domenica 3 maggio 2015

Tempo di Martirio


I MARTIRI NON PIACEVANO AL DIALOGO

  E siamo di nuovo in tempo di Martirio.

  Ciò che sta accadendo ai cristiani in Asia e in Africa ha riportato prepotentemente sulle nostre labbra la parola “martirio”. Cristiani uccisi, e in massa, nelle maniere più orrende, semplicemente perché cristiani; tutto questo ci fa dire che è tornata l'era dei martiri.

  Per la verità la Chiesa non è mai uscita dal tempo del martirio. Gli studi pubblicati in occasione dell'ultimo anno santo, quello del 2000, ci avevano già ricordato che il numero dei martiri, in venti secoli di cristianesimo, è enorme: circa 80 milioni! e dato ancora più impressionante, di questi 80 milioni, circa la metà appartiene all'ultimo secolo concluso, il '900!

  Nonostante questi dati, noi cristiani pasciuti d'occidente facciamo fatica, tanta fatica, a credere che la Chiesa sia in perenne stato di martirio. Siamo stati abituati, dalla scuola e dalla cultura laica, a pensare, piuttosto, che la Chiesa debba chiedere perdono del suo passato violento e impositivo: è la leggenda nera che dipinge la Sposa di Cristo come strumento di potere. Per questo resistiamo nel vedere invece la verità, e cioè che i cristiani nel mondo hanno sofferto e hanno continuato a versare il proprio sangue per la fede.

  A questo lavoro di disinformazione fatto dalla cultura laicista, tendente a minimizzare se non a negare il martirio dei cristiani, si è affiancata, in questi ultimi decenni, la più grande impresa di depistaggio intellettuale, operata, dentro la Chiesa, dai cattolici stessi. Dopo il Concilio Vaticano II, la dittatura del Dialogo ha imposto il silenzio sul fenomeno del Martirio: la Chiesa deve riconciliarsi col mondo moderno e per questo non deve più parlare di chi muore per la fede. I Martiri costituivano il più grande ingombro e inciampo per quest'opera di trasformazione della Chiesa, che si è voluta mondanizzare a tutti i costi .

  Il concetto di martirio, secondo questi emancipati cattolici moderni, appartiene a un passato ormai superato; appartiene all'epoca della contrapposizione con il mondo, e questo passato non deve tornare più. Secondo questi, e sono tanti, c'è un modo più efficace per lavorare nel mondo come cristiani, più efficace che quello di dare la vita unendo il proprio sangue a quello di Cristo: c'è l'arma del comprendere le ragioni dell'avversario, del parlare con lui, del dialogare con lui, per scoprire infine che, in fondo, la si pensa allo stesso modo.

  Tutto questo triste lavoro di rifiuto del martirio e di sostituzione con l'ideologia del dialogo, ebbe tragiche conseguenze negli anni '60 e '70: mentre i cristiani dell'Est venivano eliminati o condotti ai lavori forzati nei gulag, la Santa Sede privilegiava con la Ostpolitik i buoni rapporti con le dittature marxiste, ricercando con esse un accordo possibile, ritenendo erroneamente che il Comunismo fosse eterno. Fa parte di questa vergogna la mancata condanna del Comunismo durante il Concilio stesso: la storia arriverà a giudicare severamente questo meschino cedimento ereticale.

  Negli ultimi anni, l'imposizione del silenzio sul fenomeno del martirio è stata comandata dall'altrettanto dogmatico dialogo interreligioso: occorre stare in pace con le altre religioni, non fare proselitismo, e dunque occorre tacere sui cristiani uccisi.

  Ma i fatti parlano oggi in nome di Dio.

  Si voleva una nuova era per la Chiesa, l'era della serenità con il mondo a 360°, ed ecco che, invece, il sangue dei cristiani crocifissi, sgozzati, bruciati, fucilati, impiccati e lapidati è venuto a rompere l'ingannevole idillio.

  Tutto questo dolore dei nostri fratelli - per i quali non dobbiamo smettere di pregare, affinché questa terribile prova sia loro abbreviata - è un potente richiamo per noi cristiani, immersi nella più grande falsa ideologia della storia, quella della Modernità.

  La modernità, che rifiuta come stoltezza Cristo crocifisso, ha portato dentro la Chiesa la mortale illusione di poter separare la Resurrezione dalla Croce.
Si è voluto fare un nuovo cristianesimo che pone l'accento sulla Vita nuova in Cristo, dimenticando la sua Passione e Morte.

  È vero, Cristo ha vinto la morte, è risorto; è costituito Signore di tutto. È vero che questa vittoria del Risorto è partecipata alla Chiesa e ai santi, ma occorre stare attenti: questa vittoria, come spiega il grande père Calmel, “lungi dal sopprimere la Croce e renderla inutile, si realizza soltanto attraverso la Croce. Dicite in nationibus quia Deus regnavit a ligno”. (R.T. Calmel, Per una teologia della storia, Borla 1967, pag. 44).

  E' proprio questa coscienza che è mancata nella Chiesa degli ultimi tempi. Si è vissuto l'inganno di pensare la Resurrezione come superante la Croce. Così si è fatta una nuova chiesa che parla di vita e non di martirio; che parla di aspirazioni umane e non di martirio; di dialogo col mondo e non di martirio; di pace universale e non di martirio; di costruzione della società terrena e non di martirio...

  Anche per questo la presenza della Chiesa si è sgretolata, e la vita dei cristiani è scivolata nell'infedeltà profonda.

  È stata una mortale illusione, demoniaca. Un “sogno talvolta infantile e tenero, ma forse più spesso vile e odioso, che fa sperare per la vita del cristiano una fedeltà a Cristo senza tribolazioni e per l'avvenire della Chiesa un fervore di santità che non dovrebbe più subire dall'esterno le persecuzioni del mondo, né all'interno i tradimenti dei falsi fratelli e talvolta del clero e dei prelati” (ibid. pag.44)

  Da questa illusione ci sta svegliando Dio con il dono di nuovi martiri, quelli del secolo XXI. Sono loro che ci ricordano che fino all'ultimo giorno “possiamo rendere testimonianza a Gesù soltanto immergendo la nostra veste nel sangue di quell'Agnello Divino che ci ha amati e ci ha riscattati dai nostri peccati. Non andremo a Lui senza attraversare il torrente della grande tribolazione” (ibid. pag. 44)

  Allora, non protestiamo soltanto delle persecuzioni, come fanno i politici del mondo, ma lasciamoci educare da Dio alla grazia del martirio.

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