Famiglia di Santi
San Giuda era nativo di Nazaret, nell’alta Galilea. Suo padre Cleofa, detto Alfeo, era fratello germano di Giuseppe, lo sposo di Maria, madre di Gesù. La mamma di Giuda era Maria di Cleofa, cugina della Madonna e quindi San Giuda Taddeo era cugino carnale di Gesù.
Ebbe come fratelli:
- Maria Salomé, sposa di Zebedeo e madre di San Giacomo il Maggiore e Giovanni l’Evangelista, che è la più anziana.
- Giacomo il Minore, il secondogenito, pure lui Apostolo e primo Vescovo di Gerusalemme morto martire nell’anno 62-63 d.C. sotto il pontificato di Anania e l’imperatore Nerone per opera degli Scribi e dei Farisei,
- Giuseppe detto il Giusto chiamato da Gesù con San Mattia, il terzo figlio, morto martire; si racconta che forse fu lui e non S. Simone ad essere scelto al posto di Iscariota,
- Simone (San Simeone) scelto tra 72 discepoli in sostituzione di Iscariota che sarà il secondo Vescovo di Gerusalemme, che é il quinto dei fratelli e morì martire crocifisso a 120 anni.
Taddeo era il quarto figlio e tutta la famiglia abitava non distante dalla casa di Maria e Giuseppe e questa vicinanza e parentela diede modo a Giuda Taddeo di frequentare fin dall’infanzia la casa del cugino Gesù, diventandone l’amico ed il confidente.
Immaginiamo, allora, questi due fanciulli insieme a molti altri bambini del villaggio, giocare nelle stradine strette, tutte salite e discese, fiancheggiate da casette, oppure sparse sulle colline coltivate a vigneti e uliveti, tutte bianche con i tetti di tegole rosse.
Ambedue crescevano accanto alla Vergine Maria.
Per parlare della parentela di S. Giuda con Gesù, però, bisogna dire che gli Evangelisti parlano di Gesù come “fratello”di Giacomo e di Giuseppe, di Giuda e di Simone e nominano Maria (madre) di Giacomo il Minore e di Giuseppe e parlano anche di Maria (moglie) di Cleofa o Cleofe. Quindi ci sono due soluzioni. Alcuni hanno identificato Alfeo con Cleofa che quindi sarebbe il padre di S. Giuda. Altri, ed è la sentenza forse più seguita, affermano che Maria (madre di Giacomo) si sia sposata due volte: la prima con Alfeo di stirpe sacerdotale con cui ebbe Giacomo e Giuseppe; poi morto Alfeo,si sia sposata con Cleofa di stirpe Davidica con cui ebbe Giuda e Simone. Tenendo conto che Cleofa, secondo Egesippo, era fratello di San Giuseppe, si ha che Giuda Taddeo era cugino (tale è il valore dell’espressione fratello) di Gesù e nipote di San Giuseppe sposo di Maria SS. La quale veniva quindi ad essere zia di Giuda Taddeo e cognata della madre di questi, ecco perché viene chiamata dall’Evangelista Giovanni, Maria “sorella” di Maria SS. Ossia cognata. In tale modo fratello vero di S. Giuda è solo Simone che molti ritengono essere stato il successore di Giacomo nella direzione della Chiesa di Gerusalemme; Giacomo il Minore e Giuseppe sarebbero solo i suoi fratellastri. Nessuno, però, parla della sorella, Maria Salomé. Si dice che Maria di Cleofa sia una delle pie donne che accompagnarono Gesù al Calvario e a cui gli angeli annunziarono la resurrezione il lunedì di Pasqua.
La vita di San Giuda fu semplice e laboriosa. Prima della sua vocazione probabilmente era sposato.
Secondo una notizia che leggiamo in Niceforo Callisto e che Eusebio cita nella sua Storia Ecclesiastica, Giuda Taddeo sarebbe stato lo sposo delle nozze di Cana. D’altra parte il fatto che Maria e Gesù fossero presenti a questo matrimonio e che la Vergine sollecitasse il Figlio Suo a compiere il miracolo di trasformare l’acqua in vino, era da collegarsi al legame di stretta parentela con il Maestro.
San Giuda fu uno dei dodici apostoli, annoverato al decimo o undicesimo posto della gerarchia apostolica; fu il primo responsabile della comunità di Gerusalemme dopo la partenza di San Pietro.
San Giuda quasi sicuramente era un contadino (per questo viene generalmente rappresentato come un uomo di corporatura forte) e prima di spargere la semente della Parola di Dio nel vasto mondo come Apostolo, seminò come contadino orzo e grano nella sua terra solcata dall’aratro.
Come dovette comprendere bene le parabole del Signore!
Quella del seminatore, che nel seminare il grano, constata che parte di esso cade sulla via, parte sul fondo sassoso e parte sulle spine.
E quella della zizzania che germoglia insieme al grano.
Tutto questo Gesù lo aveva osservato nei campi dei suoi cugini.
La Divina Chiamata
Giuda, coetaneo di Gesù, fu uno dei primi a ricevere l’invito di essere apostolo.
Ebbe molti ostacoli da parte dai suoi parenti (dal padre e dai fratelli Simone e Giuseppe, più grandi di età) che non volevano che seguisse Gesù. Giuda Taddeo, però, era determinato, intrepido ed ardito, tanto da fare onore ai suoi omonimi: Giuda capostipite della tribù e Giuda Maccabeo.
Non si lasciò dunque convincere e, come dice la tradizione, divenne Apostolo nei primi giorni di marzo corrispondendo con ardore perseverante e tanta grazia e si distinse nella virtù della purità, della dolcezza e dello zelo per la salute dei prossimi. Ma anche i suoi fratelli dopo l’ascensione del Signore si fecero Suoi discepoli.
L’unica che lo sostenne fu Maria Cleofe, la madre, che sarà una delle pie donne che seguirono Gesù sulla via del Calvario e a cui gli Angeli annunziarono la risurrezione il mattino di Pasqua.
Giuda Taddeo seguì senza tentennamenti e con eroica fermezza la chiamata del Signore per tutta la vita.
Egli fu il primo responsabile della comunità di Gerusalemme dopo la partenza di S. Pietro ed è annoverato al 10/11 posto della gerarchia Apostolica.
Durante l’ultima Cena, la sera del Giovedì Santo, nello strazio della separazione, Gesù fece dono ai suoi discepoli di queste consolanti parole: “Non vi lascio orfani; ancora per poco tempo ed il mondo non mi vedrà più. Voi però mi vedrete, perché Io vivo ed anche voi vivete”.
Giuda Taddeo restò a pensare a queste parole e poi domandò al Signore ciò che non riusciva a comprendere: “Signore, che è avvenuto, che ti manifesti a noi e non al mondo?”. È l’unica frase che ascoltiamo di Giuda Taddeo; il Vangelo non ce ne ha conservate altre, ma queste parole illuminano questo Apostolo quasi sconosciuto.
Giuda infatti è entusiasta di Cristo e desidera con passione che Egli si manifesti al mondo.
“Perché solo a noi?” Gesù gli replica: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e mio Padre lo amerà e verremmo a Lui e metteremo dimora presso di Lui. Chi non mi ama, non osserva la mia parola”. Nella profondità delle parole del Cristo, c’era la risposta al problema che turbava San Giuda.
Egli chiedeva la manifestazione della potenza e della gloria di Gesù. Egli promette le manifestazioni del Padre e del Figlio nella profondità delle anime.Ma l’intima esperienza di Dio e l’unità con Lui è riservata esclusivamente a coloro che amano. Il mondo che non ama non può godere di queste manifestazioni.
Queste sublimi parole segnarono la strada che San Giuda dovrà seguire in avvenire.
Dopo la Pentecoste partì insieme a Simone Zelota detto il Cananeo, probabilmente suo fratello, per evangelizzare la Giudea e la Mesopotamia. Ma dopo il martirio di Santo Stefano, di fronte alle minacce del Sinedrio e al rischio di venire tutti sterminati, gli Apostoli si allontanarono da Gerusalemme, tranne San Giacomo eletto Vescovo della città e San Giovanni che restò vicino alla SS. Vergine.
Quindi San Giuda e San Simone andarono a evangelizzare la Mesopotamia e la Persia. Poi Simone si diresse verso il Mar Nero e Giuda prima di recarsi in Persia, predicò nell’Armenia, nella Siria, in Galilea, in Samaria e nella Decapoli e si spinse fino in Egitto, operando ovunque miracoli e innumerevoli conversioni, nominando Diaconi, Sacerdoti e Vescovi e fondando Chiese Cristiane in tutte le contrade da lui attraversate.
La guarigione del Re Abgar
Amava presentarsi alla gente vestito secondo il costume ebraico, con il bastone da pellegrino ed al collo una tavoletta sulla quale era raffigurato il volto di Cristo.
Il suo sorriso era dolce ed il suo sguardo penetrante; gli occhi avevano qualche cosa in comune con quelli di Gesù e portava anche lui i capelli lunghi e la barba bruna, era “un bell’uomo nella pienezza della bellezza virile” (dal Poema dell’Uomo-Dio di Maria Valtorta).
Tra i suoi prodigi si ricorda la conversione di Abgar, Re di Odessa, sull’altopiano mesopotamico ai confini con la Siria al di là dell’Eufrate. Abgar era stato informato che uno straniero era giunto in città e che faceva prodigi di ogni genere. Il Re lo mandò a chiamare. Quando lo vide, gli andò incontro e qui si narra che o la figura luminosa del Maestro lo guarì dalla lebbra istantaneamente o apparve a fianco dell’Apostolo la figura luminosa di Gesù: intimorito il Re si chinò profondamente davanti a San Giuda restandogli ad una certa distanza perché lebbroso. San Giuda Taddeo si avvicinò, gli impose le mani e subito la lebbra sparì. Forse San Giuda gli diede in dono la piccola immagine del Redentore che teneva adagiata sul petto o nelle sue mani (come si vede nei quadri).
Questo dono miracoloso conquistò alla fede di Gesù il re, la sua famiglia e gran parte della popolazione.
Questo episodio è come la sintesi della vita dell’Apostolo e della Sua Opera.
Come San Giuda Taddeo mostrò un giorno al re il Volto del Redentore così continua a mostrarlo alle genti nei secoli e come in quel giorno, Egli illumina i popoli, le menti e i cuori.
È stato attraverso il Signore ed in nome di Dio che il Santo poté guarire il povero infermo; anche al giorno d’oggi è intercedendo presso Dio che Egli compie tanti prodigi per i suoi devoti e per coloro che lo pregano: e per questo ancora Egli va mostrando il Redentore, fonte di ogni grazia, perché da Lui vengono a noi le misericordie divine.
Nella Chiesa “Piccola casa di San Giuda Taddeo” a Roma, sull’Altare principale campeggia un grande quadro davvero di buona fattura eseguito dal pittore Prof. Ettore Ballerini (1940), nel quale è rappresentato proprio l’incontro di San Giuda con il re Abgar.
Viene raccontato anche (ma non è certo) che Re Abgar V essendo lebbroso chiese al suo archivista-segretario Hannan (Anania) di condurgli il Cristo di cui aveva sentito meraviglie. Poiché Gesù non poteva recarsi da lui, Hannan cercò invano di farne dipingere un ritratto ma la gloria indicibile del volto di Gesù lo mutava continuamente. Cristo stesso allora prese un panno di lino e lo poggiò sul suo viso e sulla stoffa si impressero i suoi lineamenti. Vedendo quella stoffa con il volto di Gesù, il re Abgar guarì. Da allora il Mandylion (dall’arabo Mandil o Mindil) venne gelosamente custodito a Emessa fino al 1204 e poi traslata a Costantinopoli e molti studiosi ritengono che questo telo non sia altro che la Sindone conservata a Torino. La leggenda si ferma qui, ma la storia registra molti avvenimenti legati alla presenza di questa misteriosa reliquia di Edessa.
Dopo l’incontro con il re, l’Apostolo rimase ad Edessa vari mesi e compì altre guarigioni, istruendo nella fede cristiana molta gente. Alcuni mesi dopo si unì a San Simone il Cananeo ed entrarono insieme in una città della Persia.
Durante una cerimonia, presenti il Re e la popolazione, i sacerdoti degli idoli divennero furibondi per i prodigi operati dai due Apostoli, allontanando la gente dall’antica religione.
Si misero allora ad aizzare la popolazione contro di essi ed anzi, avendo dei canestri con delle vipere, gettarono queste contro i due Santi. I rettili però tornarono da chi li aveva gettati e si misero a morderli.
Sul punto di morire essi gridarono ed invocarono aiuto. San Giuda allora impose ai rettili di rientrare nei canestri e guarì tutti coloro che erano stati morsi.
Il prodigio portò alla conversione il Re, moltissimi cittadini e perfino i sacerdoti idolatri, miracolosamente salvati dalla morte.
Il glorioso Martirio
Secondo la tradizione i due Apostoli, percorsa gran parte della Persia (si dice furono battezzati oltre 60.000 uomini senza contare donne e bambini) predicando ed operando miracoli, giunsero infine in Babilonia. Qui ottennero molte conversioni, incontrando però la fiera opposizione dei sacerdoti degli idoli.
Un giorno, mentre si celebrava una grande festa idolatra nel più grande tempio della città, San Giuda e San Simone si recarono in mezzo alla folla davanti al tempio, per dimostrare che gli dei là venerati non erano altro che demoni. San Giuda stese la mano e nel nome di Gesù Cristo ordinò ai diavoli di andarsene. Immediatamente tutte le statue degli idoli e lo stesso tempio caddero a terra in un cumulo di macerie.
I sacerdoti del tempio crollato, infuriati, provocarono una terribile sommossa, aizzando il popolo contro i due Apostoli che furono così assaliti con colpi di bastone e di scure o di alabarda.
San Giuda morendo disse a Simone: “Fratello, io vedo il Signore nostro Gesù Cristo che a Sé ci chiama”.
Simone cadde sotto i colpi del popolo, mentre San Giuda, dopo stato essere crudelmente percosso e bastonato, fu legato e posto sopra una catasta di legna e quindi bruciato. Morì tra le fiamme, mentre una meravigliosa luce, apparsa sopra il rogo, saliva verso il cielo.
Per quanto riguarda il martirio venne detto anche che forse San Giuda fu ucciso con il taglio della testa, mani e piedi con una lancia e che morì a bastonate. Spesso si rappresentano S. Simone con una sega e S. Giuda con un nodoso bastone che si ritiene siano gli strumenti del loro martirio. Anche se non si conosce con precisione il modo in cui i due Santi furono martoriati, siamo comunque certi del Loro martirio, che probabilmente risale al 70 d.C. e cioè 36 anni dopo l’ascensione di Gesù Cristo in cielo.
Altre fonti riportano un’altra descrizione del martirio: si racconta che verso l’anno 70 l’Apostolo San Giuda si trovava con Simone nella città di Suamyr, che era ormai convertita in gran parte, in casa di un loro discepolo chiamato Semme. Forse i sacerdoti ordinarono a Semme di consegnare loro i due apostoli minacciandogli di bruciargli la casa. Quindi i due Santi furono assaliti e tratti in arresto. Forse fu ordinato loro di offrire sacrifici al sole e alla luna e al loro rifiuto i due sacerdoti Zaroes ed Arfaxat aizzarono le folle che linciarono San Giuda a colpi di verga e sassi e San Simone martoriandone il corpo con una sega.
Ma ecco il prodigio. Mentre le loro anime venivano accolte nella Patria eterna e poste alla destra del Padre per il Quale avevano dato l’olocausto della vita, nel cielo sereno di Suamyr, teatro di quel barbaro martirio, apparvero sinistre luci, pesanti nubi e grande tempesta: il cielo venne squarciato da terribili folgori, il tempio raso al suolo e i due sacerdoti Zaroes ed Arfaxat, autori indegni dello scempio, fulminati dalla giustizia divina. Dopo la sepoltura dei Santi, i corpi vennero portati in Babilonia e in loro onore fu eretto un tempio sontuoso. Alcuni secoli dopo probabilmente i Musulmani conquistarono la Persia e le SS. Reliquie degli Apostoli furono portate in una cappella della Basilica Romana di S. Pietro, ai piedi di un altare dedicato ai due Santi martiri. Alcuni sostengono che da Babilonia furono portate a Tolosa nella cattedrale di San Saturnino intorno all’anno 800 grazie a papa leone III e per volere di Carlo Magno.
Altre notizie raccontano che furono uccisi ad Arado, nei pressi di Beirut.