GRAZIE DON GUIDO!
Un’infanzia difficile
Il 7 ottobre del 1907 veniva alla luce a Puos d’Alpago, poco lontano
dal lago di S. Croce in provincia di Belluno, nel nord del Veneto, il piccolo
Guido, terzogenito di Osvaldo Bortoluzzi che, dopo essere rimasto vedovo con la nascita del primo figlio, aveva sposato in seconde nozze Ancilla
Mocellin. Entrambi i genitori erano maestri elementari.
Dal primo matrimonio il padre aveva avuto Giuseppe, otto anni più
grande di Guido, che morì ancora adolescente.
Dalla seconda moglie ebbe altri tre figli: prima Gino, nato nel 1906, poi
Guido, nato nel 1907 e infine Giulio, nato nel 1910.
La vita di Guido è stata segnata fin dai primi momenti da difficoltà: la
madre non aveva latte e a quei tempi il latte artificiale non c’era ancora.
La nonna paterna Caterina si diede da fare e trovò a 7 km di distanza una
buona contadina che aveva appena perduto il suo bambino ed era disposta a
prendere a balia il piccolo. Aveva latte buono e tanto amore materno.
Così nonna Caterina mise il neonato in una gerla di vimini e s’incamminò a piedi su per la montagna. Tra le braccia della balia Guido succhierà,
insieme al latte, amore e cure. Sarà questo uno dei rari periodi di serenità
della sua infanzia.
Ad un anno, un mese e un giorno la balia lo riporterà a casa ancora con
la gerla dalla quale il piccino, lungo la strada, faceva eco alle preghiere che
la donna recitava a voce alta rispondendo ad ogni litania: “Oa po nobis”.
Dopo poco la famiglia si trasferì a Farra d’Alpago dove con un mutuo i
genitori avevano comprato una piccola e vecchia casa.
L’ambiente era freddo in tutti i sensi. Fra i genitori non c’era armonia.
La madre ‘siora Ancilla’, o semplicemente ‘la maestra’, come tutti la chiamavano, era brava, energica e temuta insegnante, ma dura e parziale con
marito e figli.
Il marito, appassionato cacciatore, si rifugiava sempre più spesso nelle
battute di caccia pur di stare lontano da casa. Sovente si fermava a dormire
nei cascinali, incurante del maltempo. Fu così che s’ammalò di tubercolosi,
malattia che lo portò alla morte nel 1911 poco dopo la nascita del quarto
figlio.
Uomo impulsivo, collerico, scontento, era la sofferenza della vecchia nonna Caterina che non riuscì con le sue premure a farlo riaccostare ai
Sacramenti neanche quand’egli si trovò in fin di vita. Lo ottenne il piccolo
Guido.
Si legge in una pagina autobiografica:
Quella santa donna carismatica che fu mia nonna paterna mi predisse
fin da quando avevo quasi quattro anni che da grande sarei stato prete e
sarei stato contento di sapere che il papà prima di morire aveva fatto pace
con Dio. Era gravemente malato e aveva espresso il desiderio di vedere i
suoi tre figlioletti prima di morire.
Abitavamo a 8 km di distanza e ci andammo in carrozza. Non potevamo
baciarlo in faccia perché c’era pericolo di TBC.
La mamma si fermò da lui in camera; noi, piccoli, fummo invitati dalla
nonna a rimanere fuori, nel corridoio.
Qui la nonna chiamò vicino a sè il
più grande, di 5 anni. Voleva incaricarlo di una missione, ma egli scappò
via. Chiamò me e disse:
– Hai visto il papà com’è patito! Morirà presto e non lo vedrai più. – E
piangeva. – Poveri piccoli! Ha patito tanto, sai, e patirà ancora di più dopo
morto perché ha detto tante e tante bestemmie. Ma tu vuoi bene al tuo papà,
vero? Tu puoi salvarlo dai patimenti dell’inferno dopo la morte. –
E mi spiegò in breve cos’è l’inferno.
– Va dentro e digli che chiami il prete e che faccia pace con Dio. –
Entrai e dissi:
– Papà, ti voglio bene; non voglio che tu vada a patire anche all’inferno. –
– Reazione violenta: – È stata quella stupida di tua nonna a dirti queste
cose? – E giù ingiurie e bestemmie. Scappai fuori e dissi alla nonna:
– È cattivo, non torno da lui. –
Lei invece mi convinse a ritornare. Mi promise che avrebbe pregato lo
Spirito Santo e la Madonna perché gli facessero capire l’importanza e l’urgenza del messaggio. Mentre mi scostavo da lei disse:
– Povero innocente, perché sei così piccolo non ti crederà. Ma ti seguo
con la preghiera. –
Arrivato al capezzale del malato, dissi subito:
– Papà, tu non mi credi perché sono piccolo, ma io so, sai, quello che
dico. Quando sarò grande sarò prete e sarò contento di sapere che, prima
di morire, hai fatto pace con Dio. –
– Io sono sempre in pace con Dio. –
– Eh no, papà. Ti ho sentito dire bestemmie e parolacce alla nonna. –
Da quanto è che gli insegni la lezione? – chiese alla mamma.
– Non gli ho mai parlato di queste cose. –
Erano circa due anni che egli viveva dai nonni e ignorava i miei progressi nel parlare. Egli mi guardò fisso per alcuni istanti, poi disse:
– Vieni qua, che ti dò un bacio. –
Nonna e mamma intervennero: – No! È troppo pericoloso! –
– Lasciatemi quest’ultima soddisfazione prima di morire. –
Devo dire che mentre parlavo col papà la nonna usciva in molte esclamazioni:
– Caro da Dio! È lo Spirito Santo che gli fa dire queste cose. Ascoltalo
figlio mio, è tuo sangue. –
Un anno dopo la nonna venne a trovarci a Farra. Si mostrò buona con me.
– Tu hai salvato tuo padre – disse – e salverai ancora molte anime. –
La nonna in quell’occasione gli portò un giochino. Quando partì, la
mamma prese il gioco per darlo a Giulio, il più piccolo, che lo ruppe subito.
Dopo la morte della nonna Guido non ebbe più nemmeno il soldino che
ella donava ai nipotini nelle feste.
Orfano di padre e con la morte della nonna, la sua vita divenne ancor
più triste. La madre aveva per lui un astio incontrollabile e una predilezione
speciale per il piccolo Giulio che era il più bello ed il più gracilino dei quattro maschi. Guido invece era un bambino forte, che cresceva bene. Forse
per questo a tavola, nella povera cucina, doveva sedersi sempre nel posto
più esposto agli spifferi che entravano dalle fessure della finestra. Negli
inverni freddi l’aria gelida che gli arrivava dritta alle spalle diventava un
tormento.
Fino alla quinta elementare non ebbe neppure un letto normale e fu costretto a dormire raggomitolato in un lettino con le sponde che gli impedivano di allungare le gambe.
Come i suoi fratelli, doveva andare a turno a prendere l’acqua alla fontana, portare al primo piano la legna e fare ogni genere di servizi, come quello
di salire a prendere il latte alla malga Pèterle che distava più d’un’ora di
cammino, dove in estate alpeggiavano le mucche della valle.
Scrive don Guido: “Ebbi un’infanzia e una fanciullezza senza i giochi e
gli spassi di quell’età per dover accudire alle faccende di casa, ma con la
gioia di andare in chiesa alle funzioni e a cantare”.
La sua precoce vocazione
diventa una promessa
Fu appunto durante una di queste escursioni per andare a prendere il
latte quando, all’età di dieci anni, gli accadde un fatto che rafforzò la sua
decisione di offrire tutto se stesso alla Madonna e al Signore e diventare
prete: la Madonna lo aveva miracolosamente salvato dal pericolo di cadere
in un precipizio.
Riprendo un’altra pagina autobiografica.
Ero arrivato alle Casere Pèterle, in cima alla valle Runàl, a prendere il
solito latte da Giovanna Mira quando mancava poco più di un’ora al tramonto. In breve il sole fu oscurato dalle nubi e cominciò a piovere.
Nella speranza che cessasse, mi fermai. Ma, visto che continuava, mi decisi di
ripartire. Mi diedero una vecchia giacca per coprirmi le spalle.
Calzavo un paio di scarpette di pezza. Dovevo risparmiare le ‘dàlmade'
dai danni dei ciottoli che coprivano la strada ripida, ma i danni li
sentivano le mie caviglie.
Mi sconsigliarono di prendere la scorciatoia per i prati del Col Salèr ai
Lastrìn, ma, giunto al bivio coi piedi dolenti, preferii eventuali scivolate sul
prato ai sassi che mi rotolavano sotto i piedi.
Si fece buio presto e non sapevo a che punto dovevo girare a sinistra per
ritornare sulla strada. La pioggia sempre più fitta ad ogni nuovo lampo e
tuono faceva scorrere l’acqua sotto i miei piedi.
Lunghi scivoloni mi avevano portato troppo a destra dove sotto c’era il
burrone profondo e il torrente che rumoreggiava minaccioso. Ad ogni scivolone mi adagiavo sul fianco per aderire di più al suolo ripido e per poter
piantare le dita della mano libera sul terreno e così trattenermi.
Con l’altra tenevo il manico del vaso del latte che era da cinque litri, ma
ne conteneva uno soltanto, non avendone trovato uno più piccolo.
Un terrore inesprimibile mi invase quando mi sentii scivolare per una
decina di metri fin dove sentivo direttamente il fragore del torrente sottostante. Mi adagiai supino annaspando intorno senza trovare alcun appiglio. L’acqua piovana scorreva sotto la mia schiena. La vecchia giacca che
mi era stata data era inzuppata e pesante e mi era sfuggita dalle spalle.
Terrorizzato invocai la Madonna. In cima alla valle c’è Irighe col suo
Santuario, mèta di pellegrinaggi. A Lei rinnovai il mio proposito di consacrarmi al Signore.
Non osavo muovermi perché ogni piccolo movimento mi faceva scivolare.
Mi vedevo con la fantasia ormai morto sfracellato laggiù e immaginavo
come il dì seguente mi avrebbero cercato e raccolto in pezzi.
Invocavo un po’ di luce, urlando fortemente.
Proprio sopra di me guizzarono successivamente tre lampi e vidi la mia
posizione.
Riuscii a raccogliere la giacca, ma non il berretto nuovo al quale ero
affezionato per la piccola aquila dorata che era stata cucita sul davanti.
Fatti alcuni passi prudenti verso la strada, mi ritrovai di fronte ad un
profondo crepaccio. Non potevo saltarlo e non trovavo, nel buio, il modo di
aggirarlo. Disperato urlai ancora:
– Madonna Santissima,
aiutatemi ancora. Fate che
trovi la via d’uscita. –
Fui molto contento di vedere ancora un lampo e poi
un secondo. Così riuscii a
portarmi in salvo.
Il berretto fu trovato, su
mie indicazioni, da mio fratello maggiore il giorno seguente, in cui toccava a lui,
di turno, recarsi alle Casere
Pèterle, a prendere il solito
litro di latte.
La visione dell’apparizione della Madonna ai tre pastorelli a Fatima,
il 13 ottobre 1917, avuta da don Guido a 10 anni
Di lì a poco ci fu un altro episodio che vagamente si ricollega a quello
precedente per via di quel famoso berretto e che ricorderà da adulto con
molta commozione in un altro brano autobiografico.
C’è un rapporto misterioso tra una visione che ho avuto il 13 ottobre
1917 all’età di dieci anni e il fatto straordinario accaduto lo stesso giorno
a Fatima in Portogallo.
Quel giorno mi trovavo a giocare a nascondino con un amico in una
stalla vuota di animali, presso casa mia. Egli mi tolse il berretto, lo gettò
sul selciato e vi buttò sopra una bracciata di foglie secche tolte da un grande mucchio addossato alla parete, sfidandomi di trovarlo entro lo spazio di
un’Ave Maria.
– Adesso trova il tuo berretto – disse.
– Lo troverò – risposi – a costo di passare le foglie ad una manciata
alla volta. –
Trovato il berretto, toccò a me nasconderlo. A turno egli si voltò dalla
parte opposta, mentre nascondevo il berretto sotto un mucchio più grande
di foglie. Il gioco continuò con sfida alterna. Ad un nuovo turno mio, il berretto si trovò sotto un mucchio di foglie alto quanto la mia statura.
La campana suonò l’Ave Maria di mezzodì e l’amico scappò via.
Introducendo il braccio tra il fogliame, non riuscivo più a pescare nel
fondo il berretto come le altre volte. Non si trovava più al centro della base
del cumulo. Dovetti adattarmi a prendere una bracciata alla volta di quelle
foglie e riportarle nel mucchio grande. Quel berretto, comprato qualche
mese prima per me, mi aveva recato una grande gioia quando mi venne
regalato da mamma. Portava sul davanti, sopra il frontino, un’aquila di
metallo dorato con le ali aperte, ma era stato ridotto ad un cencio durante
il furioso temporale di qualche giorno prima, quando lo perdetti in montagna e rischiai di perdere insieme anche la vita.
Faticai quel mezzodì del 13 ottobre a trovare il berretto nascosto per
gioco e intanto meditavo sul terrore di quella sera, delle mie grida di aiuto
alla Madonna, sul miracolo dei lampi che mi salvarono, e sulla mia promessa...
Quando ritrovai il berretto, ebbi d’improvviso la visione che la Madonna
stava apparendo a dei bambini grandi più o meno come me e vidi che stava
compiendo un miracolo
Temendo d’esser creduto un visionario, tenni il segreto per me. In casa
chiesi a mamma se era successo qualcosa di importante nel mondo. Andò a
prendere il giornale. Nulla. Il dì seguente mi disse che tutti i giornali parlavano di Fatima e dei tre fanciulli.
Molte volte, guardando quel berretto che ancora conservo, penso a
quella visione...
Nel frattempo era venuta la guerra e con essa la fame.
Dopo che l’affezionatissima nonna era morta, i due figli più piccoli,
Guido e Giulio, vennero mandati a Tambre d’Alpago, paese di origine dei
genitori, da uno zio che faceva il contadino, perché lo aiutassero in campagna e nella stalla in cambio di un piatto sicuro. Giulio fu riportato a casa
dopo poco tempo perché era sempre in lacrime per la nostalgia. Guido invece rimase lì, salvo brevi intervalli, per quasi tre anni, ben voluto e ben
nutrito. Tornò a casa più forte e più sano.
La visione fu solo visiva, non uditiva. Ciò che il piccolo Guido vide fu l’apparizione della
Madonna ai tre pastorelli e il miracolo del sole che in quello stesso giorno a Fatima prese
a girare davanti a migliaia di persone. Una curiosità: don Guido è nato nel 1907, lo stesso
anno di Sr. Lucia di Fatima.
Il ricordo della visione del 13 ottobre del 1917 fece pensare a don Guido, una volta concluse le rivelazioni, che ci fosse una relazione fra queste e il terzo segreto di Fatima, visto che
la Madonna li aveva in qualche modo associati.
Nemmeno questa lunga assenza fu sufficiente a fargli recuperare l’affetto della madre che in quel periodo aveva visto solo tre volte nonostante la
sua casa distasse appena 8 km da quella dello zio: forse assomigliava troppo
a sua nonna Caterina che lei non sopportava.
Il Cappellano di Farra lo notò per la sua bontà e correttezza e, benché
appena dodicenne, gli affidò l’incarico di catechista ad una trentina di compagni in vista della Prima Comunione. Gli impartì anche i primi elementi
di latino.
Di lì “...l’invito del parroco ad entrare in Seminario, poi la Cresima,
l’abbraccio del Vescovo Cattarossi, gli studi...”.
Nel 1920 partì per Feltre, dove il Seminario aveva solo le classi inferiori.
Furono anni duri, in cui patì il freddo e la fame. Vi furono reclami da parte di seminaristi e genitori e, dopo successivi controlli della Curia Vescovile
di Belluno, le cose andarono meglio.
Nel Seminario di Feltre ebbe le prime due predizioni riguardanti le future “rivelazioni che avrebbe ricevuto da anziano dal Signore sulla Genesi
Biblica”.
La terza la ebbe nel Seminario di Belluno e l’ultima quando già era
Cappellano a Dont, piccolo paesino della Val Zoldana.
Prima però accadde un fatto strano che lasciò perplesso don Guido:
“Padre Anselmo e Padre Emidio, francescani venuti da lontano, dopo
aver predicato una grande missione al mio paese nel 1921, vennero a cercarmi al Santuario di San Vittore, vicino a Feltre, dove mi trovavo a passeggio con i miei compagni di Seminario, e insistettero perché andassi con
loro per farmi frate”.
Proposero al giovane Guido una borsa di studio che comprendeva l’intera retta per tutti gli anni del Seminario: vitto, alloggio, libri, tasse scolastiche e la promessa della consacrazione anticipata di un anno rispetto alla
data prevista dai corsi regolari e quindi la possibilità di celebrare la Messa
dodici mesi prima. Insistettero a lungo e con tanta benevolenza.
Guido, allora quattordicenne, ne fu entusiasta perché provava una grande fiducia per questi Padri.
Tornato in Seminario, corse nello studio del
Rettore per comunicargli la notizia. Ma questi gli disse in modo perentorio
che, se anche fosse uscito solo per prova, non avrebbe più rimesso piede
nel Seminario di Feltre. Gli ricordò i grandi sforzi economici fatti dalla sua
famiglia e la riconoscenza che egli doveva ai suoi parenti e ai Superiori e si
fece promettere che avrebbe declinato l’invito.
Guido passò un giorno e una notte in grande angoscia, combattuto dal
desiderio di seguire i padri francescani e la promessa fatta al Rettore e finì
per rinunciare. “Dissi ai Frati che la loro divisa non mi piaceva e che la
decisione era troppo impegnativa”.
Ripensando a quest’episodio non riusciva a capire come mai fossero
venuti da così lontano per fare solo a lui questa proposta, dal momento che
nel Seminario e nella sua stessa classe c’erano alunni molto più intelligenti
e preparati di lui. Infatti, nei suoi studi non brillava per profitto. Per questo
non si spiegava come qualcuno potesse aver interesse a lui.
Più tardi pensò che il motivo di tanta insistenza dei due Frati fosse dovuto alla loro conoscenza di cose future che prudentemente non avevano
voluto rivelare. Con l’età gli rimase il rimpianto e il dubbio che quell’opportunità gliel’avesse mandata il Signore.
L’anno seguente accadde un fatto ancor più singolare: da alcune parole
profetiche di un santo Sacerdote venne a sapere che Dio lo aveva scelto
come strumento per spiegare all’umanità alcuni passi oscuri della Bibbia.
Sentiamo quanto egli stesso scrive.
1922: prima predizione, di San Giovanni Calabrìa
del progetto di Dio su don Guido
Nel 1922, mentre ero in Seminario a Feltre, ebbi una predizione di don
Giovanni Calabria.
Accadde questo fatto: con i miei compagni di classe ritornavamo dal
cortile alla sala di studio attigua alla stanza del Rettore. Il Rettore era davanti alla sua porta e parlava con un Sacerdote forestiero.
Appena entrati, ci raggiunse lasciando l’uscio aperto e disse che quel
Sacerdote era don Giovanni Calabria, fondatore della Casa dei Buoni
Fanciulli di Verona, un carismatico come don Bosco, e che, guardandoci
entrare, gli aveva detto che uno di noi, diventato anziano, avrebbe scritto
un libro molto importante e che avrebbe dovuto scriverlo presto. Solo io,
fra i dodici compagni, chiesi:
– Lo saprà quell’uno di noi, l’interessato, che il suo libro è
molto importante? –
Dal corridoio mi giunse la voce di don Calabria:
– Sì, lo saprà. È proprio lui. –
– Su quale argomento? – replicai.
– Vado a domandarglielo – rispose il Rettore.
Il Rettore uscì e parlò con don Calabria. Rientrato disse che l’interessato
lo avrebbe saputo e che riguardava la Bibbia, la Genesi biblica. Poi chiese:
– Chi ha fatto quella domanda? –
[NB: S. Giovanni Calabria, figura profetica e grande carismatico della prima metà del XX
secolo (1873-1954), fonda nel 1907 a Verona la ‘Casa dei Buoni Fanciulli’ per accogliere i giovani in difficoltà, nel 1910 fonda l’ordine delle “Povere Serve alla Divina
Provvidenza” e infine un ospedale e una casa di riposo. È stato chiamato ‘il Profeta del
Volto del Padre’ per la sua totale fiducia e abbandono in Dio come Padre buono. La sua
Opera infatti è interamente affidata alla Provvidenza, mettendo in pratica l’insegnamento
del Vangelo. Riteneva urgente irradiare il Vangelo in tutto il mondo per affermare il primato del Regno di Cristo e difendere il patrimonio religioso e culturale della Chiesa dei primi
secoli. Figura estremamente attiva nella Chiesa, è stato beatificato nel 1988 e canonizzato
il 18 aprile 1999.]
Tacqui nel timore di aver commesso un’impertinenza. Ripetè l’interrogazione. Un compagno disse il mio nome. C’era un mio omonimo. Uno
m’indicò col dito. Egli mi guardò, poi guardò tra i banchi il mio omonimo
che era il più bravo della classe. E poiché dell’altro don Giovanni Calabria
aveva predetto che avrebbe cambiato strada, disse:
– Ho capito. So io quale dei due. – Quello divenne il beniamino; io,
secondo il Rettore, ero quello che avrebbe cambiato strada. Accadde il contrario.
Il Rettore pagò d’allora in poi per ‘l’omonimo’ la retta di tasca sua. E poiché don Calabria aveva predetto che ‘l’altro’ sarebbe uscito dal Seminario,
il chierico Guido fu trattato in seguito con molta freddezza e sufficienza.
1928: seconda predizione, di padre Matteo Crawley
[NB: Padre Matteo Crawley-Boewey (1875-1960), di origine peruviana, ma residente in Cile,
apparteneva alla Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Grande carismatico con
doni di profezia, comprese, meditando le rivelazioni di santa Margherita Maria Alacoque,
che ogni uomo e ogni nazione nasce sotto il dominio del ‘Principe di questo mondo’ e che
solo la piena adesione e consacrazione a Cristo di tutte le famiglie e di tutte le istituzioni può
ridare la libertà spirituale e fisica alla società. Per contrastare gli errori dei tempi moderni e
l’ateismo dilagante, dedicò tutte le sue energie ad estendere la devozione e la consacrazione di tutte le famiglie e di tutte le nazioni cattoliche ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria con
l’obiettivo di portare il cristianesimo con vasto carattere sociale a tutti i popoli della terra
per conseguire la pace a livello mondiale. La sua iniziativa godette l’appoggio di papa Pio
X, del suo successore Benedetto XV e in particolare di Pio XI che durante il suo pontificato
istituì la festa di Cristo Re con l’enciclica ‘Quas primas’ nel 1925. P. Matteo Crawley rimase
famoso anche per la sua iniziativa dell’Ora Santa, un’ora mensile di adorazione notturna
nelle famiglie, in riparazione agli oltraggi alla Regalità di Nostro Signor Gesù Cristo. Morì
in concetto di santità ed è in corso la sua causa di beatificazione.]
Finito il ginnasio a Feltre, il giovane Guido si trasferì, con altri
Seminaristi della provincia, al Seminario di Belluno dove vi erano solo le
classi superiori.
Passarono gli anni e Guido crebbe meditando sempre le parole di don
Calabria nel suo cuore.
Leggiamo ancora quello che accadde poi:
Nel 1928, all’inizio del secondo anno di teologia, Padre Matteo Crawley
tenne un ritiro per tutti i chierici e predisse a ciascuno, senza nominarlo ma
fissandolo negli occhi, il suo avvenire.
Fra gli altri ricordo che disse di uno, intelligente e buono, che sarebbe
salito ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica. Dai brevi connotati,
molti capirono, compreso egli stesso, che si riferiva ad Albino Luciani che
allora faceva la prima o la seconda liceo. Poi, dopo una breve pausa, soggiunse: “Ooooh..! Ahimè..! Ma durerà poco!”.
Guardò anche me e disse, fissandomi negli occhi, che uno di noi avrebbe
ricevuto una rivelazione sui punti oscuri della Genesi Biblica. Descrisse in
breve la mia vita dicendomi che avrei avuto molto da soffrire, anche per
l’incomprensione dei miei confratelli e dei miei Superiori.
Non avevo più dubbi: il Signore, malgrado le mie molte insufficienze, mi
guidava al Suo scopo.
Padre Matteo Crawley gli preannunciò anche che avrebbe subìto un furto. A quale furto si riferisse non lo seppe mai. Solo in vecchiaia pensò che
si fosse trattato del dizionario dei toponimi che egli aveva composto con
grande fatica e che gli fu sottratto dalla sua casa di Farra.
Però questo vago annuncio gli diede fin da allora non poca inquietudine.
Per questo divenne un tantino sospettoso e diffidente con il prossimo.
Il suo voler sapere sempre il come e il perché delle cose, aveva dato al giovane Guido fama di contestatore e per gli insegnanti era un alunno scomodo.
In un esame, presieduto dal Vescovo Cattarossi, si presentò la solita situazione di prevenzione dell’esaminatore che, posta la domanda al giovane
Guido, cominciò a parlare senza dargli la possibilità di aprir bocca, nonostante egli cercasse con la mano di interromperlo per esporre egli stesso.
Il professore fece per accomiatarlo e propose un voto sufficiente, ma
basso.
Il Vescovo intervenne:
– Ora voglio sentire lui, gli faccia un’altra domanda. –
E Guido, libero questa volta di parlare, espose bene e diffusamente l’argomento. Il Vescovo propose un nove. Fecero media, e gli venne dato otto.
Guido ne fu molto incoraggiato perché comprese d’essere stimato dal
suo Vescovo.
1932: terza predizione, di mons. Gaetano Masi
[NB: Mons.Masi, nato a Vallesella di Cadore nel 1870, si laureò in filosofia e teologia a Bologna e in "utroque iure" a Roma.
Nel 1895 divenne insegnante di dogmatica al seminario di Belluno. Rimosso
dalla sua cattedra da Pio X per le sue idee moderniste espresse sul settimanale cattolico ‘La
Domenica’ di cui era direttore, si trasferì prima a Monaco di Baviera, poi a Vienna alle dipendenze dell’ ‘Opera Bonomelli’ per dedicarsi all’assistenza spirituale degli emigrati. Nel
1913 venne richiamato a Belluno dal vescovo Cattarossi che lo designò l’anno successivo
vicario generale della diocesi. Nel 1919 gli venne assegnata la cattedra di dogmatica, catechetica e teologia pastorale nel seminario di Belluno alla quale rinunciò dopo un decennio
per dedicarsi totalmente alla direzione spirituale dei seminaristi, fra i quali il chierico Guido.
La sua spiritualità verteva principalmente sulla ‘Consecratio Mundi’ a Cristo Re. Il suo
motto era: “Fatevi santi senza riserve! Buttate via il pessimismo e abbiate fiducia nella liberazione globale! Cristo infatti non ha solo salvato le anime, ma anche i corpi, riconsacrando
in radice tutte le realtà terrestri”. Morì improvvisamente come un santo nel 1936. Non vi è
dubbio che Mons. Masi ebbe un ruolo importante nella formazione di don Guido.]
lo vedeva con gli occhi del Signore.
Nel gennaio del 1932, mentre erano in corso gli Esercizi spirituali agli
ordinandi Sacerdoti, mons. Gaetano Masi, Padre spirituale dei seminaristi,
concluse con questa espressione:
– E quando il Signore si degnerà manifestare a uno di voi – guardando diritto al chierico Guido – il mistero del peccato originale, ringraziateLo, perché solo per mezzo della conoscenza della vera essenza del
peccato originale potranno essere compresi il mistero e l’economia della
Redenzione. –
La consapevolezza della sua missione maturava così, lentamente, nel
suo animo, nella riservatezza, modestia e umiltà, col cuore pieno d’attesa e
di riconoscente abbandono nella serena disposizione di accettare la Volontà
di Dio tutta intera.
Ma i dolori non gli furono risparmiati neanche il giorno della sua
Consacrazione, il 31 gennaio 1932, giorno che egli attendeva con molta
emozione insieme ad altri sei consacrandi.
Era felice e compreso della grandezza di quanto stava compiendosi.
Arrivò il suo turno e il Rettore disse al Vescovo Cattarossi:
– Ecco il contestatore! –
Il Vescovo, che lo stimava, ne fu palesemente addolorato.
Il giovane Guido gli disse sottovoce:
– Non si rattristi! –
Il Vescovo capì e gli sorrise.
Quella festa che doveva esser un tripudio di gioia fu invece sciupata dalla tristezza. Tuttavia in cuor suo era certo, certissimo, della sua vocazione,
consapevole già allora che stava portando la croce con Gesù.
Il 2 febbraio del 1932 celebrò la sua prima Messa. Questa data fu ricordata da lui negli anni come la più importante della sua vita e ad ogni
anniversario era preso da grande commozione.
Don Guido Sacerdote
Don Guido fu subito mandato cappellano a Fusine, frazione di Zoldo
Alto in provincia di Belluno, dove rimase fino al 1934 quando fu nominato
Parroco a Dont, frazione di Forno di Zoldo, a pochi chilometri di distanza
dalla sede precedente.
Vi rimase dieci anni, dando tutto se stesso ai suoi parrocchiani e al restauro della chiesa che aveva urgente bisogno di un tetto nuovo e di altri
interventi di manutenzione.
Quarta predizione, di Teresa Neumann
Don Guido ebbe anche un altro incontro significativo che può aggiungersi alle predizioni avute in Seminario: fu la visita di Teresa Neumann che
venne appositamente dalla Germania fino a Dont per conoscerlo
Egli ne aveva già sentito parlare, ed aveva anche acquistato un paio di
libri che parlavano di lei. Ma quando ella si presentò alla porta della sua
canonica, a piedi, vestita con modestia e con un fazzoletto in testa, lì per lì
non la riconobbe.
Infatti, al suo saluto in tedesco, don Guido le chiese, sempre in tedesco,
chi fosse e come mai fosse arrivata fin lassù.
Ella si presentò e soggiunse che “desiderava conoscere l’uomo sul quale
Dio aveva grandi progetti di Misericordia”. Certamente Teresa Neumann
alludeva all’intera umanità. Don Guido invece pensò che la Misericordia
fosse rivolta a lui e, sentendosi gran peccatore, rispose:
– Preferirei non provocare la Sua Giustizia. –
Ella sorrise e gli disse:
– Quando il Signore le parlerà scriva tutto, proprio tutto! Il Signore le
vuole molto bene. – E, dopo una breve pausa, aggiunse:
– Lei avrà molto da soffrire. –
[NB: Teresa Neumann di Konnersreuth (1898-1962), è riconosciuta come la grande mistica stimmatizzata bavarese del XX secolo. Contadina di nascita, rimase cieca e paralitica per un
incidente poco più che ventenne e venne miracolata nel 1927 per intercessione di S. Teresa
di Lisieux. Per 36 anni, fino alla sua morte, visse di sola Eucaristia, senza mai toccare né
cibo, né acqua. Ogni settimana riviveva la Passione di Cristo perdendo, il venerdì, quattro
chili di peso per riacquistarli la domenica senza toccare cibo. Fu oggetto di studio per molti
medici. Parlava, pur senza istruzione, in greco, latino e aramaico. Tenne un’affettuosa corrispondenza con Padre Pio da Pietrelcina. Morì in concetto di santità. È in corso la sua causa
di beatificazione.]
La data è incerta perché nei suoi appunti non è precisata. Di certo si sa solo che fu tra il
1934 e il 1945, anni in cui don Guido fu parroco a Dont.
Egli le offrì da mangiare. Teresa declinò l’invito: non volle nemmeno un
uovo a bere. A quel tempo ella viveva unicamente d’Eucarestia, ma non lo
disse. Gli chiese solo un posto per la notte. Don Guido, però, volendo obbedire al Vescovo che aveva emanato una circolare nella quale si ordinava
di non ospitare nessuno nelle canoniche per la notte, specialmente donne,
le disse che non poteva e la invitò a proseguire per altri 3 o 4 km dove il
Parroco di Fusine poteva ospitarla in una piccola foresteria distaccata dalla
canonica. Ella vi andò e vi pernottò.
Il mattino seguente accadde un fatto strano. Don Guido stava celebrando
la S. Messa. Poco prima della Comunione, mentre diceva “Agnus Dei qui
tollis peccata mundi...”, la Particola che teneva tra le dita improvvisamente
scomparve.
Lui e le donne della prima fila la cercarono ovunque, inutilmente.
Tutti furono testimoni di quella sparizione e nessuno capì.
L’indomani don Guido incontrò il parroco di Fusine presso cui era stata
ospite Teresa Neumann e gli chiese se era venuta da lui una donna. Egli
rispose di sì ed aggiunse che non gli era piaciuta perché gli aveva fatto dei
rimproveri. Disse anche che, durante la Messa, le aveva chiesto se volesse
fare la Comunione ed ella gli aveva risposto che l’aveva già fatta.
Il Parroco di Fusine aggiunse d’averla guardata commiserandola poiché
non si era mossa di lì. Don Guido però capì.
Si dice che Teresa Neumann non sia mai uscita dal Reich. Che fosse
venuta a Dont in bilocazione? Don Guido non seppe dare una risposta a
questo interrogativo.
Don Guido, Curato a Casso
(in provincia di Pordenone, ma nella diocesi di Belluno)
Nel 1945 fu mandato Curato a Casso, un paesino che si trova sopra
la diga del Vajont, ai confini della provincia di Belluno con quella di
Pordenone, cioè tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
Al tempo della Repubblica Veneta, Casso era stato per secoli un luogo
di confino, un bagno penale della Serenissima, dove venivano mandati i detenuti politici e comuni, le prostitute, gli indesiderabili di ogni provenienza
e gli ex-galeotti dàlmati che non potevano più esser impiegati come rematori sulle galere. I confinati non potevano uscire dal limite territoriale ben
picchettato e sorvegliato dai soldati della Repubblica. Dentro questi limiti
potevano fare ciò che volevano, anche giustizia personale.
Gente difficile, dunque, di un paese povero, poverissimo, dove si allevavano i cinghiali al posto dei maiali, dove le case non erano intonacate,
dove talvolta famiglie di due o tre generazioni vivevano in un’unica stanza
e dove poteva accadere che ragazzine di dodici anni partorissero figli illegittimi, talvolta frutto di incesti.
In questo contesto don Guido ebbe molto da lavorare e ovviamente gli
fu opposta molta resistenza. La sua sincerità dal pulpito gli procurò non
pochi nemici. Molti furono gli attentati alla sua vita, ma nessuno riuscì. Ne
ricordo uno.
In una notte piuttosto buia gli fu teso un tranello. Fu invitato ad uscire
dalla canonica col falso pretesto di un’Estrema Unzione. Ignaro del pericolo che lo attendeva, si avviò passando per un vicolo stretto tra un alto muro
e una casa. All’improvviso vide un’ombra scura e minacciosa sul muro.
Fece un passo indietro e una figura alta, forte, pesante, balzò giù con un
impeto tale che sbattè la testa con un botto sordo contro la casa. L’attentatore
cadde svenuto e rimase in coma per alcuni giorni. Il destinatario dell’impatto doveva essere don Guido.
L’indomani la gente scrutava il Curato incredula e sorpresa chiedendosi quale stella mai lo avesse protetto. Segno che era stata una piccola
congiura.
Durante la sua esistenza don Guido subì ventitrè attentati, in ognuno
dei quali rischiò di perdere la vita. Da questo si può capire quanto grande
fosse il progetto che Dio aveva su di lui e quanto lo amasse per dargli tanta
protezione.
La parrocchia, per quanto turbolenta, era piccola, per cui a don Guido
restava molto tempo per studiare. Risparmiando in ogni spesa, cominciò
ad acquistare libri e pubblicazioni che parlavano della comparsa dell’uomo
sulla Terra e delle scoperte scientifiche riguardo all’evoluzione. Dedicava
tutto il tempo libero alle sue ricerche.
1945: la visione della catastrofe del Vajont,
che avverrà nel 1963
Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.
Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc,
invadere il bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre
la diga e incanalarsi spaventosamente per la stretta e ripida valle che porta
a Longarone. Vide la massa d’acqua scendere precipitosamente a zig-zag
verso il paese e spazzare via case, strade, piazze, chiesa, municipio, cimitero... quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo ricoprire ogni cosa
appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavano per morire mentre annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe
molti, fra i quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il
suo cappellano e parente don Lorenzo Làrese.
Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di
demarcazione tra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero
rimaste illese. Ma, a quell’epoca, la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro
persero la vita diciott’anni dopo.
Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un
personaggio strano.
Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che
mi raccontò a viva voce.
Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che portavano infilati su bastoni i genitali 37
di bovini raccolti al macello comunale intonando frasi blasfeme e irripetibili
sull’aria delle Litanie Lauretane: “Santa..., ora pro nobis” con evidente atteggiamento di scherno. Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima
della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.
Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta
sequenza logica con quella infelice e blasfema processione ci spinge a credere che fra i due eventi ci fosse un nesso per far capire a noi uomini come un
nostro comportamento irrispettoso possa alienarci la protezione di Dio.
Dio non castiga: Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla
Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.
Don Guido tuttavia ripeteva:
“È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo.
Non è Dio che manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la
Bibbia per far intendere che tra due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il
castigo ce lo diamo noi stessi perché è la naturale conseguenza dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi, Dio è
vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene.
Dio ha a cuore la
salvezza di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se
il Signore mal sopporta che Lo si bestemmi, non permette che s’insulti la
Vergine Immacolata!”.
Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È
chiaro che non si può attribuire a Dio l’improvviso franamento perché è un
fatto naturale.
La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che
si assommino gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla
conclusione della loro vita impreparate.
Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9
ottobre del 1963, don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano
passati diciott’anni dalla visione. Molti avevano dimenticato la sua profezia
ed erano andati incontro alla morte.
La celebrazione della S. Messa con San Pio da Pietrelcina
Partito da Casso nel lontano 1953, si ritirò a Farra per due anni accanto
alla mamma anziana e malata che nel frattempo era rimasta sola perché
l’altro figlio, Giulio, si era sposato.
Fu durante questo periodo che si recò a San Giovanni Rotondo per incontrare Padre Pio.
Al suo arrivo provò dapprima una delusione: il Frate, che ormai da anni
attirava in quel luogo numerosi pellegrini, lo fece attendere per quattro
giorni prima di riceverlo.
Quando ormai era deciso a rinunciare all’incontro e a ritornarsene a casa,
fu avvicinato spontaneamente da Padre Pio che lo invitò per l’indomani a
celebrare insieme a lui la S. Messa.
Non fu una concelebrazione come la conosciamo ai giorni nostri per cui
i Sacerdoti concelebrano sullo stesso altare. Padre Pio invitò don Guido a
celebrare su di un altare laterale, seguendo però all’unisono gli stessi atti e
le stesse preghiere.
Durante la Messa, che durò più di due ore, Padre Pio si rivolse più volte
a don Guido con tono robusto dicendogli:
– Vada più piano, vada più piano! –
Non era infatti nello stile di don Guido avere lunghe pause, nonostante
celebrasse sempre la S. Messa con calma e grande devozione. Tornò a casa
più sereno.
I luoghi nei quali sono avvenute le rivelazioni
Dopo questi due anni di aspettativa, nel 1955 venne mandato Parroco
a Chies d’Alpago, un altro paesino della provincia di Belluno, in alto e all’estremo limite del bellissimo anfiteatro della Valle d’Alpago ai cui piedi,
in riva al lago di S. Croce, c’era Farra e a Farra la sua casa paterna dove abitava ancora la sua vecchia madre, sempre più anziana e malata, che morirà
nel gennaio del 1970. Spesso, nella bella stagione, vi scendeva in bicicletta
o in corriera.
Mai ebbe un mezzo di trasporto proprio né una perpetua.
Ogni suo risparmio era per la chiesa o per i suoi libri di studio.
Rimase Parroco di Chies d’Alpago per più di vent’anni, fino al 1976.
Fu durante la sua permanenza a Chies d’Alpago che don Guido ebbe quasi
tutte le rivelazioni, sia sotto forma di ‘locuzioni interiori’, che di ‘sogni
profetici’ e di ‘visioni in stato di veglia’.
Solo la rivelazione del ‘peccato originale’ l’ebbe nella casa paterna a
Farra d’Alpago.
* Intanto andava nascendo in lui la convinzione di essere indegno agli
occhi del Signore dal momento che quanto gli era stato predetto in gioventù
non si era ancora avverato.
Ma i tempi del Signore non sono i nostri... Ed ecco che all’improvviso,
quando le innumerevoli mortificazioni avevano temprato il suo animo e la
sua fede, il Signore arrivò al Suo appuntamento.
Tutte le otto rivelazioni avvennero fra il 1968 e il 1974.
Per tutta la vita, prima delle rivelazioni, egli si era tormentato nel tentativo di risolvere razionalmente i quesiti esistenziali dell’uomo, come la
presenza del dolore che la Bibbia considerava una colpa ereditata dal peccato originale.
“Ma, com’è possibile ereditare una colpa? – si chiedeva don Guido. – Si
possono ereditare solo le conseguenze di una colpa. Ma quale poteva essere questa colpa per lasciare delle conseguenze anche fisiche sull’uomo?”
Egli sentiva che c’era, al di là di questi interrogativi, un vuoto di conoscenza perché se Dio è Giustizia, oltre che Misericordia infinita, il principio
dell’eredità della colpa è inaccettabile. Si diceva convinto che quando l’uomo non capisce l’operato del Signore è perché non conosce completamente
i fatti che la Provvidenza, per carità, ha celato nel mistero. Don Guido,
nella sua totale fiducia in Dio, mai aveva dubitato della Sua Misericordia,
e neppure della Sua Parola depositata nella Bibbia e soleva ripetere le parole di Isaia (55, 10-11): “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e
non vi ritornano senza aver irrorato la terra, senza averla fecondata e fatta
germogliare perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà
della Parola uscita dalla bocca di Dio: non tornerà a Lui senza effetto, senza
aver operato ciò che Egli desidera e senza avere compiuto ciò per cui l’ha
mandata”.
***
Con don Guido si apre un periodo nuovo nel rapporto dell’umanità con
Dio, nel quale Dio vuole essere anzitutto conosciuto per essere amato in
modo consapevole non solo col cuore ma anche con un’adesione completa
della mente.
***
Il Signore rassicura don Guido, preoccupato di non saper essere un testimone fedele: – TI AIUTERÒ A RICORDARE E A CAPIRE. –
Ciò significa che l’azione dello Spirito Santo non si esaurisce col primo
tentativo di don Guido di mettere per iscritto quanto ha appreso.
Non è una semplice trascrizione che Dio vuole, ma uno sforzo a ragionare e a ricollegare con la logica quanto sta imparando sotto la Sua paterna
guida. Infatti, certe comprensioni sono avvenute per gradi e alcune solo
quando il Signore gli fa rivivere questo o quell’episodio, la prima volta
incompreso, commentandolo.
Don Guido fa una prima ed una seconda relazione al suo Vescovo, ma
senza alcun esito.
Fra il 1976 e il 1977, don Guido viene mandato per diversi mesi a Pieve
di Cadore. È un periodo grigio perché nessuno dei suoi confratelli, neanche
l’Arciprete di Pieve, è disposto ad ascoltarlo.
Nel 1977 viene inviato Parroco a Vìnigo, un paesino della valle del
Boite che scende da Cortina, situato su una balza lungo le pendici d’un’ampia conca verde.
È la sua fortuna: una premura della Provvidenza!
Questo villaggio di poche ‘anime’ non richiede un grande lavoro, per cui
gli rimane molto tempo per la preghiera e per gli studi. La canonica è una
grande e solida casa, ben esposta al sole, che domina dall’alto un panorama
splendido.
Questo è il momento più importante delle sue riflessioni.
Può finalmente dedicarsi al riordino dei suoi scritti e alla stesura definitiva del suo manoscritto.
I profondi concetti vengono maturati sotto la guida costante della
Sapienza.
È un decennio relativamente sereno e grandemente fruttuoso.
L’incontro con il Patriarca Albino luciani,
il futuro Papa Giovanni Paolo I
Don Guido aveva capito che il riconoscimento delle rivelazioni, seguendo la via gerarchica, gli era precluso.
Nel frattempo mons. Albino Luciani, suo ex-compagno di Seminario e
già Vescovo di Vittorio Veneto, era stato nominato Patriarca di Venezia, per
cui era diventato suo Superiore e Superiore anche del suo Vescovo.
Veramente affranto per tanta chiusura e dopo tante esitazioni per rispetto
al suo Vescovo, don Guido decise di scrivere al Patriarca che, come sappiamo, aveva condiviso con lui le predizioni, fatte ad entrambi da Padre
Matteo Crawley nel lontano 1928, in cui al giovane Albino era stato predetto che “sarebbe salito ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica” e
al chierico Guido che “da anziano il Signore gli avrebbe rivelato i passi
oscuri della Genesi Biblica”. Così don Guido gli raccontò, con una breve
relazione, le rivelazioni avute dal Signore.
Gli spiegò tra l’altro che “Dio fu Padre e Madre per il primo Uomo”
non solo spiritualmente ma anche fisicamente, perché creò nel seno di una
femmina preumana sia il gamete maschile, e così Dio gli fu Padre, sia il
gamete femminile, e così Dio gli fu Madre, formando la cellula germinativa del primo Uomo; mentre, per la creazione della prima Donna, Dio le fu
solo Madre, poiché le fu padre l’Uomo stesso generando, ‘in similitudine
naturae’, nel sonno, come dice la Bibbia.
Il particolare legame che univa don Guido al Patriarca, poiché per entrambi quelle predizioni si erano realizzate, gli dava la certezza di essere
creduto.
Il Patriarca infatti gli rispose affettuosamente. Tuttavia lo invitò al riserbo poiché, fin tanto che tali rivelazioni non fossero state approvate dalle
competenti autorità ecclesiastiche, ossia dal suo Vescovo, esse mantenevano il carattere di rivelazioni private.
Intanto il Patriarca Luciani
cominciò a dire pubblicamente che “Dio per l’uomo è Padre e Madre”.
Questo intervento poteva essere interpretato come un benevolo e intelligente incoraggiamento al Vescovo di Belluno. Il Patriarca Luciani era infatti molto rispettoso dei ruoli altrui. Ciò nonostante, il Vescovo rimase sulle
sue posizioni.
Passò ancora qualche tempo finché don Guido s’incontrò con il Patriarca
Luciani a Vittorio Veneto dove questi era venuto a guidare un ritiro spirituale di un solo giorno invitato dalla sua affezionata vecchia Diocesi. Alla fine
del ritiro, il Patriarca lo avvicinò e lo pregò di trattenersi per parlargli. Ma
l’ora era tarda e don Guido, preoccupato di non perdere il treno utile per la
coincidenza con l’ultima corriera, gli rispose che sarebbe tornato presto per
poter parlare con più calma e corse via.
Intanto il Patriarca fu eletto Papa e non ebbe più l’occasione di rincontrare don Guido. Tuttavia nel suo discorso introduttivo al Soglio Pontificio
non esitò a ripetere che “Dio è, per l’uomo, Padre e Madre”, affermazione
che diede a molti motivo di riflessione.
Probabilmente il compito di Papa Giovanni Paolo I nei confronti di don
Guido e delle rivelazioni da lui ricevute era solo quello di avergli creduto e di testimoniare che le predizioni fatte da Padre Matteo Crawley nel
Seminario di Belluno in quel lontano 1928 si erano avverate per entrambi e
di accreditarlo come profeta.
Gli anni della vecchiaia
Il dolore per la scomparsa di Papa Luciani, che aveva dimostrato amicizia e apertura verso di lui, fu per don Guido un’ulteriore prova dolorosa. La
solitudine spirituale gli diventava sempre più pesante.
Nell’inverno del 1985, durante le festività dei Santi, a Vìnigo scivolò sul
ghiaccio e, per non cadere, si afferrò ad una palizzata.
Lo strattone fu forte e si lussò la spalla destra. Fu una grossa pena morale e fisica il non poter più usare la mano per scrivere con disinvoltura.
Dopo un paio di mesi trascorsi all’ospedale di Cortina, si trasferì a
Belluno in una piccola e modesta mansarda prestatagli dai padri del P.I.M.E.
(Pontificio Istituto Missioni Estere) a poca distanza dalla Casa del Clero.
La sua vecchia casa di Farra, priva di impianto di riscaldamento, non era
idonea ad ospitare un anziano solo.
Fu nella cappella della Casa del Clero che ebbi l’occasione di conoscerlo.
Nel gennaio del 1987, don Guido trovò alloggio nella Casa di Riposo di
Meano, una frazione di S. Giustina a pochi chilometri da Belluno.
Don Guido, sebbene già ultraottantenne, manteneva tutta la sua vivacità
fisica e intellettuale. Il Signore gli aveva promesso una mente limpida, buona vista e buon udito per tutta la vita e così fu. Quegli occhi, che si erano
tanto affaticati sui libri, con un paio di occhiali gli consentirono di leggere
fino alla fine. Anche il suo udito rimase perfetto.
Il suo pensiero era sempre rivolto a come poter ottenere il PLACET della
Santa Sede. Don Calabria aveva predetto tanti anni prima che il messaggio
era “urgente” e don Guido si sentiva responsabile di tanto ritardo. Poiché la
via gerarchica fino a quel momento si era dimostrata impercorribile, andava progettando d’informare direttamente il Cardinale Ratzinger.
Sfiduciato,
finì poi per desistere pensando che la S. Sede, senza un parere favorevole
del Vescovo competente, non l’avrebbe nemmeno preso in considerazione.
Accanto all’intima gioia di esser stato fatto partecipe della conoscenza
di quelli che erano stati i misteri della Genesi e del più ampio e profondo
valore della Redenzione, don Guido sperimentava la Passione intima di
Gesù.
Nella sua vita si ripetevano inimmaginabili umiliazioni. La sufficienza che molti suoi confratelli non si curavano di nascondere gli diventava
sempre più pesante. Il marchio di una fama di ‘visionario’ era il suo pane
quotidiano.
Tuttavia don Guido non perse mai la fiducia nella Provvidenza. Continuava
a coltivare una profonda serenità d’animo per la certezza che il Signore
avrebbe portato a compimento il Suo progetto. Appena poteva raccogliersi in
preghiera o sui suoi libri esprimeva gioia dagli occhi. Aveva l’entusiasmo di
un giovane, certo che in un modo o in un altro tutti avrebbero conosciuto la
verità e avrebbero così compreso la grande Misericordia di Dio.
Le rivelazioni non andarono perdute
con la sua morte
Un giorno, sentendo che le forze gli andavano calando e che non gli
restava ormai molto tempo da vivere, don Guido mi disse:
– Desidero lasciare a lei l’eredità materiale dei miei scritti e di quel
che rimane della mia biblioteca di Farra. Metta il manoscritto e tutti i miei
quaderni al sicuro perché, se dovessi mancare, tutte le mie cose verrebbero
gettate da chi non ne capisce il valore. –
– Si, ...ma ci sono molti Sacerdoti più vicini a lei di me. –
– È vero, ma qui sono tutti prevenuti e, fra quelli che hanno accolto
queste rivelazioni, nessuno ha mostrato un interesse autentico. Io desidero
che ottengano l’approvazione del Vescovo di questa Diocesi, perciò non
desidero che escano da questa Chiesa diocesana che il Signore ha scelto
per questa rivelazione. – Poi, dopo una breve pausa, soggiunse:
– Desidero anche che lei porti avanti il mio lavoro, riordinandolo e
togliendovi tutte le ripetizioni. –
– Ma don Guido, lei sa bene che non sono all’altezza! –
– Dio non cerca le persone più colte o più intelligenti: Dio cerca le
persone che sono sinceramente motivate a fare la Sua volontà. La conosco
ormai da tanto tempo, abbiamo parlato tanto insieme e lei è la persona di
cui ho più fiducia. –
– La ringrazio della sua stima, ma una cosa è parlare di queste cose,
un’altra cosa è riordinare i suoi scritti. Questo presume una certa discrezionalità e per togliere le ripetizioni, come lei vuole, bisogna fare delle scelte.
Lei capisce che questo lavoro richiede troppa responsabilità. –
– Lei lavori con serenità e proceda come meglio crede: io le sarò sempre
vicino e l’aiuterò. – Poi, per mettermi in guardia da inevitabili tentazioni di
autocompiacimento, dopo un’altra breve pausa aggiunse:
– Non creda però che questo compito sia privo di croci. Da un lato c’è
la gioia perché Dio ci ha fatto partecipi dei suoi progetti; dall’altro deve
avere fin da ora la consapevolezza che lei erediterà le mie sofferenze, le
incomprensioni degli amici più cari, le delusioni e perfino le derisioni, le
ostilità, o la noncuranza dei Superiori. Sono umiliazioni pungentissime, ma
diventano superabili solo se lei non si aspetta gratificazioni, salvo quella
d’aver fatto il possibile per amore della Verità e per amore di Dio. Se la
sente?–
– Se è così, allora va bene – risposi.
Con estrema commozione di entrambi, mi fece inginocchiare ai suoi
piedi e, posandomi le mani sulla testa, formulò una lunghissima preghiera
in latino invocando su di me lo Spirito Santo, preghiera di cui io capii il
senso solo a grandi linee. Mi stava dando, assieme alla sua benedizione,
un vero e proprio mandato, come un’investitura, a riordinare quanto aveva
scritto nei suoi appunti e nei suoi Quaderni. Sentii quella preghiera come un
segno di fiducia, ma provai anche in quell’istante tutto il peso dell’enorme
responsabilità che comportava.
Vedendomi emozionata, don Guido non esitò ad incoraggiarmi con
amore paterno e continuò:
– Quando avrà finito questo lavoro vada dal Vicario generale. È mio
amico. Mi ha aiutato lui a stendere il mio testamento. Ho lasciato alla
Curia tutti i miei risparmi e le disposizioni per la pubblicazione di questo
manoscritto. Li ho messi da parte in tanti anni di economie per questo scopo. E adesso cominci a portar via queste cose e a prenderne conoscenza. Ci
sono in mezzo tante carte da buttar via. Faccia uno spoglio a casa sua. Qui
non c’è lo spazio. E si ricordi che proverà tanta solitudine, perché nessuno
che si accinga a lavorare per il Signore ne è risparmiato. –
La malattia e la morte
Verso la fine degli anni ’80 don Guido cominciava a manifestare un
progressivo decadimento fisico. Erano i primi sintomi di un tumore che si
sarebbe manifestato apertamente due anni più tardi.
Il male apparve improvvisamente e in tutta la sua gravità ai primi di
luglio del 1991 quando il chirurgo diagnosticò un tumore intestinale. Fu
operato dopo una settimana e di lì a pochi giorni dovette esser rioperato. I
dolori erano molto forti.
Quando si fu sufficientemente ripreso, fu riportato alla Casa di Riposo
di Meano. Poi il suo declino fu rapido, ma la sua mente rimase vigile fino
alla fine.
Un giorno, mentre giocherellava con una specie di piaga secca sul dorso
della mano che sembrava un grosso neo grigiastro a forma di pisello, mi
disse:
– Vede, questo è un ricordo di quella notte in cui ebbi la visione della
creazione dell’universo. È stata una scintilla uscita dal quadro visivo a
lasciarmi quest’ustione. Non fa male, ed è lì solo per rinnovarmi il ricordo.
Il Signore volle lasciarmi un segno perché, al mattino, non dubitassi pensando che quanto avevo visto fosse frutto della mia immaginazione. –
Poco prima di morire, dopo quasi vent’anni, questa crosta grigia se ne
andò del tutto lasciando solo un tenue rossore.
L’8 ottobre, il giorno dopo il suo 84° compleanno, Maria, la Mamma che
lo aveva condotto nel ‘viaggio più lungo a ritroso nello spazio e nel tempo’,
come lui lo chiamava, lo volle con Sé. Erano le sette di sera.
Eravamo presenti il Vicario generale mons. Pietro Bez, la Madre Superiora della Casa
di Riposo ed io.
L’indomani la salma, dal volto sereno e disteso, era composta nella bara.
Vestito di bianco, nei suoi paramenti sacerdotali, aveva l’austerità di un
patriarca, un aspetto regale pur nella semplicità. Gli anziani della Casa di
riposo vennero alla spicciolata a dargli l’ultimo saluto. Tutti erano stati confortati dalle sue buone parole.
La Santa Messa funebre fu accompagnata da bellissimi canti di voci
bianche. La sua bara, per un disguido dei necrofori che stranamente all’occorrenza erano spariti, fu portata fuori dalla Chiesa a spalla dai Sacerdoti
più giovani, in camice bianco, quasi che il Signore avesse voluto riservargli
quell’onore che molti confratelli non gli avevano riconosciuto.
Sul marmo veronese della sua semplice tomba si leggono queste belle e
assai appropriate parole:
“CANTERÒ IN ETERNO
LE TUE LODI, O DIO,
SIGNORE DELL’ UNIVERSO”.
Alcune date Biografiche:
1907 (7 ottobre) La nascita
(festa della Madonna del Rosario)
1907-1920 L’infanzia e l’adolescenza
1917 (13 ottobre) Ha la visione dell’apparizione della Madonna
ai pastorelli di Fatima e del miracolo del sole
1920-1932 I suoi studi in Seminario
1922 Prima predizione, di don Calabria, che preannunzia questa
rivelazione
1928 Seconda predizione, di Padre Crawley
1932 Terza predizione, di mons. Masi
1932-1934 Cappellano a Fusine (BL)
1934-1945 Parroco a Dont (BL)
1944 Probabile data della quarta predizione, di Teresa Neumann
1945-1953 Curato a Casso (BL)
1945 Ha la visione della catastrofe del Vajont che si verificherà
nel 1963
1953-1955 Periodo di aspettativa a Farra d’Alpago nella casa paterna
1955 Incontro con Padre Pio
1955-1976 Parroco a Chies d’Alpago (BL)
1968 I rivelazione: ‘Il segno di Caino’ (ricevuta nella canonica
di Chies d’Alpago)
1970 II rivelazione: ‘Il peccato originale’ (ricevuta nella sua
casa di Farra d’Alpago)
Vita di don guido Bertoluzzi50 Genesi Biblica
1970 III rivelazione: ‘La morte di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1970 IV rivelazione: ‘Sono uomini’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1972 V rivelazione: ‘La creazione dall’Alfa all’Omega’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
I parte: ‘Il Capostipite’
II parte: ‘La creazione del cosmo’
III parte: ‘La nascita della Prima Donna: l’Omega’
1974 VI rivelazione: ‘L’ultimo pasto di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1974 VII rivelazione: ‘La sera del dì della morte di Abele’
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1974 VIII rivelazione: ‘L’ultimo colloquio’ con il Signore
(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago)
1976-1977 Cappellano a Pieve di Cadore: la sua solitudine
1977-1986 Parroco a Vìnigo: dove approfondisce lo studio della genetica e della geofisica. Incontro con il Patriarca di Venezia
Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I
1986-1987 In pensione a Belluno
1987-1991 In Casa di Riposo a Meano, nel comune di S. Giustina (BL)
1991 (8 ottobre) La morte
EVOLUZIONE O CREAZIONE ? CAINO è LA CHIAVE DEL MISTERO"
EVOLUZIONE O CREAZIONE ?
CAINO è LA CHIAVE DEL MISTERO.
Quarta edizione
La curatrice
Renza Giacobbi
Via I Novembre, 1
32100 Belluno - ITALIA
Cellulare 348.9598086
E-mail: genesibiblica@libero.it - genebi@tiscali.it
Internet: www.genesibiblica.eu
DICHIARAZIONE
Il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dogmatica LUMEN
GENTIUM al cap. 4° dice: “…Egli (Lo Spirito) introduce la Chiesa nella
pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero,
la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e ‘carismatici’, la
abbellisce dei suoi frutti”. (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,5,22).
Nella Costituzione Pastorale GAUDIUM ET SPES al cap. 44 dice:
“…L’esperienza dei secoli passati, il progresso delle scienze, i tesori nascosti
nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la
natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di
vantaggio anche per la Chiesa … È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto
dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare
attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro
tempo e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità
‘rivelata’sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire
presentata in forma più adatta”.
A Maria Assunta,
e Madre secondo lo Spirito di tutti i redenti,
Concepita senza alcuna macchia, o tara, del peccato originale,
Colei che è Regina del Cielo e della Terra
e che fu resa da Suo Figlio la Mediatrice di tutte le Grazie,
sempre in lotta contro il ‘demonio’, ma su lui Vittoriosa.
INTRODUZIONE
di Renza Giacobbi
Quando iniziai il lavoro di riordinare gli scritti di don Guido per adempiere
alla promessa che gli feci di portare a pubblicazione questo testo, mi
sentivo oppressa dalla responsabilità di tale compito. Ma, mano a mano che
procedevo, mi presero una pace, una gioia, un entusiasmo inspiegabili. Mi
rendevo conto che, al di là dei fatti narrati, cambiava il mio modo di pormi
davanti a Dio e al prossimo, perché cambiava la mia prospettiva nel vedere
le cose. La mia fede in Dio diventava fiducia, il mio rapporto con gli altri
diventava comprensione.
Feci leggere questo libro ad alcune persone amiche che, superato lo stupore
per gli argomenti trattati, provavano gli stessi sentimenti e affermavano
che, come ogni Parola di Dio, questa rivelazione guariva le loro ferite
profonde dell’anima: era come se la loro vita fosse giunta ad una svolta
perché il rapporto con se stessi e gli altri non era più lo stesso.
Il Vangelo ci invita ad amare il prossimo. Ma com’è possibile amare
qualcuno che è indisponente o, peggio ancora, una persona senza morale? È
impossibile se non conosciamo cosa c’è dentro la natura dell’uomo e se non
gli diamo delle attenuanti. Freud ha sondato il subconscio e l’inconscio, ma,
come scienziato, è rimasto emotivamente indifferente di fronte alle alterazioni
della psiche.
Con la lettura di questa rivelazione, invece, si arriva alla conoscenza
delle cause profonde del modo di sentire e di comportarsi dell’uomo e il
nostro approccio non rimane più quello dello spettatore, perché nasce in noi
un sentimento di comprensione e di pietà che ci permette di amare anche
ciò che è sgradevole sapendo che di quel comportamento spesso l’uomo
non ha colpa, ma ne è vittima.
Così, cambiando il nostro atteggiamento, vediamo con sorpresa che anche
gli altri di riflesso cambiano il loro nei nostri confronti.
L’amore per il prossimo allora non è più una mèta irraggiungibile, perché
la conoscenza profonda della natura umana ci viene in soccorso ispirandoci
tolleranza e perdono per noi stessi e per gli altri. Questa rivelazione
diventa mezzo di guarigione perché spiega, con la ragione, molti comportamenti
umani inquadrandoli nella loro giusta dimensione e, soprattutto, fa sì
che la guarigione diventi attuabile perché è Dio stesso che se ne fa carico e
a questo scopo ha predisposto i mezzi e gli strumenti, ai quali l’uomo possa
ricorrere.
Non più incomprensioni fra Scienza e Fede
Qual’è il problema di oggi che offusca la verità? Non è solo l’incomprensione
fra Scienza e Fede, ma la crisi stessa della Scienza che, riguardo
all’origine dell’uomo, è divisa in due correnti di pensiero diametralmente
opposte ed inconciliabili: l’evoluzionismo e il creazionismo. Sono inconciliabili
perché, pur dicendo entrambe alcune verità, ciascuna delle due ha dei
limiti negli stessi suoi presupposti, limiti che entrambe non sono in grado di
superare. L’evoluzionismo, credendo di aver trovato la chiave dell’evoluzione
nel ‘caso’, sul quale poi interverrebbero dei fattori successivi come l’ambiente
e la selezione, si è insabbiato da solo quando non può spiegare come
si passi dalla materia al pensiero o come si formino organi complessi come
l’occhio e così via; il creazionismo, d’altro canto, resta incompreso quando
si ostina a prendere alla lettera espressioni della Bibbia che invece vanno
lette con profondo rispetto perché contengono sapienti significati allegorici.
Per cui la scienza, privata di un’etica superiore perché non fa più riferimento
al legittimo Creatore, si sta comportando in modo selvaggio compromettendo
la vita stessa del pianeta e con essa quella dell’umanità.
Tuttavia queste correnti hanno dei meriti: gli evoluzionisti hanno messo
in evidenza la scala biologica delle specie, mentre i creazionisti ridanno a
Dio il Suo ruolo di Creatore e di legittimo Signore della vita.
È chiaro che la verità sta nel superamento di entrambe.
Papa Giovanni Paolo II durante un’intervista fattagli dal prof. Nicola
Cabibbo, fisico e docente all’Università la Sapienza di Roma e presidente
della Pontificia Accademia delle Scienze, dichiarò che non vi è alcun problema
per la Chiesa convenire che esiste ‘un continuo’ fra tutte le specie dalle
cellule primordiali all’uomo, purché Dio mantenga il Suo ruolo di diretto
Creatore. Tuttavia, aggiunge il prof. Cabibbo, nessuno scienziato è stato in
grado finora di dire ‘come’ siano apparse le varie specie e come sia apparso
l’uomo. A ciò ha provveduto il Signore stesso con questa rivelazione.
La terza via: la creazione mediata
Il superamento di queste opposte posizioni può avvenire solo attraverso
nuove conoscenze che aggiungano quel tassello mancante attraverso il
quale tutta la realtà è spiegabile. Questo tassello è contenuto in questa rivelazione.
Questo nuovo elemento, finora mancante, è nell’aver portato a conoscenza
la vera storia dell’uomo, dalla sua origine al pregiudizio che ne seguì
per il cattivo uso della sua libertà che determinò l’involuzione della specie
umana fino a farla scomparire come specie pura per lasciarla sopravvivere
mimetizzata fra le specie inferiori. Solo dopo che l’umanità ebbe toccato il
fondo, iniziò il suo recupero e quella che gli evoluzionisti chiamano evoluzione,
in realtà non è che la sua rievoluzione, che molto meglio andrebbe
definita come “la sua ricostruzione”, sorretta dallo stesso Creatore.
Così gli evoluzionisti, che hanno presente solo quest’ultima fase, possono
dire di aver giustamente compreso lo sviluppo psichico e fisico dell’essere
umano e vengono incoraggiati sul loro studio antropologico, mentre i
creazionisti possono finalmente veder coronata la loro intenzione di dare a
Dio ciò che è di Dio: la creazione dell’uomo e di ogni altra specie.
Questa rivelazione è finalizzata a chiarire con argomenti scientifici, ma
accessibili a tutti, i punti oscuri della Genesi. In sintesi Dio dice che ogni
creazione di una nuova specie è sempre partita da un seme e che mai una
pianta o un animale è stato creato allo stato già sviluppato e adulto come
per magia, sebbene questo Gli sarebbe stato possibile essendo Egli Potenza
Assoluta. Questo principio di iniziare ogni creazione dal seme vale sia per
l’universo che per la vita.
Non spiega come Dio creò la vita biologica ai suoi albori ma, mostrando
come operò per creare il primo Uomo e la prima Donna, suggerisce di
estendere questo principio anche alla creazione di tutte le altre specie.
Quindi, anche il primo Uomo e la prima Donna non furono creati già
adulti, come vorrebbero i creazionisti fondamentalisti, né in via di evoluzione
come vorrebbero gli evoluzionisti, ma vennero creati nella loro prima
cellula e già nella loro perfezione assoluta.
E dove mai avrebbe potuto svilupparsi la vita in embrione se non nel-
l’utero di una femmina di una specie già esistente?
A questo scopo il Signore si servì, come ‘mezzo’ per la creazione del-
l’Uomo e della Donna, di una femmina di una specie ora estinta, quella
degli ancestri (così denominata dal Signore). Perciò questo processo è stato
chiamato ‘creazione mediata’ perché, come dice l’espressione stessa, Dio
ha usato come ‘mezzo’, o supporto, ciò che era già stato creato: regola questa
usata, prima ancora, per la creazione di qualsiasi altra nuova specie. La
sola, ma importantissima, differenza rispetto alla creazione di tutte le altre
specie fu che nella creazione dell’Uomo e della Donna Dio aggiunse, fin
dall’attimo del loro concepimento, un elemento nuovo, il Suo Spirito, così
che essi divennero spiritualmente Suoi Figli.
Quindi l’Uomo deriva, ma ‘non discende’, dalla specie immediatamente
inferiore perché in tutto e per tutto è ‘nuova’creazione non essendo passato
alcun gene dalla specie inferiore a quella superiore. Passò solo il nutrimento.
Ciò non toglie che le due specie, quella umana e quella ancestre, pur
avendo un numero di cromosomi diverso, siano state create con un certo
numero di geni uguali.
Fu l’enorme quantità di specie in progressione di sempre maggior complessità
e perfezione ad indurre in errore gli evoluzionisti che dedussero che
il processo evolutivo fosse spontaneo.
Per quanto concerne i contenuti, il Signore fece vedere a don Guido
come il peccato originale, peccato di disobbedienza, di estrema presunzione
e di autosufficienza commesso dal primo Uomo con la femmina ancestre
dalla quale la specie umana era derivata, inquinò la specie umana perfetta
pregiudicando le generazioni successive. Si determinò quindi una strana situazione:
da un lato si ebbe una discendenza pura e legittima derivata dalla
prima coppia dei Figli di Dio, l’Uomo e la Donna ; dall’altro una discendenza
ibrida derivata dallo stesso Uomo e dalla femmina ancestre appartenente
alla specie subumana. Quindi si ebbero due genealogie parallele, una pura
e legittima con tutti i requisiti di perfezione ricevuti da Dio, ed una ibrida e
illegittima che si degradò fino a perdere ogni sembianza umana per mimetizzarsi
fra gli ominidi.
Le novità non sono poi tanto nuove come potrebbero sembrare a prima
vista, perché le due figure femminili, Eva, la femmina ancestre che fu la
partner di Adamo nel peccato originale e che divenne madre di Caino, e
Abele e di Set, sono contemplate anche nella antica tradizione ebraica la
quale racconta che furono due le ‘cosiddette mogli’ di Adamo: una, la prima,
Lilith, che generò dèmoni e mostri malvagi, l’altra che generò uomini.
Con il passare del tempo, quando ai Figli di Dio (i discendenti puri di
Adamo) piacquero le più belle delle figlie degli uomini (le femmine dei discendenti
ibridi di Adamo) e le presero in mogli, ossia come schiave concubine
(Gn. 6,2), i due rami genealogici cominciarono a fondersi a spese del
ramo puro che lentamente si assottigliò fino a scomparire definitivamente
come specie pura, assorbito dalla popolazione ibrida. Così i discendenti
ibridi s’inabissarono progressivamente in un’involuzione psicosomatica
che fece perdere loro i requisiti di uomini perfetti per farli sopravvivere allo
stato di ominidi. Pertanto questi uomini ibridi persero non solo il requisito
di Figli di Dio, ma anche lo Spirito di Dio (Gn. 6,3) perché lo Spirito di Dio
non poteva abitare in esseri animaleschi.
Solo dopo che le frange più compromesse furono spazzate via da selezioni
di vario tipo, il Signore iniziò il recupero della specie umana ibrida,
promuovendo un processo di ricostruzione. Alla specie ibrida, cioè discendente
del ramo illegittimo di Adamo, appartiene oggi tutto il genere umano.
I reperti archeologici sono dunque la prova non dell’evoluzione della
specie umana, bensì del suo decadimento e del suo recupero, fenomeni
che spesso si sono intrecciati fra loro. E questo processo di ricostruzione è
ancora in atto.
Quando poi l’umanità rievoluta raggiunse un livello di sufficiente capacità
di intendere e di volere, cioè nella pienezza dei tempi, Dio mandò Suo
Figlio Gesù affinché ridonasse il Suo Spirito a tutti i miti e i giusti della
terra così che, per la Sua obbedienza e mediazione, essi potessero esser
riammessi all’eredità spirituale e potessero esser riaperte loro le porte del-
l’eterna felicità. Perciò, in quanto figli illegittimi, senza la Redenzione ‘non
siamo eredi’ dei beni eterni previsti da Dio per i Suoi Figli legittimi: solo
(Adamo) nella condizione di ‘figli adottivi di Dio’.
Questa rivelazione è di una semplicità e di una logica straordinarie,
come lo è del resto ogni cosa che proviene da Dio.
Il Vangelo dice che Gesù, alla fine della Sua missione, disse ai Suoi apostoli:
“Avrei ancora molte cose da dirvi, ma per ora non siete in grado di
portarne il peso” (Gv 16,12). Quindi Gesù sottintendeva che la Rivelazione
rimaneva aperta e che, quando gli uomini fossero stati in grado di ‘portarne
il peso’, cioè di capire correttamente ciò che fosse stato loro rivelato, essa
avrebbe avuto un seguito. Questa rivelazione è un supporto esplicativo di
ciò che è già stato detto nella Genesi mosaica, ampliando dettagli e rispondendo
a quei quesiti che la prima non poteva dare. Se il Signore ha atteso
questi tempi, è perché questa rivelazione, che riguarda principalmente la
genetica, aveva bisogno che la scienza fosse in grado di comprenderne i
passaggi e i contenuti, altrimenti sarebbe stata inutile. Essa è importantissima
perché non solo chiarisce e spiega ciò che nella Genesi è detto ‘in nuce’
sotto forma di metafore o di simboli, ma ci dà quella comprensione che è
indispensabile per capire in profondità il vero significato della Redenzione.
A coloro che obiettano che la rivelazione si è chiusa con l’ultimo
Apostolo perché hanno letto gli ultimi versetti dell’Apocalisse, diremo che,
se fanno bene attenzione, vedranno che questi si riferiscono solo all’Apocalisse.
Nessuno potrà mai limitare la libertà di Dio che, da buon Padre, desidera
avvicinarsi ai Suoi figli attraverso i canali che Egli stesso di volta in
volta sceglie per soddisfare quelle esigenze di conoscenza che proprio Lui
ha stillato nell’uomo. Gesù ha fondato la Sua Chiesa che, pur essendo Una,
si esprime con due funzioni distinte e fondamentali: da un lato la Chiesa gerarchica
è preposta per amministrare la Grazia in tutte le sue forme, dall’altro
di Dio dandole luce e calore. Queste due funzioni della Chiesa non sono in
concorrenza fra loro, ma sono complementari e si integrano a vicenda.
Il Santo Padre Benedetto XVI, al quale a suo tempo ho fatto pervenire
il libro ‘Genesi biblica’ di don Guido Bortoluzzi, ha successivamente affermato
nelle sue catechesi di fine 2008 che l’evoluzionismo mina in modo
sottile le fondamenta stesse del cristianesimo. Riguardo al ‘peccato originale’,
il 3 dicembre 2008 disse che alla natura originariamente buona dell’uomo
questo peccato “sovrappose una seconda natura” che ha corrotto “biologicamente”
l’umanità e che, ancora “biologicamente”, ossia geneticamente,
si è trasmessa fino ai giorni nostri: esatttamente come si dice in questa rivelazione.
Questo suo intervento sul peccato originale, apre le porte a questa
rivelazione. Nella stessa catachesi il Papa ha ricordato anche la Lettera di
S. Paolo ai Romani nella quale si afferma che “per colpa di ‘un solo’ uomo,
Adamo, il peccato entrò nel mondo (Rm 5,12)...” (ancora in sintonia con la
stessa rivelazione) e che “per i meriti ‘di Uno solo’, Gesù, abbiamo la Vita
(spirituale in Dio) (Rm 6,11)...”. Egli ha ricordato poi che sia il peccato
originale che la Redenzione sono, per i cattolici, dogmi di fede.
Benedetto XVI ha sempre sostenuto che la vera scienza e la fede non
sono in antitesi e auspica che fra esse nasca complementarietà. Ribadisce
che la comparsa di ogni nuova specie è avvenuta per intervento diretto
di Dio Creatore (vedi altre sue catechesi: quella dell’8 e del 10 dicembre
2008). Quindi la dottrina cattolica condivide la scaletta evolutiva fra le specie
proposta dagli evoluzionisti, ma nega l’evoluzione spontanea delle specie
e il sorgere di nuove specie dovuto al caso e alla naturale selezione e dà
a Dio Creatore il giusto ruolo che Gli spetta.
È dunque ragionevole evitare di assumere a priori posizioni negative
di fronte alla rivelazione ricevuta da don Guido, la quale è veramente un
segno della Misericordia di Dio, perché i suoi presupposti sono conformi
al Credo cattolico.
Dice Gesù a Maria Valtorta (vedi i Quaderni del 1944, messaggio dell’8
marzo): “(Prima che finisca quest’epoca) tutto si deve conoscere del simbolismo
biblico che ha inizio sin dalle prime parole della Genesi, e se Io
(Gesù) vi istruisco su un punto finora inspiegato, accogliete il dono e traetene
frutto e non condanna. Non fate come i Giudei del Mio tempo mortale
che vollero chiudere il cuore alle mie istruzioni e, non potendoMi eguagliare
nel comprendere i misteri e le verità soprannaturali, Mi chiamavano
ossesso e bestemmiatore”.
L’esperienza di secoli ci insegna che non basta che una verità non ancora
conosciuta sia verità perché si autoaffermi. La verità ha anche bisogno
di trovare un animo aperto senza preconcetti. E, quando questo avviene, è
necessario, per essere accreditata, che tutti i tasselli razionali s’incastrino
perfettamente e che nessun punto sia in contraddizione con tutti gli altri.
Ho cercato di eseguire questo lavoro con il massimo scrupolo. Dove è
stato possibile ho arricchito il testo con spiegazioni, commenti, descrizioni
più ricche di particolari e di colore, presi da altri scritti di don Guido e da
appunti tratti dalle nostre frequenti lunghe conversazioni con il desiderio di
fare unicamente la Volontà del Signore.
Proporrei un piccolo suggerimento al lettore che, preso dalla curiosità,
potrebbe essere invogliato ad anticipare la lettura di alcuni capitoli. Poiché
questo insegnamento del Signore ha un unico filo conduttore che ha una
logica molto ferrea, se non viene seguito passo-passo, perde molti punti
del suo ragionamento. È come la dimostrazione di un teorema di geometria
che, qualora venga saltato un passaggio, tutto il teorema cade. Ad esempio
la scoperta dell’identità di Eva, fondamentale per la comprensione di tutta
la rivelazione, avviene per gradi ed è giusto seguire il percorso di comprensione
che ha seguito don Guido.
Direi che anche la biografia di don Guido ha molta importanza per capire
come il Signore lo abbia preparato al Suo incontro fin dalla più tenera età.
giovedì 15 dicembre 2011
( 5 ) DON GUIDO BORTOLUZZI E ...TEOFANIA. Le due Madri dei Figli di Dio. "Il Campione". Il primo Uomo "è ancora innocente". La specie immediatamente precedente all’Uomo. (5)
CERCAVO LA VERITA'
PER FAR CONCORDARE
LA SCIENZA CON LA BIBBIA
MI VENNE INCONTRO
QUINTA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago nel 1972
§ 1 Un fatto straordinario e meraviglioso mi è accaduto nella
notte della festa dell’Assunta, il 15 agosto 1972 alle ore 3
del mattino.
Da oltre trent’anni mi interessavo del problema dell’origine
dell’uomo, preoccupato del diffondersi tra i giovani della
teoria dell’evoluzione spontanea e della poligenesi dell’uomo,
teorie che portano inevitabilmente alla negazione di
Dio e di ogni principio morale.
Nell’intento di far concordare i dati della Scienza con
quelli della Genesi Biblica, avevo studiato il problema su
tutti i libri relativi ad esso che avevo trovato in vendita (una
cinquantina) e avevo collezionato molte riviste e molti articoli
di giornali ricavandone un pacco di fogli e appunti.
Ad eccezione di pochi autori, gli altri ripetevano in vario
modo la teoria dell’evoluzione naturale, anche se la chiamano
guidata, delle varie specie di viventi, e quindi anche
dell’uomo, contro le affermazioni della Bibbia la quale dice
che Dio ha creato tutte le specie di animali e di piante ‘allo
stato definitivo’ stabilendo che ogni specie generasse ‘secondo
la propria specie’.
Questa espressione è ripetuta nei primi capitoli della Bibbia
per ben 11 volte, per far capire che solo l’Uomo non si attenne
a tale ordine.
U n lungo esame di coscienza
§ 2 Ogni momento libero dagli impegni del mio ministero e
dalle faccende di casa e di Chiesa, lo occupavo nella mia
ricerca, rinunciando alle passeggiate, alla radio, alla televisione
e ad ogni altra distrazione.
Mi coricavo a mezzanotte. Alle tre ero solito alzarmi a passeggiare
in cucina, per venti, trenta minuti, onde agevolare
il processo della digestione. Poi scrivevo qualche appunto,
quindi dormivo fino alle sei.
Nel 1972, ai primi di luglio, avevo comperato un solo libro:
trattava anch’esso dell’evoluzione ed essendo opera di
un altro religioso, speravo di cavarne qualche idea più consona
ai miei princìpi.
La vigilia dell’Assunta mi ero impegnato a terminare le
ultime cento pagine. Era scritto bene, con termini scientifici
appropriati e una certa logica che sembrava proprio credibile.
Lo terminai a mezzanotte, deluso ed angustiato, giurando
a me stesso che sarebbe stato l’ultimo.
Non avevo recitato il Breviario e volli supplire con un’ora
di adorazione prostrato ai piedi dei gradini dell’altare come
nel giorno della mia ordinazione11 .
Ero deluso e amareggiato anche perché i parrocchiani
non erano venuti al triduo e neppure al Rosario di quella
sera. Nessuno a confessarsi, neppure quei quindici fanciulli
che avevo ammesso alla Prima Comunione il dì del Corpus
[11 Nel linguaggio ecclesiastico l’aggettivo ‘‘prostrato’’ significa ‘disteso a terra a braccia
aperte e a faccia in giù’].
Domini. Girando per le contrade li avevo invitati personalmente,
ma tutti avevano una scusa: l’indomani dovevano
attendere degli ospiti o fare una gita, ecc.
Pregai il Signore e la Madonna di accettare me a nome di
tutti. Poi meditai sul ‘povero... me’.
Feci un lungo esame di coscienza e con molta lucidità
passai in rassegna tutte le tappe della mia vocazione da
quando, all’età di tre anni e mezzo, mia nonna mi mandò
nella camera di mio padre moribondo per dirgli di mettersi
in pace con il Signore e di chiamare il prete.
Gli dissi che anch’io da grande sarei diventato prete e
sarei stato contento di sapere che era morto in pace con
Dio. Poi l’infanzia e la fanciullezza senza i giochi e spassi
tipici di quell’età per accudire alle faccende di casa, ma
con la gioia di andare in chiesa alle funzioni e a cantare;
poi la prima Comunione con una trentina di compagni ai
quali avevo fatto da catechista; poi l’invito ad entrare in
Seminario; quindi la Cresima con l’abbraccio del Vescovo,
gli studi.
Conclusi che non avevo sbagliato strada: il Signore mi
aveva segnato fin da quella tenera età.
Mi rialzai dalla mia posizione dopo un’ora. Non ero affatto
stanco, ero sereno.
Ritornando in canonica, osservai il cielo tutto limpido e
stellato. Era cessato il baccano del juke-box e delle grida
della gioventù nel vicino esercizio pubblico.
Coricandomi esclamai:
– O tempo sì malamente speso, io ti maledico! Domani all’alba
porto tutti quei libri nell’angolo dell’orto e ne faccio
un falò. Chi si darebbe la pena di leggerli se vede i crocioni
che ho tracciato su molte pagine e le note che ho scritto sui
margini? A che mi servono tutti quegli appunti? Che cosa
mi resta di tutti i miei studi? Vediamo... – E andavo riassu-
mendo le nozioni imparate sulla Bibbia e sui libri di scienze
naturali.
– Che presunzione la mia volontà di indagare sui segreti
della Bibbia per far concordare i suoi dati con quelli della
scienza! Miserere mei, Deus. –
I pensieri della veglia
§ 3 Il sonno tardava a venire. Mi ripresero i pensieri della veglia:
– Perché perdere tempo, sonno, fatica e danaro per studiare
il problema dell’evoluzione che vanifica la Parola della
Genesi la quale afferma che l’Uomo fu creato perfetto e non
già in via di evoluzione e che solo ‘dopo’ degenerò? Anche
la teologia ci insegna che Colui il Quale fece bene ogni
cosa, fece ‘molto bene’ la prima coppia umana e non già
allo stato bestiale da cui si sarebbe evoluta con l’andare dei
millenni tra sofferenze inaudite. Non poteva quindi l’Uomo
essere frutto di evoluzione, perché in tal caso l’umanità non
sarebbe stata alle sue origini “cosa molto buona”.
– È chiaro che se l’Uomo creato da Dio era un Uomo
perfetto, mentre i reperti archeologici ci rivelano che l’uomo
della preistoria era un individuo imperfetto, è stato il
peccato originale che lo ha corrotto in tutti i suoi aspetti
fino a fargli assumere i caratteri di ominide. E se fu corrotto
anche nella sua componente fisica e psichica, e non solo in
quella spirituale, è logico pensare che il peccato originale
sia stato un peccato di ‘ibridazione12 della specie’ dovuto ad
12 È bene ricordare che al momento di questi pensieri, che precedono la rivelazione che sta
per essere narrata, don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni dalle quali aveva appreso, come
dato certo, che l’umanità, fin dalle sue origini, aveva avuto un problema di ibridazione della
specie.
un rapporto consumato fuori della specie. Perché, se i due
progenitori dovevano crescere e moltiplicarsi, un rapporto
fra loro non solo non era proibito, ma doveroso.
§ 4 – Perché gli scienziati danno per scontata la teoria della
poligenesi,
[13 In base a questa teoria si suppone che la specie umana sia il risultato dell’evoluzione da
numerose specie primitive.]
mentre la Bibbia ci parla di un solo Uomo e di
un’unica coppia umana in principio, e non hanno preso in
considerazione l’ipotesi che la differenza tra i gruppi etnici
e talune tare ereditarie sarebbero dovute all’ibridazione
della specie umana con la specie antropomorfa più vicina
all’Uomo avvenuta nei primordi dell’umanità? Il fenomeno
dell’ibridazione è accennato nella Genesi all’inizio del 6°
capitolo, dove, ‘all’albero genealogico della Vita’, quello
dei ‘Figli di Dio’, era vietato ‘conoscere’, cioè avere rapporti
generativi con ‘l’albero genealogico selvatico’; e anche
dove parla dell’infausto connubio tra ‘i Figli di Dio’
(gli Uomini14 perfetti) e ‘le figlie degli uomini’ (le figlie degli
uomini ibridi) per cui entrambe le specie furono corrotte.
Come se il racconto biblico fosse una favola, hanno voluto
prescindere da esso e sofisticare e fantasticare sui reperti
fossili che stanno a provare soltanto come gli uomini hanno
‘perduto l’immagine e la somiglianza con Dio’. Quella che
scienziati e teologi chiamano evoluzione è stata in realtà
una ‘ri-evoluzione’, un recupero progressivo dei caratteri
umani originari avvenuto mediante una selezione guidata
dal Creatore. Solo in questo caso si può parlare correttamente
di rievoluzione guidata, ma non per la creazione
dell’umanità.
14 L’Uomo e la Donna creati perfetti ed i relativi aggettivi sostantivati sono scritti con la
lettera maiuscola per distinguerli dagli uomini contaminati dall’ibridazione, scritti con la
lettera minuscola.
§ 5 – La Bibbia insegna che la natura non compie spontaneamente
dei salti fra una specie e quella successiva.
Soltanto Dio può determinare il sorgere di nuove specie.
Anche questo principio è espresso chiaramente nella Genesi,
benché essa non dica come Dio sia intervenuto.
– Il primo vivente della specie umana è sicuramente
Adamo. Se la moglie fu tratta dalla ‘costa’ di Adamo, anche
lei apparteneva all’Albero genealogico della Vita.
E se egli è il primo Vivente (umano), è anche padre di lei.
– Dice la Genesi che Adamo generò Set a oltre 130 anni d’età.
A quale età generò allora il primogenito maschio Caino? E
ancor prima, a quale età Adamo generò la Donna ?
§ 6 – Altro problema.
– Dice la Genesi che fu Eva la causa della tentazione e
della caduta di Adamo.
– Dunque è Adamo l’autore di questa caduta. Ma come ha
potuto il primo Uomo, dotato di doni soprannaturali e preternaturali,
commettere il ‘peccato originale’, un fallo così
gravido di conseguenze? Lo ha fatto per istigazione di Eva?
– Che tipo era Eva? La Bibbia non dice che Dio le abbia
soffiato in faccia il soffio di Vita come ad Adamo. Però dice
che parlava e ragionava, ma cadde nel peccato ed incitò
anche l’Uomo al peccato.
E nella subcoscienza mi affiorò il ricordo di due fatti:
a) la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ di quattro anni
prima, dalla quale avevo capito che Caino aveva l’aspetto
antropoide;
b) e poi l’altra, la visione de ‘Il peccato originale’, avuta
due anni dopo la prima, con la quale assistetti al peccato
di Adamo, rivelazioni per le quali avrei saputo darmi una
risposta, ma diffidavo e temevo di servirmene giudicandole
frutto di fantasia, come mi venne detto da un confratello con
il quale mi ero confidato.
Un Angelo precede l’arrivo delle due Celesti Messaggere
§ 7 La voce di un adolescente, vicinissima al mio orecchio destro,
molto chiara e non in sordina, mi disse prima sottovoce
e poi forte:
– GUIDO, ALZATI CHE È L’ORA SOLITA. –
Non ebbi alcun sussulto a quella improvvisa chiamata,
perché ero ancora nel dormiveglia.
Avevo l’impressione che una persona si fosse curvata sopra
il mio capo e parlasse.
Non mi mossi, non aprii neppure gli occhi: trattenni il fiato
per sentire il rumore dei passi della persona che mi aveva
parlato o, almeno, il fruscio dei suoi vestiti.
Nulla: il silenzio era assoluto.
Quella voce era risuonata dentro la camera, come di persona
che parlasse proprio vicinissima al mio orecchio destro.
Era una voce chiara, molto familiare, ma non riuscivo ad
identificarla sebbene conoscessi dal loro timbro le voci di
tutti i miei parrocchiani. Sembrava quella di mio fratello
quando era ragazzo. Anzi, sembrava proprio la mia di quando
avevo dodici o tredici anni.
Mi accorsi di avere l’orecchio destro contro il guanciale.
La voce mi era entrata proprio di lì. Alzai il braccio alla
testiera del letto e accesi la luce. Uno sguardo intorno, nella
piccola stanza, che misura solo 3 m per 3 per 2,20 di altezza,
mi assicurò che non c’erano ospiti.
La porta era chiusa, l’unica finestra anche.
Sollevai il guanciale. Nulla. Mi sporsi a guardare sotto il
letto: nulla!
Rimasi seduto sul letto per qualche minuto, riflettendo:
– Mi ha chiamato Guido, invece che don Guido.
– Mi ha dato del tu, forse per disprezzo.
– Mi ha dato un ordine: ALZATI. Con quale autorità?
– Ha soggiunto: “È L’ORA SOLITA”. Infatti il mio orologio
segna proprio le tre; ma come fa a sapere l’orario delle
mie levate notturne? Ciò vuol dire che mi ha spiato, ma a
quale scopo? E, se mi ha spiato anche questa volta, dovrebbe
sapere che non mi sono coricato a mezzanotte come al
solito, ma all’una e perciò non ho bisogno di muovermi per
agevolare la digestione e scrivere appunti come di consueto.
Il mio nome era comune ad altre persone e pensai che non
mi riguardasse. A conclusione esclamai:
– No che non mi alzo! – e mi adagiai contrariato e indispettito.
Pensai di essermi sbagliato e mi girai sull’altro fianco
cercando di dormire, ma la mia mente tornava ai soliti interrogativi.
Le due Madri dei ‘Figli di Dio’
§ 8 Mentre mi stavo ponendo ancora delle domande, sentii
delle voci15 femminili che sembravano provenire da oltre la
parete di graticcio che dietro la mia testa separa la mia camera
dal vano scale. Esse mi chiamavano per nome:
– GUIDO, NON TEMERE, SIAMO QUI ANCHE NOI, LE
DUE MADRI DEI FIGLI DI DIO. –
Poi la Voce più alta e sonora, molto dolce, che mi penetrò
nel cuore, proseguì:
15 Per facilitare la comprensione in chi legge, useremo la ‘v’ minuscola per riferirci alla voce
dell’Angelo e della prima Donna. Scriveremo invece ‘Voce’ con la ‘V’ maiuscola quando è
riferita a quella del Signore e della Vergine Maria.
– MARIA, MADRE NATURALE DI GESÙ E MADRE,
SECONDO LO SPIRITO, DI TUTTI I REDENTI. – Seguì la
voce più grave dell’altra Donna:
– E LA DONNA DELLA QUALE TI INTERESSI, MADRE
NATURALE DEI ‘FIGLI DI DIO’.–
Le parole dell’una e dell’altra furono pronunciate adagio,
ma molto chiaramente.
Dapprima credetti che non mi riguardassero, poi, un po’
commosso dalle parole di Maria, pensai:
“Le loro espressioni sono teologicamente perfette”. Credo
mi abbiano lasciato qualche secondo per capire bene le loro
parole, poi le sentii pronunciare assieme:
§ 9 – SIAMO VENUTE PER AIUTARTI NELLE RICERCHE
DEI TUOI STUDI. –
Il timbro delle voci questa volta era più forte, o almeno ero
più attento a recepirlo.
Dopo qualche secondo udii la Voce delle due Donne che
ora pareva venisse da oltre la finestra, quasi che il loro suono
fosse attutito dalle imposte e dai vetri.
– GUIDO, NON ANGUSTIARTI; NON HAI PERSO
TEMPO CON QUEI LIBRI. HAI CERCATO LA VERITÀ
CON RETTA INTENZIONE E ‘LA VERITÀ ’ TI VIENE
INCONTRO. –
L’accenno agli studi mi convinse che potevano riguardare
la mia persona. Quelle parole mi consolavano. Poi udii:
– PERCHÉ NON PRENDI IN MANO LA BIBBIA ? –
Insonnolito risposi a stento:
– Lì non c’è quello che cerco; lo so quasi a memoria quel
racconto – risposi, non senza uno sforzo per superare il torpore
del sonno che ormai mi prendeva.
– PRENDI IN MANO LA BIBBIA E LO SAPRAI. –
§ 10 A questo punto sentii di nuovo sopra di me, la solita voce
di fanciullo, fatta più decisa e più forte:
– È UN ORDINE, SÙ. –
Mi svegliai completamente, come elettrizzato. Accesi la
luce. La camera aveva il solito aspetto, ma da ogni angolo
e da ogni mobile, sembrava mi venisse ripetuto:
– PRESTO, UBBIDISCI, UBBIDISCI. – Il tono era affettuoso,
non arrogante. Gettai il lenzuolo in fondo ai piedi e
mi sedetti sulla sponda del letto.
Mentre stavo per prendere i calzoni per infilarmeli, udii
nuovamente quell’invito:
– UBBIDISCI SUBITO, VIA! –
Infilai solo le scarpette da camera e così, come mi trovavo,
uscii dalla stanza da letto per correre nel mio studio.
Attraversai il corridoio e giunsi alla cucina. Accesi la luce
come al solito e mi diressi verso la portiera della stanzetta
che avevo adibito a studio.
§ 11 Entrato, accendo la luce, vado alla libreria che mi sta di
fronte e, aperto lo sportello di destra, faccio per prendere
il I volume della Bibbia commentata dal Marietti, ma una
Voce femminile in tono sommesso mi suggerisce:
– LA BIBBIA INTERA. –
Con questo suggerimento la Voce mi invitava a prendere
sol volume l’Antico e il Nuovo Testamento.
Forse l’invito era per mettere in evidenza l’unità della
Rivelazione biblica. Può esservi però anche una seconda
ragione: le traduzioni più recenti, nel tentativo di essere più
scorrevoli, a volte sono meno fedeli al testo originario. La
Voce forse intendeva ricondurre la lettura alle traduzioni
più tradizionali. Ma potrebbe esservi anche una terza ragione,
più profonda: mentre oggi molti biblisti mettono in
dubbio che l’Autore della Genesi sia Mosè, nell’introduzione
della Bibbia commentata dal Sales si leggono invece queste
righe: “L’Autore del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri, Deuteronomio) è Mosè, come hanno sempre ritenuto
le tradizioni ebraica e cristiana poggiate sulle affermazioni
dell’Antico Testamento e sulle affermazioni stesse di
Nostro Signore Gesù Cristo e degli Apostoli”.
Allora apro lo sportello di sinistra verso l’angolo della
stanza e prendo la Bibbia commentata dal Sales.
Estraendo il Libro, dico con voce normale:
– Come ha fatto a trovarla? – Volevo dire: come ha fatto
Adamo a trovare la Donna , la prima Donna che credevo
Eva?
Teofania
§ 12
a) Lo scoppio di un tuono mi sorprese, perché all’una, al
ritorno dalla chiesa, avevo visto il cielo stellato e limpido;
ma non mi impaurii benché fosse ‘preceduto da una specie
di soffio’. Sembrava fosse caduta una folgore sull’orto
davanti alla finestra dello studio. Non era un suono secco
come quello del fulmine, ma un tuono il cui rombo andava
ripetendosi con molte eco che si disperdevano lontano,
come quelli che provengono dall’atmosfera.
b) Cessata l’eco del tuono, un terremoto sussultorio e
ondulatorio mi fece una certa impressione. Il pavimento tremava
sotto i miei piedi e mi inclinavo per stare in equilibrio,
spostando i piedi ora a destra ora a sinistra. Le pareti ed il
soffitto scricchiolavano e mi aspettavo di veder cadere calcinacci
e polvere e sfasciarsi tutto. Ma niente cadde. Ero
preoccupato.
“Se esco così svestito, divento la favola del paese” pensai.
c) Cessato il terremoto, sentii un fortissimo sibilo come
di vento impetuoso che entrasse da tutte le parti, anche dalle
pareti. Mi aspettavo di veder volar via tutte le mie scartoffie.
Invece nulla.
Non sono superstizioso né timido, ma di fronte ad un pericolo
di cui non conosco la causa né gli eventuali effetti, la
prudenza mi suggerisce di scappare. Era quello che volevo
fare, ma non potei muovermi.
Feci il gesto di scappare ma non vi riuscii, non per paura
ma perché i piedi parevano incollati a terra da una forza
esterna, misteriosa.
d) Cessato il vento mi accorsi di una luce rosea, non di un
colore caldo come quello del fuoco che ha diverse gradazioni
dal bianco al rosso al giallo, ma di un rosso tenue, più
simile al rosa che all’arancione.
Questa luce rosea che aveva invaso la stanza non era tremula
come quella della fiamma, ma continua, quasi lattiginosa
come una leggera nuvola.
– Anche il fuoco adesso? – dissi allarmato. Annusai ripetutamente.
Nessun odore di gas, né di bruciato. Mi tastai le
mani nel timore che fosse una radiazione nucleare. Tutto
normale.
Mi venne il dubbio allora che il tuono fosse stato provocato
da una bombola di gas che, scoppiando, avesse fatto
esplodere altre bombole vicine, imitando il rimbombo del
tuono.
Volli muovere un passo verso la finestra. Potei alzare il
tallone ma non la gamba, sebbene avessi incominciato a
protendermi innanzi.
§ 13
Una Voce di uomo adulto disse:
– IO SONO. –
Voglio spiegarmi meglio: quella sensazione non mi veniva
solo dall’esterno. La Voce “IO SONO” mi risuonava dentro,
così che non era come se mi sentissi in compagnia di
qualcuno, ma quel Qualcuno mi circondava, mi compenetrava,
mi possedeva tutto e mi faceva sentire molto piccolo
alla Sua Presenza.
Dopo qualche secondo la Voce mi disse dentro:
– RESTA. È TUTTO BENE. –
Dovetti restare. Provai a sollevare nuovamente l’uno e
l’altro tallone e ad alzarmi in punta di piedi. Nessun impedimento,
gli arti funzionavano regolarmente ma le punte dei
piedi erano ancora incollate al pavimento.
§ 14
mio orecchio destro, mi disse:
– DA UN SEGNO. –
Sentii le parole, ma non il fiato che avrebbe dovuto accompagnarle.
Rigido nella persona, girai lentamente il capo
verso la spalla destra. Nulla.
Nella stessa direzione osservai la lampadina sotto il paralume
di porcellana bianca pendente dal centro del soffitto.
Mi aspettavo di vederla avvolta entro una carta velina color
rosa che mi faceva vedere la luce rosea nella stanza.
Quella luce rosea non era ancora molto densa e mi lasciava
intravedere i contorni dei mobili e degli oggetti. Non
c’era anima viva. Silenzio assoluto, quando la Voce mi disse
ancora dentro, cioè senza interessare gli organi dell’udito:
– È LA RISPOSTA ALLA TUA DOMANDA. –
Con tutto quello che era accaduto nel frattempo, avevo dimenticato
di aver fatto una domanda nel prendere in mano
che sarebbe diventata sua moglie?”), né pensavo che le mie
parole fossero state prese in considerazione da chicchessia.
Compresi. Pieno di commozione e di rispetto chiusi lo
sportello di destra dicendo:
– Ma che tipo di segno? –
Allungai poi il braccio sinistro e chiusi l’altro sportello
che, aperto, era aderente alla parete e che si apriva di misura
verso il fianco della cartelliera.
A poco a poco la luce rosea si fece più intensa avvolgendo
mobili e oggetti che scomparvero in essa: vedevo bene
solamente la Bibbia che avevo in mano, ma non vedevo più
nemmeno la mia mano.
(Nota della curatrice) A questo punto don Guido interrompe il racconto
per dar spazio ad una descrizione del suo appartamento perché la visione,
durata più di mezz’ora, si è spostata, in senso antiorario, lungo le pareti ed
i mobili del suo studio e della cucina-pranzo. Questo semplice espediente
voluto dal Signore gli ha permesso, in un secondo tempo, di ricostruire
non solo la sequenza delle immagini e degli episodi, ma anche di derivarne
l’orientamento e di farne una mappa. Perciò il lettore che volesse velocemente
proseguire nel racconto, può tranquillamente saltare il § 15.
§ 15 Prima di proseguire mi sembra opportuno descrivere
l’ambiente dove le scene della visione si sono manifestate
e fare una ‘composizione di luogo’ visualizzando oggetti e
mobili dentro le mie stanze per ricostruire con la memoria
le varie fasi di questa grande visione nell’ordine in cui si
sono succedute perché, ad ogni sfondo, corrispondeva una
scena della visione partendo dallo studio fino alla cucina.
Fra quelle mura ebbi infatti una visione durata mezz’ora
che mi inseguì nei miei movimenti su ben nove posti, lungo
le pareti meridionali e orientali delle due stanze.
Per la precisione, le prime scene furono verso la parete
Sud e la parete Ovest della canonica, cioè verso la casa
adiacente e verso l’orto; l’ultima, la più importante, fu verso
Est. Il lato Est, che guarda la strada, è lievemente girato
verso Nord’
Quanto descrivo non è una perdita di tempo perché le immagini
e le scene che ho veduto avevano, nell’ambiente naturale,
e questo lo capii solo in un secondo tempo, lo stesso
orientamento delle scene che vedevo proiettate sui mobili
delle due stanze. Questo aiuto datomi dal Signore mi permise
di ricostruire non solo la sequenza delle scene, ma anche
l’orientamento di quell’habitat e disegnare in seguito la
mappa di quei luoghi mettendoli in rapporto di successione
fra loro, così che oggi, se mai dovessi visitare quella regione,
sarei in grado di riconoscere quei posti perché erano
abbastanza singolari.
Venendo dalla camera, devo passare per il corridoio e,
dal corridoio, per la cucina per entrare nel mio studio, o
biblioteca, che misura 3 metri per 2,80.
Entrando in cucina dalla porta che si trova quasi al centro
della parete, alla mia sinistra vi è la parete Est con due finestre
che guardano la strada. Di fronte, sempre all’entrata
della cucina, vi è la parete Sud nella quale si apre, a sinistra,
una portiera con vetro smerigliato che dà sulle scale
che scendono alla cantina e due metri più in là, a destra,
l’altra portiera, simile alla prima, che porta nello sbrattacucina.
Tra una portiera e l’altra è collocata la credenza
con l’alzatina dalle antine in vetro che abitualmente chiamo
‘vetrina’. Al centro della cucina il tavolo da pranzo. Alla
mia destra, al centro della parete Ovest, c’è la portiera della
mia biblioteca dove entrai.
Appena dentro la biblioteca, alla mia sinistra, addossata
alla stessa parete che divide la cucina dalla biblioteca, vi è
una libreria alta due metri con due sportelli simmetrici con
vetro stampato. Di fronte a questa vi è, sulla parete Ovest,
la seconda libreria, identica alla prima. Entrambe hanno il
fianco addossato alla parete Sud. Sulla parete Sud è sistemata,
al centro, una cartelliera a cassetti sottili alta m 1,50
che occupa di stretta misura lo spazio tra lo sportello aperto
della libreria che sta alla mia sinistra e lo sportello aperto
dell’altra libreria gemella collocata di fronte alla prima.
A fianco di quest’ultima, al centro della parete Ovest,
c’è l’unica finestra del mio studio che guarda verso l’orto.
Siamo sul piano rialzato di una casa costruita nel 1740 su
un terreno in forte pendenza.
Quasi al centro della stanzetta adibita a biblioteca vi è un
tavolo ingombro di libri, di riviste e di fascicoli di appunti.
Al lato Nord, una stufa al kerosene, sedie coperte di riviste e
giornali, scatoloni, pieni delle stesse cose, che impediscono
di aprire la vecchia porta verso il corridoio. Disordine solo
apparente: so trovare le mie cose se altri non le toccano.
Don Guido (a destra) davanti alla canonica di Chies d’Alpago (facciata est).
La stessa canonica vista da ovest.
* Piantina della canonica di Chies d’Alpago, leggermente ruotata in
senso antiorario rispetto ai punti cardinali
N
S
O E
l’orto studio
* Mappa del promontorio e della piana
I punti cerchiati corrispondono agli orientamenti delle visioni avute in canonica.
N
S
O E
I PARTE DELLA VISIONE:
IL PRIMO PIONIERE,
“IL CAMPIONE”
Il primo Pioniere
(1° orientamento: scena rivolta verso Sud, punto À di pag. 81)
§ 16 Con mia grande sorpresa vidi sulla parete Sud del mio studio,
al posto che era coperto dallo sportello sinistro della
libreria di destra (punto À di pag. 80), una finestra aperta al
chiaro della luce meridiana occupata dalla figura nitida di
un Ragazzo nudo, dalla pelle lucida e arrossata come fosse
stato scottato di recente dal sole. Lo vedevo solo dalle anche
in su. Non aveva segno di vestito, neppure un perizoma. I capelli
nerissimi, lucidi e lisci, gli scendevano fino alle spalle.
Mi veniva da fargli molte domande: “Chi sei? Come sei
venuto qui?”.
mi guardava. Aveva una faccia bonaria e paffuta. Era intento
a guardare qualcosa che aveva fra le mani. Sembrava
un mazzetto di steli di paglia. Si girò dalla parte opposta e
fece due o tre passi guardando in alto. C’era un soffitto fatto
di lastroni di pietra giallastra di arenaria dello spessore di
circa 40 cm . Si fermò dove la serie di lastre era interrotta
per la caduta di una di esse. Da quel vano sporgevano in giù
dei corpi grigi, bucherellati, che credetti, lì per lì, dei pezzi
di tufo. Ne vedevo solo l’estremità inferiore.
Guardavo il Ragazzo sospeso lì fuori del muro della mia
stanza pensando a come facesse a reggersi a quell’altezza
di 5 m dal suolo, dato che nel muro esterno non vi erano
mensole né appigli. La mia meraviglia dipendeva dal fatto
che la canonica di Chies è situata su un terreno in pendio:
mentre le stanze rivolte ad Est sono a livello della strada,
quelle rivolte a Ovest sono un piano più alto dell’orto.
§ 17
Lo vedevo di schiena che armeggiava con le mani così
da far sprizzare verso il suo fianco destro un pennacchio di
scintille a brevissimi intervalli. Si girò sul fianco sinistro e
potei vedere che quello che aveva nella mano sinistra era un
mazzetto di steli diritti di frumento o di segala le cui spighe
vuote intrise di un liquido nero ora bruciavano con molto
fumo gocciolando. Uno stelo acceso si era piegato in giù ed
egli si curvò e non lo vidi più.
Quando si rialzò aveva in mano il mazzetto senza fuoco.
Dispose le estremità opposte alla spiga sul palmo della
mano sinistra, fermandole con l’indice e il mignolo contro il
dito medio e anulare. Sopra il tratto che restava sul palmo,
strinse tra il pollice e il mignolo una pietra piatta. Nella
destra ne teneva una simile e si mise a sfregare in un’unica
direzione questa con quella producendo frequenti pennacchi
di scintille verso le spighe finché presero nuovamente
fuoco e fecero fumo.
Il Ragazzo produsse, col suo fuoco, una nube nera di fumo
che saliva a quei pezzi di tufo dalla forma di grossi salami
pendenti sopra la sua testa fra le due grosse lastre di pietra,
provocando il volo di numerosi insetti che gli svolazzavano
intorno. Lo vidi fare una piccola smorfia. Si ritirò di alcuni
passi verso la mia virtuale finestra; attese finché il fumo
si diradò e, prima che cessasse, ritornò là, alzò le braccia
(non vidi pelo sotto le sue ascelle), scostò due o tre tufi
osservandone gli interstizi e, non senza difficoltà, ne staccò
uno provocando un nuovo sciame di insetti. Parevano mosche.
Egli si ritrasse, ma non li scacciava. Ne staccò qualche
pezzetto d’intorno e lo lasciò cadere.
Si ritirò di nuovo venendo ancor più vicino e proprio davanti
a me, si chinò e scomparve sotto il davanzale del quadro
visivo.
Questo non era sempre uguale: veniva ristretto fra i due
lati orizzontali, ora più ora meno, per inquadrare solo la
scena che dovevo guardare.
Mentre il protagonista stava sotto la linea inferiore del
quadro visivo, potei vedere il panorama e un lembo orizzontale
di cielo. Era sereno, alla luce meridiana. Lo deducevo
dall’ombra quasi inesistente.
Finestra aperta alla luce meridiana:
l’habitat del primo Uomo
§ 18
Volevo guardare l’ambiente, orizzontarmi, ma al di là vedevo
solo il cielo sereno.
L’orizzonte era lontano, a perdita d’occhio, ad un livello
più basso del luogo in cui mi trovavo.
Il punto d’osservazione era da un’altura. Mi alzai in punta
di piedi per osservare il panorama nascosto dal davanzale
di quella strana finestra da cui distavo quasi un metro.
Con mia sorpresa e grande gioia, la finestra mi venne incontro,
così che potei affacciarmi.
Mi trovavo su uno sperone di roccia marnosa, che scendeva
quasi verticalmente con uno strapiombo verso Ovest.
Questo sperone era la parte estrema di un alto promontorio
che si spingeva da Nord verso Sud.
Sotto quello strapiombo vidi da Nord-Ovest a Sud una
grande distesa di bosco, tutte piante latifoglie e nessuna conifera.
Quella foresta dal lontano orizzonte arrivava fino ai
pressi dell’altura su cui mi trovavo.
Appoggiai la mano sinistra alla cartelliera (che già non
vedevo) e mi protesi innanzi per sporgermi dalla finestra e
guardai giù nelle immediate adiacenze.
La finestra mi si accostò ancor di più, lentamente. Più
scorgevo la parte più prossima di quella foresta, più percepivo
la misura del dislivello in rapporto al mio punto di osservazione,
alto almeno una sessantina di metri. Non potevo
distinguere, dalle foglie, la specie di piante del bosco. Forse
erano castani o querce o faggi.
Mi sporsi di più, fino a mettere la testa fuori dal davanzale.
Ebbi un brivido. Quello strapiombo era costituito da
molti lunghi corsi sovrapposti ed obliqui di pietra arenaria
giallastra intervallati da marna di colore più scuro. Anzi,
ora anch’io ero nell’incavo fra due cenge sovrapposte dove
lo strato di marna era stato eroso.
Ai piedi della roccia su cui mi trovavo c’era l’alveo di un
torrente asciutto dal colore bianco in contrasto con le pietre
giallastre dell’altura. Non distinguevo i ciottoli.
Ad una ventina di metri dalla base dello strapiombo, oltre la
sponda opposta del greto del torrente, questo bosco terminava
di netto con un brusco salto di dieci metri rispetto all’alveo del
torrente che lo delimitava in linea retta da Nord-Ovest a Sud.
§ 19
Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio verso
Sud fra due linee divergenti, che inizialmente distavano
una cinquantina di metri, una zona pianeggiante, fertile,
coperta di vegetazione cerealicola che si stendeva a perdita
d’occhio. Non vedevo monti all’orizzonte o perché non ce
n’erano o perché la foschia mi impediva di vederli.
Dall’enorme estensione di quella vegetazione color oro dedussi
che quelle messi crescevano spontanee, aiutate nelle
vicinanze dell’altura da qualche fosso rettilineo che distinguevo
appena e che, suppongo, fosse un rudimentale sistema
di canali d’irrigazione che qualcuno aveva scavato.
A Est dell’immensa campagna vi era un’altra valle che
usciva dal lato orientale dello sperone di roccia. Forse, al di
là di una fila di piante irregolari che delimitavano a sinistra
la pianura, vi era anche un’altura. Non potei vedere se ci
fosse un altro corso d’acqua.
Nel guardare il dirupo che stava sotto di me ebbi un momento
di sconcerto e mi tenni, con la sinistra, ancor più
saldo alla cartelliera.
§ 20
Mi ritraggo e osservo ancora l’orizzonte. Non mi raccapezzo.
So di essere nella mia abitazione e tengo i piedi per
terra. La canonica non è sull’orlo di un precipizio. Strana
associazione di idee. Anch’io sono un uomo che, a volte,
sono incline a giudicare le cose secondo le proprie misure.
Pensai:
“In questa parete è stata murata una finestra che guardava
il sottostante cortiletto interno della canonica, ultimo
lembo dell’orto del Beneficio, salvato un tempo dall’usurpo
dei vicini che poi, in questi ultimi anni, hanno costruito e
ampliato la loro casa abusivamente. Ora, ecco sprofondato
il cortile e anche la casa nell’abisso, forse a causa del terremoto
che ho sentito. Meglio così: ora potrò vedere di nuovo
il sole d’inverno e vedrò la Chiesa e il colle del Cimitero.
Ma, e le persone? Oh! Misericordia, no! Ma,... questo non
è il mio ambiente! Se fosse scomparso anche il colle vedrei
l’orizzonte sopra il lago di S.Croce. L’Alpago è bello, ma
non è il Paradiso Terrestre, anche se i bellunesi lo chiamano
‘il giardino di Belluno’. E poi, qui è notte e lì è giorno”.
§ 21
La finestra inquadra di nuovo il protagonista che ora si è
rizzato in piedi. Ha in mano un oggetto bucherellato da cui
sta strappando dei pezzettini che lascia cadere.
Non riesco a capire che cosa sia. Mi sembra un pezzo di
quel tufo.
I soliti insetti gli volano attorno e si posano su quell’oggetto.
Egli, con calma, strappa il pezzettino infestato e lo
lascia ancora cadere.
Qualche volta scorgo sulle sue labbra una leggera fugace
smorfia di dolore.
Finalmente alza la testa e sbanda i capelli dalla fronte. È
vicinissimo a me, nel lato più esterno della cengia. La Voce
sommessa mi suggerisce di osservarlo bene. È ad un mezzo
palmo di distanza davanti alla mia spalla destra. Lo vedo
di profilo. Egli alza lo sguardo verso la mia sinistra, lentamente.
Con la mano sinistra fa il gesto di sistemare i capelli
dietro l’orecchio sinistro.
Gli osservo la mano grassoccia, rosea e lucida, le dita
perfette nella forma e nella proporzione del palmo, le unghie
regolari e pulite. Così pure l’orecchio è ben fatto.
Ad un mezzo palmo di distanza egli accosta la sua guancia
al mio sguardo. Posso constatare che non vi è alcuna traccia
di barba e neppure di peluria di baffi. I pori della sua
pelle, rosea, liscia, delicata e lucida, sono invisibili. Niente
peluria neanche alle ascelle né sul petto.
Ora che lo vedo muoversi con tanta naturalezza, rivolto
sempre verso la mia sinistra, provo un senso di ammirazione
e di simpatia al constatare la perfetta armonia dei
suoi lineamenti. Il naso è un po’ piccolo e delicato nella
tinta, come quello di un bimbo. Gli occhi neri sono profondi
e piuttosto piccoli. L’arco sopraccigliare, fatto proprio
ad arco, è ricoperto da sopracciglia nere normali, non a
cespuglio, non lunghe né sporgenti, ma giuste, che non si
congiungono sopra il naso. Tra le sopracciglia e le ciglia
la nicchia è profonda più di un centimetro ed è pallida, così
pure la palpebra quando abbassa lo sguardo, perché il sole
non l’ha arrossata.
Forse anche per questo gli occhi mi sembrano molto profondi.
La fronte è alta e ben proporzionata. L’angolo facciale
è retto, il mento e la bocca sono regolari.
§ 22
Mentre lo fissavo, egli, guardando lontano sempre verso
la mia sinistra, aprì la bocca e sentii pronunciare due parole,
con voce forte e lentamente:
– DALLA VOCE. –
Notai che mentre sentivo pronunciare “dalla”, il Ragazzo
aveva mostrato tutti i denti bianchi e regolari, anche i quattro
canini che non erano più lunghi degli altri denti. Aveva
mosso la lingua verso gli incisivi come avesse pronunciato
la prima consonante ‘d’, e poi contro il palato per la ‘l’. Ma
quanto alla parola “voce” non mi sembrò corrispondente il
movimento delle sue labbra, perché si erano contratte come
nell’atto di zufolare.
Inoltre il suono delle parole non mi veniva da quella direzione,
ma da sopra la mia spalla destra. Dovetti pensare
un po’ per capire. Era la risposta alla mia ultima domanda:
“Ma che tipo di segno?”. E quel ‘segno’ era a sua volta la
risposta a quell’altra domanda espressa prima che iniziasse
la visione mentre stavo per prendere in mano la Bibbia :
“Come ha fatto (l’Uomo) a trovarla (la Donna )?”. Dunque
l’Uomo aveva trovato la Donna da un segno e quel segno
era la voce. Ma di chi?
§ 23
Il Ragazzo era ad una distanza che calcolavo essere appena
di là del muro dello studio. Stava passando dalla mano
destra alla sinistra quell’oggetto che credevo essere un
pezzetto di tufo volgendo anche il capo dalla stessa parte come
volesse rivolgersi a me. Invece guardava lontano.
In quel momento la solita Voce diceva:
– HA SENTITO LA SUA VOCE. –
Non avevo compreso che era stato l’Illustre Commentatore
a parlare. Credendo fosse stato il Ragazzo che mi stava dando
del ‘lei’ e che si riferisse a qualcuno che aveva sentito la
mia voce, risposi con lo stesso tono forte:
– Eh! Ho altro a cui pensare io! Altro che la mia voce! –
Desideravo studiare la Bibbia. Non volevo distrazioni.
Il mio Illustre Maestro intendeva invece, come mi venne
detto di lì a poco, che il Ragazzo aveva sentito la voce della
madre che stava per partorire quella che sarebbe diventata
la sua Donna.
Frattanto Chi mi parlava nel pensiero si fece più insistente
e andava dicendo parecchie parole di cui ricordo bene solo
queste:
– EGLI HA SENTITO. TI PARLO DI LUI. –
‘Il Campione’
(2° orientamento: scena rivolta verso Sud-Ovest, punto Á di pag. 81)
§ 24
La finestra aperta si spostò verso destra inquadrandolo
oltre l’angolo della stanza: anzi era fuori del muro della
biblioteca per almeno un metro, dietro l’angolo della libreria.
Ora l’inquadratura era rivolta verso Sud-Ovest. Non
vedevo più il mobile della libreria, come se fosse sparito.
Sporsi la mano e la toccai, la sentii ma non la vidi. Non vidi
nemmeno la mia mano.
Una Voce di uomo mi disse dentro:
– GUARDALO! È BELLO. LO RICONOSCI? –
Lo fissai mentre si muoveva fino a quando, spostando i
capelli che gli scendevano sul viso mentre era intento al suo
lavoro, li cacciò nuovamente dietro gli orecchi. Era veramente
bello. Aveva quindici o sedici anni.
Era paffuto. Forse la cavità orbitale sembrava così profonda
proprio a cagione delle guance paffute. Risposi mentalmente:
“No”.
– RISPONDI – soggiunse.
Ero convinto che se io Lo sentivo e Lo capivo a livello
intellettivo anche l’Interlocutore mi capiva. Risposi facendo
il gesto negativo con il capo.
– PARLA – insistette.
– No, non lo conosco – dissi a voce normale. – Chi è? –
§ 25 – È IL CAMPIONE – mi rispose con voce tenue all’orecchio.
– L’HAI DEFINITO TU COSÌ, UN MESE E MEZZO
FA, NELL’AULA MAGNA DEL SEMINARIO16. –
16 Scrive in un appunto don Guido: “Un mese e mezzo prima della visione, cioè il 28 giugno
del 1972, assistetti nell’Aula Magna del Seminario ad una conferenza di microbiologia genetica
in rapporto alle tare ereditarie che condizionano il comportamento dell’uomo. Quando
l’oratore, il prof. Giambattista Marson, primario nel reparto di dermatologia dell’ospedale
di Belluno, spiegò come in America l’esame delle cellule di condannati all’ergastolo rivelò
che alcuni di costoro invece di avere i normali XY avevano anche un cromosoma più piccolo,
cioè una y, per cui gli scienziati si chiedevano come quella y fosse entrata nel patrimonio
genetico umano rendendo squilibrato chi ne era in possesso, io intervenni dicendo:
– Siamo dei credenti e per noi è certissimo che Colui che ha guidato l’evoluzione delle specie
dei viventi fino ai vertici del ‘philon’, ha posto in essere una creatura umana perfetta che
doveva essere ‘il Campione’ di tutti i suoi discendenti. Se ancora al giorno d’oggi si trovano
dei casi di caratteri ancestrali, ciò è dovuto al fatto che il Campione, il quale nel Paradiso
terrestre va sotto il nome di ‘Albero genealogico della Vita’, ha avuto rapporti generativi
con l’‘albero selvatico’ che poteva dare frutti buoni con l’intervento di Dio e frutti cattivi
senza l’intervento di Dio, cioè ibridi, bastardi... –
Non potei continuare perché un anziano professore di Esegesi biblica, don Angelo Santin,
mi interruppe dicendo: – Non siamo preparati su questa linea –.”
Non dimentichiamo che prima di questa conferenza don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni
e che, a differenza del suo confratello, aveva potuto vedere lo svolgersi del ‘peccato originale’
e osservare l’aspetto del primo Uomo e della prima Donna ancora bambina (II rivelazione)
e quello degli esseri della specie pura più prossima all’Uomo (II e III rivelazione) e
quello degli ‘ibridi’ di alcune generazioni dopo l’incrocio delle due specie (IV rivelazione).
– L’ho detto per fede, non per esperienza. Non l’ho mai
visto! –
– L’HAI VISTO. TI HO ASCOLTATO VOLENTIERI IN
QUELLA OCCASIONE, E ANCHE PRIMA NEGLI ALTRI
TUOI INTERVENTI ALLA CATTEDRA DEL CONCILIO
AL CENTRO DIOCESANO. –
– Non me ne ricordo – risposi.
Qui una Voce femminile disse in sordina:
– E PARLERAI ANCORA ANCHE SULL’EUCARISTIA
– e aggiunse altre parole che non ricordo.
– Chi è? – insistetti.
§ 26
– IL TUO PRIMO PARENTE. –
– Eh no, Signore! Non ho parenti così belli, né prossimi né
lontani. –
Intanto cercavo di realizzare:
– Ma chi è? Cosa viene a fare qui? Un mio parente...? Un
campione...? Ho un’allucinazione? – esclamai forte.
– PROTO, PROTOPARENTE – soggiunse sommessamente
e ripetè:
§ 27
– PROTOPARENTE DI TUTTI GLI UOMINI. – E dopo
alcuni attimi:
§ 28
– È LUI IL PROGENITORE. –
Ripensandoci poi, ricordai d’averlo già visto nella rivelazione
de ‘Il peccato originale’ quand’era ancora poco più
che un ragazzo e nella rivelazione de ‘La morte di Abele’,
quand’era nel pieno della sua virilità. Ma vedendolo così
giovane non l’avevo realmente riconosciuto.
Non potevo credere che Adamo fosse così giovane per cui,
fissandolo di nuovo in viso, al vedergli quella pelle rosea e
delicata e le guance paffute con quel naso di fanciullo, dissi:
– È mai possibile? È un ragazzino! – Ricordavo che nella
Bibbia era scritto che Adamo generò Set a 130 anni. Poi,
ragionando, pensai che anche lui doveva pur esser stato
giovane. Anzi, un Giovane speciale che era dotato di doni
soprannaturali e preternaturali e che godeva di un dialogo
costante con Dio che gli faceva da Padre e da Maestro.
È scontato che il primo Uomo parlasse con Dio e che Dio
gli avesse insegnato a parlare. Non c’è da stupirsi, visto
che parla anche oggi agli uomini! Se non fosse stato così,
Adamo avrebbe imparato solo i versi degli animali. Quindi,
oltre alla parola, anche la conoscenza dell’uso del fuoco
gli venne trasmessa da Dio che gli insegnò ad usarlo, ma
si perdette assieme a tutte le altre conoscenze con l’ibridazione,
fino a riemergere nell’uomo preistorico come una
conquista.
§ 29
– TU GLI SOMIGLI. –
– So di non essere bello, lo so fin dall’infanzia. –
– ‘ORA’ TUTTI GLI UOMINI GLI SOMIGLIANO. –
– Beh! Pressappoco. Chi più, chi meno... –
Sentii sopra le mie ultime parole, la Voce sommessa che
disse alcune parole riguardo all’Uomo che per la sua disobbedienza
divenne padre di un’umanità degenerata e alcune
altre considerazioni riguardo all’uomo decaduto.
Ogni volta che si trattava di accusare l’Uomo, Egli lo faceva
in sordina, riguardoso. E di lì a qualche secondo continuò:
§ 30 – L’HO PRESERVATO DALL’ESTINZIONE E L’HO
GUIDATO ALLA RISURREZIONE. –
Seguirono altre 8 o 10 parole che non ricordo, ma che si
riferivano alla Sua opera nel guidare l’umanità, imbestialita
a causa dell’ibridazione, al recupero dell’immagine originaria,
non tanto riguardo ai caratteri somatici che hanno
ben poca importanza, quanto alla ‘capacità di intendere e di
volere’. Con quelle parole non intendeva solo dire che siamo
rievoluti, cioè che siamo stati recuperati parzialmente
e che, entro certi limiti, abbiamo riacquistato le sembianze
del primo Uomo, ma che abbiamo anche riacquistato in
buona parte le capacità intellettive. ‘Ci ha messi in grado’
di partecipare alla sorte dei Santi nella Luce, ci ha dato la
possibilità di essere liberati dal potere delle tenebre dandoci
l’opportunità di essere trasferiti nel Regno del Suo
Figlio diletto per opera del Quale abbiamo la Redenzione ,
la remissione delle conseguenze psicofisiche e spirituali del
‘peccato originale’.
‘Io Sono la Risurrezione ’
§ 31
Le ultime parole le ricordo bene:
– IO SONO LA RISURREZIONE.
Ho inteso la parola “risurrezione” in senso pieno, attraverso
la quale Egli ha operato un recupero non solo spirituale
ma anche psicofisico dell’umanità. È Lui l’Autore
della sua ‘rievoluzione fisica e psico-intellettiva’.
“Risurrezione” va dunque intesa come recupero della immagine
originaria secondo il modello con il quale fu fatto il
campione, il prototipo, il primo Uomo. Quindi, Rievoluzione,
Rigenerazione, Riabilitazione, anche fisica, sono state operate
e guidate da Dio. Siamo, anche fisicamente, dei risuscitati.
§ 32
Dopo una breve pausa soggiunse:
– MA ORA CHE TUTTI HANNO RECUPERATO LA
CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE, HANNO PARI
DIGNITÀ E DIRITTI. –
Da queste parole intesi che tutti abbiamo oggi “pari dignità
e diritti” non riguardo alla salvezza, ma alla ‘capacità’
di aspirare alla salvezza.
Il Vangelo di Giovanni ci dice che Cristo diede a tutti gli
uomini ‘la possibilità’ o meglio ‘l’opportunità’ di diventare
figli di Dio (dedit eis ‘potestatem’ filios Dei fieri) e con ciò di
avere la Vita eterna in comunione con Dio, ma non disse che
Dio diede a tutti la Vita eterna.
Nel suo Vangelo Giovanni
scrive anche che Gesù disse: “Oro pro multis”; non disse:
“Oro pro omnibus”, prego per molti e non prego per tutti.
Quei ‘multis’ sono coloro che hanno buona volontà perché
corrispondono all’Amore di Dio, a qualunque credo in buona
fede appartengano. Perché, se tutti hanno pari possibilità
di diventare figli adottivi di Dio, solo coloro che mettono
a frutto i beni della Redenzione diventano ‘figli di Dio’. Gli
altri, quelli che non seguono (che non vogliono seguire)
i principi del Vangelo, ‘restano
creature di Dio’, ossia esseri ‘inferiori’ come gli animali,
benché intelligenti: inferiori fra gli inferiori. Restano degli esclusi.
Dio non castiga, Dio promuove o non promuove. La non
promozione è già un castigo, ma non viene da Dio.
Il primo Uomo ‘è ancora innocente’
§ 33
Ero affascinato dalla figura del Ragazzo che mi stava dinanzi
e desideravo conoscere tante altre cose su di lui.
Per esempio, desideravo misurare la sua altezza perché, fino
ad allora, mi sembrava posto su un piano più alto del mio
che non vedevo perché dalle anche in giù restava nascosto.
Chi conosceva il mio desiderio, mi ha accontentato.
Per un attimo il quadro visivo si abbassò fino a terra, per
riprendere subito dopo la posizione di prima. Potei notare
che aveva le gambe molto lunghe, la metà della sua statura
complessiva.
Il Ragazzo, un po’ più avanti di me di forse 10 cm , mi si
accostò dal mio fianco destro e mi si incorporò fino a metà
del mio corpo. Vedevo la sua testa occupare la mia spalla
destra.
Non vedevo il mio corpo né la mia spalla, solo il suo corpo
che era nella luce, sullo stesso piano del mio. Alla mia riluttanza
per quell’accostamento la Voce mi disse dentro:
– È TUTTO BENE. È ANCORA INNOCENTE. –
Mi portai la mano sinistra sulla spalla destra, che non
vedevo, per controllare l’altezza precisa che ricercavo, ma
la prova non riuscì. Non vedendo la mia mano non potevo
misurare. Portai allora la mia mano sinistra distesa sotto il
mio naso. Non vedevo ancora la mia mano. E poi essa si trovava
troppo sopra la sua testa. Dovevo misurare a occhio.
Potevo sbagliarmi di qualche centimetro, anche a causa
del volume della sua capigliatura. Il Ragazzo intanto si scostò
e riprese la posizione di prima senza che io avessi potuto
raggiungere il mio scopo.
La sua altezza
(3° orientamento: scena verso Sud-Est, punto  di pag. 81)
§ 34
A consentirmi una misurazione più precisa accadde un
fatterello incredibile. Ero sempre nel lato più interno della
cengia ed egli quasi sul ciglio, a due metri da me sulla mia
destra.
Il Ragazzo mosse il primo passo per dirigersi verso la mia
sinistra. Al rimirarlo così lucido di pelle e di capelli pensai:
“Adesso mi passa davanti, proprio vicinissimo. Voglio annusare
i suoi capelli e la sua spalla”.
Il quadro visivo, seguendo lo spostamento del Ragazzo
verso la mia sinistra, coprì parte della cartelliera attraversandola
e attraversando anche il muro al quale era addossata.
Il Ragazzo mi sfiorò.
Piegai il capo, aspirando, sopra i suoi capelli che gli scendevano
sulle spalle. Nulla, alcun odore.
Sentii invece il sopracciglio dell’occhio sinistro urtare
contro un oggetto contundente. Mi ritrassi e tastai: era lo
spigolo acuto della cartelliera che non vedevo. Ora so che
la cartelliera è alta m 1,50 dunque quella era la sua altezza.
Mi arrivava alla spalla o poco più.
“Che stupido sono stato – mormorai – sapevo bene che
era un’ombra; come ho fatto a lasciarmi incantare? E che
c’entra tutto questo con lo studio che devo fare? È una cosa
fuori del normale? O sono io anormale?”.
Chiusi gli occhi, ma la luce era anche dentro la mia testa.
Contrassi le palpebre, le sopracciglia, mossi gli orecchi
e il cuoio capelluto, strinsi le labbra e i denti, strinsi ambo
le mani sulla Bibbia, premendola contro il petto, mossi alternativamente
i muscoli dell’addome, delle braccia, delle
gambe, delle caviglie e le dita dei piedi dicendo tra me:
“Sono o non sono io?”.
Avevo un perfetto controllo della mia persona.
Scende lungo la cengia
(4° orientamento: scena verso Est, punto à di pag. 81)
§ 35
Mi girai sulla sinistra per uscire dalla stanza.
Ora il Ragazzo si dirige verso Est e cammina davanti a me.
Non vedo la cartelliera che avevo toccato e che ora è alla
mia destra, né il tavolo alla mia sinistra.
Mi muovo a tentoni. Vedo invece una specie di corridoio
illuminato dal sole che proviene da destra e questo corridoio
visivo si prolunga lungo la stanza, occupa in parte la
cartelliera, passa attraverso la libreria di sinistra e, attraverso
il muro che separa la biblioteca dalla cucina, a destra
della portiera, prosegue giù per un piano inclinato.
Il percorso era coperto dalla sporgenza di un filone di lastroni
di arenaria giallastra. Era dunque una cengia che da
Ovest scendeva verso Est.
Lo vidi scendere agile e prudente per quel sentiero largo
ora un metro, ora molto meno. Procedeva in quella direzione
sempre diritto nonostante i balzi che presentava la discesa.
Era, di certo, una discesa. Ad ogni passo di una gamba
vedevo seguire il piede dell’altra all’altezza del ginocchio.
Lo vedevo dalla testa alle ginocchia. Solo due volte potei
vedere degli spuntoni di roccia alla sua sinistra.
§ 36
Cominciavo intanto ad avviarmi verso la porta per spegnere
la luce che aveva l’interruttore sulla parete opposta,
palpando a destra e a sinistra per non urtare i mobili e le
mie scartoffie che non vedevo.
Sebbene fossi attratto dalla sua figura, volevo uscire dalla
stanza per liberarmene.
Il Ragazzo continuava la sua corsa nella medesima direzione.
Lo osservavo procedendo faticosamente mezzo piede
per volta, curvo come se portassi sulle spalle un quintale di
peso.
Un rudimentale acquedotto
§ 37
Ad un tratto il Ragazzo si ferma per girare attorno ad un
paletto forcello. Questo era uno dei tanti paletti che si trovavano
nei posti più stretti dove la cengia era rientrante e
mancava il tetto di roccia.
I paletti erano parecchi, appaiati e legati incrociati alla
sommità: sostenevano una lunga serie di tubi di bambù uniti
fra loro, aderenti al soffitto e legati con stringhe dalla parte
superiore dei paletti stessi: era un rudimentale acquedotto
formato da tubi di canna di bambù infilati per le estremità.
Egli, muovendo due stanghe contigue, stacca le due estremità
in uno dei punti di collegamento. Ne scende molta acqua
ed egli si innaffia abbondantemente forse per lavarsi o
forse per rinfrescarsi dal bruciore delle punture di quegli
insetti. Poi ricongiunge i due tubi.
A circa venti o trenta metri davanti a lui, la cengia era
ostruita da quattro o cinque tavole schiette e non rifilate,
cioè ottenute spaccando in lungo il tronco, messe di traverso
e sostenute da pali. Sembravano aver la funzione di arginare
uno smottamento. O forse era un lato della cisterna
nella quale affluiva l’acqua della condotta.
Camminando sempre davanti a me arrivò laggiù, davanti
a quella chiusa, si voltò a destra e scese sulla cengia sottostante
e proseguì lungo il nuovo tratto di sentiero.
§ 38 Spenta la luce, ancora curvo in avanti e sempre a passetti
di mezzo piede per volta, uscii dal mio studio.
Passato di là, mi girai verso la portiera donde ero uscito,
la chiusi energicamente spingendola da sinistra a destra e
vi appoggiai contro la spalla sinistra per tener fuori
l’intruso. Qui in cucina la lampadina da 60 watt mandava una
luce fioca, come là dentro prima.
Attraverso il vetro stampato della portiera non vedevo se
nello studio ci fosse ancora quella luce rosea. Non potevo
distinguere. Aprii con uno spiraglio la portiera per controllare
meglio. La luce era sempre quella, dentro e fuori della
portiera, ma non vedevo nulla là dentro. Richiusi e vi appoggiai
contro la spalla destra. Così facendo mi ero rivolto
verso la portiera dello sbrattacucina.
(5° orientamento: scena verso Sud, punto Ä di pag. 81)
§ 39
Con mia sorpresa non vedevo più tutta intera la portiera
dello sbrattacucina, ma vedevo al suo posto e a quello del
muro alla sua destra, il solito quadro visivo con la consueta
cornice rosea. La visuale, limitata però in questa nuova
scena entro un secondo riquadro centrale che misurava 15
cm di base e 30 di altezza, mi mostrava il Ragazzo che procedeva
in quella nuova direzione verso Sud.
Lì il percorso era ostruito a destra da altri due o tre blocchi
sovrapposti di pietra arenaria. Poggiò la destra contro il più
basso di quei massi, piegò le gambe e scomparve di sotto.
Il Ragazzo, uscito dal muro della mia cucina, era ormai lontano,
forse una trentina di metri. Rassegnato, più che contrariato,
mi strofinai le palpebre con entrambe le mani.
La specie immediatamente precedente all’Uomo
(6° orientamento: rivolto verso Sud–Sud-Est, punto Å di pag. 81)
§ 40
Torno a guardare: il quadro visivo ora è un po’ spostato
a sinistra rispetto al precedente ed occupa parte della por101
tiera dello sbrattacucina, parte dell’interstizio con la parte
bassa della credenza, il fianco sinistro della credenza, che è
al centro della parete, e un po’ anche dell’antina inferiore di
destra.
Il quadro con la cornice rosea ha ancora il riquadro centrale
con il campo visivo molto ridotto.
Il riquadro rettangolare che nella scena precedente era
in piedi, ora è posto orizzontalmente mantenendo le stesse
dimensioni.
Vedo, alla distanza di dieci metri e da una posizione un po’
elevata, un tratto di campo di frumento, o di cereali, grande
poco più di un metro quadrato o due. Le spighe sono biondeggianti,
alte una quarantina di centimetri.
Un piccolo animale, nero e peloso, si muove tra le spighe.
Quando si rizza in piedi e guarda oltre le spighe, vedo che
ha due cornetti sulla testa e questa è molto schiacciata.
Quando si abbassa e sparisce vedo, dal movimento degli
steli che egli sbanda passando, che si sposta di qualche metro.
Mi accorgo quando lo vedo di profilo che i cornetti sono
orecchi. Penso ad un cane Dobermann, ma poi vedo che ha
il muso corto ed è senza naso.
Gioca a nascondino con un esserino più piccolo che si
muove sui quattro arti ed è simile a lui, fuorché per gli orecchi
che, invece di essere ritti fin sopra il livello della testa,
sono lunghi e sporgenti orizzontalmente. Capisco che sono
scimmie di una specie sconosciuta. La più grande, il maschietto,
fa delle capriole. È alta forse 40 cm .
Guardo intorno. Tutto come prima. Sempre la luce rosea
che investe e nasconde tutto. Ci vedo bene solo attraverso
quella feritoia, in quel quadretto.
L’Albero della Vita e l’albero selvatico
(L’orientamento rimane lo stesso, ma la profondità di campo si allunga)
§ 41
Nuova scena. In primo piano, alla distanza di circa 15
metri, il Ragazzo nudo, spuntato in quel momento dal
lato destro, cammina con passo sicuro verso la mia sinistra.
Lo rivedo con molto piacere non solo perché la sua figura
spicca bene su quello sfondo, ma anche perché non lo sento
più un intruso in casa mia. Guarda davanti a sé, alla distanza
di 20 metri , un gruppo di quattro animali, tre neri con
pelo arruffato, ma non folto, e uno bianco-giallastro senza
pelo.
Di essi non vedo, né la testa, né le gambe, ma solo un
tratto del tronco e questo molto curvo a sinistra in modo
anormale.
Una Voce sommessa interviene:
- ALBERI - ma io non capisco.
Questa famiglia animale è l’‘unico albero’ genealogico
della sua specie esistente sulla Terra
§ 42
Il piccolo quadro visivo abbandona la figura del Ragazzo
e inquadra quegli animali per intero e la Voce riprende:
– SAI CHE ANIMALI SONO? –
– Orsi seduti? – chiedo forte.
– NO – mi risponde in tono normale – QUATTRO RAMI
DELL’ ‘UNICO ALBERO’. –
§ 43
Erano schierati in fila di semiprofilo. I dorsi mostravano
sempre la curva dell’addome verso la mia sinistra.
Il riquadro si dilata e vedo che quelle bestie non sono sedute
ma in piedi. Non si trattava di bestie che conoscevo e
ne rimasi sconcertato.
Testa schiacciata, e quindi fronte bassa, capelli neri, diritti
e opachi fino al collo, orecchi enormi che spuntavano fuori
dai capelli orizzontalmente per più di 10 cm , senza naso,
con fosse nasali nere e scoperte, labbra nere aperte fino alla
radice delle mascelle, senza mento. E le braccia lunghe, giù
fin sotto il polpaccio.
Avevano tutti il ventre gonfio che, sopra quelle gambe magre
e corte, erano proprio un brutto spettacolo.
Quegli esseri dal ventre gonfio se lo toccavano ogni volta
che quell’essere bianco-giallastro lo faceva. Simpatia?
Forse gridavano, perché aprivano la bocca e facevano vedere
la lingua lunga e vibrante che sembrava attaccata solo
alla gola e la protendevano fuori dalla bocca.
– Obesi? – chiesi. Risposta sommessa:
– NO, PREGNANTI (cioè gravide). È LA LORO
STAGIONE. – Allora capii che erano femmine.
§ 44 Incredulo e deluso, mi volsi verso la portiera donde ero
uscito e, appiccicando il naso sul vetro, brontolai:
“ Sogno o sono desto? Questo è il vetro, questo il montante
della porta, questa la maniglia” .
Il mio controllo era reale perché toccavo con mano gli
oggetti, nonostante la luce mi impedisse di vedere ciò che
mi stava attorno.
– Signore, se viene da Voi fate che io capisca. –
Mi rispose:
– TI INSEGNO A LEGGERE TRA LE RIGHE LE COSE
CHE IN QUEL LIBRO NON CAPISCI. –
Avrei dovuto tranquillizzarmi ma, diffidente per natura di
fronte alle cose che non posso controllare e che non capisco,
queste parole suggeritemi a livello intellettivo non mi persuasero.
Continuai, toccando, il controllo del mio ambiente domestico,
girandomi sulla destra per voltare le spalle alla scena
ed iniziai ad elencare ad alta voce i mobili, che solo vagamente
intravedevo, da sinistra a destra cominciando dalla
portiera che conduce in biblioteca:
“Questa è la chiave, questa la cassetta della legna, la cucina
a legna, la porta donde sono entrato venendo dal corridoio,
il canapè addossato alla parete a destra della porta.
Sulla parete contigua, verso oriente, ci sono le due finestre,
poi, nell’angolo di destra, il televisore CGE a 24 pollici .
Nell’altra parete, di seguito oltre l’angolo di destra, c’è la
portiera delle scale che portano in cantina”.
Non volevo girare lo sguardo più oltre per non vedere quegli
animali pelosi da cui volevo distogliere il pensiero. Ma
qualcosa di irresistibile attirava la mia attenzione su di loro.
“La prima famiglia degli ancestri più prossimi all’Uomo”
(7° orientamento: scena verso Sud-Est, punto Æ di pag. 81)
§ 45 Il quadro si sposta ancora più a sinistra. Con mia grande
sorpresa e meraviglia vidi al centro dell’alzata in vetro della
credenza, la ‘vetrina’, la solita finestra aperta per tutta
la sua estensione alla luce diurna, come un quadro visivo
rettangolare alto 55 cm e largo 75, delimitato dalla solita
cornice rosea di luce più intensa larga circa 5 cm .
In altezza arrivava quasi alla sommità della vetrina e
sporgeva, nel suo lato inferiore, di 15 cm al di sotto di essa,
occupando circa metà del vano libero frapposto col piano
della credenza. Ci sarebbe stato dentro comodamente il mio
televisore.
Dentro quella cornice una veduta panoramica dal vivo occupava
l’intero schermo. Sembrava un bellissimo dipinto:
in alto il cielo azzurro, in basso una grande pianura biondeggiante
di messe matura che si estendeva a perdita d’occhio
per due, tre, forse quattro chilometri, delimitata dalla
foschia dell’orizzonte.
A destra, il bordo del bosco verde di latifoglie, quello già
visto dalla cengia. A sinistra, alcune piante d’alto fusto dietro
le quali non mi fu dato di vedere.
§ 46
Ora a quei quattro animali, i quattro rami dell’unico ‘albero’,
se ne erano aggiunti altri due: uno grigio ad un’estremità
della schiera ed uno nero più alto di tutti, all’altra, più
prossima.
Gli ultimi sopraggiunti non avevano il ventre gonfio.
Vedevo quell’essere bianco-giallastro e senza pelo e poi
quegli altri esseri a distanza tra i 6 e gli 8 metri così che
potevo osservarli comodamente.
– Che bestie sono? – domandai.
– GLI ANCESTRI – mi fu risposto.
Questo nome non mi era familiare e mi fece pensare all’aggettivo
‘ancestrali’.
Quegli ancestri non erano belli a vedersi. La solita Voce,
ora tenue, mi disse:
– LA PRIMA FAMIGLIA DEGLI ANCESTRI PIÙ
PROSSIMI ALL’UOMO. –
Allora capii: quella che vedevo era la prima famiglia della
specie animale più prossima all’Uomo: la specie degli
ancestri (cioè i nostri predecessori).
Da prima non avevo capito il significato di “alberi”, ma
da questa spiegazione compresi che la definizione significava
‘alberi genealogici’, indicando così le due specie: ‘l’albero
della Vita’, quello della specie umana rappresentato
dal Ragazzo che era appena uscito di scena, e ‘l’albero selvatico’,
quello della specie di questi singolari animali.
Compresi anche il significato di “unico”. Il Signore, come
aveva affermato la monogenesi della specie umana quando
aveva definito Adamo “progenitore di ‘tutti’ gli uomini”,
così aveva ribadito la monogenesi anche di quest’albero genealogico
selvatico.
Quindi, se per la specie umana il Progenitore era unico,
ed unico l’albero genealogico selvatico (gli ancestri puri
nella loro specie) da cui l’Uomo era derivato, il Signore,
di conseguenza, affermava la monogenesi anche dell’albero
ibrido, la specie umana corrotta che avevo già visto in una
precedente rivelazione, frutto dell’incrocio di queste due
specie pure.
“Non sono controfigure”
§ 47
Vedo di sfuggita il Ragazzo che passa veloce davanti al
gruppo.
Le femmine pregnanti sciolsero il crocchio e si misero
fianco a fianco un po’ più indietro del punto occupato, alla
destra di quel ‘figuro’ alto e grosso col ventre più alto e rotondo
che ora vidi essere un maschio.
Era adulto e stava in primo piano, a sinistra della schiera
che andava nuovamente formandosi.
Dal lato opposto si era sistemato quell’essere brizzolato,
evidentemente la madre di tutte le prime quattro. Quindi
dedussi che, se quella era la prima famiglia degli ancestri
più prossimi all’uomo, la vecchia madre era la capostipite di
quella famiglia e anche della sua specie.
Una Voce sommessa:
– LI VEDI VIVI. ORA NON CE NE SONO PIÙ. NON
SONO CONTROFIGURE. – Questa definizione non mi era
familiare, ma era molto pertinente, per cui pensai:
“Gli scienziati ricostruiscono la loro figura basandosi sugli
scheletri fossili e ci mettono naso e orecchie a modo loro.
Che cosa pagherebbero gli antropologi per poterli vedere
vivi!? E questo privilegio è toccato proprio a me!?”.
Compresi che se questi ancestri non esistono più allo stato
originale è perché ora vivono fusi nell’uomo.
Avevano caratteri assai diversi da come vengono raffigurati
i cosiddetti ominidi, gli uomini preistorici. Questi, in
via di rievoluzione, sono chiamati comunemente ominidi,
ma è un termine equivoco perché comprende anche i pongidi,
cioè le scimmie maggiori non caudate come l’orango, lo
scimpanzè e il gorilla17 .
( 17 “Ancestri”, antropoidi, ominidi non sono termini equivalenti. Gli ancestri sono gli individui appartenenti a quest’unica specie, ora estinta, dalla quale Dio trasse una femmina predisposta per lo sviluppo dell’embrione dell’Uomo creato da Dio; ‘antropoidi’ è un termine
generico per indicare le scimmie non caudate come gli scimpanzé, gli orango e i gorilla; gli
‘ominidi’ sono tutti i primati bipedi a stazione eretta. Questo termine viene generalmente
usato impropriamente per indicare gli uomini preistorici con caratteri intermedi che noi
sappiamo ora essere gli ibridi alle prime tappe della rievoluzione.)
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