giovedì 6 novembre 2014

I confessori ideali sono rari.






Riporto un altro breve estratto dal medesimo libro citato nel post precedente. In questo caso l'argomento riguarda i confessori e come devono confessare. In un'epoca in cui la confessione è piuttosto trascurata non è raro che lo stesso clero possa non praticarla in modo preciso, come chi non adopera da un certo tempo uno strumento di lavoro. È parso opportuno, dunque, riportare delle linee generali per far presente a sacerdoti e fedeli, quale dev'essere il profilo e lo stile del confessore.


Nella realtà i confessori ideali sono rari.
Ciononostante le opere di riferimento che ne parlano insistono sul fatto che il confessore dev’essere illuminato, virtuoso, con un comportamento irreprensibile ed esemplare per poter confessare correttamente ed istruire realmente coloro che confessa nelle vie della virtù, sia con il suo stile di vita sia con le sue parole.

Il Trebnik [il “benedizionale” slavo ad uso del clero] precisa:

“Chi riceve le confidenze degli uomini dev’essere un modello in tutte le virtù; temperante, umile, beneficiante, praticante la preghiera in tutte le ore per poter dare una parola sapienziale e correggere coloro che lo raggiungono. Innanzitutto, lui stesso deve digiunare i mercoledì e i venerdì di tutto l’anno, come prescrivono i santi canoni, affinché quanto pratica lo possa ordinare ad altri. Poiché se è ignorante, intemperante e voluttuoso, come potrà insegnare le virtù ad altri? E, d’altra parte, quale insensato può ascoltarlo nelle cose che dice se lo vede sregolato e ubriaco, mentre insegna ad altri a non ubriacarsi e a praticare qualche altra virtù da lui trascurata? Infatti lo sguardo è più certo dell’udito, dice la santa Scrittura. Così veglia su te stesso, padre spirituale, che se una delle tue pecore perisce per tua negligenza la si esigerà da te stesso”.

Nel suo Exomologhitarion [manuale greco per la confessione], san Nicodemo l’Aghiorita si rivolge così al futuro confessore:

“Devi aver guarito e vinto le tue passioni, poiché se cerchi inappropriatamente di guarire quelle altrui prima di aver guarito le tue, sentirai queste parole: ‘Medico, cura te stesso’ (Lc 4, 23). Se vuoi veramente illuminare e perfezionare gli altri, devi tu stesso essere stato illuminato e perfezionato […] Alla fine, devi essere modello ed esempio di ogni bene e di ogni virtù agli occhi dei tuoi figli spirituali. […] Nella confessione avrai a che fare con molti argomenti pericolosi. Sentirai molti peccati vergognosi delle persone e molte impurità relative alle loro passioni. Devi essere come una bacinella d’oro o d’argento per lavare e detergere la sporcizia altrui senza che nulla si trattenga a sporcarla. […] San Melezio il Confessore dice: ‘Come un leone non può essere pastore di un agnello, così quanti sono sottomessi alle passioni non possono condurre le anime. […] Devono necessariamente presentarsi a Dio liberi dalle passioni” (1).




Ogni confessore è tenuto, nella stessa pratica della confessione, a rispettare un certo numero di regole fissate dalla Chiesa.
Prima di tutto, un confessore non deve confessare una persona nello stesso peccato nel quale è implicato, né una persona con la quale è in conflitto; non deve neppure confessare la propria sposa né i propri figli, se è un sacerdote sposato, per il fatto che la vita di costoro e le circostanze dei loro peccati sono soventi legati alla propria vita e alla propria persona. In ogni caso, le persone che si confessano se si trovano in una posizione ambigua e dissimmetrica, rischiano di farlo in modo parziale poiché non possono esprimersi apertamente e liberamente e non possono neppure ricevere i consigli e le epitimìe [penitenze] in modo appropriato. Il confessore, allora, deve inviare tali persone da un altro confessore (2).

Il confessore dovrà conservare un segreto assoluto per quanto riguarda quello che gli è stato confidato in confessione, compreso il caso di delitti gravi (3).
Deve mostrarsi accogliente verso tutte le persone che gli giungono ricevendole a braccia aperte come, nella parabola, il padre nell’atto di ricevere il figlio prodigo (4).
Il confessore deve prendere tutto il tempo necessario per la confessione, condurla lentamente, non mostrare alcuna impazienza di fronte a chi gli si confessa né alcuna fretta per quanto sta compiendo. Vi si deve attenere  anche se ci fosse una lunga fila d’attesa. Ciò è necessario, da una parte, perché il penitente abbia tutto il tempo di dire quanto deve nel proprio modo e, dall’altra, perché il confessore abbia il tempo di riflettere e dare i consigli più appropriati. San Nicodemo l’Aghiorita scrive a tal proposito:

“Padre spirituale, devi condurre la tua confessione lentamente, minuziosamente, senza fretta se vuoi che la confessione sia come dev’essere e se vuoi che la correzione dei peccati sia vera e salvifica, pure se ci sono molte persone che attendono di vederti. A tal fine, devi dire ai penitenti di presentarsi sufficientemente in anticipo. Poiché, conducendo lentamente la confessione, avrai tempo di riflettere accuratamente ai medicamenti adeguati richiesti  per ciascun peccatore. Infatti molti confessori che sovente si sono affrettati e che, conseguentemente, non hanno avuto tempo di riflettere correttamente, hanno distrutto molte persone invece di correggerle e, nello stesso tempo, si sono distrutti loro stessi con esse, pentendosi amaramente fino alla loro morte” (5).

Nel tempo in cui la persona si confessa, il confessore è tenuto ad essere totalmente neutrale (ossia, ad esempio, non deve avere sbalzi d’umore, non deve gesticolare o avere mimiche o parole di disapprovazione o che lascino intravvedere un qualsiasi giudizio). San Nicodemo l’Aghiorita consiglia a tal proposito:

“Confessore, devi osservare il silenzio e ascoltare colui che confessa i suoi peccati e, pure se sono grandi e numerosi, devi essere attento e non parere scioccato, non devi sospirare o presentare alcun gesto o segno che mostrerebbe quanto sei disgustato o sconvolto. Infatti come un daino si accovaccia e il minimo movimento di una foglia è capace d’impedirglielo, ugualmente è per il peccatore mentre sta confessando, mentre si sta sforzando di dire i suoi peccati: un minimo gesto può provocargli delle difficoltà e, di conseguenza, impedirgli di accovacciarsi, ossia di confessarsi come sta scritto: ‘I figli sono sul punto di nascere e non c’è forza  che gliene dia  la possibilità’ (Is 37, 3). Piuttosto, incoraggiateli in ogni istante, dicendogli di non aver vergogna e che pure voi, per le cose che state sentendo, siete come lui su ogni punto, un identico peccatore, e dopo essersi confessato tornerà a casa alleggerito e totalmente gioioso perché avrà liberato la sua coscienza dalla bruciatura del peccato” (6).

In linea di principio, il confessore deve evitare di porre domande poiché questo implica il rischio, da parte del penitente, di non confessarsi liberamente e completamente e, come rimarca san Nicodemo l’Aghiorita, si tratterrebbe di un interrogatorio, non più di una confessione (7).
Nonostante ciò, può porre delle domande se vede che la persona non sa confessarsi (è sovente il caso delle prime confessioni) (8) o è ignorante su quanto dev’essere confessato, o si è bloccato per eccesso di vergogna (9); il confessore può pure chiedere delle precisazioni su quanto non gli pare chiaro o gli sembra incompleto (poiché è importante per il penitente che la sua confessione sia chiara e completa). Ma conviene che, se interroga, lo faccia con tatto.

Se il confessore pone delle domande, non dev’essere assolutamente mosso da curiosità ma:

a)     da una parte dev’essere spinto dalla preoccupazione di permettere a chi si confessa d’esporre le sue mancanze senza dissimularle, senza omissioni, senza essere trattenuto dalla vergogna né accecato dall’ignoranza e in modo sufficientemente aperto e chiaro per averne coscienza e una sufficiente “simbolizzazione” del peccato (attraverso l’espressione linguistica) e che la sua confessione sia liberatoria;
b)    dall’altra, dev’essere spinto dalla preoccupazione di comprendere sufficientemente la natura del peccato per poter proporre, nei suoi consigli e nell’eventuale epitimìa da dare, i rimedi adeguati.

In nessun caso il confessore deve indagare sull’identità delle persone con le quali è stato commesso il peccato (10); non deve neppure richiedere dettagli sulle circostanze del peccato, se queste possono dar luogo ad una rappresentazione tale da costituire un nuovo peccato (nei pensieri o nell’immaginazione) per colui che si confessa o per il confessore (nel particolare caso dei peccati sessuali).

Nei consigli dati dopo la confessione (e che deve evitare di dare durante la stessa), il confessore non deve sgridare il penitente se non nella misura in cui costui ne può trarre profitto. San Nicodemo l’Aghiorita consiglia:

“Confessore, non è bene sgridare tutti e neppure nessuno. Colui che è istruito e avvisato sa trarre profitto dal fatto che lo si sgridi (cfr. Pr 19, 25); coloro che si confessano con audacia e ardimento hanno ugualmente bisogno di essere sgridati (cfr. Tit 1,13). In compenso, coloro che non sono istruiti non sono recettivi quando li si sgrida (cfr. Pr 15, 12); né i pusillanimi, che rischiano di cadere nella disperazione o nella paura; né coloro che si confessano con contrizione, poiché essi non hanno bisogno d’essere ripresi ma consolati; né coloro che hanno un’autorità secondo il detto ‘non sgridare un anziano ma trattalo come un padre’ (1 Tm 5, 1) […].

Che ne sia, devi sgridare un po’ per volta, come fa Dio stesso (cfr. Sg 12, 2). In una parola, devi sempre sgridare con dolcezza (cfr. 2 Tm 2, 25)” (11).


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Note

(1) Exomologhitarion, I, 1.
(2) Vedi Nicodemo l’Aghiorita, Exomologhitarion, I, 9, 10.
(3) La conoscenza, attraverso un sacerdote, di quanto gli è stato detto in confessione, è sanzionata da un provvedimento di deposizione. Vedi Nicodemo l’Aghiorita, Exomologhitarion, I, 11, 12 il quale si rivolge così al confessore: “Non deve restare nulla dopo la confessione se non il fatto di conservare segreti i peccati ascoltati e di non riferirli mai con una parola, uno scritto, un gesto del corpo o in ogni altro modo, pure se sei in pericolo di morte, secondo quanto dice la Sapienza di Sirach: “Avete sentito una parola? Che muoia con voi” (Sir 19, 10). […] Poiché se la rivelerai, sarai sospeso, ossia completamente deposto dai canoni ecclesiastici […] e in seguito sarai causa per molti cristiani di non confessarsi nel timore che tu rivela i loro peccati”. Su quest’ultimo punto vedi pure San Giovanni Climaco, Lettera al pastore, 83.
(4) Exomologhitarion, I, 9, 1.
(5) Cfr. Exomologhitarion, I, 9, 18.
(6) Exomologhitarion, I, 9, 4.
(7) Exomologhitarion, I, 9, 3.
(8) Il Grande Eucologio e il Trebnik, nella loro descrizione del rituale, espongono queste domande. […].
(9) Cfr. Nicodemo l’Aghiorita, Exomologhitarion, I, 9, 3.
(10) Cfr. Ibid. , I, 9, 5.

(11) Exomologhitarion, I, 9, 7.

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