mercoledì 26 ottobre 2016

LA MAREA MONTA


QUADERNO N°27
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24 giugno.
La marea monta. Non so più come fare a resistere a tanto male fisico e a tanto male morale. Se cedessero le forze spirituali sarebbe la rovina assoluta e irreparabile.
Queste ultime, per ora, sono sempre integre. Ma ci resisteranno? Di me non assicuro. Se Dio mi aiuta molto, molto, molto, resisterò. Altrimenti mi piegherò.
Potrei anche dopo tornare a rialzarmi. Ma trovo che è sempre pericoloso l’esperimento, perché non sempre si fa a tempo a rialzarsi, è io non vorrei morire in un momento in cui ti amassi meno. Offenderti è amarti meno, o mio Dio. Abbi pietà di me.
Ne hai tanta, ma dammi anche la “grande pietà”. Tu sai quale è questa “grande pietà” che ti chiedo. Riportami nel mio nido d’amore. Nel mio nido di pace. Nel mio nido di Cielo l. Se anche Tu dal Cielo fai scendere paradisiaci profumi, come ieri sera, essi non possono durare qui dove è troppo urto di umanità e di animalità. Che Tu abbia attutito il mio soffrire con gli aromi celesti, io ti ringrazio. Ma non bastano. Non bastano alla tua piccola “voce” per non morire e soprattutto per non morire malamente. Abbi pietà.


Più tardi. Gesù mi fa la seguente osservazione:
«Nel fare l’Ora della Desolata voglio che tu consideri i tre tempi del dolore di Maria 2. Per tua norma nel soffrire e nel conoscere la Giustizia che vi giudicherà del vostro modo di soffrire.
Il primo tempo è la donna, la madre, quella che urla il suo strazio. Dio concede che nel momento più atroce del dolore la creatura deliri ed abbia parole dure per coloro che sono causa del suo dolore. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare “belve, sciacalli e iene” gli uomini, da chiamare gli ebrei “suoi patrigni”, da proclamare che Ella deve farsi violenza per sopportarli, e da marchiarli col nome di Caini di Dio e di obbrobrio della razza umana. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare Gerusalemme “matrigna, assassina, predona, vampiro e avvoltoio”. Sul Calvario non aveva saputo che ululare: “Non ho più figlio!”. Era la donna.
Nel secondo tempo è la credente che vuole esser fedele alla sua fede anche se i fatti paiono smentire ogni promessa di fede. Il suo cuore di madre e di donna lotta col suo spirito di credente. Trionfa lo spirito perché è realmente nutrito di fede. La donna è superata. Resta la credente.
Nel terzo tempo la credente, affermata sempre più nella fede, sale, attraverso alla rassegnazione, a riunirsi con Dio dal quale il dolore l’aveva divisa. Oh! il dolore, lo so, è come colpo di fanciullo malvagio sulle morbide ali di una variopinta farfalla. La abbatte al suolo. Pare morta. Ma poi riprende pian piano forza e moto. Prima cammina, poi arrampica, poi tenta di muovere le ali, poi fa il primo timido volo, infine si lancia, riconquista l’azzurro...
Leggo il tuo pensiero: “Ma se i colpi continuano e ogni volta che la farfalla comincia a volare di nuovo viene abbattuta, finisce col morire per terra”. Umanamente si. Non può che avvenire questo. Ma per questo io ci sono. Per raccogliere le vittime della brutalità terrena. Mi basta che esse non diffidino di Me e non mi accusino, odiandomi, d’essere il loro carnefice.


Date a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che è dell’uomo. Date ad ognuno il giudizio giusto. Meditate per bene sui vostri strazi, voi che soffrite, tu che soffri sino a morirne. Vedrai che ogni strazio porta il nome di un uomo. Mai quello di Dio. Oh! che sei ancora creatura e non ti è lecito conoscere i segreti del soprannaturale. Ma quando li conoscerai comprenderai tante cose.
Maria, nel terzo momento della sua desolazione, non è più la credente: è la Figlia di Dio, è la Santa che parla al Padre, al Re con la solenne sicurezza di chi sa che può parlare perché ha conquistato il diritto d’essere esaudita. Non più oscurità di desolazione umana, non più affanno di credente che vuole e non può raggiungere la pace nel dolore. Ma la gioia del soffrire: una gioia d’anima sotto il pianto della carne che muore per ultimo, ma che si lascia piangere perché - tu l’hai detto 3 - arrivati a certi punti, carne e sentimento sono indumenti gettati sull’io spirituale, l’io vero. E la creatura, santificata dal suo eroismo, può giungere a dire: “Per quel ‘si’ che ho detto, ascoltami!’’.
Dillo anche tu, Maria. Di’: “Ti ho detto si tante volte, per questi si ascoltami”.
E spera. Non mettere un nome alla tua speranza. Le daresti sempre nomi della terra. Spera in Me. In Me solo, a lasciami fare.»


Nota mia.
Ma intanto sono due mesi che sono in una galera, in un manicomio, in un inferno. E sempre più ci sprofondo. Due mesi! Due mesi che sono stata strappata da quel posto in cui era la mia vita vera4. Mi hanno strappato il cuore perché Tu lo sai, Tu lo sai cosa era per me quella casa. E più il tempo passa e più la ferita fa male. Anche perché non c’è nessuna medicina per essa.
Non più una parola illuminata... E io che non credo, non posso credere umanamente che io sento la tua voce. Ne sono troppo indegna.
Non più una Comunione ben fatta. Io la chiamo ben fatta quando non solo chi la riceve ma anche chi la amministra lo fa con quella riverenza che tale Sacramento merita e che serve a rendere sensibile il mistero. Qui... è preceduta e seguita da chiacchiere che uguali si fanno con chicchessia. Dalla lavandaia alla persona amica che viene a trovarmi, potrebbero dire le stesse parole e fare gli stessi gesti che vedo nelle povere mattine di Comunione. Oh! miseria! Astio, pettegolezzi, interessi...


Dove sei, attimo solenne delle Comunioni viareggine? Attimo in cui vedevo Te, perché, si, ora lo dico, perché forse presto muoio o impazzisco, e devo dire questa cosa. Perché quando ricevevo la Comunione dalle mani del Padre Migliorini egli scompariva e mi appariva Gesù comunicante. Quasi sempre. Oppure era a fianco del Padre e ci benediceva. Cosa che mi ha fatta sicura di quale tempra sacerdotale sia il mio Direttore. Veniva anche Padre Giosuè 5. Ma era diverso. Sempre un paradiso rispetto ad ora: un paradiso terrestre in cui sentivo Dio ma non lo vedevo. Con Padre Migliorini era il vero Paradiso. E non ce l’ho più.
Ne ho più bisogno che mai e non ho più nulla di quello che era atmosfera necessaria alla mia anima per poter udire la Parola che è la mia vita. Lo capite, voi che leggete, cosa m’è stato levato? Due mesi di inferno...
E la solita domanda del 24 maggio 6: “Ma perché non mi hai fatta morire prima che io fossi levata dalla mia casa?”.
1 Nella casa di Viareggio. Vedi la nota 12 di pag. 229. 2 Nella visione del 19 febbraio (pag. 173), nel dettato a nella visione del 3 giugno (pag. 408) e nella visione del 23 giugno (pag. 464), oltre agli episodi della Passione appartenenti all’opera sul Vangelo. 3 il 22 giugno, pag. 460. 4 Come la precedente nota l. 5 P. Giosuè Bagatti, dei frati minori, cappellano dell’Ospedale di Viareggio. 6 Riferita il 2l giugno, pag. 324.

25 giugno. 
Dice Gesù:
«Dimmi: mostra maggiore coraggio nel subire un’operazione chirurgica colui che la sopporta
con degli anestetici, o colui che la sopporta senza aiuto? L’operazione è la stessa. I ferri usati sono gli stessi. Il loro lavoro su carni, nervi, organi, è lo stesso. Lo scopo è lo stesso. E concediamo pure che sia uguale il risultato di guarigione. Ma quale dei due operati ha avuto maggior forza d’animo, e naturalmente ha suscitato ammirazione? Certo colui che senza nessun soccorso chimico sopporta con piena sensibilità l’opera dei chirurghi, senza ribellarsi con grida, imprecazioni, parole scomposte, e si limita a gemere, perché ciò è umano e comprensibile.
Ebbene: passiamo ora al campo spirituale. Quale sarà, fra due anime, quella che più suscita l’ammirazione, e perciò la lode, la quale si muta in premio certo? Quella alla quale una mia miracolosa azione attutisce lo spasimo anestetizzandola spiritualmente, oppure quella che ha Dio come un buon Padre e un buon Amico presso al suo letto operatorio, ma non più di Padre e Amico che la compatisce, che la veglia, che piange con lei, ma che non interviene con un aiuto diretto e volto a intontire la dolorabilità? Questa seconda di certo.
Tu sei questa seconda. Non dire: “Perché?”. In ottobre ti ho risparmiata l. Ti ho aiutata perché avevo bisogno che tu fossi ancora capace di questo calvario. Se fossi 2 stata stroncata dallo strazio sin dall’ottobre, non avresti resistito ad un’ora di questo attuale. Ed io avevo bisogno di questo tuo soffrire.
Gli angeli non possono soffrire per il loro Dio per aumentare la sua gloria, né per il loro prossimo per ottenergli del bene. Ma gli uomini lo possono fare. Fare la volontà di Dio, per gli angeli, è fare della gioia. Fare la volontà di Dio, per gli uomini, è fare del dolore. È fare ciò che io ho fatto. Si, quando il dolore ha nome olocausto, ed è non solo rassegnazione ma è unione alla volontà di Dio, così come era unito il mio Corpo alla croce, mediante l’amore, la generosità e la pazienza - i tre chiodi che configgono le vittime al loro patibolo santo - voi fate ciò che io ho fatto.
Non ti preoccupare se piangi. Ho pianto anche io. Ho gemuto anche io. Con ripugnanza di carne e di mente ho detto: “Sia la tua volontà la mia” 3. Ma l’ho detto. Lo spirito solo ha avuto il coraggio di dirlo ancora. Ma l’ho detto. Fra le ripugnanze e le paure del tuo corpo e del tuo pensiero canti il tuo spirito mentre la crudele operazione che darà del bene si compie senza aiuto alcuno - canti il tuo spirito: “Signore, la tua volontà sia la mia”.
E credi pure che il premio sarà doppio, triplo, decuplo di quello che ti sarebbe stato dato se già avessi avuto doni di misericordia nel tuo soffrire. Dio è giusto. A doppio merito, doppio premio. A merito totale, totale premio. Non temere. Va’ in pace.»
1 Confronta con lo scritto del 2l giugno, pag. 457. 2 fossi è nostra correzione da fosti 3 Luca 22, 4l-42.
26 giugno.
A conforto di un ritorno penosissimo alla sensibilità, il buon Dio mi concede il sorriso del mio angelo.
Devo aver sofferto moltissimo e pianto altrettanto. Lo comprendo dal come mi trovo spezzata e con gli occhi che erano bruciati dalle lacrime seccate fra le ciglia. Ricordo di essermi assopita dopo aver consumato la mia quotidiana ora di tristezza mortale e di pianto che solo Dio vede. Poi non so più nulla. Ma il tronco tutto indolenzito, il cuore e i polmoni che mi paiono lacerati e trapassati da lame, gli occhi che sono più annebbiati che mai, mi dicono senza errore che quando non ero più padrona di me ho pianto senza ritegno e senza riguardo per le mie infinite aderenze che si scuotono nei singhiozzi sfrenati e dopo dolgono tanto.
Ho chiesto a Marta: “Ma io ho pianto?”. Mi ha detto che ho pianto e che ho riso. Sarà che abbia riso. Pianto, ho pianto certo e molto.
Ora, mentre ero abbandonata senza forza di muovermi e pregavo guardando il mio angelo che è in ginocchio ai piedi del letto, a destra - e pare pregare con me e mi chiedevo perché sta così ed è così vestito - sento il mio invisibile Maestro dirmi: «L’angelo custode di ogni creatura adora nella stessa il Dio che l’abita, se è in grazia del Signore. Voi siete templi vivi in cui Dio abita. La colpa scaccia il divino Ospite, ma altrimenti ogni spirito d’uomo è il tabernacolo, chiuso nel tempio del vostro corpo consacrato dai sacramenti, nel quale è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per l’unione indissolubile delle tre Persone.
Quando la creatura non è più in stato di grazia, il suo angelo, piangendo, venera l’opera del suo Creatore. Non può più venerare altro. Ma poiché è opera del suo Dio, la venera così come voi venerate un luogo un tempo abitato da Me e poi profanato da nemici miei, ma sempre degno di venerazione non perché mi contenga ma perché mi ha contenuto. Ricorda, per capire, il sacro Cenacolo.
Ecco perché ogni angelo sta con sommo rispetto presso il suo custodito. Felice quell’angelo che può dire, presso una creatura: “Ti adoro, mio Signore, chiuso in questa tua creatura” e non ha bisogno di volare al Cielo per incontrare lo sguardo di Dio!
La veste del tuo ti dica il carattere della sua missione presso te. Infonderti speranza. È, delle tre virtù, quella che più ti va infusa, perché la tua croce te la sminuzza e distrugge ad ogni ora. E perciò occorre che dal Cielo ad ogni ora discenda a nutrirti. La fede è sicura, forte come l’ali del tuo custode. Vivo è l’amore come il manto che ne orna le spalle. Ma ampia e splendente è la veste e ti dice: “Spera!”.
Vedi che non sei mai sola? Lo vedevi in ore di grande sicurezza nella tua condizione spirituale e di grande gioia. Lo vedi ora in cui gli eventi ti portano a dubitare completamente della tua missione e in cui la tristezza della solitudine spirituale ti accascia. Lo vedi perché c’è. Sempre. È l’angelo del tuo Getsemani. Amalo come un glorioso fratello che ti ama.»
Nota mia.
L’angelo è in ginocchio al lato destro del letto, in fondo. Sta a capo chino con sommo rispetto e con le braccia congiunte sul seno. Nella stessa posa che aveva ai primi di gennaio l, credo, quando vidi il Paradiso e il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, mentre presso me erano 2 Maria e Giovanni.
L’angelo è uguale. È il mio! Come è bello! Il volto di luce condensata, dalle linee perfette, pur stando così curvo, mi sorride. La sua incorporea veste pare uno smeraldo chiaro fatto abito di luce. Alle spalle un breve manto di un rosso chiaro, vivissimo, come di rubino trapassato da un raggio di sole. Le ali sono due bianchi splendori raccolti lungo i lati. E come è adorante! Non faccio che dire degli “Angele Dei!” per salutarlo e delle “Ave Maria” perché mi ricordo che in gennaio mi insegnava a salutare Maria, presente, con quella preghiera in quella sua composta e venerante attitudine. Forse dovrei dire dei “Gloria”. Ma penso che me lo farebbe capire. Maria è la sua Regina e lodando Maria si loda anche Dio di cui è Figlia, Madre e Sposa. Credo perciò di fare cosa gradita a Dio e al mio custode pregando così.
Ma stammi sempre presente, perché veramente sono alla “tristezza di morte” di cui piangeva Gesù nel Getsemani 3...
1 il l0 gennaio, pag. 4l. 2 erano è nostra correzione da era 3 Matteo 26, 38; Marco 14, 33-34.
27 giugno. Atti cap. 2 v. 3 l.
Dice Gesù:
«Le anime che io prediligo ricevono il comando che ebbe Abramo: “Esci dal tuo paese e dal tuo parentado e vieni nella terra che ti mostrerò” 2.
Reale oltreché metaforica uscita. Reale, perché realmente colui che a Me si consacra si rende straniero e ignoto presso i suoi stessi parenti.
Ignoto con la sua nuova personalità. Straniero perché fra loro e lui avviene come la caduta di un diaframma, come la creazione di una singolare Babele 3 per cui egli va oltre, verso la terra che Dio gli addita, e loro restano là dove sono, né anche, essendo ancora vicini, possono più intendersi, perché egli già parla la lingua di quella terra e ne pratica gli usi mentre essi continuano a pensare, agire, parlare nella loro maniera abituale. Ciò produce un grande motivo di dolore e di stupore, se pure non di derisione.
Il dolore è particolarmente sentito da colui che Dio ha chiamato alla “nuova terra”. Egli vorrebbe esser seguito da chi ama, perché ha compreso che “quella terra” è paese di elevazione. Vorrebbe che gli altri lo comprendessero per poter innamorarli delle bellezze che egli discopre.
Loro si stupiscono del suo mutamento. E quando non lo giudicano “mania”, lo chiamano egoismo, disamore, stranezza. Nulla di ciò. Amore perfetto, e per coloro che ama e per se stesso, dando e cercando dare agli altri il bene che a sé procura. Non stranezza, ma anzi regola perfetta, essendo costui nella sua eccezione colui che si trova nella regola del figlio di Dio: ubbidienza assoluta, superiore ad ogni altra voce di sangue, di interesse, di rispetto umano, alla voce di Dio.
La ferita non si sana e non si può sanare. Perché l’eletto alla “nuova terra” con la sua parte inferiore conserva la sensibilità comune ai figli dell’uomo, e di doversi sentire accusare di disamore da quelli che più lo dovrebbero capire, e di doverli respingere, strappandosi il cuore, per inoltrarsi sul sentiero che Dio gli indica, soffre continuamente, tenendo sempre aperta la ferita, in cui sono confitti 4 l’amore dei suoi che per amarlo lo torturano e l’amore suo che per non esser compreso si torce nella piaga e la volontà imperiosa di Colui che egli ama con tutto se stesso. Ferita d’amore, dunque. Ferita, dunque, in cui è Dio, perché Dio è dove è carità.
“Vieni nella terra che ti mostrerò”. Dio non la mostra avanti. Dice: “Vieni”. Il premio del vedere questa terra sarà dato a colui che ubbidisce senza attendere di conoscere ciò che lo aspetta. Dio dice: “Vieni’’. Non altro. Egli va e non chiede altro.
L’inizio della terra benedetta - il cui sole non conosce tramonti, in cui non regnano aspidi e scorpioni né fiere selvagge, in cui sono ignote bufere e brine ed eterna è la primavera, e pingue di sovrannaturale cibo è ogni essere, e miele stillano tronchi e di latte sono le fonti, e l’armonia è luce e la 5 luce è armonia, e felici come fiori in un sereno mattino d’aprile sono gli abitanti e ridono di perenne gioia riflettendo il divino riso del loro Signore - è molto irto e spinoso. Sassi e rovi, liane e stretti passaggi su orridi e torrenti vorticosì, oscure svolte e ventose zone di burrasca sono nel suo principiare.
In alto una sola stella: io. Io che devo essere luce, calore, voce, speranza, conforto, fede, guida per l’eroico camminatore. Io solo. Guai a non guardare continuamente Me.
Ma chi persevera vede che ai sassi, ai rovi sussegue 6 più liscia strada e qualche fiore si affaccia ai suoi bordi, vede che alle liane, che prima hanno straziato come funi di ferro spinoso, succedono morbidi festoni che non sono più costrizione ma aiuto, e più ampi si fanno i passaggi, meno paurosi i sentieri, più sicura la via, più ampia, più luminosa, più calda, più serena nel suo continuo salire. In ultimo l’anima vola, non cammina più. Vola. Penetra come strale d’amore nella terra che si è conquistata. Il Cielo è suo.
Ma quanta generosità è necessaria! Dare tutto, Maria. E non avere nulla. “Neppure tanto da posarvi il piede” (v. 5)7. Non pretendere nulla perché non prometto nulla quando dico: “Vieni”. Nulla di umano. Prometto il sovrumano eterno.
Ecco cosa ti devi sforzare di capire e di accettare, e con te tutti i tuoi uguali per la mia elezione che vi consacra nel chiostro o nel mondo, e anche coloro che per esser migliori, pur non essendo i chiamati a vie di perfezione speciale, non essendo militi della perfezione consigliata e non imposta, si chiedono il perché non sia placida di benessere anche terreno la loro vita.
Io non mento e non ho mai mentito. Io ho promesso e prometto di darvi la Vita e le cose inerenti alla Vita. Questo è necessario e questo vi do. Il resto è il superfluo perché è destinato a ciò che perisce. E ve lo do perché sono buono anche con il moscerino al quale concedo per letto il calice di una mentuccia montana e per cibo la microscopica goccia di miele che essa contiene. Così do a voi, perituri, le cose necessarie a ciò che perisce: cibo, vesti, dimora. Ma vi invito a tendere a ciò che è più alto: allo spirito e a ciò che è dello spirito.
Chi più mi ama più mi comprenda. E proceda nudo, affamato, misero di ciò che è 8 di questa giornata terrena, ma sazio, ricco, in veste regale di ciò che è del Giorno eterno.
Va’ in pace.»


1 La citazione, che la scrittrice deve avere aggiunta dopo sul rigo, non è pertinente al dettato e va corretta in Atti 7, 2-3. L’errore è indirettamente confermato dalla scrittrice stessa, che annota la data del presente dettato accanto ai primi versetti del capo 7 degli Atti, nella “Bibbia” da lei usata. 2 Genesi 12, l.
3 Genesi ll, l-9. 4 sono confitti è nostra correzione da è confitto la è scritto due volte 6 sussegue è nostra correzione da sussedono che sembra una confusione tra succedono susseguono 7 Genesi 8, 9. Perciò, il riferimento al versetto 5 sarebbe errato. 8 è è aggiunto da noi