31. DEVOZIONE A GESÙ SACRAMENTATO
Mistero di fede
Nostro Signore disse un giorno ai suoi discepoli: Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete. Vi dico infatti che molti Profeti e Re vollero vedere le cose che voi vedete e non le videro (923). Fu certamente gran fortuna vivere al tempo di Nostro Signore, conoscerlo di presenza, udirlo parlare ed essere testimoni di tanti miracoli da lui operati. Questa fortuna non ebbero gli antichi Patriarchi e Re (S. Matteo dice: " i giusti ") ed i Profeti dell'Antico Testamento. Essi, come Abramo, sospirarono il venturo Messia, nella cui fede dovevano salvarsi. Abramo trasalì di gioia al pensiero che avrebbe veduto il mio giorno: lo vide e si rallegrò (924). Lo vide, sì, ma solo in visione, come Davide ed Isaia, i quali quasi ne scrissero in antecedenza la vita. I discepoli invece poterono vedere e udire Gesù in persona, trattare con Lui familiarmente. Beati essi! Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete! (925).
E noi siamo solo nella condizione di quelli dell'Antico Testamento? e non beati?... Oh, no! Gesù diceva a S. Tommaso, dopo avergli mostrato le sue sacratissime piaghe: Beati quelli che non videro [Me] e hanno creduto! (926). Dunque anche noi beati, se abbiam fede in Gesù.
E notate: noi siamo doppiamente beati. Prima, perché crediamo senza vedere; poi perché realmente vediamo e ascoltiamo. Non è necessario vedere con gli occhi e udire con le orecchie del corpo, per dire che vediamo e udiamo. Le cose si conoscono anche mediante la storia: per cui sappiamo quanto disse e fece Nostro Signore quand'era su questa terra, e quanto ancora Egli fece, nella Chiesa e per mezzo della Chiesa attraverso i secoli. Cosicché, sebbene non abbiamo avuto la fortuna di godere della presenza corporale e sensibile di Gesù, godiamo di quanto disse e fece; quindi siamo doppiamente beati. Gesù è sempre con noi fino alla consumazione dei secoli. Specialmente Egli è con noi nel SS. Sacramento, dove, vivo come in Cielo, possiamo vederlo con gli occhi della fede e ascoltarlo.
Ogni anno si celebra in Torino la festa del miracolo avvenuto nel 1453. Alcuni ladri avevano rubato in una chiesa del Delfinato (Francia), asportando l'ostensorio con l'Ostia consacrata. Di tutto fecero un involucro, lo caricarono su di un mulo, poi discesero in Italia, a Torino. Giunti presso la chiesa dello Spirito Santo, il mulo cadde, e né parole né bastonate poterono più muoverlo. Intanto si slegò l'involucro e l'Ostia santa con l'ostensorio si sollevò in alto, e là rimase splendente come il sole. Vi accorse tutta la città, con a capo il Vescovo. Da tutti si pregava. Venne giù l'ostensorio, ma l'Ostia no. Vescovo e fedeli continuarono a pregare. Il Vescovo prese il calice (quello che ancor oggi si usa il Giovedì Santo), e, genibus provolutus, pregava il Signore che discendesse. Discese infatti e fu portato in Duomo.
L'Ostia consacrata fu conservata a lungo, poi fu consumata perché non si corrompesse. A Chieri, nel Duomo, c'è ancora il tabernacolo nel quale fu riposta. Quindi si fabbricò la chiesa detta ancor oggi del Corpus Domini, nella quale una piccola cancellata segna il luogo preciso del miracolo.
Ogni anno si fa una grande funzione e, alle cinque pomeridiane, tutte le campane di Torino suonano a festa. Vennero poi istituiti i Canonici del Corpus Domini, poi l'Ufficiatura, ecc. Ecco il miracolo, ed ecco perché Torino è chiamata la città del SS. Sacramento, come è la Città della Sindone e della Consolata. Ed è tanto certo il miracolo, che, sotto i portici del Palazzo di Città, è ricordato e descritto da una lapide.
Noi stimiamo fortunati i Torinesi di allora, che poterono assistere a sì strepitoso miracolo. Se fossimo vissuti in quel tempo, come saremmo accorsi! Non così fece S. Luigi re di Francia. Un giorno vennero a dirgli che nell'Ostia, dopo la consacrazione della Messa, si vedeva il Divin Bambino e che perciò andasse a vederlo. Anzi, a questo scopo, il sacerdote s'era fermato e aspettava. Ma il santo re rispose: " Credo che nell'Ostia consacrata c'è il Signore e non ho bisogno di vederlo; il sacerdote continui pure la Messa ". Egli non volle perdere il merito della fede.
Talora si dice: " Ah, se vedessi! Mi pare che avrei più fede ". No, no; se anche domani si ripetesse il miracolo, molti crederebbero, sì, ma molti no. A noi basta sapere che c'è. È là vivo, come son vivo io in questo momento. È là con il suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Lo crediamo più che se lo vedessimo. Se lo vedessimo, potrebbe essere un'illusione; e invece lo sappiamo per fede e quindi siamo più certi che se lo vedessimo coi nostri occhi. La fede e la parola di Dio ce ne assicurano più di ogni altro mezzo. Praestet fides supplementum sensuum defectui: la fede supplisce in modo da non lasciarci dubbio alcuno.
In quel bell'Inno dell'Adoro Te devote, che cosa diciamo? Visus, tactus, gustus in te fallitur: la vista, il tatto, il gusto non Ti percepiscono; sed auditu solo tuto creditur. Il Signore l'ha detto, dunque credo! Credo tutto quello che Egli ha detto: credo quidquid dixit Dei Filius! Non vi è nulla di più vero della parola di Dio: Quod non capis, quod non vides, animosa firmat fides. La fede, una fede viva ci dice, ci attesta, ci conferma che nell'Ostia santa c'è Nostro Signore Gesù Cristo, e noi lo crediamo, anche se non comprendiamo, anche se non vediamo.
È tale la nostra fede? Così intima, viva e continua?... Eppure Gesù è realmente con noi, là nel santo tabernacolo, e vi sta giorno e notte, e vi dimora solo per noi: come padre, padrone, amico; pensa continuamente a noi per aiutarci. Lo crediamo noi con fede viva e pratica? Operiamo noi secondo questa verità, vivendo sempre sotto i suoi occhi e tutto facendo in unione con Lui e per Lui?... Vedete, può avvenire che, pel fatto che Gesù è sempre con noi, noi non vi diamo più tanta importanza. Il Signore si lamentava già con i Giudei: che la regina Saba s'era mossa per andare a vedere Salomone, attratta dalla sapienza di lui, eppure: plus quam Salomon hic! (927). Così noi, che pur diciamo di credere alla sua presenza reale, sovente non vogliamo disturbarci e lo lasciamo solo. Non dico che lo trascuriamo, ma non palpita il cuore!
Vi ho detto che noi siamo più felici, che non quelli che vissero ai tempi di Nostro Signore; ora aggiungo che così è per altri due motivi. Dapprima, perché essi lo possedevano in stato di infermità, passibile; noi in stato di gloria, impassibile come è in Cielo. Poi perché allora Nostro Signore non poteva essere veduto che da alcuni, in pochi luoghi, ad intervallo; per vederlo, dovevano portarsi da un luogo all'altro, e quel poveretto di Zaccheo dovette faticare non poco e arrampicarsi sul sicomoro. Noi invece l'abbiamo continuamente in mezzo a noi, dal mattino alla sera, dalla sera al mattino. Abbiamo solo da andare in cappella, solo da pensare al tabernacolo... sempre Egli ci dà udienza. Cosicché si può dire che la sua Presenza Sacramentale in mezzo a noi è per noi più preziosa, che non fosse la sua presenza corporale e sensibile per i Giudei. Si può anzi aggiungere che non c'è diversità sostanziale tra i Beati e noi, perché Nostro Signore nel SS. Sacramento è tale quale si trova in Cielo. Quindi anche noi siamo felici come i Beati!
Io vorrei che oggi e sempre meditaste maggiormente questo Mistero d'amore. Sì, mistero di fede e mistero d'amore!
Funda nos in pace
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