venerdì 16 ottobre 2020

SAN GERARDO Maiella


 

STORIA MERAVIGLIOSA DI SAN GERARDO

INTRODUZIONE

I santi, come santi, non hanno storia. La loro vita si riassume in un colloquio perenne con Dio al di là del tempo e dello spazio: quindi, della storia. A qualunque secolo appartengano, al trecento o al cinque-cento, al settecento o al novecento, essi sono i contemporanei di Cristo di cui ritessono l'itinerario spirituale.

Ma i santi furono uomini anch'essi ed ebbero quindi i loro im-pulsi, i loro contrasti, i loro ribollimenti interiori. Ebbero, cioè, una sto-ria che si identifica con la loro individualità terrestre; una individualità resa più spiccata dalla posizione di lotta che assunsero con gli uomini e con le cose, con le correnti di pensiero e di azione.

Sotto questo aspetto, niente di più forte e temprato della personalità propria dei santi: essi sovrastano sui contemporanei come scogli sul mare e rischiarano il cammino dei posteri come fari di luce.

Ogni santo ha la sua luce, come le stelle del firmamento. La sorgente è la stessa: Dio, ma la sua luce, passando attraverso il prisma delle differenti personalità, si scompone e ricompone, variando d'intensità e grandezzao o, se più vi piace, una è la voce di Dio che risuona nelle profondità delle anime, ma questa voce si condiziona alla temperie spi-rituale di ognuna, acquistando il tono e l'accento di un messaggio in-dividuale, inconfondibile con gli altri.

Solo chi può ricostruire quella temperie spirituale che forma la fi-sionomia morale del santo, è sicuro di cogliere qualche nota del suo messaggio individuale, maturato nei silenzi di Dio, e ritrasmetterla agli uomini per pungolarli a nobili imprese. Altrimenti quella voce diventa anonima e si perde nel deserto.

Ecco perché nel tracciare la presente biografia che vuole illustrare uno dei santi più singolari della Chiesa, ci siamo preoccupati di coglierne, prima di tutto, ogni inflessione personale che valesse a ca-ratterizzare la sua anima e la sua attività.

Ciò spiega l'importanza eccezionale da noi attribuita alle sue lettere e ai suoi scritti: preziosissime confessioni di un'anima cri-stallina che non ebbe mai una piega dietro cui nascondere qualche cosa di se stesso e parlò solo e sempre quando era saturo del fuoco candente di Dio. Anche se non tutti autografi, anche se ritoccati o rielaborati da correttori non troppo scrupolosi, tali scritti conservano sempre il sigillo del cuore che li dettò. Qualunque cosa essi esprimano, fosse pure una celia, sono sempre il riflesso autentico della storia di un'anima nella sua ascensione ininterrotta verso Dio.

Dopo l'auto-testimonianza del santo, abbiamo indagata la testi-monianza dei contemporanei i quali narrarono ciò che videro, senza pretendere d'inquadrare le loro impressioni soggettive dentro schemi preconcetti, o ampliarle nell'alone della leggenda.

Tra queste testimonianze abbiamo posto nel dovuto rilievo quella del padre Gaspare Caione, che ebbe la fortuna di guidare il santo negli ultimi quindici mesi di vita e, tra il 1755 e il 1764, ne raccolse le memorie per incarico dello stesso S. Alfonso. Il padre Caione, nel-l'assolvere il suo compito, ha avuto il merito di non sovrapporre mai le proprie vedute personali alla realtà concreta dei fatti di cui trattava. La stessa frammentarietà delle notizie raccolte e la lentezza nel racco-glierle ha facilitato quel suo distacco prospettico dall'argomento, neces-sario per non deformare la verità. Ebbe anche il merito di conservare, quasi nella loro veste primigenia, le testimonianze delle persone che furono in rapporto col santo: amici, direttori, conoscenti.

Ognuno comprende il valore della testimonianza di un padre Giovenale, confessore, consigliere, superiore di Gerardo nei periodi più critici della sua vita, come durante la calunnia o quella di un Nicola Santorelli, confidente dei suoi segreti o quella dei padri Ca-faro, Fiocchi e Margotta che gli furono direttori ed amici. Nessuno, dunque, potrà meravigliarsi di vedere tali memorie poste alla base della presente biografia.

Ma noi abbiamo tenuto presenti anche altri lavori, specialmente la Vita scritta dal padre Antonio Tannoia intorno all'anno 1805, sempre però subordinandola ai manoscritti precedenti in caso di di-vergenza e sempre distinguendo la nostra responsabilità dalla sua, quando ciò che narrava non ci sembrava sufficientemente suffragato da prece-denti indagini storiche.

A queste fonti scritte abbiamo aggiunto le testimonianze orali confluite nei processi apostolici iniziati nel 1843 nelle diocesi di Muro e di Conza e chiusi nel 1856, durante il primo centenario dalla morte del santo. Si comprende benissimo quale valore abbiamo potuto attri-buire a siffatte testimonianze, depositate dopo l'avvicendarsi di almeno tre generazioni, quando i ricordi autentici si erano affievoliti e dispersi o avevano subito l'influsso di elementi eterogenei di dubbia provenienza.

Maggiore importanza abbiamo accordato alle tradizioni di am-bienti chiusi, come i monasteri, dove gli anelli delle tradizioni si sal-dano più facilmente tra loro. Specialmente abbiamo valorizzato quelle tradizioni che trasmettono intatta la fisionomia del santo come uscì

dalla penna del padre Caione. è una fisionomia troppo caratteristica per non imprimere un sigillo inconfondibile di autenticità alla sua attività di apostolo e di taumaturgo.

Tra le numerose biografie non potevamo trascurare il lavoro di-ligente e paziente - forse non altrettanto intelligente - del padre Kuntz pubblicato in Roma nel 1893.

Abbiamo cercato anche di dare l'opportuno risalto all'ambiente che fu in comunione col santo, sia per la, città natale, sia per il regno di Napoli e sia per l'Istituto in cui visse e morì.

A tutti questi dati della storia e della cronaca contemporanea abbiamo aggiunto alcune leggende col preciso scopo di non trascurare l'apporto spontaneo del sentimento popolare che coglie, per istinto, gli aspetti caratteristici dei suoi eroi e li proietta nel mondo incantato della fantasia. Non sono fatti storici: perciò, di volta in volta, ne av-vertiamo - con discrezione - il lettore, ma non sono nemmeno inutili dal momento che ci permettono di penetrare, forse più delle investiga-zioni erudite, negli intimi recessi dei santi. E questo valga di risposta a quegli amici che ci avevano esternata una certa sorpresa nel vederci includere nel testo episodi e miracoli respinti poi in sede critica. Ma senza quei contorni leggendari, ci sembrava che il nostro santo perdesse qualche cosa della sua umanità. Di quell'umanità prestigiosa che si affaccia prepotente alla ribalta perfino in certi racconti che toc-cano i confini dello stravagante e dell'assurdo. Anche in questi casi, se guardiamo oltre l'elemento visivo necessariamente coreografico, av-vertiamo il soffio o segreto dello Spirito che afferma la sua presenza nel-l'inconfondibile stile gerardino.

Con tali criteri, frutto di esperienze nostre ed altrui, abbiamo tirato su queste pagine particolarmente laboriose col preciso scopo di costrin-gere il nostro santo a scendere dai suoi padiglioni rutilanti di luce per camminare ancora tra noi, passeggero tra i passeggeri, come nei giorni di Muro, di Deliceto e di Materdomini.

Perché noi abbiamo bisogno di sentirti ancora vicino, o nostro santo, vicino come sofferente e tentato, per apprendere la tua lezione di umiltà e di dolore. Oggi più che mai.

1

UN UOMO INUTILE

Le campane irruppero fragorose nel cielo quando i missionari si levarono a benedire la folla ammassata tra la cattedrale e il ca-stello, si adagiarono ai piedi dell'Addolorata, issata sul calesse come un trofeo, spronarono i cavalli e scomparvero in un nuvolo di polvere. Allora il popolo, fino a quel momento rimasto senza fiato, scoppiò in un lungo irrefrenabile applauso, rotto qua e là da urli e singhiozzi. Muro, tutta Muro, era lì a tributare il suo ringraziamento a quello stuolo di missionari che per tanti giorni si era prodigato per il suo vantaggio spirituale.

Mancava solo un giovane ventitreenne alto e pallido ed era colui che più degli altri aveva desiderato quel giorno: Gerardo Maiella. Era a casa sottochiave e la chiave si trovava nelle tasche della mamma, uscita di buon mattino. Quando se ne accorse, era troppo tardi: la porta era sbarrata e l'alta finestra dava a picco sulla roccia. Le campane intanto continuavano a rincorrersi per l'aria serena di maggio, acuendo il suo desiderio e il suo strazio.

Che fare? Coi gomiti puntati sul davanzale, pensò: poi ebbe un'idea, l'afferrò a volo, prese un lenzuolo dal letto e si calò penzo-loni nel vuoto. Aveva lasciato scritto, con la meta del viaggio, l'addio irrevocabile al mondo: "Non pensate più a me; vado a farmi santo". Tra il monte Pierno che si profila a sinistra col suo bel santuario mariano e il monte Croce, a destra, sfumato nell'azzurro, su quella rocca donde si gode il più vasto panorama della Lucania, Gerardo raggiunse la carrozza dei missionari. Ed era il luogo più adatto: i cavalli procedevano lenti in salita, mentre il santuario mariano in-coraggiava il nostro fuggitivo che dall'infanzia aveva inseguita a perdifiato il solo ideale della Croce.

Appena scorse a distanza la macchia scura dei missionari, an-nidati ai piedi della Vergine che luccicava al sole con le sue sette spade, raccolse le ultime forze e si mise a gridare, correndo: « Padri, aspettatemi! ». Era così stanco, così trafelato che il padre Cafaro, vin-cendo la sorpresa, fece fermare la carrozza: « Torna a casa, figliuolo, te lo dico per il tuo bene: questa vita non è fatta per te».

E gli altri in coro: « Torna a casa, torna a casa ! ».

Ed egli: «Provatemi e, se non sono buono, mi rimanderete a casa».

Non sappiamo cosa avvenne. Forse rimase solo sulla strada de-serta, raggiungendo a piedi la meta; forse, ed è più probabile, trovò posto nella carrozza, perché il padre Cafaro giudicò più facile per-suaderlo appena arrivati a Rionero. Fatto sta che ricompare nella nuova missione in qualità di serviente. Lavava i piatti, spaccava la legna, rattoppava le vesti, sempre sereno, gioviale, tranquillo, pie-namente soddisfatto. Dava tutto e non chiedeva nulla, nemmeno un pezzo di pane, o una coperta: mangiava gli avanzi e dormiva per terra, nei sottoscala, confidando solo in Dio e confidando contro ogni speranza. Perché il padre Cafaro non tralasciava occasione per ri-petergli in tutti i toni: « Torna a casa. è meglio per te e per noi ». E lui tirava diritto per la sua strada, incrollabile come una montagna. Ma un giorno che il Padre gli aveva ricantato per 1 centesima volta lo stesso ritornello, gli si gettò ai piedi, aggiungendo alla solita do-manda, una specie di minaccia disperata: « Se non mi accettate, mi vedrete ogni giorno accattare coi poveri alla porta del vostro col-legio ». CONTINUA...

http://www.preghiereagesuemaria.it/santiebeati/san%20gerardo%20storia%20meravigliosa%20biografia.htm

AMDG et DVM

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