mercoledì 6 gennaio 2016

EPIFANIA CON SANT'ANTONIO - 2



EPIFANIA DEL SIGNORE
1. “Essendo nato Gesù in Betlemme di Giuda”... ecc. (Mt 2,1).
In questo brano evangelico considereremo tre avveni­menti:
- l’apparizione della stella,
- il turbamento di Erode,

I. l’apparizione della stella

2. “Essendo nato Gesù a Betlemme” (Mt 2,1), ecc. Nella prima parte c’è questo insegnamento morale: in quale modo uno, dalla vanità del mondo, si converte a vita nuova. Prima però ascoltiamo brevemente la storia, il racconto.
Gesù nacque in una notte di domenica, perché nel giorno in cui Dio disse: “Sia fatta la luce, e la luce fu” (Gn 1,3), “venne a visitarci dall’alto un sole che sorge” (Lc 1,78).
Si racconta che Ottaviano Augusto, su indicazione della Sibilla, abbia veduto in cielo una vergine, gravida di un figlio, e che da allora vietò che lo chiamassero Dominus, Signore, perché era nato “il Re dei re e il Signore dei signori” (Ap 19,16). Perciò il poeta scrisse: “Ecco, una nuova prole scende dall’alto del cielo” (Virgilio, Egloga IV,7). Per tutto il giorno sgorgò da una vecchia taverna un abbondante getto d’olio, perché in quel giorno nasceva sulla terra colui che è consacrato con olio di letizia, a preferenza dei suoi eguali (cf. Sal 44,8). Il tempio della Pace crollò dalle fondamenta. I Romani, infatti, a motivo della pace universale in cui si trovava tutto il mondo sotto Cesare Augusto, avevano costruito un meraviglioso tempio alla Pace. Coloro che vi entravano per consultare la divinità e sapere quanto sarebbe durata quella pace, ebbero questo responso: Finché una vergine partorirà. Essi furono felici perché lo interpretarono così: La pace durerà in eterno, perché mai una vergine potrà partorire. Ma Dio distrusse la sapienza dei sapienti e la prudenza dei prudenti (cf. 1Cor 1,19), perché il tempio crollò dalle fondamenta nell’ora della nascita del Signore.
Tredici giorni dopo la sua nascita, cioè come oggi, “ecco che dall’oriente arrivarono a Gerusalemme dei Magi, che doman­davano: “Dov’è il Re dei Giudei, che è nato? Abbiamo veduto la sua stella” (Mt 2,1-2). Erano chiamati “Magi” per la vastità delle loro cono­scenze; quelli che i Greci chiamano filosofi, i Persiani li chiamano magi. Venivano dai territori dei Persiani e dei Caldei. Forse non fu loro impossibile percorrere in tredici giorni, in groppa ai dromedari, quelle grandi distanze.
La stella che avevano visto si distingueva dalle altre per lo splendore, per la posizione e per il movimento. Per lo splendore, che neppure la luce del giorno faceva scomparire; per la posizione, perché non stava nel firmamento con le stelle minori, e neppure nell’etere con i pianeti, ma faceva il suo viaggio nell’aria, nelle vicinanze della terra; e per il movimento, perché restò dapprima immobile sopra la Giudea, poi diede ai Magi l’indica­zione per arrivarvi; essi presero per loro conto la decisione di entrare in Gerusalemme, che della Giudea era la capitale. Quando ne uscirono, con il primo movimento visibile la stella li precedette. Portato a termine il suo compito scomparve, ritornando alla primitiva materia, dalla quale era stata presa.
Questa festa si chiama Epifania, dai termini greci epì, sopra, e fanè, manifestazione, perché come oggi Cristo fu manifestato con il segno della stella. È detta anche Teofania, sempre dai termini greci Theòs, Dio, e fanè, perché come oggi Cristo, passati trent’anni, fu manifestato dalla voce del Padre, e battezzato nel Giordano. È detta anche Bethfania, dal termine ebraico beth, casa, perché, passato un anno dal battesimo, come oggi compì un miracolo divino tra le mura di una casa, ad una festa di nozze.
3. Vediamo ora che cosa significhino, in senso morale, la stella, i Magi, l’oriente e Gerusalemme.
La stella simboleggia l’illuminazione della grazia divina, o anche la conoscenza della verità. Infatti Gesù, dal quale proviene ogni grazia, dice nell’Apocalisse: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (Ap 22,16). Gesù Cristo, benché figlio, è anche radice, cioè padre di Davide. Oppure, come la radice sostiene la pianta, così la misericordia di Cristo sostenne Davide peccatore e penitente. Cristo è stella radiosa nella illuminazione della mente; è stella del mattino nella conoscenza della verità.
I Magi rappresentano i sapienti del mondo, dei quali dice Isaia: “I sapienti, i consiglieri del faraone, gli diedero un consiglio stolto” (Is 19,11). Il faraone, nome che s’in­ter­preta “che scopre l’uomo”, è figura del mondo che, dopo aver coperto l’uomo con la sua vanità, lo scopre nella miseria della morte; il mondo non dà, ma solo impresta, e nel momento della massimo bisogno, esige ciò che ha impre­stato e così abbandona l’uomo nella miseria e nella nudità.
Stolto è quindi il consiglio di quei sapienti che esortano ad accumulare le cose altrui, i beni di questo mondo, che non potranno portare con sé, che inducono a caricarsi di cose solo imprestate, che non potranno far passare con sé attraverso il passaggio stretto. Infatti il passaggio della morte è così stretto, che a stento vi può passare l’anima sola e nuda. Quando si arriva a quel passaggio ogni carico di cose temporali dev’essere lasciato: solo i peccati, che non sono sostanza (materiale), vi passano agevolmente insieme con l’anima.
L’oriente è figura della vanità del mondo o della sua prosperità. Dice Ezechiele: “Vidi, ed ecco degli uomini con le spalle rivolte al tempio del Signore, e la faccia ad oriente, che adoravano il sole nascente” (Ez 8,16). Il tempio raffigura l’umanità di Cristo, o anche la vita di ogni giusto. Hanno il dorso rivolto al tempio del Signore e la faccia ad oriente coloro che, dimentichi della passione e della morte di Cristo, orientano alla vanità del mondo tutto ciò che conoscono e tutto ciò che sanno. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Geremia: “Voltarono verso di me il dorso, non il volto. Ma al tempo della loro sventura”, cioè della morte, “diranno: Àlzati e salvaci! Dove sono i tuoi dèi”, cioè i piaceri e le ricchezze, “che ti sei procurato? Si alzino loro e ti liberino nel tempo della tua sventura” (Ger 2,27-28). O anche: hanno il dorso contro il tempio e adorano il sole nascente coloro che disprezzano la povertà, l’umiltà e le sofferenze dei giusti, e proclamano felici quelli che abbondano di piaceri e di ricchezze.
Gerusalemme, che significa “pacifica”, raffigura la vita nuova, cioè la vita di penitenza. Dice Isaia: “Il mio popolo dimorerà in una pace meravigliosa, nelle tende della fiducia e nella quiete della ricchezza” (Is 32,18). Felice condizione, nella quale c’è la grazia della coscienza tranquilla, la fiducia della condotta santa, la ricchezza della carità fraterna. Perciò, come la stella richiamò i Magi dall’oriente, così la grazia divina richiama i peccatori dalla vanità del mondo alla penitenza, affinché ricerchino il nato Re, cercandolo lo trovino e trovatolo lo adorino.

“Dov’è il Re dei Giudei, che è nato?”. Vale a dire: Dov’è il Re di coloro che confessano i loro peccati, il Re dei penitenti? Cercano il Re dei penitenti, che è nato in loro, coloro che promettono di fare penitenza. Noi, dicono, che abitavamo in oriente, che eravamo presi dalla vanità del mondo, abbiamo visto la sua stella, cioè abbiamo ricono­sciuto la sua grazia, e così “per mezzo di lui”, per sua grazia, “siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,2).

II. il turbamento di erode

4. “ Il re Erode, sentendo ciò, restò turbato” (Mt 2,3). Il diavolo, il re della turba turbata, si turba! Anche il mondo si turba, quando sente che Cristo è ormai nato nei penitenti e vede anche altri peccatori convertirsi a lui per opera della grazia. Satana freme al vedere che il suo regno si riduce e il Regno di Cristo si allarga ogni giorno di più. Leggiamo nell’Esodo: “Disse il faraone al suo popolo: Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Venite, opprimiamolo in tutti i modi, perché non cresca ancor più di numero” (Es 1,9-10).
L’astuzia del diavolo opprime i figli di Dio con la suggestione, la malizia del mondo li opprime con la bestemmia e con l’ingiuria. Continua infatti l’Esodo: “Gli Egiziani odiavano i figli d’Israele e li facevano soffrire insultandoli, e resero loro amara la vita” (Es 1,13-14). Tormento (in lat. frixorium, padella per friggere, o griglia), tormento dei giusti è la vita dei peccatori! Dice il salmo: “Moab è il vaso della mia speranza” (Sal 59,10). Moab s’interpreta “dal padre”, cioè coloro che vengono da quel padre che è il diavolo; essi sono “il vaso della speranza” perché anche gli empi vivono per i giusti, cioè per la loro utilità, per il loro vantaggio.
Erode dunque restò turbato. Erode s’interpreta “gloria della pelle”. Egli restò turbato perché era nato quel Re povero che dice: “Io non ricevo gloria dagli uomini” (Gv 5,41), e “Io non cerco la mia gloria (Gv 8,50). “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Erode, gloria della pelle, resta turbato, perché vede il suo splendore cambiarsi in negrezza, il suo lusso e la sua effeminatezza in ruvidezza, come dice Isaia: “Invece del profumo raffinato ci sarà il fetore, invece della cintura una corda, invece di una chioma ricciuta la calvi­zie, e invece della fascia pettorale il cilicio” (Is 3,24). E queste parole non hanno bisogno di commento perché nei penitenti si avverano alla lettera.
Vedi il sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, seconda parte.
Leggiamo ancora nell’Esodo: “Ora tògliti i tuoi ornamenti e poi saprò che cosa dovrò farti” (Es 33,5). Per questo “La regina Ester cercò rifugio presso il Signore, sgomenta per il pericolo che sovrastava. Deposte le vesti regali, indossò vesti adatte al pianto e al lutto; e invece dei vari profumi si cosparse la testa di cenere e di immondi­zie; mortificò con digiuni il suo corpo, e con i capelli sconvolti si aggirava per le stanze nelle quali prima viveva in letizia” (Est 14,1-2).
Ester, nome che s’interpreta “nascosta”, raffigura l’anima penitente che si apparta dalla dissipazione del mondo e si rifugia nella solitudine dello spirito e talvol­ta anche del corpo; si rifugia presso il Signore, perché in nessuno se non in lui c’è rifugio dal pericolo del peccato, che sempre le è presente e la minaccia, e quindi ne ha paura. Si toglie le vesti della gloria, indossa gli indumenti della penitenza e, invece dei profumi dei vari piaceri, si cosparge il capo, cioè la mente, con la cenere della sua fragilità e con le immondizie della propria iniquità; insiste nei digiuni, e ripensa con angoscia a tutti i luoghi nei quali prima si divertiva. Questo è ciò che dice Gregorio della Maddalena: “Quanti erano stati i piaceri provati in se stessa, tanti furono i sacrifici (le espiazioni) che a se stessa impose”.

Omnes gentes plaudite manibus,
jubilate Deo in voce exultationis.

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