lunedì 12 ottobre 2020

Galateo - Giovanni Della Casa



Giovanni Della Casa: la buona
educazione dell’animo e del corpo

Giovanni Della Casa: la buona educazione dell’animo e del corpo 
di Liliane Jessica Tami del 26/03/2018

Il filosofo francese Jean-François Lyotard, nel suo saggio «La condizione postmoderna» affermava che la nuova società libera e post-moderna – sorta dalle
macerie della seconda guerra mondiale -, grazie alla fluidità del capitalismo, alle
nuove tecnologie e all’abbattimento di ogni gerarchia, è estranea alle certezze ed
alla coerenza. Tale posizione, agli antipodi del rigore severo e neoclassico che ha
caratterizzato gli albori della filosofia occidentale e il Rinascimento italiano, ha
creato quella scissione tra forma e sostanza che oggi tanto sembra degradare le
masse.

Jean-François Lyotard (1924 – 1998) è stato un filosofo francese, generalmente
associato al post-strutturalismo e conosciuto soprattutto per la sua teoria della
postmodernità. Fu assistente alla Sorbona, professore all’università di ParisVincennes e insegnò anche in alcuni atenei statunitensi.

Dopo l’epoca triviale medioevale, la buona educazione etico-spirituale dell’uomo è
stata fondamentale per redimerlo dallo stato di caotica bestialità in cui per secoli
s’era inabissato. Nell’epoca post-moderna, in cui il decostruito, l’informe e il
vizioso sono assurti a stati normali dell’essere, la coerenza greca – tale per cui
un’anima buona dovesse dimorare in un corpo bello – sembra essersi smarrita.
Andando a ritroso, il monsignor fiorentino Giovanni della Casa si preoccupò di
redimere gli animi dalla perdizione, stilando l’indice dei libri proibiti, e i corpi
dalla bestialità, pubblicando il celebre libello sul buon costume, Il Galateo.

Paradossalmente oggi il mondo necessiterebbe propriamente di personaggi
influenti in grado di censurare il degrado televisivo-letterario che corrompe gli
animi; così come di un salubre ritorno all’uso delle buone maniere, del ben vestire
e del ben parlare. Come Giovanni della Casa, nel suo fanatismo cattolico, si
impegnò a purificare molti presunti eretici sul rogo e a condannare coloro che si
comportavano da zotici e bifolchi, oggigiorno non dovremmo esitare a «gettare
tra le fiamme» di una pacata censura, tutti coloro che sfruttano e utilizzano i
mass-media propugnando valori immorali e contro-natura.

Dagli scritti di Giovanni della Casa, e in particolare dalle sue Rime, s’evince
ch’egli abbia sempre vissuto idealizzando un’età dell’oro oramai smarrita per
sempre. Da giovane non conobbe mai una donna in grado di farlo innamorare
perché idealizzò eccessivamente la figura femminile, e da anziano visse la
spiritualità in modo estremamente politico e violento perché desideroso di far
coincidere la sua idea di società perfetta con la realtà circostante. Della Casa,
uomo molto rigido, inflessibile e severo, si preoccupò parecchio della buona
educazione dei suoi nipoti e in particolare di Annibale Rucellai, suo favorito.

Traendo spunto dal suo impegno svolto in qualità di zio ed educatore scrisse, in
prosa e nella forma d’un dialogo platonico tra un anziano (sé stesso in versione
analfabeta) ed un giovane a volte un po’ lento a capire il testo intitolato “Trattato
di Messer Giovanni Della Casa, il quale sotto la persona d’un vecchio idiota
ammaestrante un suo giovanetto, si ragiona de’ modi che si debbono o tenere o
schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo overo de’ costumi”.

Giovanni Della Casa, nato il 28 giugno 1503 al Mugello , figlio di Pandolfo e
Lisabetta Giovanfrancesco Tornabuoi, si è sempre definito fiorentino. Fin da
giovane venne introdotto negli ambienti più raffinati della Firenze rinascimentale
e strinse ottimi rapporti, oltre che di parentela, con la famiglia Rucellai, la quale
ebbe un ruolo fondamentale nel finanziare i grandi artisti della pregevole città.

All’età di 21 anni si trasferisce a Bologna per seguirvi gli studi di legge, ma la sua
grande passione resterà per tutta la vita la poesia. Frequentò il circolo letterario
di Girolamo Casio de’Medici si appassionò di greco e latino seguendo le lezioni di
retorica e poetica. Frequentò il sodalizio culturale dei Vignaiuoli, in cui
personaggi illustri, come la sorella di Baldassarre Castiglione, si dilettavano a
vergare verso satirici e divertenti.

L’opera, il cui lungo titolo è sintetizzato con “Galateo”, venne scritta tra il 1550 e
il 1555, periodo in cui il Della Casa divenne padre di Quirinetto. Probabilmente
desiderava che suo figlio, fatto educare dalla famiglia Quirini, crescesse bene e in
modo morale seguendo le regole ivi descritte, a differenza dei suoi nipoti che a
parer suo sembravano dei bifolchi. Questo libro è nato grazie alle conversazioni
sulla buona educazione avute dall’autore con Galeazzo (in latino Galateo)
Florimonte, vescovo di Sessa. In quegli anni Giovanni Della Casa iniziava a patire
i primi tormenti della gota e si rifugiò presso la badia dei conti di Collalto, a
Nervesa, nel trevigiano, i quali appartenevano a quella raffinata cerchia di nobili
e colti, amanti del buon costume del ben vestire, tanto graditi a Della Casa in
quanto contrapposti alla rozzezza medievale che ancora non s’era riusciti ad
estirpare dalle masse.

Il fatto che ad impartire le lezioni di buon costume al giovane sia un illetterato, è
fondamentale: Giovanni Della Casa intende così mostrare che il buon
comportamento è accessibile a chiunque, a prescindere dalla classe sociale e dalla
ricchezza. Per ottenere un miglioramento dell’intera società non serve avere
pochi nobili eruditi e ben educati, bensì è necessario provvedere alla diffusione
delle buone usanze anche presso gli strati più disagiati della popolazione.

Quest’opera è infatti ben diversa dal libro di Baldassarre Castiglione dal titolo Il
cortigiano, pubblicato nel 1528, in cui offre consigli su come, mediante il ben
parlare, si possa entrare a far parte della cerchia degli amici intimi del principe.
Della Casa non vuole insegnare a sedurre l’interlocutore e compiacere gli astanti
medianti giochi ingegnosi di parole e conversazioni amabili, bensì desidera che il
lettore possa interiorizzare i precetti della buona educazione divenendo un
cittadino, e un uomo, migliore e più buono.
Il libro è suddiviso in 30 piccoli
capitoli, ognuno dei quali tratta di un tema differente, sempre inerente il corretto
comportarsi in società. Mediante una trasposizione delle tesi architettoniche
vitruviane nell’ambito comportamentale, Della Casa asserisce che la bellezza, la
grazia e la proporzione si ritrovano non solo nei corpi e nella natura, ma in ogni
favellare e operare umano. Avendo studiato retorica latina e stilistica poetica,
l’autore ha molto a cuore il ben parlare, sia per ciò che riguarda i toni, che
devono essere dolci e pacati, che ciò che riguarda le parole, che non devono
essere né rozze né sconce.

In seguito a questo periodo giocoso e dionisiaco, in cui produsse le sue prime
opere letterarie, pentito della sua condotta amorosa eccessivamente lasciva,
Giovanni della Casa si avvicinò al clero e, nel 1534, all’età di 31 anni, venne eletto
Chierico della Camera apostolica da papa Paolo III. 
In quegli anni pubblicò anche
un libricino, dal titolo An uxor sit ducenda, in cui s’interroga se s’abbia da
prender moglie o meno. Giunto alla conclusione d’esser nato sfortunato in amore
decise di guadagnarsi, mediante l’impegno religioso e letterario, fortuna sociale.
Ben presto entrò nelle grazie della famiglia Fernese e presto assurse alle
maggiori cariche ecclesiastiche: divenne tesoriere vaticano e, nel 1544, venne
mandato a Venezia in veste di Nunzio pontificio. Iniziò un’assidua lotta contro le
eresie e contro la riforma protestante che stava sconvolgendo l’Europa. Ben
presto il ruolo religioso divenne anche politico, e si impegnò a promuovere
l’alleanza della repubblica di Venezia col Re di Francia contro agli spagnoli e
Carlo V, ma ebbe scarsi successi. 
Di fatto, nelle sue poesie, la spiritualità appare
pagana e neoclassica, ossia in contrapposizione al suo personaggio politico e
sociale. Se ne può evincere che la sua adesione al clero sia stata un atto politico e
razionale anziché una scelta mossa da genuini sentimenti religiosi e irrazionali nei
confronti di dogmi del monoteismo biblico. In quegli anni si inaugurò anche il
concilio di Trento, per arginare l’eresia dilagante, e Della Casa si adoperò per far
mettere sul rogo molti presunti eretici, la cui accusa principale era quella di
nuocere al buon funzionamento della società con le loro teorie. Non li fece
bruciare per la fede che nutrivano nel loro intimo, bensì per lo squilibrio sociale
che andavano creando.

In più capitoli ribadisce che il parlare debba essere sottoposto a un buon uso,
giacché è inutile sapersi tenere bene a tavola se si adopera il turpiloquio o se ci si
mostra eccessivamente verbosi impedendo agli altri di esprimersi. Gli
interlocutori, infatti, annoverano tra loro i troppo verbosi, i pomposi, i vacui e i
troppo silenziosi. Al fine di evitare questi eccessi, o queste mancanze, è
fondamentale esercitare la virtù del discernimento, che permette di scovare il
giusto mezzo aristotelico, ossia la virtù dell’equilibrio tra le parti. Nel settimo
paragrafo si concentra invece sulla questione del ben vestire, e celebre è l’inizio
che recita “Ben vestito dèe andar ciascuno, secondo sua conditione e secondo sua
età, perciò che, altrimenti facendo, pare che egli sprezzi la gente”.

Fondamentale, infatti, è la cura dell’abito, adeguata all’età, al contesto e alla
condizione di chi lo porta, al fine di mostrare rispetto nei confronti del prossimo.
Sia l’eccessivo sfarzo che l’eccessiva trascuratezza vengono infatti condannati,
così come lo spogliarsi in pubblico o l’allacciarsi le calze in mezzo alle altre
persone. 
Nel capitolo 26 il Della Casa dice che gli uomini differiscono dagli
animali proprio per via della loro capacità di riconoscere il bello e la giusta
misura, quindi è proprio affinando il gusto e la sensibilità che l’individuo riesce ad
elevarsi allontanandosi il più possibile dallo stadio bestiale. 

Il trattato si chiude
con le norme per stare a tavola e con la condanna dell’intemperanza nel bere,
divenute poi la base della buona creanza di un’Europa finalmente liberata dallo
stato di rozzezza, disordine, immoralità, eccessiva libertà e diseducazione. Non
resta che augurarsi che anche questa attuale Europa fatiscente, iperconsumistica,
rozza e capitalista possa essere rieducata in fretta!



Per approfondimenti:
_Giovanni della Casa, Rime, Bur edizioni, 1993, Milano;
_Giovanni Della Casa, Galateo, edizioni Einaudi, 2006.
© L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata

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