lunedì 17 novembre 2014

San GERARDO Maiella

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Mosaico della Parrocchia San Gerardo
Maiella, Fort Oglethorpe (Stati Uniti)
Come un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole, l'anima di San Gerardo Maiella lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!

Suor Clara Isabel Morazzani Arráiz

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8). Forse questa è una delle più belle frasi del Vangelo, e una delle più conosciute. Tuttavia, non sempre troviamo il significato più profondo voluto dal Divino Maestro nel pronunciarla. Di certo non si riferiva solo alla purezza dei Santi nel Cielo, né a quella per cui il cuore, ancor qui sulla Terra, è continuamente alla ricerca di Dio, ma anche alla visione che l'innocente possiede di tutte le creature, discernendo in loro un riflesso del Creatore.

Ora, secondo Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino e altri Dottori, è possibile per un uomo cominciare a godere, ancora in questa vita, dei premi promessi nel Discorso della Montagna. Circa la ricompensa dei puri, scrive il Dottor Angelico: "Con la visione purificata dal dono dell'intelligenza, Dio può, in un certo modo, esser visto".1

Se tutti i Santi raggiungono questa singolare verginità di spirito, in alcuni essa sembra brillare con maggior splendore, servendo da modello da imitare. Così avviene con San Gerardo Maiella, che nella sua breve esistenza di soli 29 anni lasciò alla Chiesa un esempio vivo di questa beatitudine. "O mio Dio, di tutte le virtù che Ti sono gradite, la mia preferita è la purezza di cuore"2 – ha scritto.

Percorrendo la sua storia, analizzando le sue virtù, i suoi miracoli e, soprattutto, le terribili sofferenze che dovette affrontare, abbiamo l'impressione di contemplare un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole: la sua anima lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!

Un bambino predestinato

Ultimo figlio di una pia famiglia, Gerardo nacque nella piccola città di Muro Lucano, vicino a Napoli, nell'aprile del 1726. Fin da molto giovane diede manifestazioni di essere un'anima prediletta dalla Provvidenza: non chiedeva mai di mangiare e, in alcuni giorni della settimana, arrivava a rifiutarlo, preannunciando i digiuni che avrebbe più tardi praticato e la sua celebre massima: "L'amore a Dio non entra nell'anima se lo stomaco è pieno".3

Il suo principale passatempo consisteva nell'erigere piccoli altari, adornandoli con candele e fiori; ma il suo luogo preferito era la cappella di Capodigiano, dedicata alla Santissima Vergine, distante da Muro circa 2 km.
Da qui tornò, una volta, portando un piccolo pane bianco. Alla mamma che gli chiese chi gli avesse dato l'alimento, rispose: "Il figlio di una bella signora col quale ho giocato".4

Siccome il fatto si ripeté quotidianamente per vari mesi, una delle sue sorelle lo seguì un giorno, senza che lui se ne accorgesse, e poté testimoniare il seguente spettacolo: appena Gerardo si inginocchiò ai piedi della statua di Maria, il Bambino Gesù scese dalle braccia di sua Madre per giocare con lui e, al momento di salutarlo, gli consegnò un pezzo di pane.
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Di notte, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle
campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo Sacramento
La città di Muro, con in cima la Concattedrale di San Nicola
La sua Prima Comunione non fu meno straordinaria: avendo ricevuto dal parroco una categorica risposta negativa, perché era ancora troppo piccolo per ricevere il Pane dei forti, il piccolo Gerardo si mise a singhiozzare in fondo alla chiesa. Quella stessa notte gli apparve San Michele Arcangelo e gli amministrò la Sacra Eucaristia!

Già nell'adolescenza, segno di contraddizione

A somiglianza di Nostro Signore Gesù Cristo, Gerardo fu, fin dai primi anni, un segno di contraddizione (cfr. Lc 2, 34) negli ambienti che frequentava. A causa della morte di suo padre, si vide obbligato a lavorare come apprendista di un sarto. Il padrone dello stabilimento si affezionò a lui; ma il capo dei dipendenti, al contrario, fu preso da antipatia per il giovinetto, proprio perché lo vedeva così pio. Lo accusava di essere un vagabondo, lo copriva di schiaffi, al punto che, una volta, gli fece perdere i sensi. Gerardo non si lamentava mai col padrone; anzi, era contento di patire per Gesù e ripeteva al suo carnefice: "Battimi, battimi ancora, che merito questo castigo"!5

Qualche tempo dopo, si mise a servizio di Mons. Albini, Vescovo di Lacedonia, noto per il suo carattere irascibile. Per tre anni Gerardo sopportò umiliazioni, reprimende, maltrattamenti... Una volta, fece cadere nella cisterna il mazzo di chiavi della residenza episcopale. Preso da una terribile afflizione, trovò solo una via d'uscita: fece scendere fino in fondo al pozzo, legata alla corda, una statua del Bambino Gesù, e nel contempo supplicava: "Solo Tu puoi aiutarmi... Se non vieni in mio soccorso, Monsignore mi sgriderà. Per favore, riportami la chiave!".6 Tirò la corda e – oh, meraviglia! – la statua aveva le chiavi in mano. Questo prodigio e la sua eroica pazienza gli valsero l'ammirazione di tutta la città, eccezion fatta per lo stesso prelato. E quando questi morì, Gerardo dimostrò con le sue lacrime quanto stimava colui che tanto lo faceva soffrire:
– Ho perso il mio migliore amico! – esclamava sconsolato.

"Più pazzo sei Tu, Signore"!

Ritornato a Muro, Gerardo aprì una sartoria. Mentre l'ago correva tra le sue agili dita, la sua anima si elevava alle altezze della contemplazione. Nutriva una filiale devozione per Maria Santissima, cui aveva consacrato la sua verginità, e gli bastava pronunciare il suo nome per sperimentare trasporti d'amore.

Inebriato dalla "stoltezza" della Croce (cfr. I Cor 1, 18), cercava di imitare in tutto le sofferenze del Salvatore: si flagellava fino a sanguinare, si comportava da pazzo per attirare il disprezzo dei suoi concittadini, passava giorni interi senza mangiare e, le notti, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo Sacramento. Se, da un lato, il demonio gli ordiva delle trappole, prendendo le sembianze di un cane furioso o provocando incidenti, dall'altro, il Signore lo ricompensava con numerose consolazioni.
Andreas F. Borchert (CC-3.0)     
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Non appena vide alcuni religiosi
redentoristi, Gerardo comprese
che quella era la sua vocazione
Sant'Alfonso de' Liguori - Cattedrale
di Carlow (Irlanda)
In una di queste lunghe veglie, una voce soave, proveniente dal tabernacolo, ruppe il silenzio notturno: "Pazzerello!".7 La risposta uscì rapida dalle sue labbra ardenti: "Più pazzo sei Tu, Signore, che per amore stai qui, prigioniero nel tabernacolo!".8

Nella Congregazione del Santissimo Redentore

Essere religioso era stato sempre il sogno di Gerardo; tuttavia, alla Provvidenza piacque provare la sua perseveranza prima di accettare la sua consegna. Non riuscì in due tentativi ad entrare nei Cappuccini e in una breve esperienza come anacoreta. Questo avrebbe scoraggiato qualunque altro, non il giovane Maiella!

Alcuni preti della Congregazione Redentorista, che era appena stata fondata da Sant'Alfonso de' Liguori, giunsero a Muro per predicare una missione. Non appena li vide, Gerardo comprese che questa era la sua vocazione, e chiese di essere ammesso. Il superiore, padre Paolo Cafaro, si rifiutò esplicitamente, allegando che lui non possedeva le forze necessarie per sopportare i rigori della vita religiosa. Siccome si era incaponito nella sua decisione e lo importunava incessantemente, padre Cafaro chiese a sua madre di chiuderlo a chiave in camera, il giorno della partenza dei missionari. Il giovane, però, usando una corda fabbricata con le lenzuola, scappò dalla finestra e corse dietro ai redentoristi, lasciando un biglietto per la famiglia: "Vado a farmi santo. Dimenticatemi".9

Li raggiunse per strada e li seguì fino alla città vicina, ricevendo sempre lo stesso rifiuto. Infine, la sua santa e serena tenacia poté più della determinazione ferrea del superiore: nel maggio 1749, a 23 anni, fu accolto, a titolo di prova, nel convento di Deliceto.

Instancabile apostolo, grande taumaturgo

Cominciava per Gerardo l'ultima tappa della sua vita: soltanto sei anni lo separavano dalla sua dipartita per l'eternità... sei anni fecondi in meriti, ricchi di fatti miracolosi e rapimenti celesti, inframmezzati da difficoltà e sofferenze quasi sovrumane.

Considerato inutile per qualsiasi lavoro a causa della sua estrema magrezza, non tardò a smentire questa fama. Il fuoco interiore che lo consumava suppliva alla mancanza di robustezza, al punto che i religiosi affermavano che rendeva per quattro persone. Si prodigava in attenzioni verso gli altri e assumeva su di sé gli incarichi più umili: giardiniere, sacrestano, collettore di elemosine, portinaio... La sua presenza fu contesa nelle diverse case della Congregazione.

Esimio nel compimento degli obblighi, si rivelò anche apostolo infaticabile e irresistibile nelle missioni. Scrive uno dei suoi biografi: "Il suo aspetto, la sua semplice presenza, raccontano i testimoni, valevano una predicazione; si sentiva Dio in lui. La sua parola ardente imprimeva nelle anime l'orrore per il peccato, l'ardore per la preghiera, l'amore a Gesù e a Maria, e la fedeltà ai doveri di stato. [...] Esalava dalla sua persona un non so che di divino che consolava i cuori, guariva le anime e trascinava alla virtù".10

Assecondato dal dono di miracoli concesso dalla Provvidenza, produceva abbondanti frutti di apostolato. Gli elementi, le malattie e i demoni obbedivano alla sua parola. Guarì un numero sterminato di infermi, tra i quali una bambina paralitica dalla nascita. In varie occasioni, moltiplicò il cibo e giunse ad aprire le acque di un fiume che gli impediva il passaggio.
Uno dei suoi più clamorosi prodigi fu quello realizzato a Napoli. Una folla riunita in riva al mare si affliggeva davanti allo spettacolo di un'imbarcazione piena di passeggeri che si dibatteva tra le onde, in mezzo a una furiosa tempesta. Passando per di lì, Gerardo si gettò in acqua e ordinò alla barca, in nome della Santissima Trinità, di fermarsi. Dopo la trascinò fino a terra, come se fosse paglia, e uscì dall'acqua con gli indumenti interamente asciutti. Tutto il popolo lo acclamava, volendo rendergli omaggio, ma egli fuggì di corsa per le vie della città.

Un serafino in carne e ossa

Tuttavia, dove più si faceva sentire l'aroma della sua santità era nel recinto sacro del convento. In tal modo in questo religioso esemplare rivaleggiavano le virtù, che sarebbe difficile indicarne una come la principale. Non c'era nessuno più umile, più obbediente, più osservante della regola! I suoi stessi maestri lo prendevano a modello e i confessori si confondevano davanti all'integrità di quel fratello laico, neofita nella vita religiosa e già elevato alle vette della perfezione. Alcuni suoi contemporanei giunsero ad affermare che sembrava non essere stato toccato dal peccato originale, come un serafino in carne e ossa!

I fenomeni mistici con cui fu graziato sono uno dei tratti più sorprendenti della sua spiritualità. "A quanto pare, tutti i favori concessi da Dio agli altri santi, nell'ordine mistico, Egli ha voluto riunirli nella persona del nostro serafico confratello",11 scrive il citato padre Saint-Omer. Infatti, in un secolo nel quale il razionalismo cercava di negare l'esistenza del soprannaturale e, in fondo, di Dio stesso, la vita di Gerardo mostrava come siano tenui i veli che ci separano dal mondo invisibile, per cui dobbiamo convincerci che siamo sempre sotto lo sguardo di Dio.
Visioni, estasi, levitazioni, dono di profezia, scienza infusa, discernimento degli spiriti, conoscenza a distanza, aureole, bilocazioni, invisibilità... Impossibile descrivere nell'esiguo spazio di un articolo ognuna di queste meraviglie!
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All’improvviso, Gerardo fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant’Alfonso de Liguori.
Era il primo incontro dell’umile frate col fondatore... e quanto doloroso!

Cella e cappella privata di Sant’Alfonso de’ Liguori, Pagani
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Citiamo soltanto due esempi. In visita al Carmelo di Ripacandida, entrò improvvisamente in estasi e il suo corpo diventò incandescente al punto di sciogliere la grata di ferro che egli toccava con le mani. Gli accadde anche di sollevarsi dal suolo, contemplando un bel dipinto della Santissima Vergine, fino a raggiungere l'altezza del quadro e, baciandolo con ineffabile affetto, esclamare: "Come è bella! Guarda com'è bella!".12

Sotto il segno del dolore

Si farebbe comunque, un'idea sbagliata riguardo a Gerardo, chi credesse che egli sia stato un uomo quasi magico, immune dalle tentazioni e dalle sofferenze. Nulla di più contrario della realtà! Dal suo ingresso nella Congregazione, soffrì terribili privazioni spirituali, nelle quali si riteneva abbandonato da Dio, pronto a soccombere alla disperazione. La sua stessa descrizione, in una lettera a una religiosa, è più convincente di qualsiasi narrazione: "Sono sceso così in basso che non vedo più nemmeno la possibilità di uscire da questo precipizio... poco mi preoccuperei se per lo meno potessi amare Dio e piacerGli. Ma, ecco la spina che trafigge il mio cuore: mi sento che soffro senza Dio. [...] Mi vedo come sospeso sull'abisso della disperazione. Mi sembra che Dio sia scomparso per sempre, che le sue divine misericordie si siano esaurite, che sopra la mia testa aleggino minacciosi i fulmini della sua giustizia".13

Fatto curioso: nella misura in cui Gerardo progrediva in virtù, le angosce si facevano più frequenti e intense. Nel 1754, un anno prima della morte, sopravvenne la grande prova, terribile e spaventosa. All'improvviso, fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant'Alfonso de Liguori. Era il primo incontro dell'umile frate col fondatore... e quanto doloroso! Dopo averlo salutato, Sant'Alfonso lesse a voce alta due lettere nelle quali qualcuno accusava il giovane religioso di un crimine commesso proprio contro la virtù che lui più amava: la castità!

Ciò nonostante, senza far trasparire alcuna emozione, Gerardo rimase in silenzio. Tale atteggiamento equivaleva a un assenso... Sorpreso, il fondatore decise di non espellerlo, ma gli impose una durissima penitenza: privazione dell'Eucaristia e proibizione di trattare con persone esterne alla Congregazione. Per più di due mesi egli sopportò questa situazione vessatoria, sorvegliato dai superiori, oggetto di sospetto di quanti lo conoscevano. Quello che più gli faceva male, però, era la mancanza della Comunione. Gli costava contenere gli ardori del desiderio di ricevere un così augusto Sacramento. A un sacerdote che lo esortava a servire da accolito la sua Messa, rispose: "Non mi tentare, caro padre, potrei strapparti l'Ostia dalle mani!".14

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"Figlio mio, perché non hai parlato?
Perché non hai pronunciato neppure
una parola per difendere la tua
innocenza?"
Conversazione tra Sant'Alfonso
e San Gerardo - Santuario di
Pagani (Salerno)
Finalmente, la verità venne fuori: altre due lettere, che smentivano la calunnia delle precedenti, rivelarono a Sant'Alfonso la falsità dell'accusa alla quale il suo cuore di padre si rifiutava di dare interamente credito... Invitato, ancora una volta, a presentarsi davanti al fondatore, Gerardo fu ricevuto con queste parole: "Figlio mio, perché non hai parlato? Perché non hai pronunciato neppure una parola per difendere la tua innocenza?".15 Al che egli replicò: "Padre mio, come avrei potuto farlo, se la nostra regola non ammette scuse di fronte ai rimproveri dei superiori?".16

"La volontà divina e io siamo una cosa sola"

Gerardo non era più di questo mondo. Del resto, non lo era mai stato! Tuttavia, quella tribolazione lo aveva allontanato ancor più dalle cose terrene. Nell'agosto del 1755, durante una missione, ebbe la prima emottisi. Il suo superiore lo indirizzò al convento di Materdomini, affinché si ristabilisse. Lungi dal regredire, la malattia peggiorò rapidamente: sangue, febbre, malesseri infiniti. Nulla, tuttavia, riuscì a strappargli un solo lamento: "La volontà divina e io siamo una cosa sola",17 diceva con gioia. A costo di enorme sforzo lasciava il letto per passare alcune ore in ginocchio davanti al Crocefisso della sua cella.

Anche questo periodo fu segnato da fatti straordinari: dal suo corpo minato dalla tubercolosi emanava un profumo così penetrante che i visitatori identificavano la sua stanza con facilità. Più edificante ancora fu la sua obbedienza: avendo ricevuto l'ordine di guarire, si alzò subito e riprese la vita comunitaria per varie settimane.

Senza dubbio, la volontà di Dio era un'altra, e in ottobre la malattia lo attaccò con maggior rigore. Nei pochi giorni che gli restavano, patì, per uno speciale favore del Cielo, i tormenti della Passione di Cristo. Giunto il giorno 15, annunciò che sarebbe morto quella sera stessa. Ricevette la mattina il Viatico e, nel pomeriggio, recitò il Salmo Miserere. Due ore prima di morire, vedendo approssimarSi la Regina del Cielo, si inginocchiò sul letto ed entrò in estasi. Era circa la mezzanotte quando la sua anima abbandonò il corpo.

Immediatamente il suo volto inerte si trasfigurò, acquistando una bellezza angelica. E quando il campanaro del convento volle far suonare il rintocco dei defunti, sentì una forza irresistibile che lo obbligò a suonare il carillon delle grandi feste!
Nel 1893, Leone XIII elevò Gerardo Maiella all'onore degli altari, come Beato. Undici anni dopo, San Pio X iscrisse nel Catalogo dei Santi questo religioso esemplare che mantenne sempre intatta la sua purezza di cuore.

1 SAN TOMMASO D'AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.69, a.2, ad 3.
2 DUNOYER, CSsR, Jean-Baptiste. Vie de Saint Gérard Majela, rédemptoriste. Saint-Étienne: Bureaux de "L'Apôtre du Foyer", 1943, p.103.
3 REY-MERMET, CSsR, Thèodule. San Gerardo Maiella, il "pazzerello" di Dio. Materdomini: Stampa Valsele, 1992, p.51.
4 SAINT-OMER, CSsR, Édouard. Le Thaumaturge du XVIIIe siècle ou la vie, les vertus et les miracles du Bienheureux Gérard-Marie Majela. Desclée de Brouwer et Cie, 1893, p.2.
5 DUNOYER, op. cit., p.21.
6 Idem, p.32.
7 REY-MERMET, op. cit., p.32.
8 Idem, ibidem.
9 Idem, p.46.
10 SAINT-OMER, op. cit., p.75.
11 Idem, p.80.
12 Idem, p.46.
13 DUNOYER, op. cit., p.276- 277.
14 REY-MERMET, op. cit., p.114.
15 Idem, p.115.
16 Idem, ibidem.
17 Idem, p.133.

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