LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta (a cura di Gemma)
Gemma ha preparato per noi la quarta parte della biografia del Santo Padre, Benedetto XVI.
A nome del blog ringrazio di cuore Gemma per il costante e prezioso lavoro :-)
Raffaella
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta
LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)
Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)
Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica)
Norbert Trippen: "Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il Concilio Vaticano II" (Osservatore Romano)
Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze
Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)"
Conferenza stampa di presentazione del 1° volume dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI in edizione tedesca
Il 15 aprile 1959, Joseph Ratzinger comincia le lezioni come professore ordinario di Teologia fondamentale all’Università di Bonn, come lui stesso racconta ne “La mia vita”: “davanti ad un vasto uditorio che accolse con entusiasmo l’accento nuovo che credeva di scorgere in me …il primo trimestre resta un ricordo grandioso, come una festa di primo amore”.
In quel periodo, trova alloggio nel convitto teologico Albertinum, prima di trasferirsi in un appartamento a Bad Godesberg, ed è entusiasta sia della città che del variegato ambiente accademico (“l’incontro con studenti e professori di tutte le facoltà mi entusiasmavano e mi ispiravano”).
Il paesaggio, anche culturale, è del tutto diverso rispetto alla Baviera (“di notte udivo i battelli sul Reno, che scorre accanto all’Albertinum. Il grande fiume, con la sua navigazione internazionale, mi dava un senso di apertura e di grandezza di orizzonti, di un dialogo tra le culture e le nazioni che da secoli qui si incontrano tra loro, in uno scambio reciprocamente fecondo e innovatore”).
Colonia è vicina, intorno c’è tutta una serie di seminari teologici, alcuni con biblioteche curate e da ogni parte provengono stimoli. Risale a quel periodo, la formazione di un gruppo di studenti interessati, con cui da allora prende l’abitudine di intrattenere colloqui regolari, proseguiti fino al 1993, con partecipanti sempre nuovi.
Come riportato da una biografia sulla rivista 30 giorni (marzo 2006): «Era l’inizio del semestre invernale 1959-60. Nell’aula 11 dell’Università, piena di studenti, si aprì la porta ed entrò un giovane sacerdote, che a prima vista poteva sembrare il secondo o il terzo vicario di qualche grossa parrocchia di città. Era il nostro ordinario di Teologia fondamentale, e aveva 32 anni».
Così l’allora studente Horst Ferdinand, scomparso due anni fa dopo una vita trascorsa tra gli uffici amministrativi del Parlamento federale e le sedi diplomatiche tedesche, appuntava nel suo inedito manoscritto di memorie l’incipit in punta di piedi della carriera universitaria di Joseph Ratzinger .
Tutti i suoi allievi di allora ricordano bene il passaparola studentesco che faceva accalcare alle lezioni di quell’enfant prodige teologo.
Racconta lo studioso di giudaismo Peter Kuhn, che diverrà assistente del professor Ratzinger negli anni d’insegnamento a Tubinga e Ratisbona: «Io allora ero un ventenne luterano. Frequentavo la Facoltà teologica evangelica, dopo aver seguito a Basilea le lezioni di Karl Barth, conobbi il bavarese Vinzenz Pfnür, che aveva seguito Ratzinger addirittura da Frisinga. Lui mi disse: guarda che abbiamo un professore interessante, vale la pena di sentirlo. Al primo seminario, pensai subito: quest’uomo non è proprio come gli altri professori cattolici che conosco».
Scrive ancora Horst Ferdinand nel suo manoscritto: «Le lezioni erano preparate al millimetro. Lui le teneva parafrasando il testo che aveva preparato con formulazioni che a volte sembravano costruirsi come un mosaico, con una ricchezza d’immagini che mi ricordava Romano Guardini.
In alcune lezioni, come nelle pause di un concerto, si sarebbe potuto sentire un ago cadere per terra».
Aggiunge il redentorista Viktor Hahn, che diventerà il primo allievo ad “addottorarsi” con Ratzinger: «La sala era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano.
Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente».
Nel semestre invernale 1959-60 il corso è dedicato a “Natura e realtà della Rivelazione”.
Il semestre successivo, il titolo del corso è “La dottrina della Chiesa”.
Nel semestre estivo del 1961 toccherà a “Problemi filosofico-religiosi nelle Confessioni di sant’Agostino”… Confida Roman Angulanza, uno dei primi studenti dei tempi di Bonn: «Aveva come riformulato il modo di fare lezione. Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, che era una persona intelligente ma non aveva studiato teologia. E se la sorella manifestava il suo gradimento, era per lui il segno che la lezione andava bene».
Aggiunge il novantaduenne professor Alfred Läpple, che è stato prefetto di Ratzinger al seminario di Frisinga: «Joseph diceva sempre: mentre fai lezione, il massimo è quando gli studenti lasciano da parte la penna e ti stanno a sentire. Finché continuano a prendere appunti su quello che dici vuol dire che non li hai colpiti. Ma quando lasciano cadere la penna e ti guardano mentre parli, allora vuol dire che forse hai toccato il loro cuore. Lui voleva parlare al cuore degli studenti. Non gli interessava solo aumentare le loro conoscenze. Diceva che le cose importanti del cristianesimo si imparano solo se scaldano il cuore»
E’ in lui forte il gusto di riscoprire la Tradizione leggendo i Padri con grande apertura alle domande e ai fermenti del pensiero teologico di quegli anni.
Sempre a 30 giorni, conferma Peter Kuhn: «La maggior parte degli altri professori, al suo confronto, apparivano rigidi e anchilosati, chiusi nei loro schemi, soprattutto verso gli evangelici. Lui affrontava tutte le questioni senza timore. Non aveva paura di spingersi al largo, mentre altri professori non uscivano mai fuori dai binari di una pedissequa autocelebrazione».
Come racconta Bernard Lecomte nel suo libro (Benedetto XVI l’ultimo papa europeo), i luterani sono numerosi a Bonn, dove l’ecumenismo è vissuto con naturalezza come vicinanza tra cattolici e protestanti, mentre gli ortodossi sono rari.
Il professor Ratzinger ha tra i suoi allievi un giovane teologo di nome Damaskinos Papandreou, figlio di un pope, che gli fa scoprire con l’ortodossia un altro versante, meno noto, dell’ecumenismo.
Ratzinger, appassionato dell’argomento, approfondirà questo rapporto originale che in seguito definirà addirittura “una svolta nella sua vita”; è il 1998, a Ginevra, durante una serata privata per il sessantesimo compleanno del suo ex alunno diventato il reverendissimo mons. Damaskinos, metropolita ortodosso della Svizzera.
Quella sera Ratzinger, commosso, rivela di aver sempre portato al collo una croce donatagli dall’allora suo studente, una croce che “ lo avvicina fisicamente all’ortodossia”.
Tra le personalità che incontra in quel periodo: il grande storico della Chiesa Hubert Jedin, che secondo alcuni studenti di allora sarebbe stato il patrocinatore della chiamata di Ratzinger a Bonn, divenuto suo amico personale fino alla morte, avvenuta nel 1980; lo storico dei dogmi Theodor Klauser, la star della Facoltà, sempre elegante, che gira in città con la sua Mercedes fiammante (Ratzinger usa i mezzi pubblici o va a piedi, lo si riconosce da lontano per il suo immancabile basco, che lui stesso chiama con ironia «il mio elmo della prontezza»), l’altro dogmatico bavarese Johann Auer, che Ratzinger incontrerà di nuovo come collega negli anni di insegnamento a Ratisbona. Intorno al professore inizia a formarsi anche un piccolo cenacolo di studenti: Pfnür, Angulanza e pochi altri. La domenica, Ratzinger li invita a pranzo nella sua villetta sulla Wurzerstrasse di Bad Godesberg, dove si è trasferito dopo aver lasciato l’iniziale sistemazione presso il convitto teologico Albertinum. Con lui vive la sorella Maria, che è anche una brava cuoca. Qualche volta anche Auer partecipa a questi convivi bavaresi. A Bonn Ratzinger arruola anche il suo primo assistente:
Werner Böckenförde, scomparso due anni fa. Un münsteriano dalla personalità forte che a volte dà l’impressione di voler “dirigere” il suo professore.
Spiega Angulanza: «Böckenförde stimava Ratzinger come teologo, ma era più interessato ai processi e ai fatti di tipo politico-ecclesiastico, che giudicava in maniera molto critica. Il rapporto tra i due era formalmente corretto, ma non familiare».
In quel periodo strige amicizia con Sophronius Clasen, specialista francescano di studi bonaventuriani ; conosce il teologo moralista Schollgen; lo studioso ebraico, Charles Horowitz, che teneva seminari presso la Facoltà teologica evangelica; Heinrich Schlier , grande esegeta luterano convertitosi al cattolicesimo che in seguito sarà ospite anche dei periodici raduni teologici della cerchia degli studenti dottorandi di Ratzinger; l’indologo Paul Hacker dal quale attinge con interesse nozioni sull’induismo per le lezioni di storia delle religioni («Qualche studente» ricorda Kuhn «se ne lamentava, scherzandoci sopra. Dicevano: Ratzinger è totalmente immerso nell’induismo, ci parla solo di Bhakti e di Khrisna, non ne possiamo più…»…)
Il clima di entusiasmo dei primi mesi, purtroppo, è destinato ad oscurarsi nell’agosto dello stesso anno, quando si reca in visita con la sorella nella nuova abitazione dei genitori e del fratello a Traunstein.
Il papà Joseph, già nell’estate dell’anno precedente era stato colpito da un piccolo colpo apoplettico, dal quale si era tranquillamente ripreso (“papà riprese le sue occupazioni come se nulla fosse successo. Colpiva in lui solo una grande serenità, la benevolenza particolarmente indulgente con cui ci veniva incontro.
A Natale ci coprì di regali con una generosità
incomprensibile: sentivamo che considerava quello il suo ultimo Natale, ma non potevamo crederlo, dal momento che esteriormente non dava alcun segno di decadimento”), ad agosto si sente nuovamente male finchè la sera della domenica 23, dopo cena, cade svenuto e si spegne dopo due giorni di agonia. Così ricorda nella sua biografia lo stato d’animo di quei giorni: “Eravamo riconoscenti di poterci trovare tutti intorno al suo letto e di potergli mostrare ancora una volta il nostro amore, che egli accolse con gratitudine, anche se non era più in grado di parlare.
Quando, dopo questo fatto, feci ritorno a Bonn, sentivo che per me il mondo era diventato un po’ più vuoto e che un pezzo di me, della mia casa, si era spostato nell’altro mondo”.
In quel periodo, mentre i rapporti col cardinale Wendel di Monaco non sono esaltanti, tra Ratzinger e il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia, nasce subito un rapporto di profonda intesa, anche grazie all’amicizia col suo segretario, Hubert Luthe, compagno di studi ai tempi di Furstenried.
E’ il periodo in cui a Roma papa Giovanni XXIII annuncia il concilio Vaticano II e il cardinale Frings è uno dei membri della commissione centrale inerente la sua preparazione. Ratzinger aveva tenuto una conferenza sulla teologia del Concilio, apprezzata dal Cardinale, che lo invita ad accompagnarlo a Roma insieme al suo segretario Luthe, come consulente teologo.
Come racconta lo stesso Ratzinger in un’intervista ripresa da Reset maggio-giugno 2005, Frings gli aveva già chiesto di preparargli un discorso da tenere, su invito del cardinale Siri , a Genova, sui problemi da trattare nel Concilio: “questa conferenza, che poteva apparire forse rivoluzionaria no, ma certo un po’
audace, piacque moltissimo a Papa Giovanni XXIII, che abbracciando Frings, gli disse: “Proprio queste erano le mie intenzioni nell’indire il Concilio”.
A Roma, Ratzinger abita col cardinale nel Collegio dell’Anima, vicino a Piazza Navona, in via della Pace, “un’istituzione austriaca dall’atmosfera simpatica” e da alcuni viene soprannominato “il ragazzo del coro”, per via del volto paffuto e giovanile. Il cardinale riunisce tutti i vescovi di lingua tedesca nella sala del Collegio e lo incarica di tenere loro una conferenza e di introdurli al lavoro del Concilio:
“per un giovanissimo professore, avevo 32 anni ed avevo appena cominciato ad insegnare all’università, si trattava di una cosa veramente impressionante”.
Si trova finalmente insieme a tante persone conosciute solo attraverso i libri e anche partecipare alla vita romana è una realtà per lui del tutto nuova: “nel collegio dell’Anima si vedeva il mondo, si sentivano soprattutto i rumori della vecchia Roma. Andare al caffè con altri e conoscere la vita romana, talmente diversa dalla mia vita universitaria, suscitò in me un’impressione grandissima che ha marcato la mia vita”.
Durante il Concilio, muore papa Giovanni XXIII e anche in Germania ciò procura grande tristezza, nonostante la notoria non vicinanza da parte di questo paese al papato. Ratzinger naturalmente non partecipa al conclave ma non è sorpreso dall’elezione di Montini, considerato da molti e da lui stesso garante della continuità del Concilio, nello spirito di Papa Giovanni. E dice:” e Papa Giovanni stesso aveva fatto capire che desiderava l’Arcivescovo di Milano come suo successore. Fu accolto senza difficoltà, anzi come un portatore di speranza.”. Per i primi due mesi del Concilio, è presente in qualità di esperto, perito privato del cardinale Frings ma in novembre il Papa lo nomina anche perito ufficiale e da quel momento in poi può partecipare ufficialmente a tutte le sedute. E’
per lui un grande avvenimento vedere esperti e grandi personalità finora conosciute solo sui libri come Henri De Lubac, Jean Danielou,Yves Congar , Marie-Dominique Chenu e altri grandi nomi, anche rappresentanti di altre chiese e confessioni cristiane e, naturalmente, il Papa stesso. Non è ancora del periodo conciliare invece l’incontro con Karol Wojtyla ( “ durante il concilio non ho mai visto l’arcivescovo di Cracovia: a quel tempo non avevo ancora conosciuto il cardinale Wojtyla”).
Come si ricava dalla sua biografia riguardo a quel periodo, “il Papa aveva indicato solo in termini molto generali le sue intenzioni riguardo al concilio lasciando ai Padri uno spazio quasi illimitato per la concreta configurazione: la fede doveva tornare a parlare a questo tempo in modo nuovo, mantenendo pienamente l’identità dei suoi contenuti”.
Per quanto riguarda la riforma liturgica, ricorda: “per la maggioranza dei padri conciliari la riforma proposta dal movimento liturgico non costituiva una priorità, anzi per molti di loro essa non era nemmeno un tema da trattare”.
La liturgia e la sua riforma erano divenute questioni pressanti solo in Francia e in Germania e questi due paesi, teologicamente rilevanti, erano riusciti ad ottenere che venisse elaborato uno schema sulla sacra liturgia.
Questo testo è stato il primo ad essere esaminato dal Concilio ma, secondo il ricordo di Ratzinger, non per un accresciuto interesse da parte dei Padri su questa tematica, ma per il fatto che in questo ambito non erano previste grosse polemiche e si era pensato che potesse costituire materia di esercitazione e sperimentazione dei metodi di lavoro del Concilio (“A nessuno dei Padri sarebbe venuto in mente di vedere in questo testo una “rivoluzione”, che avrebbe significato “la fine del medioevo”, come nel frattempo alcuni teologi hanno ritenuto di dove interpretare”). Il dibattito sulla liturgia, come previsto, è tranquillo e procede senza tensioni mentre si svolge in un drammatico scontro la discussione del documento su “le fonti della rivelazione”.
Ratzinger conosce bene l’argomento, sul quale ha discusso la sua tesi di dottorato e per desiderio del cardinale Frings mette per iscritto un piccolo schema seguito da una seconda più ampia e approfondita redazione insieme a Karl Rahner (“questo secondo testo, che va ascritto molto più a Rahner che a me, fu poi fatto circolare tra i Padri e suscitò in parte delle aspre reazioni”.).
Lavorando con Rahner, Ratzinger si rende conto che benché c’è accordo su molti punti, vi sono anche parecchie divergenze (“ la sua era una teologia speculativa e filosofica in cui, alla fin fine, la scrittura e i Padri non avevano poi una parte tanto importante, in cui, soprattutto, la dimensione storica era di scarsa importanza. Io, al contrario, proprio per la mia formazione, ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico: in quei giorni ebbi la chiara percezione di quale fosse la differenza tra la scuola di Monaco, da cui io ero passato, e quella di Rahner, anche se dovette passare ancora qualche tempo prima che la distanza che separava le nostre strade fosse pienamente visibile all’esterno”).
Lo schema di Rahner non viene accolto ma anche il testo ufficiale va incontro a bocciatura e si deve procedere al rifacimento del testo. Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si arriva all’approvazione della Costituzione sulla parola di Dio (“uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno. All'inizio si impose in pratica solo quello che era passato come la presunta novità nel modo di pensare questi argomenti da parte dei Padri.
Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a a partire da queste ultime è ancora da realizzare”).
Risale a quegli anni, un’altra importante decisione professionale: nell’estate del 1962 si libera la cattedra di dogmatica dell’università di Münster .
Gli amici insistono perché accetti: la dogmatica è il suo vero campo e potrebbe aprirgli prospettive di azione più ampie della teologia fondamentale; la sua preparazione scritturistica e patristica sarebbero state lì meglio valorizzate ma per il legame con l’università di Bonn, i suoi studenti e il cardinale Frings decide inizialmente di rifiutare.
Tuttavia, la situazione a Bonn non è del tutto libera da tensioni e le centinaia di studenti che affollano le lezioni del professore trentenne non possono non suscitare invidie e ripicche da parte dei vecchi professori, soprattutto da quando Frings lo ha scelto come consulente teologico del concilio.
Come citato in “30 giorni”, della cerchia dei dottorandi di Ratzinger fanno parte due studenti ortodossi, il già citatoDamaskinos Papandréou e Stylianos Harkianakis, oggi ambedue metropoliti del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ma il Consiglio di Facoltà respinge la richiesta dei due di addottorarsi presso la Facoltà cattolica. Durante una trasferta di Ratzinger a Roma per il Concilio, i voti delle prove di alcuni suoi allievi vengono abbassati dai suoi detrattori. Anche la tesi dello studente Johannes Dörmann sulle nuove acquisizioni circa l’evoluzionismo introdotte dagli studi di Johann Jacob Bachofen (il primo a teorizzare l’esistenza di un matriarcato originario primitivo) viene osteggiata con l’argomento che non si tratta di un lavoro teologico.
Ratzinger ripensa al dramma da lui vissuto per il suo esame di abilitazione, quando il professore di Teologia dogmatica Michael Schmaus, suo correlatore, aveva tentato di bocciare la sua tesi su san Bonaventura, tacciandola di modernismo e accetta il trasferimento (“ripensai al dramma della mia abilitazione e vidi in Munster la via indicatami dalla provvidenza per potere aiutare quei studiosi”).
Ricorda Viktor Hahn: Di certo le ostilità intorno a lui erano cresciute con la sua nomina a perito del Concilio. Chiesi al professor Jedin se erano stati gli altri professori a scaricarlo. Mi rispose: lei potrebbe non avere torto». Il prof Botterweck (antico Testamento), nelle chiacchiere tra colleghi, si vanterà di averlo «fatto scappare» da Bonn.
Nell’estate del 1963 inizia così l’insegnamento di Teologia dogmatica a Munster, davanti ad un vasto uditorio e con una dotazione di personale che va ben oltre quella disponibile a Bonn. L’accoglienza è cordiale e coi colleghi non ci sono problemi ma,
ricorda: “devo confessare che mi è comunque rimasta la nostalgia di Bonn, la città sul fiume, della sua serena allegria e del suo dinamismo spirituale”.
Racconta “30giorni”: Si insedia con la sorella Maria in una villetta sul viale Annette von Droste Hülshoff, vicino al lago artificiale Aasee. Al piano di sopra troveranno alloggio due suoi studenti, i “fedelissimi”
Pfnür e Angulanza, che all’Università lo assistono come collaboratori scientifici. Di mattina presto celebra messa nella cappella di una casa di cura vicino casa, e poi va in Facoltà in bicicletta.
Racconta Peter Kuhn: «Münster è una città di pianura, non è lontana dall’Olanda, lì tutti si muovevano in bici, come del resto fanno in molti anche oggi. Dissi a Pfnür di comprarne una per il nostro professore, ma lui è un tipo parsimonioso e ne trovò una usata, così malmessa che ancora oggi lo prendo in giro, dicendo che per colpa di quella bicicletta anche adesso al Papa fanno male le ginocchia…». A Münster si allarga il giro di allievi che chiedono di addottorarsi con lui. Con i più intimi continua la tradizione dei pranzetti bavaresi. Qualche volta il drappello di teologi col loro professore si ritrovano a mangiare a una locanda sul lago che sembra tagliata su misura per
loro: si chiama Zum Himmelreich, Al Regno dei Cieli.
Quel periodo, purtroppo, non è solo foriero di successi personali ma il 16 dicembre 1963 si spegne la mamma Maria, qualche mese dopo la diagnosi di un cancro allo stomaco (“la luce della sua bontà è rimasta e per me è divenuta sempre più una concreta dimostrazione della fede da cui lei si era lasciata plasmare. Non saprei indicare una prova della verità della fede più convincente della sincera e schietta umanità che la fede ha fatto maturare nei miei genitori e in molte altre persone che ho potuto incontrare”.)
Quasi subito dopo la morte della madre, il fratello Georg viene chiamato a ricoprire l’incarico di maestro della cappella del duomo di Ratisbona (“Così l’idillio di Traunstein era davvero finito per sempre e Ratisbona, l’antica città imperiale sul Danubio, che finora era stata ai margini della nostra vita, divenne per noi un comune punto di riferimento; era là che ci incontravamo durante le ferie e là ci sentivamo sempre di più a casa nostra”)
Nel frattempo, il Concilio va avanti e Ratzinger si divide fra Roma e Munster.
In quegli anni si aggiungono al corpo docente altre giovani promesse della teologia tedesca come Walter Kasper e Johannes Baptist Metz, iniziatore della teologia politica, con cui Ratzinger polemizzerà negli anni a venire. Ma nel tempo di Münster nessuno sembra soffrire la preferenza che gli studenti gli riservano.
Racconta ancora Pfnür a “30 giorni”: «Gli iscritti al corso erano circa 350, ma alle lezioni prendevano parte una media di 600 uditori. Venivano a sentire Ratzinger anche gli studenti di altre Facoltà, come Filosofia e Giurisprudenza. Stampammo le dispense del corso di Ecclesiologia sulla centralità dell’Eucaristia, e ne vendemmo 850 copie».
Ironizza Kuhn: «A Münster Pfnür aveva messo su una piccola stamperia. Si ciclostilavano le lezioni, e poi se ne spedivano pacchi interi per tutta la Germania, ai fan di Ratzinger sparsi nelle altre Facoltà teologiche».
Alla fama crescente del professor Ratzinger contribuisce la sua intensa partecipazione al Concilio. Scrive pareri per il suo cardinale, viene incaricato della stesura di schemi di documento alternativi rispetto a quelli preparati dalla Curia romana.
Frequenta e collabora con tutti i grandi teologi del Concilio: Yves Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Gérard Philips, Karl Rahner. «A noi studenti» ricorda Pfnür «raccontava che a impressionarlo in particolar modo erano i teologi e i vescovi latinoamericani». Quando torna in Germania alla fine delle sessioni romane, offre resoconti pubblici dei lavori conciliari in affollatissime conferenze. Occasioni di riflessione in cui il giudizio di Ratzinger si smarca anche dal neotrionfalismo progressista e dall’eccitazione polemica che già sembra contagiare altri teologi “riformisti” del Concilio. «Ogni volta che tornavo da Roma» racconta nella sua autobiografia «trovavo nella Chiesa e tra i teologi uno stato d’animo sempre più agitato. Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione….. se al ritorno in patria dal primo periodo conciliare mi ero sentito ancora sostenuto dal sentimento di gioioso rinnovamento che regnava dovunque, provavo ora una profonda inquietudine di fronte al cambiamento che si era
prodotto all’interno del clima ecclesiale e che era
ormai sempre più evidente ».
Spiega oggi Pfnür: «I primi indizi del caos li registrava non tanto in Facoltà, quanto nelle parrocchie. I parroci cominciavano a cambiare la liturgia a proprio piacimento, e su questo lui diede da subito giudizi molto critici».
In una conferenza sul vero e falso rinnovamento della Chiesa, tenuta presso l’università di Münster , cerca di lanciare un primo segnale d’allarme riguardo alle proprie preoccupazioni che però non viene notato.
Più energico è il suo intervento al Katholikentag di Bamberga del 1966, “tanto che il cardinale Dopfner si stupì dei ‘tratti conservatori’ che gli era parso di cogliere”.
Ma nel 1966 un altro trasferimento è nell’aria, forse complice l’infelicità della sorella per la troppa distanza dall’amata terra natale, la Baviera, e la tentazione diventa irresistibile quando l’università di Tubinga lo chiama offrendogli la seconda cattedra di dogmatica, da poco istituita (“a insistere sulla mia chiamata e e a ottenere il consenso degli altri colleghi era stato Hans Kung”).
Racconta Han: Qualche anno dopo, quando gli chiesi il perché della sua partenza, mi confermò che a Münster la sorella non era felice. Lei gli aveva dedicato la vita, e lui non poteva non tener conto della sua nostalgia»