Il Cardinale Carlo Caffarra contro lo spettacolo blasfemo di Castellucci
Dichiarazione dell'Arcivescovo di Bologna
In relazione allo spettacolo blasfemo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”, offensivo nei confronti di Cristo e del sentimento religioso dei fedeli cattolici, di prossima programmazione a Casalecchio di Reno (BO), il Cardinale Arcivescovo ha comunicato:
«Dall’insulto alla sua Madre, rivoltole nella nostra città alcuni anni or sono, si passerà ora ad una rappresentazione teatrale obiettivamente blasfema nei confronti di Gesù e del suo Volto Santo. Siamo sdegnati e addolorati, come cittadini e come credenti. Come cittadini nel vedere che l’esercizio della libertà espressiva non conosce più neppure i limiti del rispetto dell’altro. Come credenti nel vedere inserito il Volto Santo – il quale gli angeli desiderano guardare – in uno spettacolo indegno, offensivo, e obiettivamente blasfemo e sacrilego.
Sacrilegio è anche trattare indegnamente i simboli sacri, così come la bestemmia si estende anche alle sante immagini. Vengono a mente le parole della Scrittura: «poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il timore del Signore […] mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» [Pr 1,29.31].
Dio continui ad usarci misericordia, anche quando giungiamo perfino al disprezzo del dono più grande che ci ha fatto: il suo Figlio unigenito. «Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia» [Is 53,3]. Cristo è sceso nelle più amare pieghe dell’umana angoscia; Dio ha voluto sperimentare il nostro duro mestiere di vivere. Ma per donarci speranza, per riportarci alla nostra primigenia verità e splendore. Vederlo disprezzato in questa sua sofferta bellezza, è spegnere ogni speranza. “Volto santo di Cristo, luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza, vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte … rendici pellegrini di Dio in questo mondo, assetati di infinito” [Benedetto XVI]. Sono sicuro che i buoni fedeli di Casalecchio in unione coi loro pastori sapranno reagire in modo fermo e composto. Chiedo ai parroci di Casalecchio di fare, dopo la celebrazione delle sante Messe feriali di venerdì e sabato, una preghiera di riparazione, nella forma e modo che riterranno più opportuno. Non escludano eventualmente la celebrazione della S. Messa «per la remissione dei peccati». E che Dio abbia pietà di noi!».
Sacrilegio è anche trattare indegnamente i simboli sacri, così come la bestemmia si estende anche alle sante immagini. Vengono a mente le parole della Scrittura: «poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il timore del Signore […] mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» [Pr 1,29.31].
Dio continui ad usarci misericordia, anche quando giungiamo perfino al disprezzo del dono più grande che ci ha fatto: il suo Figlio unigenito. «Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia» [Is 53,3]. Cristo è sceso nelle più amare pieghe dell’umana angoscia; Dio ha voluto sperimentare il nostro duro mestiere di vivere. Ma per donarci speranza, per riportarci alla nostra primigenia verità e splendore. Vederlo disprezzato in questa sua sofferta bellezza, è spegnere ogni speranza. “Volto santo di Cristo, luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza, vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte … rendici pellegrini di Dio in questo mondo, assetati di infinito” [Benedetto XVI]. Sono sicuro che i buoni fedeli di Casalecchio in unione coi loro pastori sapranno reagire in modo fermo e composto. Chiedo ai parroci di Casalecchio di fare, dopo la celebrazione delle sante Messe feriali di venerdì e sabato, una preghiera di riparazione, nella forma e modo che riterranno più opportuno. Non escludano eventualmente la celebrazione della S. Messa «per la remissione dei peccati». E che Dio abbia pietà di noi!».
Fonte:
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come educare
nella società contemporanea"
Cento, 19
maggio 2011
Durante la cena pasquale ebraica, ad un certo punto il figlio doveva
rivolgersi al padre dicendo: "perché diversa è questa notte da tutte le notti?
Infatti tutte le notti noi mangiamo lievitato e azzimo; questa notte tutto
quanto azzimo…". Il padre rispondeva: "schiavi fummo in Egitto del Faraone, e il
Signore Dio nostro ci fece uscire di là con mano forte e con braccio disteso"
[cit. da C. Girando, Eucaristia per la Chiesa, Gregorian
University Press-Morcelliana, Roma-Brescia 1989, 134-135].
Questo testo ci aiuta a capire profondamente che senso ha parlare oggi di
"emergenza educativa": e questo sarà il primo punto della mia riflessione. E ci
aiuterà ad individuare alcuni fondamentali orientamenti pratici per uscire da
essa e dare origine ad una grande stagione educativa nella nostra Chiesa e nella
società civile: e questo sarà il secondo punto della mia riflessione.
1. L’emergenza educativa.
Ritorniamo al testo ebraico. Esso ci mostra come si può stringere un legame
buono fra le generazioni: la generazione dei padri e la generazione dei
figli.
La prima costatazione. Il legame è istituito dalla narrazione del fatto che
ha fondato l’identità e quindi la libertà del popolo a cui il bambino
appartiene. È stata la liberazione dalla schiavitù egiziana a dare origine ad
Israele; è stato l’evento fondatore della sua identità.
La narrazione viene ripetuta ogni anno – ogni anno la Pasqua deve essere
celebrata – perché si custodisca la memoria dell’evento fondatore "di
generazione in generazione". La memoria deve essere custodita, perché quando si
perde la memoria si perde la consapevolezza della propria identità; si è
sradicati, spaesati, esiliati da se stessi. Dunque la narrazione che il padre fa
al figlio impedisce a questi di ignorare la sua origine, di ignorare la sua
dignità di uomo libero, e gli consente di sentire la propria libertà come un
bene condiviso con gli altri.
In questo modo, mediante quella narrazione, il rapporto fra le generazioni
non era solo biologico ma diventava pienamente umano. La generazione dei figli,
già legata biologicamente a quella dei padri, entrava nello stesso universo dei
padri: la stessa religione, la stessa legislazione, gli stessi valori. Si
costituiva un popolo non solo in senso etnico, ma anche culturale. Israele è
l’Israele di Dio e Dio è il "Santo di Israele".
Ma c’è un altro aspetto ancora più importante; anzi è il più importante di
tutti. La risposta del padre al figlio si conclude nel modo seguente: "in ogni
generazione e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo
proprio lui uscito dall’Egitto" [ibid. pag. 111].
La narrazione del padre racconta l’evento fondatore non semplicemente come un
fatto che definitivamente appartiene al passato, ma come un avvenimento che
continua anche ora ad esercitare il suo influsso. Anche ora, ogni generazione di
figli ha bisogno di sapere la sua origine, di accedere alla dignità di uomini
liberi, di condividerla dentro una comunità di persone. La tradizione che si
trasmette di generazione in generazione è una dimensione essenziale del
presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la costituzione del proprio
io. Ed è la generazione dei padri a testimoniare questa presenza, ed introdurre
così il figlio nella vita.
Si potrebbero dire molte altre cose, ma mi fermo nella considerazione del
rito ebraico. Vorrei farvi vedere come esso sia come il paradigma
educativo di ogni vero rapporto educativo. Quando nelle vostre famiglie il
rapporto padre-figli "funziona", anche in esse accade tutto ciò che accadeva la
sera di Pasqua in ogni famiglia ebraica.
Parto da un episodio realmente accaduto in una famiglia. Essa fu colpita da
un gravissimo lutto. La bambina di pochi mesi fu colpita da un tumore che la
portò alla morte. Il fratellino di qualche anno di vita, dopo qualche giorno dal
funerale, chiese a sua madre: "mamma, ma quando torna a casa Lucia?".
La risposta a questa domanda, una delle più radicali che l’uomo possa
compiere, ha dato inizio in senso forte alla grande narrazione della vita che i
genitori fecero al loro bambino.
Essi non partivano dal niente: dentro al niente si può cadere, ma dal niente
non si può partire. Sono due sposi: il matrimonio è condivisione amorosa dello
stesso destino. Sono due sposi radicati e fondati dentro l’avvenimento
cristiano. Essi hanno risposto narrando quell’incontro che avevano fatto con
Cristo risorto dai morti. Un incontro che in quel momento, mediante la
testimonianza dei suoi genitori, accadeva anche per il bambino, rispondendo al
bisogno di una presenza: la presenza della persona amata. La Tradizione
cristiana mediante la testimonianza dei padri diveniva risposta adeguata al
bisogno del cuore dei figli: questa è l’educazione.
Possiamo ora tentare come una definizione. L’educazione è la
tradizione che diventa presenza dentro alla testimonianza
che i padri ne fanno ai figli. Queste tre categorie,
tradizione-presenza-testimonianza, costituiscono l’atto educativo. Ho chiamato
questa presenza-testimonianza anche la narrazione della vita fatta di
generazione in generazione.
A questo punto della nostra riflessione siamo in grado di capire che cosa
significa emergenza educativa e perché noi ci troviamo dentro ad una vera
e propria "emergenza educativa".
Proviamo a fare una serie di ipotesi, sempre considerando il rapporto fra le
generazioni.
Se colui che deve trasmettere una visione della vita ed introdurre dunque il
nuovo arrivato nell’universo di senso – diciamo: la generazione dei padri – si
sradica dalla tradizione, non possono non succedere che una delle seguenti due
conseguenze. O si instaura un rapporto di permissivismo, caratterizzato da una
sorta di scetticismo e di indifferentismo: non esiste una verità circa il bene
della persona [scetticismo], e quindi tutto alla fine è permesso
[indifferentismo], purché non ci si faccia del male. O si instaura un rapporto
di egemonia e di autoritarismo: non si fa più nessuna proposta; si impone.
Prima di procedere oltre vorrei solo accennare al fatto che sia l’uno che
l’altro esito è accompagnato da una mancanza di vera condivisione del destino
dell’altro. Ma non abbiamo ora il tempo di approfondire questo aspetto della
questione.
Che cosa significa "se la generazione dei padri si sradica dalla tradizione"?
quando e come accade questo sradicamento? Richiamiamo alla memoria ancora una
volta il rito ebraico e la domanda del bambino rimasto privo della
sorellina.
Alla richiesta del figlio il padre non riuscirebbe a rispondere se avesse
perso la memoria dell’evento fondatore oppure se non lo avesse ritenuto vero,
realmente accaduto cioè. Smemoratezza e/o incredulità sradicano la generazione
dei padri dalla tradizione. Non a caso il Signore attraverso i suoi profeti
metteva in guardia Israele soprattutto contro due rischi: la perdita di memoria
["ricordati, Israele…", non dimenticare, Israele…"] e la sfiducia o incredulità
["se non crederete, non avrete stabilità"].
Alla richiesta del bambino la madre non avrebbe saputo rispondere se non in
maniera inadeguata ["non può ritornare, perché è morta"], se non avesse in quel
momento fatto memoria dell’evento fondatore di senso, la risurrezione di Gesù, e
non lo avesse ritenuto un fatto vero.
In un caso e nell’altro la generazione dei padri o diventa una generazione di
testimoni ["è accaduto un fatto, e questo fatto ti riguarda ora, poiché esso è
il fatto che illumina la tua ragione, dona consistenza al tuo io, rende la tua
libertà capace di grande rischi"] o diventa la generazione che apre la porta di
casa della generazione dei figli all’ospite più inquietante, il nichilismo.
2. Come uscire dall’emergenza educativa.
Mi rendo conto che dovrei argomentare lungamente le affermazioni
precedenti. Mi interessa però soprattutto indicare alcune vie, percorrendo le
quali si può uscire dall’emergenza educativa.
Parto da una constatazione. Nonostante tutto, esiste la Chiesa. Esiste cioè
una realtà, un popolo che custodisce la memoria del fatto che può dare
consistenza invincibile alla nostra fragilità mortale; che compie questa
custodia attraverso la testimonianza: la testimonianza dei misteri celebrati,
l’opera della carità. È questo un fatto innegabile.
Non solo, ma questo fatto [custodia della memoria-testimonianza-carità] ha
generato, e non poteva essere diversamente, una cultura, cioè un modo di essere
nel mondo e di vivere [di sposarsi, di lavorare, di curare le malattie, di
ragionare…] che è precisamente la modalità cristiana. È la grande tradizione
cristiana, intesa almeno come forma di vita che ha plasmato un popolo.
A questo punto non posso procedere oltre senza dirvi però che ci sono due
modi fondamentali di dimorare dentro a questa tradizione: quello proprio del
credente e quello proprio del non credente. Presuppongo che cosa significa
credere, e quindi non-credere.
2.1 Mi rivolgo ora ai credenti. Come uscire dall’emergenza educativa? Nessuno
ha ricette preconfezionate. Tanto meno io. Voglio però indicarvi una via di
uscita, facendo prima una necessaria breve premessa.
Il momento più forte in cui la memoria-testimonianza della Chiesa diventa
eminentemente chiara è la celebrazione festiva dell’Eucaristia. Tutto quanto era
il rito ebraico prefigurava il rito eucaristico; ciò che ho detto all’inizio è
vero perfettamente nel rito eucaristico.
Il primo passo per uscire dall’emergenza educativa è il coinvolgimento pieno
dei padri e dei figli dentro alla memoria eucaristica vissuta ogni domenica; è
la partecipazione famigliare alla celebrazione eucaristica. Senza questo reale
radicarsi dentro quell’evento che dona senso al tutto e alla vita di ciascuno,
la narrazione dei padri ai figli rischia di essere vacua: priva di una trama
vera. Cioè: incapace di generare un vita vera, buona, bella.
Questo incipit della narrazione della vita può incontrare subito due
difficoltà: o il figlio, se piccolo, non capisce; o il figlio, se adolescente,
si rifiuta. È la situazione analoga alla domanda da cui è partita tutta la
nostra riflessione: "ma che cosa è tutto questo?".
È a questo punto che la costruzione della risposta deve essere condivisa fra
la generazione dei padri e la madre Chiesa, la quale offre questa condivisione
attraverso una vera e propria proposta educativa. Non si esce dall’emergenza
educativa se non si costruisce questa condivisione, nei due sensi di marcia:
della Chiesa da parte della famiglia, e della famiglia da parte della
Chiesa.
Non voglio dilungarmi ulteriormente su tutta questa problematica. Ho già
avuto varie occasioni per farlo, e cerco di non perderne neppure una fra quelle
che mi si presentano. Vorrei solo aggiungere che la capacità educativa insita
nel fatto cristiano rimane intatta, anche nella condizione di emergenza
educativa in cui ci troviamo. Anzi, la storia dimostra che questa capacità si
manifesta soprattutto nei momenti di maggior difficoltà e di crisi.
2.2. Mi rivolgo ora ai non-credenti o comunque a chi vive in una condizione
di grave incertezza sui temi che stiamo affrontando. Lo faccio iniziando da
alcune semplici osservazioni.
Il rapporto educativo istituisce una relazione fra due persone, alla fine.
Ciò che è in questione e a rischio nell’atto educativo è una persona; è
qualcuno, non qualcosa. Una realtà dunque di incomparabile preziosità.
La tradizione cristiana si presenta come quel terreno nel quale è radicata la
vita del nostro popolo, di cui si nutre la nostra cultura. È sapiente che si
educhi la generazione dei figli partendo da una censura, da un taglio radicale e
profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con la religione come
tale? Poiché questo è ciò che oggi si va proponendo, in nome di una male intesa
laicità e tolleranza. E qui si pone la seconda osservazione.
Voglio richiamare la vostra attenzione su un fatto. Immaginiamo che in una
scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che ci sia qualche insegnante
nelle scuole che … per rispetto a qualche bambino musulmano presente in aula
parli e presenti il Natale come la festa del solstizio, con l’inevitabile
presenza di Babbo Natale, e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà.
Si trasforma cioè una narrazione storica in un "mito" che offre lo spunto per
esortazioni moralistiche. Si compie in realtà un’operazione ideologica, che
viene imposta al bambino, sradicandolo dalla tradizione in cui vive.
La seconda osservazione quindi è la seguente. L’oblio della tradizione o la
sua trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni
ideologiche dettate dal momento. Il padre che nella cena ebraica rispondeva al
figlio, la madre che rivela al bambino il senso ultimo della morte della
sorellina, mostrano che siamo dentro ad una dimora; che non stiamo vagabondando
in un deserto da cui ci si salva solo col nostro impegno. È un popolo, quello di
Israele, voluto e protetto da una Potenza infinita; perfino la morte della
persona amata non distrugge il senso dell’esistenza, poiché Cristo ci ha
redenti.
Una terza osservazione. L’azione educativa è sempre a rischio.
Generando una persona libera, è sempre possibile che prima o poi chi è stato
educato faccia scelte contrarie alla proposta educativa che lo ha formato. È il
rischio educativo. Esso non è solo presente in un rapporto educativo non
riuscito, ma in ogni rapporto educativo.
Tutto quanto ho detto nelle due osservazioni precedenti va letto alla luce di
questa terza. Radicarsi nella nostra tradizione cristiana non significa rinuncia
ad educare alla libertà. Al contrario. Significa però rifiutare l’idea astratta
di libertà secondo la quale è libero chi non appartiene a niente e a nessuno.
Chi vive così finisce nella schiavitù.
Queste tre osservazioni si proponevano alla fine un solo scopo sul quale
consentono credenti, dubbiosi e non-credenti. La vita del nostro popolo, la
capacità dei padri di educare i figli; il legame più necessario nella vita di
una nazione e più difficile da realizzare, quello cioè fra la generazione dei
padri e la generazione dei figli, dipendono dalla custodia della nostra memoria
cristiana; dalla testimonianza resa dai padri ai figli che essa è memoria di un
fatto che ora dona consistenza e senso alla vita; dal confronto con le
sfide inedite di oggi. Memoria, testimonianza, confronto: sono queste le cifre
dell’impegno, della bellezza e della fatica di educare.
Avrete notato che la mia riflessione ha sempre parlato di rapporto educativo
che si istituisce fra la generazione dei padri e la generazione dei figli. C’è
una ragione per cui ho compiuto questa scelta: quel rapporto è il rapporto
educativo originario. Ho taciuto completamente – il tempo a disposizione me lo
imponeva – sulla scuola, pur essendo tema fondamentale. Essa entra nel fatto
educativo con un modo suo proprio, la modalità dell’insegnamento, che
richiederebbe una riflessione molto accurata.
Qualche anno fa, è apparso un libro di U. Galimberti: L’ospite
inquietante. Il nichilismo e i giovani [Feltrinelli, Milano 2007]. Per molti
aspetti ci siamo trovati concordi; per altri e ben più decisivi, all’opposto.
Quale è una delle tesi fondamentali del libro? Che sradicati dalla grande
tradizione che li ha generati, i giovani si sono trovati in casa l’ospite più
inquietante: il nichilismo. Non illudiamoci: questa è la condizione di
molti giovani oggi. Ed allora?
Il profeta Malachia preannuncia che la venuta del Messia coinciderà colla
"conversione del cuore dei padri verso i figli e del cuore dei figli verso i
padri" e che sarà questa reciproca conversione a "risparmiare il paese dallo
sterminio" [cfr. 3,24]. Quando l’angelo apparve a Zaccaria, gli preannuncia la
missione del figlio Giovanni colle parole del profeta [cfr. Lc 1,17].
Il legame, anzi più profondamente la conversione intergenerazionale è già
stata donata e rassodata: è un fatto già accaduto. È una grazia già donata
nell’evento cristiano. Non dilapidiamola.
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