domenica 28 ottobre 2018

Genesi della regola di san Francesco d'Assisi, di Luciano Bertazzo.

Dalla «forma vitae» alla Regola bollata. Storia di un passaggio di frate Francesco e dei suoi frati
Luciano Bertazzo


Era il 3 ottobre del 1226 quando nella piana di Assisi, presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, Francesco chiudeva la sua esistenza terrena, iniziata circa quarantasei anni prima. Negli ultimi mesi aveva dettato il suo Testamento: documento lucido e deciso nel ripercorrere i passaggi più significativi e determinanti del suo itinerario umano e spirituale.
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito stetti un poco e uscii dal secolo[1].
In un successivo ricordo passa dall’esperienza personale a quella della primitiva fraternità[2] con il «dono dei fratelli»:
E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò[3].
Brevissimi accenni di un’esperienza che si era avviata circa diciassette anni addietro, che molte modificazioni aveva avuto nella sua evoluzione. Cosa era intercorso tra l’esperienza dapprima personale di Francesco e poi del piccolo gruppo dei «viri poenitentiales de Assisio oriundi»[4] che, con l’autorizzazione pontificia si erano sparsi in tutta la cristianità del tempo? Come è avvenuto il passaggio tra le «poche e semplici parole» ricordate nel Testamento e la Regola definitivamente approvata, con il sigillo (bolla) pontificio il 29 novembre 1223, dopo che un’altra Regola, approvata pur senza bolla ufficiale (non bollata), era stata accolta in un animato capitolo di tutta la fraternità nel 1221?

Dall’intuizione all’approvazione della «forma vitae»

Sono questi i passaggi che ci permettono di comprendere come la convinta «intuizione» di una chiamata personale rivolta a Francesco sia divenuta progressivamente un’«istituzione» complessa e articolata[5], con i rischi che questa comportava e dai quali frate Francesco metteva in guardia nel suo Testamento. Un lascito da accogliere come «ricordo, ammonizione, esortazione» (v. 34), richiamando con forza quanto a lui era stato rivelato per diventare patrimonio ecclesiale (v. 31): passaggio che da sempre costituisce «il fascino e il tormento» della storia francescana[6].
L’esperienza di Francesco d’Assisi aveva preso avvio tra il 1204 e il 1206, manifestandosi come una progressiva domanda di senso della propria esistenza. Le biografie successive legano l’inquietudine esistenziale della sua ricerca ad alcuni luoghi e momenti diventati significativi: la chiesetta di San Damiano e il crocifisso che in esso si trovava[7], la rinuncia all’eredità paterna, l’adozione dell’abito da eremita[8], il muoversi tra i luoghi della piana di Assisi impegnandosi nel restauro della chiesa di San Damiano[9]. E c’è un passaggio decisivo in questa ricerca:
Un giorno mentre ascoltava la messa, udì le istruzioni date da Cristo ai suoi discepoli quando li inviò a predicare: che cioè per strada non dovevano portare né oro, né argento, né borsa, né bisaccia, né pane, né bastone, né calzature, né due tuniche (cf. Mt 10,9-10; Lc 9,3; 10,4). Aiutato poi dallo stesso sacerdote a comprendere meglio queste consegne, colmo di gioia indicibile esclamò: «Questo è ciò che voglio è ciò che bramo realizzare con tutte le mie forze». E fissando nella memoria tutto quello che aveva udito, si impegnò a seguirlo lietamente[10].
Il vangelo diventa da allora costante punto di riferimento della sua ricerca, capace di ispirarla e condurla[11].
La scelta di Francesco fece scalpore nell’Assisi del tempo. Con dubbi e perplessità. Capaci tuttavia di mettere in crisi altre persone, anche di ceto rilevante, che convinti della conversione di quello che era considerato da molti quale pazzo[12] decisero di seguirlo nella radicalità della sequela evangelica[13]. Non senza contrasti familiari e sociali, come riporta la memoria diretta dei primi compagni. Questi ci offrono un quadro che rivela una condizione meno idilliaca di quanto la recezione poetica delle origini abbia fatto immaginare:
Quando poi chiedevano l’elemosina in città, quasi nessuno voleva darla, ma li rimproveravano dicendo che avevano abbandonato le loro cose per mangiare quelle degli altri. E così pativano una penuria estrema. Anche i loro genitori e i consanguinei li perseguitavano: gli altri concittadini li disprezzavano e li schernivano come si farebbe con degli eccentrici scervellati, perché a quel tempo, nessuno abbandonava i propri averi per andare a elemosinare di porta in porta[14].
Con l’arrivo dei primi compagni, raggiunto il numero apostolico di dodici[15], si avvia la fase del riconoscimento ecclesiale dell’esperienza che stavano conducendo, già delineata in una norma di vita «composta soprattutto di espressioni del vangelo, alla cui perfezione continuamente aspirava»[16]. Un riconoscimento opportuno in un momento storico in cui tanti gruppi si costituivano richiamandosi all’esperienza ecclesiale delle origini, «vivere secundum formam primitivae ecclesiae», collocandosi in confini labili tra ortodossia e eterodossia. L’intelligenza politica di papa Innocenzo III fu di integrare nell’istituzione ecclesiale molti di questi gruppi[17].
In un tempo, che collochiamo tra 1209 e 1210, il gruppo dei primi frati si avvia dunque verso Roma per ottenere l’approvazione pontificia da parte di Innocenzo III.
L’esperienza di un gruppo fraterno[18], («Dopo che il Signore mi donò dei fratelli») ancora in nuce («Nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare»), chiaro nella sua quasi ovvia semplicità («Lo stesso Altissimo mi rivelò che dovessi vivere secondo la forma del santo vangelo»), progetto steso con poche parole messe per iscritto, «confermate dal signor papa»: sono tre passaggi nella memoria di un inizio, che storicamente, tuttavia, risultano essere più complessi di quanto detto nell’essenzialità delle parole.
Non una cosa improvvisata. C’è un piano che vede la collaborazione del vescovo Guido di Assisi[19] convinto della scelta di Francesco, in grado di trovare i giusti contatti nella rete della curia romana. A farsi promotore della richiesta di Francesco è il cardinale vescovo di Sabina Giovanni di San Paolo, «che tra i principi e prelati della curia romana aveva fama di disprezzare le cose terrene e amava le celesti»[20] deciso, dopo le prime perplessità, ad appoggiarlo nel suo progetto[21].
La tradizione agiografica ricorda l’incontro, arricchendolo di particolari. Le «poche e semplici parole» del Testamento diventano nella memoria successiva un racconto complesso nell’intreccio di una serie di elementi: sogni e interpretazioni, discussioni e perplessità, giungono infine alla felice conclusione dell’approvazione dell’esperienza:
Il pontefice considerando il fervore di lui (Francesco) nel servizio di Dio e confrontando la sua visione con il racconto simbolico riferitogli da Francesco, cominciò a dire tra sé: «In verità è questo l’uomo religioso e santo per mezzo del quale la Chiesa di Dio sarà rialzata e sostenuta». E così egli abbracciò Francesco e approvò la Regola che aveva scritto. Autorizzò inoltre lui e i suoi compagni a predicare ovunque la penitenza, a patto che quanti avrebbero predicato ottenessero il permesso del beato Francesco. E questa stessa cosa in seguito approvò in concistoro. Ottenute che ebbe queste concessioni, il beato Francesco, rese grazie a Dio, e mettendosi in ginocchio, promise con umiltà e devozione al signor papa obbedienza e riverenza[22]. Gli altri fratelli, secondo l’ordinanza del signor papa, promisero a loro volta obbedienza e riverenza al beato Francesco. Ricevuta la benedizione da Innocenzo III, si recarono a visitare le tombe degli apostoli. Il cardinale di San Paolo ottenne che al beato Francesco e gli altri undici fratelli fosse conferita la tonsura, poiché voleva che tutti e dodici fossero aggregati ai chierici. Lasciando l’urbe, l’uomo di Dio partì con i suoi fratelli alla volta del mondo, colmo di meraviglia nel vedere realizzato con tanta facilità il suo desiderio[23].
Il quadro contestuale è così delineato, in modo da inglobare identità carismatica con elementi istituzionali che solo successivamente troveranno sviluppo. Una fraternitas che si evolve in una religio, in un gruppo riconosciuto che vive una vita religiosa[24]. L’approvazione iniziale di un testo molto semplice che ispira la vita di questo gruppo, permetterà alla religio dei frati minori di non essere vincolati alla disposizione conciliare del concilio Lateranense IV «Ne nimia religionum diversitas» (Cost. 13), che obbligava i nuovi Ordini ad assumere una delle Regole già approvate.

Dalla «forma vitae» alla Regola non bollata[25]

La prassi della primitiva fraternità era quella di ritrovarsi annualmente, con lo scopo di verificare progressi spirituali e problemi comuni nel vivere l’ideale evangelico che ci si era proposto.
Giacomo da Vitry, testimone esterno all’Ordine, ci ha lasciato un’importante testimonianza su questa prassi dei primi frati, già chiamati minores[26]. In una lettera da Genova nell’ottobre 1216 agli amici di Fiandra da dove proveniva, scriveva:
Gli uomini di questa «religione» con notevole vantaggio convengono una volta l’anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano le loro sante leggi e confermate dal signor papa. Dopo di che si disperdono durante tutto l’anno per la Lombardia, la Toscana, Puglia e Sicilia[27].
La testimonianza dei Tre compagni ci dice di un’intensa e progressiva attività legislativa all’interno della fraternità delle origini:
Francesco ebbe a scrivere più regole le sperimentava prima di comporre quella definitiva, che lasciò ai fratelli[28].
Conosciamo l’apporto delle «persone esperte»: il cardinale Giovanni di San Paolo «sovente dava suggerimenti e protezione»[29] e dopo la sua morte Ugolino di Ostia, fu a disposizione pronto ad accordare «aiuto, consiglio e difesa, secondo i vostri desideri»[30]; come pure la «consulenza» richiesta da Francesco a frate Cesario da Spira, esperto di Sacra Scrittura, per arricchire con testi evangelici la Regola redatta inizialmente con semplici parole[31].
La progressiva evoluzione che la fraternità aveva avuto in modo accelerato dalla prima intuizione di Francesco, viene documentata dalla Regola accolta e approvata nel capitolo generale celebrato ad Assisi nel giorno di Pentecoste il 23 maggio 1221. Chiamata Regola non bollata non avendo ricevuto l’approvazione formale da parte della curia romana, costituisce il documento che attesta la progressiva evoluzione organizzativa e spirituale del gruppo che nel 1209/1210 aveva avuto l’approvazione orale papale.
La struttura della Regola[32] è costituita da un Prologo, che ricorda la precedente approvazione papale da parte di Innocenzo III; l’impegno di Francesco, guida carismatica anche se non più con l’autorità di ministro[33], per lui e per quanti saranno «a capo di questa religione», a obbedire al «signor papa» Innocenzo e ai suoi successori. Seguono ventiquattro capitoli in cui è possibile cogliere la progressiva stratificazione di norme che la fraternità si dà nel ritrovarsi annualmente nei capitoli generali.
I capitoli della Regola non bollata si pongono con una successione non sempre omogenea, trovando rimandi e riferimenti sparsi in capitoli che portano intitolazioni diverse.
In un breve excursus del loro contenuto, possiamo rilevare nel cap. I che «la regola e la vita» dei fratelli, si enuclea nei i tre voti di «obbedienza, castità, senza nulla di proprio» che sono modalità dell’essenzialità che è «seguire l’insegnamento e le orme del Signore nostro Gesù Cristo», secondo quanto Francesco e i primi compagni avevano ascoltato nella chiesa di San Nicolò di Assisi[34].
I successivi capitoli, dal II al VI, riguardano la vita dei frati: l’accoglienza nella religio, ammessi definitivamente solo dopo l’anno di noviziato stabilito da Onorio III[35], ricevendo povere vesti anche rappezzate, con il ricordo in questa povertà a esperienze concrete dei primi tempi[36]; la vita di preghiera (senza distinzione tra chierici e laici nell’obbligo del divino ufficio, II,3); la pratica del digiuno richiamando una libertà evangelica[37], non condivisa da altri frati, desiderosi di regole più rigide, finché Francesco si trovava in Oriente[38].
È già in uso il termine di ministro (II,3.8), che rimanda alla divisione dell’Ordine in strutture amministrative avviate nel 1217 con le prime missioni «ultra montes», così com’è assodato il termine di «frate minore» (VI,18)[39].
La funzione dei responsabili della fraternità è quella di essere «ministro e servo» (IV,2.6; V,3.7), nessuno deve essere chiamato «priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori» (VI,3). Un compito che viene definito progressivamente, sia nell’organizzazione (IV,2: «Assegnino il luogo ai loro frati»), sia, ancor più, nella premura spirituale nei loro confronti (IV,2: «Spesso li visitino, e li esortino e li confortino secondo lo Spirito»; V,7: «Lo correggano con umiltà e dolcezza»).
Il capitolo generale nel tempo di Pentecoste è il punto di riferimento in cui tutta la fraternità si ritrova per trattare i propri problemi (V,4). Il cap. XVIII fa capire il passaggio in atto da un sistema assembleare a cui partecipano tutti i frati, a un sistema rappresentativo limitato ai ministri. Viene precisata la funzione del capitolo provinciale[40]e del capitolo generale da convocarsi ogni tre anni, alla Porziuncola, per i ministri delle regioni d’oltremare e d’oltralpe, annualmente per quelli delle regioni italiane (XVIII,2). Rimane indiscussa l’autorità del «ministro e servo di tutta la fraternità» nella libertà di convocare i ministri.
I cap. VII-XII si riferiscono a condizioni relative alla vita quotidiana dei frati. Ne risulta un quadro ancora non organizzato dove i frati possono dedicarsi a forme di volontariato soprattutto presso lebbrosari[41] o possono continuare a esercitare il lavoro che già conducevano[42], utilizzando i propri strumenti di lavoro (VII,9), lavorando anche presso terzi, purché «non generi scandalo o che porti danno alla loro anima, ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa» (VII,1-2)[43].
Una condizione domina insistentemente: il rifiuto del denaro[44] a cui è dedicato tutto il cap. VIII: «Che i frati non ricevano denaro». Un’unica eccezione è contemplata, dettata dalla contingenza di una fraternità che è ancora mobile, senza luoghi stabili, la cura degli infermi (VIII,3). Un’attenzione fraterna nei confronti degli ammalati, in un contesto di precarietà sociale e sanitaria, regolato dal cap. X: «Dei frati infermi»[45]. Per loro è prevista anche l’eccezione del poter usare cavalcature (XV,2).
I rapporti fraterni, a partire dalla contingenza della malattia, si ampliano con il successivo cap. XI: «Che i frati non facciano ingiuria né detrazione, ma si amino scambievolmente», probabile riflesso di immancabili tensioni superabili con continui rimandi alla parola evangelica. È una fraternità, che si muove tra tentativi di una maggiore stabilizzazione, ma anche con solleciti richiami alla marginalità sociale:
E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada (IX,2)[46].
L’elemosina, dopo il lavoro (VII) diventa una realtà che si affaccia spesso nella loro scelta, «e quando sarà necessario vadano per l’elemosina» (IX,3), senza nascondersi situazioni imbarazzanti vissute dall’esperienza dei fratres:
E non si vergognino […] e quando gli uomini li facessero arrossire e non volessero dare loro l’elemosina, ne ringrazino Iddio […] e sappiano che l’umiliazione è imputata non a coloro che la ricevono ma a quelli che la fanno (IX,4-7).
È l’esperienza di una fraternità in movimento («I frati dovunque dove sono o dovunque vanno» [XII,1]), che deve prendere anche delle precauzioni, soprattutto nei confronti delle donne (cap. XII), senza implicarsi eccessivamente nella loro cura spirituale:
Nessuna donna in maniera assoluta sia ricevuta all’obbedienza da alcun frate, ma una volta datole il consiglio spirituale, essa faccia vita di penitenza dove vorrà(XII,4)[47].
Situazioni di debolezza devono aver provocato la stesura del cap. XIII: «Dell’evitare la fornicazione», con «l’espulsione totale dalla nostra religione», per chi non l’aveva evitata.
I cap. XVI-XIX, con l’eccezione del cap. XVIII relativo all’organizzazione capitolare, ampliano «l’andare per il mondo», includendo anche la dimensione missionaria dell’andare «tra i saraceni e gli altri infedeli» (cap. XVI)[48] con le due modalità: quella della semplice testimonianza (XVI,6), o dell’annuncio esplicito «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio» (XVI,7). Un andare con il permesso del «ministro e servo», obbligato a un discernimento nell’esaudire la richiesta, tenuto «a rendere ragione al Signore, se in questo o in altre cose avrà proceduto senza discrezione» (XVI,4).
I primi versetti del cap. XVII: «Dei predicatori», fanno proprie le indicazioni sancite dal concilio Lateranense IV nel 1215[49]. La maggior parte del capitolo prosegue facendo riemergere con forza la figura di Francesco, che in prima persona «scongiura» tutti i suoi fratelli, chierici e laici che siano, occupati secondo tre categorie «nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro», (XVII,5) di «predicare con le opere» (XVII,3) e di non esaltarsi in quello che Dio opera loro tramite (XVII,6); difendendosi «dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne» (XVII,10), in una libertà chiamata a tutto «restituire» al Signore (XVII,17).
C’è un richiamo alla cattolicità, nella vita e nelle parole, che ritorna anche nel successivo cap. XIX: «Che i frati vivano cattolicamente». Per chi tale non fosse si stabiliva, caso unico oltre al peccato della fornicazione (cap. XIII), l’espulsione dalla fraternità. Si tratta di un breve capitolo che rimanda all’atteggiamento che i frati dovevano tenere nonostante i dubbi che potevano esserci circa la loro ortodossia[50], riconfermando la venerazione per tutti i «chierici e religiosi [ritenuti] per religiosi in quelle cose che riguardano la salvezza dell’anima e che non deviano dalla nostra religione» (XIX,3).
Il cap. XX offre gli ultimi spunti per la vita sacramentale della fraternità, con riferimento alla riconciliazione da praticarsi con sacerdoti «prudenti e cattolici» (XX,2) e in mancanza di questi, «si confessino a un loro fratello», in attesa di ricevere l’assoluzione sacramentale: un’assoluzione per poter ricevere «contriti e confessati» il corpo e il sangue del Signore (XX,7)[51].
Negli ultimi capitoli la Regola non bollata sembra riprendersi tutto lo spazio della lode, della gratuità, della libertà evangelica, l’anima profonda di Francesco, in un impellente bisogno di comunicare ai «fratelli donatigli dal Signore» l’ardente passione che aveva trasformato la sua esistenza: una vita «di penitenza» (cap. XXI: «Della lode ed esortazione che possono fare tutti i frati»), nella vigilanza continua (cap. XXII: «Ammonizione ai frati»), come via per giungere alla lode, allo stupore (cap. XXIII: «Preghiera e rendimento di grazie»), in un incontenibile crescendo:
E ovunque noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose e salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui e amano lui, che è senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile, incomprensibile, in investigabile, benedetto, degno di lode, glorioso, sopraesaltato, sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sempre sopra tutte le cose desiderabile nei secoli dei secoli. Amen» (XXIII,11).
È un crescendo, che plana nella conclusione in cui Francesco «prega, supplica, comanda ordina» che quanto è stato scritto «nessuno tolga via o vi aggiunga qualche parte scritta, e che frati non abbiano altra regola» (XXIV,4).
Una Regola che è il frutto di tutta la fraternità riunita in capitolo, progressivamente costruita, come denotano le forme paratattiche di molte formulazioni, non sempre stilisticamente omogenee nel recepire interventi successivi; una regola fortemente influenzata da frate Francesco, che pur senza compiti direttivi è tenacemente presente, con verbi coniugati in prima persona, nell’indicare la traiettoria di una fraternitas, già riconosciuta come religio e sulla via di diventare un ordo. Sono molteplici i rimandi e richiami che possiamo riscontrare, quasi in modo sinottico, con altri passaggi dei suoi Scritti. Un Francesco presente esplicitamente con riferimenti alla sua esperienza nell’«impegno» di obbedienza assunto con il «signor papa»; un Francesco che non dimentica mai l’orizzonte della scelta radicale che aveva compiuto nella libertà tenacemente perseguita fondata sul vangelo stesso, diventato la «regola fondamentale» al di là di ogni ulteriore regolamentazione.

Una Regola definitiva: la bollata

Nonostante le affermazioni conclusive, la Regola non bollata costituisce solo una fase di passaggio, e nemmeno scontato, se si legge tra le righe delle biografie, che ci presentano un Francesco «molto preoccupato» delle discussioni che si tenevano tra i frati nelle adunanze per discutere la conferma della Regola[52]. Né si può negare un travaglio nel processo dialettico tra l’intuizione delle origini e la definizione giuridica di questa. Il Testamento ne è indice[53].
Alcune fonti successive, espressione delle polemiche interne all’Ordine, ci presentano un Francesco solitario ritiratosi a Fonte Colombo, come Mosè sul monte Sinai[54], ma la testimonianza di Gregorio IX è esplicita nell’affermare la propria collaborazione nella stesura della Regola definitiva presentata alla curia romana[55]. La Regola sigillata «cum bulla» da Onorio III con l’accompagnatoria Solet annuere del 29 novembre 1223, era indirizzata a «frate Francesco e agli altri frati dell’Ordine dei frati minori»[56], e non mancava di fare riferimento alla precedente approvazione innocenziana[57]. Frate Francesco continua a essere il punto di riferimento, non giuridico ma istituzionale, non più di una fraternitas, ma di un Ordine precisamente identificabile con il nome di «frati minori».
La Regola bollata in dodici capitoli ricompattava la precedente non bollata, con maggior omogeneità nella formulazione: precisa nelle indicazioni; adatta a una realtà – quella dell’Ordine dei frati minori – diffusa ormai in tutta la christianitas del tempo, diventata complessa e articolata. Dodici capitoli che raccolgono molto di quanto già precedentemente stabilito, tenendo conto delle mutate condizioni e dei progressivi interventi della Sede apostolica. In una disamina di questi: il cap. I, definisce l’identità carismatica dell’Ordine, il cui orizzonte è ancora e sempre «osservare il santo vangelo» (v. 1), in un’obbedienza al papa e alla «chiesa romana» (v. 2), a «frate Francesco e ai suoi successori» (v. 3).
L’accoglienza nell’Ordine è riservata ai soli ministri provinciali, e secondo le direttive emanate dalla Sede apostolica, circa il noviziato e l’irrevocabilità della scelta (cap. II = Rnb II). Il cap. III: «Del divino ufficio e del digiuno e come i frati debbano andare per il mondo», sintetizza i cap. III, XIV e XV della Rnb. Il cap. IV: «Che i frati non ricevano denari», sintetizza il cap. VIII della Rnb. La realtà ancora fluida descritta nel cap. VII della Rnb: «Sul modo di lavorare», si semplifica di molto nel cap. V della nuova Regola con un’evidente evoluzione: c’è una «gratia laborandi», necessaria soprattutto per tenere lontano «l’ozio nemico dell’anima» (v. 1). Il cap. VI: «Che i frati di niente si approprino e del chiedere l’elemosina e dei frati infermi», è la sintesi dei cap. IX e X della Rnb. Così il cap. VII: «Della penitenza da imporre ai frati che peccano», semplifica quanto previsto nel cap. XX della Rnb. L’elezione a vita del ministro generale, con possibilità di destituzione, stabilita nel capitolo generale di Pentecoste da convocarsi ogni tre anni, è sancito nel cap. VIII, che raccoglie e semplifica le procedure ancora in fieri del cap. XVIII della Rnb[58].
Il cap. IX: «Dei predicatori», intensamente descritto nel cap. XVIII della Rnb, viene riscritto come norma giuridica che accoglie l’indicazione del Lateranense IV sul permesso del vescovo, con una licentia praedicandi riservata al ministro generale (v. 2) raccogliendo in sintesi i possibili temi dell’annuncio descritti nel cap. XXII della Rnb.
Riguarda la vita della fraternità e le relazioni interne il cap. X (Rnb IV, V e altri passi): «Dell’ammonizione e della correzione dei frati», con il compito dei «ministri e servi» di visitare, ammonire, correggere «con umiltà e carità». Il v. 8:
E quelli che non sanno leggere, non si preoccupino di imparare, ma facciano attenzione che sopra ogni cosa devono desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione
è stato oggetto, anche nella storia dell’Ordine, di una contrastata interpretazione[59]. È esposto con essenzialità il cap. XI: (Rnb XII) «Che i frati non entrino nei monasteri di monache», con l’aggiunta della proibizione di fare da «padrini». Il conclusivo cap. XII: «Di coloro che vanno tra i saraceni e tra gli altri infedeli», raccoglie quanto espresso in Rnb XVI, sacrificando le indicazioni sul modo di essere presenti espresse in quella e inserendo l’obbligo per i ministri di chiedere al papa un cardinale quale «governatore, protettore, e correttore di questa fraternità» (v. 3).
Una Regola, che è stata letta come un sacrificio compiuto a malincuore dal santo di Assisi sull’altare dell’istituzione, ma che ci lascia pur sempre un Francesco sicuro e deciso perché venga osservata dai frati: «I frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori» (1,2); «li ammonisco e li esorto» (2,17); «consiglio, ammonisco ed esorto» (3,10); «ammonisco ed esorto» (9,3; 10,7); «ingiungo per obbedienza» (12,3). Nel Testamento richiama esplicitamente questa Regola:
E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole, dicendo «Così devono essere intese»; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle e con santa operazione osservatele fino alla fine[60].
E qui si apre un’altra storia: dopo quella di frate Francesco, quella dei suoi frati, oscillanti tra la memoria e nostalgia delle origini e un tempo mutabile che chiede di poter ridire nell’oggi della storia «quanto il Signore mi rivelò»[61].


[1] Testamento 1-3: FF 110. Per un confronto con il testo originario latino, cf. E. Menestò - S. Brufani et al. (edd.), Fontes Franciscani, apparati di G. Boccali, Porziuncola, Assisi 1995; Francesco d’Assisi, Scritti. Testo latino e traduzione italiana, EFR-Editrici Francescane, Padova 2002, con alcune nuove varianti rispetto a precedenti edizioni, curate da L. Pellegrini. Avvertiamo che le citazioni dalle fonti biografiche abbisognano di un’interpretazione critica del loro contesto al fine di determinarne il valore storiografico: rimandiamo per questo aspetto alle introduzioni premesse all’edizione delle FF curate da F. Accrocca e unitariamente raccolte in F. Accrocca, «Viveva ad Assisi un uomo di nome Francesco». Un’introduzione alle fonti biografiche di san Francesco, EMP, Padova 2005.
[2] Esplicitamente usiamo questo termine che è quello utilizzato da frate Francesco – per 10 volte nei suoi Scritti – in un contesto in cui il termine «frater» significa letteralmente «fratello». Per le ricorrenze dei termini negli Scritti cf. J.F. Godet - G. Mailleux (edd.), Opuscula sancti Francisci Scripta sanctae Clarae. Concordance, Index, Listes de fréquence. Tables comparatives, CETEDOC (Centre de traitement électronique des documents de l’Université Catholique de Louvain), Louvain 1976; cf. anche F. De Beer, La genesi della fraternità francescana (secondo alcune fonti primitive), in «Studi Francescani» 65 (1968) 68-92. Per la storia e l’uso delle parole fraternitasreligioordo, che ritorneranno successivamente, cf. Th. Desbonnets, Dall’intuizione all’istituzione. I francescani, EBF, Milano 1986, pp. 85-93, secondo il quale designano realtà diverse (p. 92), per quanto nelle fonti siano spesso confusi come evidenziato da K. Esser, Origini e valori autentici dell’Ordine dei frati minori, Edizioni Francescane «Cammino», Milano [1972], p. 27.
[3] Testamento 14-15: FF 116.
[4] 3Comp 10,37: FF 1441.
[5] Rimandiamo, per questo passaggio, a un testo che continua a distanza di anni ad avere ancora una sostanziale validità, Desbonnets, Dall’intuizione all’istituzione, cit., come pure G. Miccoli, Dall’intuizione all’istituzione: un passaggio non tutto scontato, in Id., Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Einaudi, Torino 1991; J. Dalarun, Francesco d’Assisi: il potere in questione e la questione del potere. Rifiuto del potere e forme di governo nell’Ordine dei frati minori, EBF, Milano 1999.
[6] Il valore da dare al Testamento del fondatore, la memoria delle origini da parte di chi le aveva vissute personalmente, l’interpretazione dell’evoluzione che l’Ordine aveva avuto, costituiscono il tema della cosiddetta «questione francescana» – termine usato per la prima volta nel 1902 come titolo di un contributo di S. Minocchi – che tanto ha appassionato la francescanistica a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando la figura del santo di Assisi viene riscoperta nella sua valenza storica e reinterpretata. In questa riscoperta un grande ruolo venne svolto dalla biografia del pastore protestante francese P. Sabatier che nel 1893 pubblicava la sua Vie de St. François (Fischbacher, Paris), tradotta in varie lingue ottenendo un vastissimo successo. Francesco veniva interpretato come l’uomo della libertà evangelica bloccato dalla chiesa istituzionale. Un’interpretazione che ha schierato in due parti contrapposte gli studiosi del francescanesimo delle origini: cf. Società internazionale di studi francescani (ed.), La «questione francescana» dal Sabatier ad oggi. Atti del I Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 18-20 ottobre 1973), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Assisi 1974; J. Dalarun, La malaventura di Francesco d’Assisi. Per un uso storico delle leggende francescane, EBF, Milano 1996; Società internazionale di studi francescani (ed.), Paul Sabatier e gli studi francescani. Atti del XXX Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 10-12 ottobre 2002), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2003. Una lettura «contrapposta» tra fedeltà e tradimento, storiograficamente considerata superata, cf. la Tavola rotonda negli Atti del convegno Società internazionale di studi francescani (ed.), Frate Francesco d’Assisi. Atti del XXI Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 14-16 ottobre 1993), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1994.
[7] 3Comp 5,13: FF 1411.
[8] 3Comp 8,25: FF1427.
[9] 3Comp 7,24: FF 1425-1426.
[10] 3Comp 8,25: FF 1427.
[11] Cf. D. Dozzi, Il vangelo nella Regola non bollata di Francesco d’Assisi, Istituto Storico Cappuccini, Roma 1989.
[12] 1Cel 5,11: FF338; 3Comp 38: FF1442.
[13] 1Cel 10,24-25: FF 360-362; 3Comp 9,30-35: FF 1433-1438. Sui primi compagni di Francesco e la loro provenienza, cf. Società internazionale di studi francescani (ed.), I compagni di Francesco e la prima generazione minoritica. Atti del XIX Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 17-19 ottobre 1991), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1992; sui primi compagni si veda anche M.T. Dolso, «Et sint minores». Modelli di vocazione e reclutamento dei frati minori nel primo secolo francescano, EBF, Milano 2001, pp. 121-188.
[14] 3Comp 9,35: FF 1438; 1Cel 31: FF 371; LegM 3: FF 1058-1060, Anper 3,17: FF 1506.
[15] 3Comp 12,46: FF1455.
[16] 1Cel 13,32: FF 372: Regola non pervenutaci nella sua redazione originale, composta tra il 1209 e il 1210, punto di riferimento della primitiva fraternitas fino alla Regola del 1221. Per la storia di questo incontro e tutti i problemi e interpretazioni connessi, cf. A. Cacciotti - M. Melli (edd.), Francesco a Roma dal signor Papa. Atti del VI Convegno storico di Greccio (Greccio, 9-10 maggio 2008), EBF, Milano 2008.
[17] M. Maccarone, Studi su Innocenzo III, Editrice Antenore, Padova 1972, pp. 278-396; W. Maleczek, Francesco, Innocenzo III, Onorio III e gli inizi dell’Ordine minoritico. Una nuova riflessione su una questione antica, in «Frate Francesco» 69 (2003) 167-206. Risale al 1210 la riconciliazione con la Sede apostolica del gruppo dei «Poveri di Lione» guidati, nella zona di Catalogna e Linguadoca, da Durando di Huesca e da Bernardo Prim nella zona italiana, dando vita al gruppo dei «Poveri cattolici» e dei «Poveri riconciliati». Per queste coincidenze, cf. G.G. Merlo, «Venientes ad apostolicam sedem». Incontri romani, in Cacciotti - Melli (edd.), Francesco a Roma, cit., pp. 227-243.
[18] Per un approfondimento dell’esperienza dei primi frati a Roma, cf. P. Maranesi, Francesco e la fraternitas minoritica a Roma. Confronto critico tra le fonti primitive sui caratteri della prima fraternità minoritica, in Cacciotti - Melli (edd.), Francesco a Roma, cit., pp. 141-226.
[19] N. D’Acunto, Il vescovo di Assisi Guido I presso la curia romana, in Cacciotti - Melli (edd.), Francesco a Roma, cit., pp. 39-60.
[20] 1Cel 13,32: FF 374.
[21] M.P. Alberzoni, Francesco d’Assisi, Giovanni di San Paolo e il Collegio cardinalizio, in Cacciotti - Melli (edd.), Francesco a Roma, cit., pp. 61-91, particolarmente le pp. 87-91 con le tavole sinottiche delle fonti biografiche.
[22] Cf. Rnb 3: FF 3; Rb 1,2: FF76.
[23] 3Comp 46-51: FF 1455-1462, con varianti non sostanziali in Anper 34-36: FF 1527-1528: tradizioni che sintetizzano i primordi e la successiva evoluzione.
[24] Cf. 3Comp 10,37: FF 1441; Anper 5,19: FF 1509.
[25] Per la tradizione del testo e l’analisi critica, rimando al recente testo di C. Paolazzi che ha offerto una nuova edizione critica della Rnb, dopo un’articolata disamina delle precedenti edizioni, proponendo nuove letture e integrazioni: C. Paolazzi, La Regula non bullata dei frati minori (1221). Dallo «stemma codicum» al testo critico, Edizioni Archivum Franciscanum Historicum, Grottaferrata (Roma) 2007 (già pubblicato in AFH 100 [2007] 5-148). Per le edizioni precedenti più note, rimando a D. Flood, Die Regula non bullata der Minderbrüder, Dietrich-Coelde, Werl in Westphalen 1967; K. Esser, Gli Scritti di san Francesco d’Assisi. Nuova edizione critica e versione italiana, EMP, Padova 1982. Per analisi e interpretazioni storiche, cf. D. Flood, La genesi della Regola, in D. Flood - W. Van Dijk - T. Matura, La nascita di un carisma (Una lettura della prima Regola di san Francesco), EBF, Milano 1976, pp. 27-94; Desbonnets, Dall’intuizione all’istituzione, cit., pp. 47-56; F. Accrocca - A. Ciceri (edd.), Francesco e i suoi frati. La Regola non bollata: una regola in cammino, EBF, Milano 1998; L. Pellegrini, Le Regole dell’ordine dei frati Minori, introduzione a Francesco d’Assisi, Scritti, cit., pp. 243-253.
[26] R.B.C. Huygens (ed.), Lettres de Jacques de Vitry (1160/70 - 1240), évêque de Saint-Jean- d’Acre, E.J. Brill, Leiden 1960, p. 59, anche in 1Vitry 8: FF 2205: «Ho trovato in quelle regioni una sola consolazione: molte persone, d’ambo i sessi, ricchi e laici, lasciata ogni cosa per Cristo, fuggivano il mondo. Si chiamavano frati minori e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione dal signor papa e dai cardinali».
[27] Ivi, p. 60, anche in 1Vitry 11: FF 2208.
[28] 3Comp 35:FF1439.
[29] 3Comp 15,61: FF 1473.
[30] 3Comp 15,61: FF 1474.
[31] Giordano da Giano, Cronaca 15: FF 2338.
[32] D. Flood la struttura in quattro parti: fondamento evangelico, cap. I-VI; la vita quotidiana cap. VII-XIII; la missione evangelica cap. XIV-XVII; adattamento allo spirito del concilio Lateranense cap. XVIII-XXI; il testamento del 1219 cap. XXII; proclama francescano cap. XXIII; conclusione cap. XXIV, La prima regola di Francesco (cf. Flood - Van Dijk - Matura, La nascita di un carisma, cit., pp. 94-163). La proposta di A. Ciceri si articola in: la vita di fede secondo il vangelo prol. e cap. III; una gerarchia fraterna cap. IV-VI; «fratres minores» nel mondo e nel mondo delle cose cap. VII-IX; una fraternità minore con tutti cap. X-XIII; vivere nel mondo come uomini evangelici cap. XIV-XVII; un problema di ecclesialità cattolica cap. XVIII-XXI; la narrazione di una storia salvifica cap. XXII; dal grazie per l’agire al grazie laudativo cap. XXIII; una conclusione cap. XXIV (cf. A. Ciceri, La Regula non bullata. Saggio storico-critico e analisi testuale, Accrocca - Ciceri [edd.], Francesco e i suoi frati, cit., pp. 157-264).
[33] Francesco nel capitolo di settembre del 1220 aveva rinunciato alla guida diretta della religio minoritica, nominando vicario frate Pietro Cattani; alla morte di questi, il 10 marzo 1221, gli subentrò frate Elia.
[34] 1Cel 10,24: FF 360; LegM 3,3: FF1054; 3Comp 8,29: FF 1431; Anper 2,11: FF 1497.
[35] Cf. Onorio III, bolla Cum secundum (22 settembre 1220): FF 2711-2715.
[36] Rnb II,15: «E anche se sono tacciati da ipocriti, tuttavia non cessino di fare il bene; né cerchino vesti preziose in questo mondo»; Giacomo da Vitry li ricordava come «i più umili di tutti i religiosi contemporanei, nell’abito che portano […]», VitryHoc 3: FF 2216.
[37] Rnb III,13: «Sia loro lecito mangiare di tutti i cibi che vengono loro messi dinanzi» (Lc 10,8); Rnb IX,13.16: «E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di servirsi di tutti i cibi che gli uomini possano mangiare […] Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati per le cose loro necessarie provvedano così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge».
[38] Giordano da Giano, Cronaca 12: FF 2334.
[39] Come sono chiamati da Giacomo da Vitry (FF 2205), termine scelto – secondo il Celano (1Cel 15,38: FF 386) – «mentre si scrivevano nella Regola quelle parole “siano minori”» (cf. Rnb VII,2).
[40] Rnb XVIII,1: «Ogni anno ciascun ministro [può] riunirsi con i suoi frati, ovunque piaccia a loro, nella festa di San Michele Arcangelo, per trattare delle cose che riguardano Dio».
[41] Come nel caso di frate Giovanni da Campello, deciso a fondare un proprio Ordine dedito alla cura dei lebbrosi, cf. Giordano da Giano, Cronaca 13: FF 2335.
[42] Rnb VII,3: «E i frati che sanno lavorare, lavorino ed esercitino quella stesa arte lavorativa che già conoscevano, se non sarà contraria alla salute dell’anima e potrà essere esercitata onestamente».
[43] In Rnb VII,1, il testo delle edizioni precedenti offriva la lezione di «cancellarii» (FF 24: «cancellieri»), che aveva contribuito a creare varie interpretazioni, sostituita ora nell’edizione critica di Paolazzi, con «cellarii» (dispensieri): cf. Paolazzi, La Regula non bullata, cit. p. 130.
[44] Rnb VII,7: «In cambio del lavoro possono ricevere tutte le cose necessarie, eccetto il denaro»; Rnb VIII,3: «Nessun frate, ovunque sia e dovunque vada, in nessun modo prenda o riceva o faccia ricevere pecunia o denaro […] per nessuna ragione».
[45] Se un frate si ammala, «ovunque si trovi, gli altri frati non lo lascino senza aver prima incaricato un frate, o più di uno se è necessario, che lo servano come vorrebbero essere serviti essi stessi», Rnb X,1.
[46] Miccoli, La proposta cristiana di Francesco d’Assisi, in Id., Francesco d’Assisi, cit., pp. 33-97.
[47] J. Dalarun, Francesco: un passaggio. Donna e donne negli scritti e nelle leggende di Francesco d’Assisi, Viella, Roma 1994; per una situazione che rispecchia questa precisazione della Regola, cf. Giordano da Giano, Cronaca 13: FF 2335 relativamente a frate Filippo Longo e la sua cura «eccessiva» nei confronti delle «povere signore».
[48] Cf. L. Lehmann, I principi della missione francescana secondo le fonti primitive, in «L’Italia francescana» 65 (1990) 253-255.
[49] Le cost. 3 e 10 del Lateranense IV richiedevano esplicitamente la cattolicità della predicazione e il mandato del vescovo, cf. COD, pp. 233-235; la cost. 10 stabiliva che qualora i vescovi, per vari motivi non fossero in grado di predicare, potevano «scegliere uomini adatti per esercitare il ministero della santa predicazione, potenti nella parola e nelle opere», ivi, p. 239.
[50] Cf. Onorio III, bolla Cum dilecti (11 giugno 1219) primo documento ufficiale della curia romana per «i diletti figli frate Francesco e i suoi compagni, appartenenti alla vita e religione dei frati minori», perché siano accolti «come uomini cattolici e fedeli», in FF 2708. La datazione è controversa, come argomenta R. Rusconi, «Clerici secundum alios clericos». Francesco d’Assisi e l’istituzione ecclesiastica, in Società internazionale di studi francescani (ed.), Frate Francesco d’Assisi, cit., p. 88. La bolla Cum dilecti non dovette sortire molti effetti, se il 29 maggio la cancelleria papale emette una nuova bolla Prodilectis rivolta agli ecclesiastici di Francia, garantendo che il loro «Ordine [è] tra quelli approvati [riconoscendo] i frati di questo Ordine come cattolici e devoti [alla chiesa romana]», FF 2710; per esperienza parla Giordano da Giano, Cronaca 4-8: FF2326-2329. Il tema dell’essere cattolico ritorna con forza (e durezza?) nel Testamento 31-33: FF126.
[51] Una libertà di scelta del confessore, comprensibile nell’itinerante mobilità, diversamente da quanto sancito dalla cost. 21 del Lateranense IV, che obbligava a confessarsi dal proprio parroco, cf. COD, p. 245.
[52] Cf. 2Cel 149,209: FF 799: LegM 4,11: FF1082: S’innesta in questo passaggio il racconto della pressione da parte di frati dotti di assumere l’esperienza delle precedenti Regole, agostiniana, benedettina, cistercense con lo scopo di «condurre una vita religiosa ben condotta», CAss 18: FF 1564; si veda anche la successiva lettura degli Spirituali su una Regola fatta sparire dai ministri perché considerata troppo rigida, CAss 17: FF 1563; Spec 1: FF 1677-1678.
[53] Cf. P. Maranesi, L’intuizione e l’istituzione. Il travaglio dell’identità di Francesco e dei suoi frati nei testi giuridici, in «Miscellanea Francescana» 108 (2008) 169-203.
[54] Clar I: FF 2178-2180.
[55] Gregorio IX (Ugolino di Ostia), bolla Quo elongati (28 settembre 1230), n. 3: «[…] fummo vicini a lui durante la stesura della predetta Regola e nel presentarla alla Sede apostolica per ottenerne la conferma»: FF 2729. Come cardinale protettore, Francesco lo aveva voluto quale «consigliere, collaboratore e protettore», invitandolo a partecipare annualmente al capitolo di Pentecoste: cf. 2Cel 17,25: FF 612; 3Comp 1561: FF 1474; Anper 10,43: FF 1537.
[56] Cf. FF 73a-109a. La bolla papale con l’originale autentico della Regola è conservata tra le reliquie della chiesa di San Francesco in Assisi. Non c’è nulla di eclatante nel formulario usato dalla cancelleria pontificia, che usa la più scontata delle formule di approvazione: su questi aspetti, cf. Desbonnets, Dall’intuizione all’istituzione, cit., pp. 133-141.
[57] Abbiamo conferma di quanto ricordato dalla 3Comp 51: FF 1460 di un’approvazione «in concistoro» e secondo la successiva fonte del Clareno, anche nel concilio Lateranense IV: cf. l’edizione curata da G. Boccali: Angelo Clareno, Expositio super Regulam fratrum minorum, introd. di F. Accrocca, tr. it. di M. Bigaroni, Porziuncola, Assisi 1995, 1.14, 4,44.
[58] Decisione presa «allo scopo di evitare la fatica ai frati che abitavano in contrade lontane», 3Comp 16,62: FF1476; Anper 11,44: FF1539.
[59] Cf. P. Maranesi, Nescientes litteras. L’ammonizione della Regola francescana e la questione degli studi nell’Ordine (secoli XIII-XVI), Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2000, per il v. 8, alle pp. 30-37; sulla «santa operazione»: O. Van Asseldonk, Lo Spirito del Signore e la sua santa operazione negli Scritti di Francesco, in De Francisco Asisiensis Commentarii (1182-1982), Istituto storico dei Cappuccini, Roma 1982, pp. 133-195.
[60] Testamento 39: FF 130: «Santa operazione», stesso termine già presente in Rb X,8.
[61] Doveroso rimando per questa storia è il testo di G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Efr-Editrici francescane, Padova 2003.

PAX et BONUM

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