Alle sue lezioni si affolla subito una ressa di oltre quattrocento studenti. Anche ai seminari vorrebbero partecipare in troppi, e allora vengono selezionati con una prova d’ingresso in greco e latino e ricorda il prelato Helmut Moll, che più tardi collaborerà per lunghi anni col suo ex professore alla Congregazione per la dottrina della fede: «tra Ratzinger e gli altri non c’era confronto. Le lezioni che avevo sentito a Bonn da professori di impostazione neoscolastica apparivano aride e fredde, una lista di definizioni dottrinali esatte e basta. Quando a Tubinga ascoltai come Ratzinger parlava di Gesù o dello Spirito Santo, sembrava a tratti che le sue parole avessero accenni di preghiera». (2)

Nel 1967 vengono festeggiati per l'ultima volta i 150 anni della facoltà teologica, secondo il vecchio stile. Come lo stesso Ratzinger ricorda ne "La mia vita": -" quasi fulmineamente cambiò il paradigma culturale, a partire del quale pensavano gli studenti e una parte dei docenti. Fino ad allora il modo di pensare era stato determinato dalla teologia di Bultmann e dalla filosofia di Heidegger; in breve tempo, quasi nello spazio di una notte, lo schema esistenziale crollò e fu sostituito da quello marxista"..."qualche anno prima ci si sarebbe potuti aspettare che le facoltà di teologia sarebbero state un baluardo contro la tentazione marxista. Ora, invece avveniva proprio il contrario: esse ne divenivano il vero centro ideologico. ..La distruzione della teologia, che avveniva attraverso la sua politicizzazione in direzione del messianismo marxista, era incomparabilmente più radicale, proprio perché si basava sulla speranza biblica, ma la stravolgeva, così da conservare il fervore religioso, eliminando però Dio, e sostituendolo con l’azione politica dell’uomo. Resta la speranza, ma al posto di Dio subentra il partito, e quindi il totalitarismo di un culto ateistico, che è disposto a sacrificare ogni umanità al suo falso Dio. Ho visto senza veli il volto crudele di questa devozione ateistica, il terrore psicologico, la sfrenatezza con cui si arrivava a rinunciare a ogni riflessione morale , considerata come un residuo borghese, laddove era in questione il fine ideologico “. (1)

Lo stesso Kung a proposito di quegli anni ammette : "più di una volta fummo disturbati da sit in di contestatori che non avevano niente a che vedere con i nostri corsi. Io stesso ne fui molto irritato, ma per Ratzinger fu uno choc duraturo" . (5)

Racconta Martin Trimpe: «Interrompevano urlando la lezione, o si mettevano sulla cattedra e lo obbligavano a rispondere alle loro questioni “rivoluzionarie”». Altri docenti provano a strizzare l’occhio ai contestatori. Il professore bavarese risponde col suo argomentare logico e pacato. Ma la sua voce flebile viene spesso travolta dalle urla. Nota ancora Seckler: «Lui va fortissimo nelle discussioni pacate, argomentate. Ma nella contrapposizione violenta si smarrisce. Non sa urlare, è incapace di dare sulla voce degli altri in maniera prepotente». 

Eppure Ratzinger prova sincera simpatia umana, venata di tristezza, per tanti dei giovani che gli complicano la vita. 
Una di loro si chiama Karin.
È una bella ragazza bionda e, per quanto risulti molesta, si vede che cerca qualcosa, che il suo sogno rivoluzionario esprime confusamente l’attesa di una vita diversa, buona, il desiderio di essere felici. Ratzinger la sta a sentire, ci perde tempo. Ma poi succede che Karin muore all’improvviso. Racconta Trimpe: «Fui io a dirlo al professore, durante un pranzo. Ne rimase addolorato e non parlò più. Poi, ne sono certo, avrebbe portato a messa, sull’altare, la compassione per la vita e la morte di quella ragazza, affidando alla misericordia del Signore la salvezza della sua anima». (2)

Per circa tre anni Ratzinger si sforza di continuare a dialogare ed insegnare e nel momento del culmine dello scontro è decano della sua facoltà. Nella facoltà evangelica di teologia la situazione è ancora peggiore, tanto da indurlo a partecipare ad un'iniziativa comune con due teologi evangelici, il patrologo Ulrich Wickert e l'esperto di missiologia Wolfgang Beyerhause (“mi sembrava un tradimento ritirarmi nella tranquillità della mia aula e lasciare il resto agli altri….eravamo tutti sulla stessa barca”, racconta a tal proposito ne “La mia vita”).

Mal sopporta l'ideologia portata avanti in nome della fede e la Chiesa usata come suo strumento, soprattutto è indelebilmente colpito dal dileggio blasfemo della croce. Racconta oggi l’ex allievo ratzingeriano Werner Hülsbusch, parroco in pensione nei dintorni di Münster: «Non ne poteva più di leggere manifesti che descrivevano Gesù e san Paolo come dei frustrati sessuali, di sentire discorsi di chi dileggiava la croce come un simbolo del sadomasochismo. Ci stava male».. "Il modo blasfemo con cui la croce veniva dileggiata come sado.masochismo, l' ipocrisia con cui ci si continuava a dichiarare credenti - quando ciò era ritenuto utile (2)

Si racconta che durante una lezione contestatori gli abbiano sottratto il microfono, a tal proposito, lo stesso Ratzinger ne “Il sale della terra” ricorda:

"il microfono non mi è mai stato strappato e non ho nemmeno avuto delle difficoltà con gli studenti ma, semmai, con qualche esponente dei quadri accademici intermedi. A Tubinga le mie lezioni continuarono ad essere accolte molto bene e i rapporti con gli studenti erano buoni. Ma, questo è vero, ho visto che stava facendosi strada un nuovo spirito, in cui delle ideologie fanatiche si servivano degli strumenti del cristianesimo, e qui ho davvero percepito visibilmente la menzogna in atto. Ho visto e sperimentato molto chiaramente che le idee di riforma si dividevano, che c’era un abuso della Chiesa e della fede di cui ci si serviva come strumenti di potere, ma per scopi del tutto differenti e con idee e intenzioni del tutto diverse. La volontà unanime di servire la fede veniva qui spezzata. Al suo posto avveniva una strumentalizzazione per mezzo di ideologie che erano anche tiranniche, brutali e spietate. Mi fu allora chiaro, che se si voleva restre fedeli alla volontà del concilio, bisognava combattere contro l’abuso che se ne faceva. Un volantino distribuito nell’estate del 1969 da studenti della facoltà evangelica di teologia di Tubinga, dal titolo: Gesù il Signore – Partigiano Kasermann riporta: “Che cos’è la croce di Gesù se non l’espressione di un’adorazione sadomasochistica del dolore?” E “il Nuovo Testamento è un documento di disumanità, un grande inganno perpetrato ai danni delle masse !” A tal riguardo ricorda Ratzinger: “Per me è ancora traumatico il ricordo di quando il mio collega Ulrich Wickert e io, nel corso di un’assemblea studentesca, cercammo invano di chiedere che gli studenti della facoltà evangelica di teologia prendessero le distanze dalle bestemmie pronunciate in quel volantino. Ci venne risposto di no, perché qui venivano toccati dei gravi fenomeni sociopolitici, con cui ci si doveva dapprima confrontare in nome della verità. L’appello appassionato del professor Wickert perché tra noi scomparisse quel “ Maledetto sia Gesù Cristo”, risuonò del tutto inascoltato. Nell’ambito della facoltà cattolica di teologia, le cose non arrivano mai a questo punto, ma la tendenza di fondo che si fa strada in quegli anni è la stessa. “Seppi allora quale era la posta in gioco: chi voleva restare progressista doveva rinunciare alla sua identità”. (4).

A proposito di quel volantino, Kung ricorda: «Per lui fu un trauma. Io reagii mettendomi in ferie e minacciando gli studenti di non tornare più, ma non rinunciai a confrontarmi e ad accettare alcune cose che mi sembravano giuste, per esempio la polemica contro i formalismi dell'accademia» (6)

Nonostante il clima non facile di quegli anni, il rapporto col corpo accademico si mantiene sostanzialmente buono, tanto che viene scelto come decano. Anche con lo stesso Kung, a parte il progressivo distacco interiore, i rapporti restano formalmente buoni.

«Küng attaccò Ratzinger solo una volta» fa notare Seckler «e non accadde per colpa della teologia».
Tra i due esisteva l’accordo per cui in ciascun semestre, se uno teneva il corso principale di Teologia dogmatica, all’altro toccava il corso d’appoggio e quindi aveva più tempo a disposizione per programmare liberamente le proprie attività. Quando Ratzinger annuncia che sta per lasciare Tubinga dopo aver ricevuto la “chiamata” dalla nuova facoltà teologica di Ratisbona, la sua decisione scombina i piani del collega, che già aveva riempito di impegni l’agenda del suo semestre “leggero”. Continua Seckler: «Küng fece fuoco e fiamme. Aggredì Ratzinger con invettive veementi, insistendo sul rispetto dell’accordo. Ratzinger rimase calmo ma irremovibile nelle sue decisioni». E nel 1969, logorato dalle polemiche all'interno degli organi accademici di Tubinga e incentivato dal fatto che il fratello vive e lavora a Ratisbona, decide di accettare il nuovo incarico. (2)

Risale agli anni di Tubinga la realizzazone di una delle opere più importanti di Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Da un corso di lezioni aperte non solo agli studenti di teologia, strutturato come un’esposizione del Credo degli apostoli. La mattina presto vengono a sentirlo universitari di tutte le facoltà, ma anche parroci, religiosi, semplici fedeli. Peter Kuhn, che Ratzinger ha chiamato a Tubinga come assistente, porta con sé a quelle lezioni il suo registratore, e poi fa sbobinare i nastri dalla segretaria (2)

Ricorda Ratzinger: “è nato poi un libro che è stato tradotto in 17 lingue, che è stato ristampato più volte, non solo in Germania, e che continua a essere letto. Ero e sono pienamente consapevole dei suoi limiti, ma il fatto che esso abbia aperto una porta a molte persone è per me motivo di soddisfazione e, insieme, di gratitudine per Tubinga, nella cui atmosfera hanno avuto origine quelle lezioni.” (1).


AMDG et BVM

sabato 30 luglio 2016

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta (a cura di Gemma)


Gemma ha preparato per noi la quarta parte della biografia del Santo Padre, Benedetto XVI.
A nome del blog ringrazio di cuore Gemma per il costante e prezioso lavoro :-)

Raffaella

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze 

Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)" 

Conferenza stampa di presentazione del 1° volume dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI in edizione tedesca 

Il 15 aprile 1959, Joseph Ratzinger comincia le lezioni come professore ordinario di Teologia fondamentale all’Università di Bonn, come lui stesso racconta ne “La mia vita”: “davanti ad un vasto uditorio che accolse con entusiasmo l’accento nuovo che credeva di scorgere in me …il primo trimestre resta un ricordo grandioso, come una festa di primo amore”.

In quel periodo, trova alloggio nel convitto teologico Albertinum, prima di trasferirsi in un appartamento a Bad Godesberg, ed è entusiasta sia della città che del variegato ambiente accademico (“l’incontro con studenti e professori di tutte le facoltà mi entusiasmavano e mi ispiravano”).
Il paesaggio, anche culturale, è del tutto diverso rispetto alla Baviera (“di notte udivo i battelli sul Reno, che scorre accanto all’Albertinum. Il grande fiume, con la sua navigazione internazionale, mi dava un senso di apertura e di grandezza di orizzonti, di un dialogo tra le culture e le nazioni che da secoli qui si incontrano tra loro, in uno scambio reciprocamente fecondo e innovatore”).
Colonia è vicina, intorno c’è tutta una serie di seminari teologici, alcuni con biblioteche curate e da ogni parte provengono stimoli. Risale a quel periodo, la formazione di un gruppo di studenti interessati, con cui da allora prende l’abitudine di intrattenere colloqui regolari, proseguiti fino al 1993, con partecipanti sempre nuovi.

Come riportato da una biografia sulla rivista 30 giorni (marzo 2006): «Era l’inizio del semestre invernale 1959-60. Nell’aula 11 dell’Università, piena di studenti, si aprì la porta ed entrò un giovane sacerdote, che a prima vista poteva sembrare il secondo o il terzo vicario di qualche grossa parrocchia di città. Era il nostro ordinario di Teologia fondamentale, e aveva 32 anni».

Così l’allora studente Horst Ferdinand, scomparso due anni fa dopo una vita trascorsa tra gli uffici amministrativi del Parlamento federale e le sedi diplomatiche tedesche, appuntava nel suo inedito manoscritto di memorie l’incipit in punta di piedi della carriera universitaria di Joseph Ratzinger .
Tutti i suoi allievi di allora ricordano bene il passaparola studentesco che faceva accalcare alle lezioni di quell’enfant prodige teologo.
Racconta lo studioso di giudaismo Peter Kuhn, che diverrà assistente del professor Ratzinger negli anni d’insegnamento a Tubinga e Ratisbona: «Io allora ero un ventenne luterano. Frequentavo la Facoltà teologica evangelica, dopo aver seguito a Basilea le lezioni di Karl Barth, conobbi il bavarese Vinzenz Pfnür, che aveva seguito Ratzinger addirittura da Frisinga. Lui mi disseguarda che abbiamo un professore interessante, vale la pena di sentirlo. Al primo seminario, pensai subito: quest’uomo non è proprio come gli altri professori cattolici che conosco».
Scrive ancora Horst Ferdinand nel suo manoscritto: «Le lezioni erano preparate al millimetro. Lui le teneva parafrasando il testo che aveva preparato con formulazioni che a volte sembravano costruirsi come un mosaico, con una ricchezza d’immagini che mi ricordava Romano Guardini.
In alcune lezioni, come nelle pause di un concerto, si sarebbe potuto sentire un ago cadere per terra».
Aggiunge il redentorista Viktor Hahn, che diventerà il primo allievo ad “addottorarsi” con Ratzinger: «La sala era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano.
Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente».
Nel semestre invernale 1959-60 il corso è dedicato a “Natura e realtà della Rivelazione”.
Il semestre successivo, il titolo del corso è “La dottrina della Chiesa”.
Nel semestre estivo del 1961 toccherà a “Problemi filosofico-religiosi nelle Confessioni di sant’Agostino”… Confida Roman Angulanza, uno dei primi studenti dei tempi di Bonn: «Aveva come riformulato il modo di fare lezione. Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, che era una persona intelligente ma non aveva studiato teologia. E se la sorella manifestava il suo gradimento, era per lui il segno che la lezione andava bene».
Aggiunge il novantaduenne professor Alfred Läpple, che è stato prefetto di Ratzinger al seminario di Frisinga: «Joseph diceva sempre: mentre fai lezione, il massimo è quando gli studenti lasciano da parte la penna e ti stanno a sentire. Finché continuano a prendere appunti su quello che dici vuol dire che non li hai colpiti. Ma quando lasciano cadere la penna e ti guardano mentre parli, allora vuol dire che forse hai toccato il loro cuore. Lui voleva parlare al cuore degli studenti. Non gli interessava solo aumentare le loro conoscenze. Diceva che le cose importanti del cristianesimo si imparano solo se scaldano il cuore»
E’ in lui forte il gusto di riscoprire la Tradizione leggendo i Padri con grande apertura alle domande e ai fermenti del pensiero teologico di quegli anni.
Sempre a 30 giorni, conferma Peter Kuhn: «La maggior parte degli altri professori, al suo confronto, apparivano rigidi e anchilosati, chiusi nei loro schemi, soprattutto verso gli evangelici. Lui affrontava tutte le questioni senza timore. Non aveva paura di spingersi al largo, mentre altri professori non uscivano mai fuori dai binari di una pedissequa autocelebrazione».
Come racconta Bernard Lecomte nel suo libro (Benedetto XVI l’ultimo papa europeo), i luterani sono numerosi a Bonn, dove l’ecumenismo è vissuto con naturalezza come vicinanza tra cattolici e protestanti, mentre gli ortodossi sono rari.
Il professor Ratzinger ha tra i suoi allievi un giovane teologo di nome Damaskinos Papandreou, figlio di un pope, che gli fa scoprire con l’ortodossia un altro versante, meno noto, dell’ecumenismo.
Ratzinger, appassionato dell’argomento, approfondirà questo rapporto originale che in seguito definirà addirittura una svolta nella sua vita”; è il 1998, a Ginevra, durante una serata privata per il sessantesimo compleanno del suo ex alunno diventato il reverendissimo mons. Damaskinos, metropolita ortodosso della Svizzera.
Quella sera Ratzinger, commosso, rivela di aver sempre portato al collo una croce donatagli dall’allora suo studente, una croce che “ lo avvicina fisicamente all’ortodossia”.
Tra le personalità che incontra in quel periodo: il grande storico della Chiesa Hubert Jedin, che secondo alcuni studenti di allora sarebbe stato il patrocinatore della chiamata di Ratzinger a Bonn, divenuto suo amico personale fino alla morte, avvenuta nel 1980; lo storico dei dogmi Theodor Klauser, la star della Facoltà, sempre elegante, che gira in città con la sua Mercedes fiammante (Ratzinger usa i mezzi pubblici o va a piedi, lo si riconosce da lontano per il suo immancabile basco, che lui stesso chiama con ironia «il mio elmo della prontezza»), l’altro dogmatico bavarese Johann Auer, che Ratzinger incontrerà di nuovo come collega negli anni di insegnamento a Ratisbona. Intorno al professore inizia a formarsi anche un piccolo cenacolo di studenti: Pfnür, Angulanza e pochi altri. La domenica, Ratzinger li invita a pranzo nella sua villetta sulla Wurzerstrasse di Bad Godesberg, dove si è trasferito dopo aver lasciato l’iniziale sistemazione presso il convitto teologico Albertinum. Con lui vive la sorella Maria, che è anche una brava cuoca. Qualche volta anche Auer partecipa a questi convivi bavaresi. A Bonn Ratzinger arruola anche il suo primo assistente:
Werner Böckenförde, scomparso due anni fa. Un münsteriano dalla personalità forte che a volte dà l’impressione di voler “dirigere” il suo professore.
Spiega Angulanza: «Böckenförde stimava Ratzinger come teologo, ma era più interessato ai processi e ai fatti di tipo politico-ecclesiastico, che giudicava in maniera molto critica. Il rapporto tra i due era formalmente corretto, ma non familiare». 

In quel periodo strige amicizia con Sophronius Clasen, specialista francescano di studi bonaventuriani ; conosce il teologo moralista Schollgen; lo studioso ebraico, Charles Horowitz, che teneva seminari presso la Facoltà teologica evangelica; Heinrich Schlier , grande esegeta luterano convertitosi al cattolicesimo che in seguito sarà ospite anche dei periodici raduni teologici della cerchia degli studenti dottorandi di Ratzinger; l’indologo Paul Hacker dal quale attinge con interesse nozioni sull’induismo per le lezioni di storia delle religioni («Qualche studente» ricorda Kuhn «se ne lamentava, scherzandoci sopra. Dicevano: Ratzinger è totalmente immerso nell’induismo, ci parla solo di Bhakti e di Khrisna, non ne possiamo più…»…)
Il clima di entusiasmo dei primi mesi, purtroppo, è destinato ad oscurarsi nell’agosto dello stesso anno, quando si reca in visita con la sorella nella nuova abitazione dei genitori e del fratello a Traunstein.

Il papà Joseph, già nell’estate dell’anno precedente era stato colpito da un piccolo colpo apoplettico, dal quale si era tranquillamente ripreso (“papà riprese le sue occupazioni come se nulla fosse successo. Colpiva in lui solo una grande serenità, la benevolenza particolarmente indulgente con cui ci veniva incontro.
A Natale ci coprì di regali con una generosità
incomprensibile: sentivamo che considerava quello il suo ultimo Natale, ma non potevamo crederlo, dal momento che esteriormente non dava alcun segno di decadimento”), ad agosto si sente nuovamente male finchè la sera della domenica 23, dopo cena, cade svenuto e si spegne dopo due giorni di agonia. Così ricorda nella sua biografia lo stato d’animo di quei giorni: “Eravamo riconoscenti di poterci trovare tutti intorno al suo letto e di potergli mostrare ancora una volta il nostro amore, che egli accolse con gratitudine, anche se non era più in grado di parlare.
Quando, dopo questo fatto, feci ritorno a Bonn, sentivo che per me il mondo era diventato un po’ più vuoto e che un pezzo di me, della mia casa, si era spostato nell’altro mondo”.

In quel periodo, mentre i rapporti col cardinale Wendel di Monaco non sono esaltanti, tra Ratzinger e il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia, nasce subito un rapporto di profonda intesa, anche grazie all’amicizia col suo segretario, Hubert Luthe, compagno di studi ai tempi di Furstenried.
E’ il periodo in cui a Roma papa Giovanni XXIII annuncia il concilio Vaticano II e il cardinale Frings è uno dei membri della commissione centrale inerente la sua preparazione. Ratzinger aveva tenuto una conferenza sulla teologia del Concilio, apprezzata dal Cardinale, che lo invita ad accompagnarlo a Roma insieme al suo segretario Luthe, come consulente teologo.
Come racconta lo stesso Ratzinger in un’intervista ripresa da Reset maggio-giugno 2005, Frings gli aveva già chiesto di preparargli un discorso da tenere, su invito del cardinale Siri , a Genova, sui problemi da trattare nel Concilio: “questa conferenza, che poteva apparire forse rivoluzionaria no, ma certo un po’
audace, piacque moltissimo a Papa Giovanni XXIII, che abbracciando Frings, gli disse: “Proprio queste erano le mie intenzioni nell’indire il Concilio”.
A Roma, Ratzinger abita col cardinale nel Collegio dell’Anima, vicino a Piazza Navona, in via della Pace, “un’istituzione austriaca dall’atmosfera simpatica” e da alcuni viene soprannominato “il ragazzo del coro”, per via del volto paffuto e giovanile. Il cardinale riunisce tutti i vescovi di lingua tedesca nella sala del Collegio e lo incarica di tenere loro una conferenza e di introdurli al lavoro del Concilio:
per un giovanissimo professore, avevo 32 anni ed avevo appena cominciato ad insegnare all’università, si trattava di una cosa veramente impressionante”.
Si trova finalmente insieme a tante persone conosciute solo attraverso i libri e anche partecipare alla vita romana è una realtà per lui del tutto nuova: “nel collegio dell’Anima si vedeva il mondo, si sentivano soprattutto i rumori della vecchia Roma. Andare al caffè con altri e conoscere la vita romana, talmente diversa dalla mia vita universitaria, suscitò in me un’impressione grandissima che ha marcato la mia vita”.
Durante il Concilio, muore papa Giovanni XXIII e anche in Germania ciò procura grande tristezza, nonostante la notoria non vicinanza da parte di questo paese al papato. Ratzinger naturalmente non partecipa al conclave ma non è sorpreso dall’elezione di Montini, considerato da molti e da lui stesso garante della continuità del Concilio, nello spirito di Papa Giovanni. E dice:” e Papa Giovanni stesso aveva fatto capire che desiderava l’Arcivescovo di Milano come suo successore. Fu accolto senza difficoltà, anzi come un portatore di speranza.”. Per i primi due mesi del Concilio, è presente in qualità di esperto, perito privato del cardinale Frings ma in novembre il Papa lo nomina anche perito ufficiale e da quel momento in poi può partecipare ufficialmente a tutte le sedute. E’
per lui un grande avvenimento vedere esperti e grandi personalità finora conosciute solo sui libri come Henri De Lubac, Jean Danielou,Yves Congar , Marie-Dominique Chenu e altri grandi nomi, anche rappresentanti di altre chiese e confessioni cristiane e, naturalmente, il Papa stesso. Non è ancora del periodo conciliare invece l’incontro con Karol Wojtyla ( “ durante il concilio non ho mai visto l’arcivescovo di Cracovia: a quel tempo non avevo ancora conosciuto il cardinale Wojtyla”).
Come si ricava dalla sua biografia riguardo a quel periodo, “il Papa aveva indicato solo in termini molto generali le sue intenzioni riguardo al concilio lasciando ai Padri uno spazio quasi illimitato per la concreta configurazione: la fede doveva tornare a parlare a questo tempo in modo nuovo, mantenendo pienamente l’identità dei suoi contenuti”.
Per quanto riguarda la riforma liturgica, ricorda: “per la maggioranza dei padri conciliari la riforma proposta dal movimento liturgico non costituiva una priorità, anzi per molti di loro essa non era nemmeno un tema da trattare”.
La liturgia e la sua riforma erano divenute questioni pressanti solo in Francia e in Germania e questi due paesi, teologicamente rilevanti, erano riusciti ad ottenere che venisse elaborato uno schema sulla sacra liturgia.
Questo testo è stato il primo ad essere esaminato dal Concilio ma, secondo il ricordo di Ratzinger, non per un accresciuto interesse da parte dei Padri su questa tematica, ma per il fatto che in questo ambito non erano previste grosse polemiche e si era pensato che potesse costituire materia di esercitazione e sperimentazione dei metodi di lavoro del Concilio (“A nessuno dei Padri sarebbe venuto in mente di vedere in questo testo una “rivoluzione”, che avrebbe significato “la fine del medioevo”, come nel frattempo alcuni teologi hanno ritenuto di dove interpretare”). Il dibattito sulla liturgia, come previsto, è tranquillo e procede senza tensioni mentre si svolge in un drammatico scontro la discussione del documento su “le fonti della rivelazione”.

Ratzinger conosce bene l’argomento, sul quale ha discusso la sua tesi di dottorato e per desiderio del cardinale Frings mette per iscritto un piccolo schema seguito da una seconda più ampia e approfondita redazione insieme a Karl Rahner (“questo secondo testo, che va ascritto molto più a Rahner che a me, fu poi fatto circolare tra i Padri e suscitò in parte delle aspre reazioni”.).

Lavorando con Rahner, Ratzinger si rende conto che benché c’è accordo su molti punti, vi sono anche parecchie divergenze (“ la sua era una teologia speculativa e filosofica in cui, alla fin fine, la scrittura e i Padri non avevano poi una parte tanto importante, in cui, soprattutto, la dimensione storica era di scarsa importanza. Io, al contrario, proprio per la mia formazione, ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico: in quei giorni ebbi la chiara percezione di quale fosse la differenza tra la scuola di Monaco, da cui io ero passato, e quella di Rahner, anche se dovette passare ancora qualche tempo prima che la distanza che separava le nostre strade fosse pienamente visibile all’esterno”).

Lo schema di Rahner non viene accolto ma anche il testo ufficiale va incontro a bocciatura e si deve procedere al rifacimento del testo. Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si arriva all’approvazione della Costituzione sulla parola di Dio (“uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno. All'inizio si impose in pratica solo quello che era passato come la presunta novità nel modo di pensare questi argomenti da parte dei Padri.
Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a a partire da queste ultime è ancora da realizzare”).

Risale a quegli anni, un’altra importante decisione professionale: nell’estate del 1962 si libera la cattedra di dogmatica dell’università di Münster . 

Gli amici insistono perché accetti: la dogmatica è il suo vero campo e potrebbe aprirgli prospettive di azione più ampie della teologia fondamentale; la sua preparazione scritturistica e patristica sarebbero state lì meglio valorizzate ma per il legame con l’università di Bonn, i suoi studenti e il cardinale Frings decide inizialmente di rifiutare.
Tuttavia, la situazione a Bonn non è del tutto libera da tensioni e le centinaia di studenti che affollano le lezioni del professore trentenne non possono non suscitare invidie e ripicche da parte dei vecchi professori, soprattutto da quando Frings lo ha scelto come consulente teologico del concilio. 
Come citato in “30 giorni”, della cerchia dei dottorandi di Ratzinger fanno parte due studenti ortodossi, il già citatoDamaskinos Papandréou e Stylianos Harkianakis, oggi ambedue metropoliti del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ma il Consiglio di Facoltà respinge la richiesta dei due di addottorarsi presso la Facoltà cattolica. Durante una trasferta di Ratzinger a Roma per il Concilio, i voti delle prove di alcuni suoi allievi vengono abbassati dai suoi detrattori. Anche la tesi dello studente Johannes Dörmann sulle nuove acquisizioni circa l’evoluzionismo introdotte dagli studi di Johann Jacob Bachofen (il primo a teorizzare l’esistenza di un matriarcato originario primitivo) viene osteggiata con l’argomento che non si tratta di un lavoro teologico.

Ratzinger ripensa al dramma da lui vissuto per il suo esame di abilitazione, quando il professore di Teologia dogmatica Michael Schmaus, suo correlatore, aveva tentato di bocciare la sua tesi su san Bonaventura, tacciandola di modernismo e accetta il trasferimento (“ripensai al dramma della mia abilitazione e vidi in Munster la via indicatami dalla provvidenza per potere aiutare quei studiosi”).
Ricorda Viktor HahnDi certo le ostilità intorno a lui erano cresciute con la sua nomina a perito del Concilio. Chiesi al professor Jedin se erano stati gli altri professori a scaricarlo. Mi rispose: lei potrebbe non avere torto». Il prof Botterweck (antico Testamento), nelle chiacchiere tra colleghi, si vanterà di averlo «fatto scappare» da Bonn.

Nell’estate del 1963 inizia così l’insegnamento di Teologia dogmatica a Munster, davanti ad un vasto uditorio e con una dotazione di personale che va ben oltre quella disponibile a Bonn. L’accoglienza è cordiale e coi colleghi non ci sono problemi ma,
ricorda: “devo confessare che mi è comunque rimasta la nostalgia di Bonn, la città sul fiume, della sua serena allegria e del suo dinamismo spirituale”.
Racconta “30giorni”: Si insedia con la sorella Maria in una villetta sul viale Annette von Droste Hülshoff, vicino al lago artificiale Aasee. Al piano di sopra troveranno alloggio due suoi studenti, i “fedelissimi”
Pfnür e Angulanza, che all’Università lo assistono come collaboratori scientifici. Di mattina presto celebra messa nella cappella di una casa di cura vicino casa, e poi va in Facoltà in bicicletta.
Racconta Peter Kuhn: «Münster è una città di pianura, non è lontana dall’Olanda, lì tutti si muovevano in bici, come del resto fanno in molti anche oggi. Dissi a Pfnür di comprarne una per il nostro professore, ma lui è un tipo parsimonioso e ne trovò una usata, così malmessa che ancora oggi lo prendo in giro, dicendo che per colpa di quella bicicletta anche adesso al Papa fanno male le ginocchia…». A Münster si allarga il giro di allievi che chiedono di addottorarsi con lui. Con i più intimi continua la tradizione dei pranzetti bavaresi. Qualche volta il drappello di teologi col loro professore si ritrovano a mangiare a una locanda sul lago che sembra tagliata su misura per
loro: si chiama Zum Himmelreich, Al Regno dei Cieli.

Quel periodo, purtroppo, non è solo foriero di successi personali ma il 16 dicembre 1963 si spegne la mamma Maria, qualche mese dopo la diagnosi di un cancro allo stomaco (“la luce della sua bontà è rimasta e per me è divenuta sempre più una concreta dimostrazione della fede da cui lei si era lasciata plasmare. Non saprei indicare una prova della verità della fede più convincente della sincera e schietta umanità che la fede ha fatto maturare nei miei genitori e in molte altre persone che ho potuto incontrare”.)

Quasi subito dopo la morte della madre, il fratello Georg viene chiamato a ricoprire l’incarico di maestro della cappella del duomo di Ratisbona (“Così l’idillio di Traunstein era davvero finito per sempre e Ratisbona, l’antica città imperiale sul Danubio, che finora era stata ai margini della nostra vita, divenne per noi un comune punto di riferimento; era là che ci incontravamo durante le ferie e là ci sentivamo sempre di più a casa nostra”)

Nel frattempo, il Concilio va avanti e Ratzinger si divide fra Roma e Munster.

In quegli anni si aggiungono al corpo docente altre giovani promesse della teologia tedesca come Walter Kasper e Johannes Baptist Metz, iniziatore della teologia politica, con cui Ratzinger polemizzerà negli anni a venire. Ma nel tempo di Münster nessuno sembra soffrire la preferenza che gli studenti gli riservano.
Racconta ancora Pfnür a “30 giorni”: «Gli iscritti al corso erano circa 350, ma alle lezioni prendevano parte una media di 600 uditori. Venivano a sentire Ratzinger anche gli studenti di altre Facoltà, come Filosofia e Giurisprudenza. Stampammo le dispense del corso di Ecclesiologia sulla centralità dell’Eucaristia, e ne vendemmo 850 copie».

Ironizza Kuhn: «A Münster Pfnür aveva messo su una piccola stamperia. Si ciclostilavano le lezioni, e poi se ne spedivano pacchi interi per tutta la Germania, ai fan di Ratzinger sparsi nelle altre Facoltà teologiche».

Alla fama crescente del professor Ratzinger contribuisce la sua intensa partecipazione al Concilio. Scrive pareri per il suo cardinale, viene incaricato della stesura di schemi di documento alternativi rispetto a quelli preparati dalla Curia romana. 

Frequenta e collabora con tutti i grandi teologi del Concilio: Yves Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Gérard Philips, Karl Rahner. «A noi studenti» ricorda Pfnür «raccontava che a impressionarlo in particolar modo erano i teologi e i vescovi latinoamericani». Quando torna in Germania alla fine delle sessioni romane, offre resoconti pubblici dei lavori conciliari in affollatissime conferenze. Occasioni di riflessione in cui il giudizio di Ratzinger si smarca anche dal neotrionfalismo progressista e dall’eccitazione polemica che già sembra contagiare altri teologi “riformisti” del Concilio. «Ogni volta che tornavo da Roma» racconta nella sua autobiografia «trovavo nella Chiesa e tra i teologi uno stato d’animo sempre più agitato. Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione….. se al ritorno in patria dal primo periodo conciliare mi ero sentito ancora sostenuto dal sentimento di gioioso rinnovamento che regnava dovunque, provavo ora una profonda inquietudine di fronte al cambiamento che si era
prodotto all’interno del clima ecclesiale e che era
ormai sempre più evidente ».
Spiega oggi Pfnür: «I primi indizi del caos li registrava non tanto in Facoltà, quanto nelle parrocchie. I parroci cominciavano a cambiare la liturgia a proprio piacimento, e su questo lui diede da subito giudizi molto critici».
In una conferenza sul vero e falso rinnovamento della Chiesa, tenuta presso l’università di Münster , cerca di lanciare un primo segnale d’allarme riguardo alle proprie preoccupazioni che però non viene notato.
Più energico è il suo intervento al Katholikentag di Bamberga del 1966, “tanto che il cardinale Dopfner si stupì dei ‘tratti conservatori’ che gli era parso di cogliere”.

Ma nel 1966 un altro trasferimento è nell’aria, forse complice l’infelicità della sorella per la troppa distanza dall’amata terra natale, la Baviera, e la tentazione diventa irresistibile quando l’università di Tubinga lo chiama offrendogli la seconda cattedra di dogmatica, da poco istituita (“a insistere sulla mia chiamata e e a ottenere il consenso degli altri colleghi era stato Hans Kung”).

Racconta Han: Qualche anno dopo, quando gli chiesi il perché della sua partenza, mi confermò che a Münster la sorella non era felice. Lei gli aveva dedicato la vita, e lui non poteva non tener conto della sua nostalgia»