lunedì 2 luglio 2012

(3) Grazie Don Guido!


7) DON GUIDO BORTOLUZZI: “Come ha fatto Adamo a trovare la Donna?”- Gli ancestri immediati dell’Uomo-“La neonata è osso delle mie ossa e carne della mia carne”-Eva: “Ponte” fra le due specie pure-Eva “è la madre di tutti e due”- Il Capostipite succhia il latte di cangura- Il giovane padre toglie la Neonata dalle mani di Eva-Eva, la femmina preumana, sarà il “dèmone” per l’uomo- Il ‘dèmone’ della cupidigia e della sensualità- “Il Capostipite dell’umanità”- Una lezione teologico-scientifica - La vera causa del peccato originale - Un punto geografico! Oltre che una lezione di antropologia ginecologica: dalla cellula fecondata al parto! - Prime reazioni al racconto.

MARIA, MADRE DELLA DIVINA GRAZIA

l’Uomo Adamo ha trovato la Donna, neonata,
che diventerà la sua legittima moglie.

*******


§ 108
 – GUARDA ANCORA. FINALE BREVE, IMPORTANTE –  
mi disse la Voce.
Seguirono altre parole che non ricordo.
Girai a destra soltanto la testa e malvolentieri verso il video
e qui, mi avvenne un fatto strano. Mi sentii come portato
fianco a fianco di quella vecchia femmina curva, che faceva
la levatrice, con la mia testa allo stesso livello della sua che
stava alla mia sinistra. Con la sua mano destra, lunga, nera
e secca, stava scostando i capelli dalla fronte, e li appendeva
dietro l’orecchio enorme che si protendeva orizzontalmente
verso di me. I capelli grigi, a ciocche quasi distinte, erano
bagnati. La sua fronte, bassa e rugosa, grondava sudore. Le
sue guance, magre ma non affossate, erano solcate da rughe
più sottili e più fitte. Rugose anche le labbra della sua grande
bocca. Le fosse nasali erano nere e scoperte. Non aveva
mento. Potei vedere la sua dentatura, sana e completa, nella
scena che sto per descrivere. Gli occhi, vivaci, mi guardarono
di sfuggita, e mi fecero una certa impressione.

Si deterse il sudore dalla fronte col dorso della mano destra,
e anche gli occhi. Poi prese un budello piccolo e rosso,
che pendeva da ambo i lati della mano sinistra, e lo portò
alla bocca che, aprendosi, scoprì tutti i denti, anche i canini,
più lunghi degli altri denti, e i molari e con un morso troncò
il cordone ombelicale. Ne uscì qualche goccia di sangue.
Non capii subito che si trattava del cordone ombelicale, per
cui, inorridito, esclamai:
– È questa la cosa importante? Questo è cannibalismo! –
E mi volsi, di nuovo verso il tavolo, brontolando:
“Anche i leoni cominciano a divorare la preda dalle parti
più molli, ma prima la uccidono. Questa vittima, invece,
continua a sospirare”.
Continuavo a intravedere la bestia al suolo.
“E l’Uomo è presente! Basta, basta! Via tutto! Ho altro a
cui pensare!”. Strinsi la Bibbia fra le mani, pensando:
“Perché? Perché? Possibile che venga da Dio? Egli non
si abbassa a queste cose!”.


§ 109
 – GUARDA...! L’HA TROVATA LA BAMBINA – mi disse
forte la Voce.
– Ah, si!? L’ha trovata? Ma io ne ho abbastanza...! –
Distolsi lo sguardo e, con le mani sugli occhi, mi chinai sulla
Bibbia.
Era la risposta conclusiva alla mia domanda iniziale:
“Come ha fatto Adamo a trovare la Donna?”.42
42 Risposte: da un segno §14; dalla voce §22,23; la voce della madre §65.

Girai la testa a malavoglia e fui preso come da un incantesimo:
la vecchia era volta di spalle, ma io fui come portato,
di nuovo vicinissimo, alla sua destra. La vidi consegnare la
Bambina all’Uomo che le stava a sinistra.

Egli la prese fra le sue mani e l’accostò al suo petto. La vidi
muovere una gambetta che usciva dalla sua mano destra.
Dopo pochi istanti di meditazione mi accorsi che in quel
momento ero venuto alla conclusione delle mie ricerche.
La Bambina era l’ultimo capolavoro della Creazione o,
per dirla con i non credenti, era il vertice dell’evoluzione
delle specie animali, dopo di che non si ebbero altre specie,
o ‘salti di qualità’.
Dio, creando la prima cellula generativa del primo e del
secondo esemplare di questa nuova specie come aveva fatto
fin qui da quando pose in essere la prima cellula vivente,
aveva cessato dall’intervenire.

§ 110
 Il riquadro si era abbassato e vedevo quella ‘bestia-ponte’
giallastra e semovente che faceva ancora degli sforzi di qua
e di là come volesse ancora divincolarsi, ma non aveva più
il volume di prima come quand’era gonfia.
Quando si quietava era piatta.
Dal lato superiore del riquadro scendono, all’interno delle
gambe divaricate della vecchia, le sue due mani nere,
lunghe e secche, dalle unghie strette, arcuate e forti, seguite
dalle rispettive braccia nere e pelose, che poi escono dalla
scena, verso la mia sinistra.
La vidi allontanarsi con qualcosa fra le mani e, dopo pochi
passi, cominciò a mangiare quel qualcosa con molta soddisfazione.
Capii che la vecchia stava mangiando la placenta
che la figlia non aveva voluto.
Rimasi inorridito! Mi parve una scena di cannibalismo!
Mi fu chiaro allora che mentre la vecchia era in tutto e per
tutto un animale, la figlia era stata preservata da questo
istinto.

§ 111

 Il riquadro si fa lentamente più vicino così da lasciarmi
vedere la fossetta alla sommità della bestia giacente. Ora
non la vedo più di scorcio, ma da sopra.
Il riquadro si alza un po’ più svelto. Vedo che la fossetta
chiamata “cicatrice da un morso” è l’ombelico. Le due
sporgenze sono seni di donna. L’otre, o “ponte”, è il ventre
della puerpera che ora è piatto, anzi concavo e più stretto
nella parte inferiore, ciò che mi aveva fatto credere essere
una palla ovale.
D’improvviso il riquadro si dilata d’ambo i versi e vedo
quel corpo quasi per intero. Dura appena un secondo e mi
lascia sconcertato.
“Accidenti – pensai – quella bestia sembra una donna
viva che respira e ansima!” e mi voltai verso il tavolo.

– Perché farmi vedere tutto questo? Signore, è possibile
che questo venga da Voi? A che scopo, se non sono né un
medico né un veterinario? –
Stetti a meditare. “Macché! Quella non può essere una
donna. Dio non può contraddire Se Stesso. La Bibbia dice
che “Dio trasse la Donna dalla costa (genitale) dell’Uomo”,
cioè ‘dal seme di lui’: il Capostipite. Quindi la Donna è più
giovane di lui. E se lui è appena un ragazzo imberbe, quella
che vedo non può essere la sua donna, perché è adulta. No,
non c’era una donna prima di Adamo. Sto con la Bibbia.
Che sia opera diabolica? A che scopo? Per farmi perdere la
Fede nella Sacra Scrittura? Eh, no! Questo mai!”.

L a puerpera “è la femmina del peccato originale”

§ 112
A questo punto la Voce, sommessa, mi disse dentro la
mente:
– L’HAI GIA’ VISTA: È QUELLA DEL ‘PECCATO
ORIGINALE’. –
Queste parole mi riportarono alla mente la seconda rivelazione:
il primo ‘sogno profetico’ che ebbi a casa mia due
anni prima durante il riposo pomeridiano. Ma già allora
avevo scacciato questo ricordo credendolo frutto di fantasia
e ora, nuovamente, non volli farci caso, anche perché
qui non avevo potuto vedere il muso della femmina biancogiallastra
e i suoi grandi orecchi a sventola. Se avessi dato
ascolto a quelle parole, sarei stato ad un passo dalla soluzione.
Ricordavo che quel peccato fu commesso con una femmina
dalla faccia brutta e dagli orecchi grandi, sporgenti in
fuori. Questa invece non mostrava la faccia, ma dal corpo
sembrava proprio una donna e una donna adulta, a giudicare
dal pelo sul pube e dal tronco con il seno formato.
“Impossibile che quella sia una donna! – pensavo. – Ho
visto che Adamo ha trovato la sua Donna ancor bambina.
Non c’era una donna prima della Figlia di Adamo! Non
posso crederlo! Sto con la Bibbia!”.
Strinsi la Bibbia fra le mani. “Quante distrazioni! E ancora
non ho letto una riga... Basta! Via tutto!”.

§ 113
Aprii il Libro. Le dita non mi obbedivano per trovare le
pagine della Genesi. Mi sfuggivano tutte assieme, al primo,
al secondo, al terzo tentativo.
Con ambo le mani aprii la Bibbia a caso, tanto per provare
se avessi potuto leggere con quella luce rosea che mi
abbagliava. Speravo che mi fosse di aiuto la lampadina da
60W che pendeva sopra la mia testa. Intravedevo le righe
delle parole piccole e non riuscivo a decifrare neppure quelle
in grassetto dell’intestazione dei capitoli.
Intanto pensavo:


“È Lui che l’ha voluto; è mai possibile che ora non riesca
a leggere? Questo è il Suo Libro, non uno qualunque”.
Una Voce sonora di uomo mi disse:
– LASCIA STARE IL LIBRO. TI FACCIO VEDERE CIÒ
CHE NON VI È SCRITTO SENZA AFFATICARTI LA VISTA.
GUARDA DAVANTI A TE. –

Il paesaggio visto dalla prima abitazione

Cambia la scena.

§ 114
 Alzai gli occhi. Il quadro, o video, questa volta era sulla
parete verso la strada, che guarda verso Est, nel vano della
finestra di destra della mia cucina.
Tra la portiera di prima e quella finestra vi è l’angolo delle
pareti, occupato dall’apparecchio televisivo cge da 24 pollici.
Questo, tutto intero, ci sarebbe stato comodamente
entro lo spazio della cornice rosea.
Questa toccava lo sguincio 43
43 :[ Rientro obliquo del muro nel quale è incassata la finestra.]

 sinistro di quell’alta finestra,
ma non arrivava allo sguincio destro dal quale distanziava
almeno 15 cm; in alto non toccava la sua sommità e in basso
scendeva sotto il davanzale fin quasi allo schienale della
sedia che era lì. Dal mio posto potevo vedere anche quella
parte del quadro visivo che veniva a trovarsi dietro l’apparecchio
televisivo che era un po’ discosto dall’angolo.
– Oh, bello! Grazie Signore! – esclamai. Mi sistemai più
comodo girandomi leggermente e mi appoggiai contento
allo schienale della sedia.

§ 115

 Il quadro visivo è tutto aperto, come una finestra che guarda
la campagna in pieno giorno sereno e assolato.
Lo scenario è nitido, riposante, senza tremolii né rumori.
C’è nell’aria un senso di gioia intensa. La mia impressione
dipende forse anche dal passaggio da scene sgradite e anguste
a questa, tutta festosa e aperta.
La scena è divisa in due parti da una linea perpendicolare
tracciata dallo spigolo di un manufatto: la parte sinistra,
che ne occupa la terza o quarta parte, mostra, sopra un’altura
molto ripida coperta di vegetazione cedua a latifoglie,
una parete liscia, nerissima, di forma quasi quadrangolare,
con le linee esterne perfettamente verticali. Non mi sembra
opera della natura, ma proprio un manufatto che domina la
pianura sottostante.
Intuisco che è la risposta alla mia ricerca, se cioè l’Uomo
avesse un’abitazione riservata e difesa. Su quella parete
nera non vedo finestre, né porta d’ingresso, né vedo la via
d’accesso, segno che si trova su una parete laterale.
La grande pianura sottostante a destra, biondeggiante di
messi e già vista prima, va da Sud a Est e sembra allargarsi
a ventaglio a Sud fino all’orizzonte, lontano più di 4 km, che
si perde nella foschia.
Non potei vedere se ci fosse un corso d’acqua, ma ricordai
d’aver visto dall’alto della cengia l’alveo secco d’un torrente
che delimitava il bosco dal lato Sud-Ovest di questo
promontorio.

Gli ancestri immediati dell’Uomo

(Il quadro visivo rimane orientato verso Est come quello precedente, il
9°, ma l’immagine visiva si sposta verso destra e riprende la visuale già
inquadrata nell’8° orientamento. Il Signore, evidentemente, una volta
ottenuto lo scopo di dare una panoramica del sito spostando l’orientamento
del quadro visivo a seconda del posizionamento della scena
inquadrata, cambia modalità e mantiene fisso il virtuale schermo sulla
parete Est della cucina seguendo invece solo con l’immagine gli spostamenti
dei personaggi nei luoghi già noti).

§ 116
 Il video rimane orientato verso Est, ma l’immagine si sposta
verso destra abbandonando il manufatto e avvicina il
campo visivo sulla pianura sottostante.
Gli ancestri immediati del Primo Uomo sono là, dove li
avevo visti prima schierati come per una posa fotografica,
ma ora non sono bene ordinati. Sembra stiano ritirandosi
dalle immediate vicinanze della scena che ho appena descritta.
Sono stati chiamati per nome?
Ora ritornano a mettersi in schiera, fianco a fianco con
qualche variante.
Sono le quattro femmine: la vecchia madre e le sue tre
figlie pelose. Accanto ad esse il maschio.
Dice la Bibbia che Dio fece passare davanti ad Adamo tutti
gli animali del Paradiso Terrestre, perché imponesse loro
il nome. È un modo di dire. Gli animali chiamati per nome
erano solo quelli domestici: gli ancestri. Qui è l’Uomo che
li organizza.
Alle due estremità della schiera ci sono i genitori: dal lato
più lontano la vecchia madre grigia e secca ‘capostipite
di tutti gli ancestri’ che fece da levatrice alla nascita della
Bambina; dal lato più prossimo a me, suo figlio, tutto nero e
peloso, padre delle tre femmine nere e pelose, in tutto simili
ai genitori. Esse sono in evidente stato di avanzata gravidanza
che, quando le vidi per la prima volta e solo parzialmente,
solo il ventre, avevo creduto fossero orsi seduti.

§ 117 
 La femmina bianca momentaneamente è fuori dalla schiera
perché seduta di fronte a loro per aver appena partorito.
Per le sue caratteristiche particolari, deduco che è figlia
della vecchia grigia ma non del maschio, nata anch’essa per
un intervento diretto del Signore con la stessa modalità usata
poi anche per il maschio: un nuovo gamete maschile creato
nel seno della madre per fecondare il suo ovulo naturale.

Penso però che nel caso del concepimento della femmina
ancestre bianca sia stato creato un gamete diverso rispetto
alla specie pura degli ancestri: un gamete ‘sui generis’, intermedio
fra la specie ancestrale e la specie umana. Questo
spiegherebbe perché questa femmina, pur avendo molti tratti
della specie degli ancestri, abbia caratteristiche così diverse
da quelle del fratello maschio e da quelle delle figlie di lui.

Come per una posa fotografica

§ 118
Il maschio è in primo piano e lo vedo di profilo. Nella scena
di prima (§§42,43,46), alla sua destra vi era la femmina
bianca: ora c’è quella che era seconda, nera e pelosa.
Alla destra di questa sta arrivando quella che prima era
la terza, un po’ meno alta della precedente. Ma prima di
sistemarsi come le altre guarda lontano, apre la bocca e fa
sporgere la lingua.
Fa anche qualche gesto con la mano.
L’ultima figlia, che è la più piccola, alta forse appena 90
cm e che è anche la più vivace nei movimenti, guarda anch’essa
lontano prima di mettersi in fila e, a più riprese,
apre pure lei la bocca e mostra la lingua che è lunga e appuntita.
Alla destra di tutte e tre, e ultima della fila, vi è la vecchia
grigia e magra stecchita.
Ho notato che la più piccola ha la testa rotondeggiante
con occhi distanziati e collo sottile.


Viste così di profilo si notava ancor di più che erano senza
mento e senza naso, con le orecchie molto grandi, uscenti
orizzontalmente dai capelli per 8 o 10 cm e ballonzolanti ad
ogni passo, come si vede nelle pecore o, meglio, nei maiali.
Questi sono i personaggi che avrebbero dovuto essere gli
ausiliari dell’Uomo.

§ 119
 La schiera non sembra completa; intuisco che si aspettano
altri protagonisti dal fatto che prima una femmina, poi
un’altra, si volgono dalla parte opposta, ripetendo il moto
della bocca e della lingua.
Infatti vedo arrivare dietro di loro, con un’ultima capriola,
il maschietto che avevo visto giocare a nascondino fra le
spighe del campo. Si pone alla destra del maschio ma, dopo
alcuni secondi, le teste di tutte le femmine si volgono a lui,
poi girano lo sguardo verso qualcosa che sta fuori dal mio
campo visivo. Di certo esse guardano il Padrone che io non
vedo.
Il maschietto non si decide a muoversi e viene preso per
un braccio dalla seconda femmina e fatto passare alla sinistra
del maschio, in primissimo piano.
Di lì a poco arriva, carponi, anche la femminuccia che si
pone tra la seconda e la terza femmina. Ne vedo solo la testa
due volte, per un istante, ad intervalli.
Per questo penso fosse arrivata procedendo sui quattro
arti, come aveva fatto prima tra le spighe del campo. Pareva
che tutto fosse predisposto come avevo visto in precedenza,
quasi fosse per una posa fotografica, la prima famiglia degli
ancestri immediati dell’Uomo era schierata in un certo
ordine logico.

§ 120

 Molto significativo il cambio di posto del maschietto. È
mia sommessa opinione che egli si sia posto alla destra del
maschio per l’abitudine, nell’ammaestramento, di mettersi
fra il padre e la madre bianca e senza pelo che in questo
allineamento è assente.
Questo significa che la femmina bianca, qualche anno
dopo aver generato Adamo per intervento divino, generò
con il maschio ancestre ‘secondo la propria specie’ il maschietto.
Essendo questa assente dallo schieramento, il maschietto
poteva esser creduto figlio del maschio e della 2ª femmina,
per cui fu mandato all’altro lato del padre.

Nei disegni del Creatore la nascita del cucciolo era una
dimostrazione che la femmina bianca, senza l’intervento diretto
di Dio, non poteva generare persone, ma solo animali
della propria specie. E Adamo avrebbe dovuto capirlo! Era
una constatazione. Un’esperienza.


“La neonata è osso delle mie ossa
e carne della mia carne”

§121

Tutti gli animali in scena erano in primo piano, agli ordini
del Padrone.
Improvvisamente la scena degli ancestri viene spostata in
secondo piano per comprendere anche la femmina bianca e
il Ragazzo con la Bimba in braccio che prima, per la ristrettezza
del riquadro, rimanevano fuori a sinistra.
Ora vedo proprio tutti, in special modo la femmina bianca
di cui ora finalmente vedo anche il volto.

Il Ragazzo si scosta di circa 4 o 5 m da quella femmina
bianca. Egli tiene sempre sulle mani la Bimba e ora fa l’atto
di sollevarla in alto.
Credo abbia dato contemporaneamente anche una voce,
come ad esempio: “Questa è proprio una creatura della mia
specie, mia figlia, osso delle mie ossa e carne della mia carne”,
perché tutti gli schierati, a cominciare dal maschietto,
alzano le loro braccia verso il cielo e, piegando l’avambraccio
sopra la propria testa, lo agitano in segno di esultanza
e aprono la bocca emettendo la lingua. Di certo gridano il
primo ‘evviva’ all’ultimo capolavoro del Creatore.

Questo gesto del Ragazzo fu un atto di ringraziamento a
Dio o il primo segno di rivendicazione di ciò che reputa
suo?

Il Ragazzo passa la Bimba nella mano sinistra, l’accosta
al petto e, con la destra distesa verso gli osannanti, fa
schioccare le dita. A quel segnale tutte quelle braccia si abbassano
e la schiera si scioglie.
Il più svelto è il cucciolo che, posta la mano sinistra a
terra, fa la prima capriola, poi la seconda e così via, e sparisce.

§ 122
 Il riquadro si sposta verso sinistra lentamente e ora le
femmine restano escluse.
Osservo il maschio che cammina, dondolandosi a destra e
a sinistra, secondo il piede che porta il peso del corpo. Ha
le spalle larghe e il bacino stretto, gambe corte e piedi corti
e larghi.
Imponenti quegli orecchi alti che sporgono di alcuni centimetri
sopra la testa! Mi hanno proprio impressionato.
Nessun antropoide vivente ne ha di simili. Lo stesso gorilla,
che è il più grezzo, ha gli orecchi con le cartilagini interne
involute, accartocciate e più simili a quelle umane.


Eva: “Ponte” fra le due specie pure

§ 123
 Appena il maschio scompare dalla scena, il riquadro si
sposta ancor più a sinistra e ora comprende la femmina
bianca e il Ragazzo con la Bambina, ravvicinati.
La femmina bianca non aveva potuto alzare le braccia
esultanti come gli altri spettatori perché le aveva protese
all’indietro, come puntelli sul prato, per sostenersi il
tronco.
Era semisdraiata e fissava il Ragazzo che le stava davanti,
alcuni metri alla sua destra.
Le sue guance lisce erano arrossate per la gioia ed anche
gli occhi dimostravano gioia. Apriva ogni tanto la bocca
allungando la lingua acuta. Reclamava la sua Bimba.
Mentre la osservo, mi viene un pensiero: “Ora che le vedo
il volto, quella l’ho già vista, in penombra, non so quanto
tempo fa, con quelle enormi orecchie a sventola, ma il suo
muso allora non era così bello”.

§ 124
Avendole ora visto anche la testa, associai all’improvviso
questa femmina a quella che avevo vista due anni prima nel
sogno del ‘peccato originale’.
D’un tratto realizzai: “Se la Bibbia dice che fu Eva ad
indurre Adamo al peccato, quella femmina che ho visto peccare
con l’Uomo non può essere che Eva” pensai.
– Allora è questa Eva! – esclamai – Finalmente la chiave
di tanti misteri per la scienza sacra e profana! Ma perché il
Signore mai la chiamò con il suo nome e già allora la definì
ponte? –
 La fissavo attentamente. Non potevo immaginare,
quando la vidi partorire, che quella ‘bestia-ponte’ fosse
Eva! Poi, scostandomi dallo schienale della sedia mi protesi
innanzi fissandola e dissi:


– Vorrei vederla più da vicino. –
Sorpresa e soddisfazione! Ebbi la gradita sorpresa di vederla
avvicinata in primo piano come fosse sul davanzale
della finestra della cucina, a grandezza naturale, essa sola
perché il giovane Uomo non stava nel riquadro.
La vedevo dal petto in su, di mezzo profilo, con lo stesso
atteggiamento di prima. Guardava alla sua destra.
I suoi occhi, sebbene sporgenti e grossi, avevano qualcosa
di umano nell’espressione. Sembravano ridere di compiacenza
nel guardare il Padrone con la Bimba e, ad intervalli,
continuava ad aprire la bocca per reclamare il possesso della
sua neonata.
Aveva un po’ di naso, a differenza delle sue familiari che
ne erano completamente prive. Era tanto piccolo che copriva
solo a metà le fosse nasali.
La sua bocca si apriva fino alla radice delle mascelle lasciando
vedere tutti i denti sani, bianchi, regolari secondo
la sua specie, cioè coi canini leggermente più lunghi degli
altri.
La lingua che protendeva era lunga ed appuntita.
Sembrava attaccata solo alla gola. L’estremità vibrava debolmente
sotto il palato che era piatto; in quei momenti essa
certamente emetteva la voce. Non aveva mento.
La fronte, bassa, era nascosta fino agli occhi dai capelli
castano-scuri, non fitti che, dietro, le scendevano sulla nuca
a coprire solo il collo. Le spalle erano spioventi. Gli orecchi
ho già detto com’erano. Le sue gote erano rosee.
La sua figura era così naturale e nitida che pareva fosse lì
viva, tanto che mormorai:
– Vorrei vederla di fronte. –
Così dicendo mi ero alzato e posto a sedere a fianco del
lato più lungo del tavolo. Illusione. Dovevo accontentarmi
di vederla così, di mezzo profilo.


Mi venne l’idea di guardarla attraverso un foro formato
dai pollici e dagli indici sovrapposti, per vedere in essa solo
i connotati positivi, cioè umani, e nascondere gli altri, ma
ebbi chiara la sensazione che i miei impulsi dall’ipotalamo
arrivassero solo fino al gomito. Non riuscii a sollevare
le mani nel duplice tentativo di farlo. Ritornai a sedermi
dov’ero prima.


Eva “è la madre di tutti e due”

§ 125

– È LA MADRE DI TUTTI E DUE – mi dice la Voce con
tono forte da destra.
– Allora Eva non è la vera moglie di Adamo, ma la madre!

Rivedendola seduta sull’erba e vedendo il Ragazzo con la
Piccina in braccio riflettei che anche lui doveva pur aver
avuto una madre e che se quella era la madre di tutti e due,
quella ‘bestia-simildonna’, ‘Eva’, era ‘ il passaggio obbligato’
fra la specie subumana e la specie umana!
Compresi che ‘Eva’ non è un nome proprio, ma solo un
appellativo che vuol dire semplicemente ‘la madre di tutti
i viventi’, proprio come dice la Bibbia. Quindi fu la madre
anche di Adamo, oltre che della Donna. E poi disgraziatamente
anche di Caino, quando essa fu partner dell’Uomo
per una sola volta, quella fatale, come vidi nella rivelazione
del ‘peccato originale’.

Mettendo insieme questi tasselli, compresi anche l’espressione
ermetica che aveva usato il Signore quando, dopo
avermi detto che la via all’uomo era cominciata di lì”, aveva
soggiunto che quella bestia giacente al suolo e in procinto
di partorire doveva rimanere capo di ponte’, ma l’uomo
presuntuoso e disobbediente la rese ‘ponte’ ”.


Compresi che capo di ponte era sinonimo di passaggio
obbligato, via senza ritorno, tra questa specie e l’Uomo.

§ 126
 “Per essere una bestia è proprio bella – pensai. – Il
Signore ha fatto la figlia molto più bella di sua madre, la
vecchia ancestre”.
– AB UNO DISCE – mi disse la Voce. Cioè ‘da un esempio
impara’, ossia ‘deduci la regola’. E la regola la si ricava
dai fatti. Capii che bastava osservare per dedurre.
L’espressione ab uno disce era densa di significati.
Andava meditata con calma. Capii che quest’affermazione
era importantissima per la scienza.

Lo scenario si fece buio per qualche secondo, dandomi il
tempo di ricapitolare.

§ 127

Anche la figura di Eva (che era stata precedentemente
avvicinata) venne riportata alla distanza di prima. Alzò il
braccio destro verso il Ragazzo, sostenendosi col sinistro e
aprì la bocca.
Il Ragazzo si avvicinò, si curvò verso di essa e le consegnò
la Bambina. Eva, seduta per terra, l’accolse fra le sue mani
lunghe e parve molto soddisfatta.
Il Giovane tornò indietro di parecchi metri, anzi, scomparve
per pochi secondi dietro un avvallamento del terreno,
curvandosi. Poi ritornò e consegnò alla madre quell’oggetto
che gli avevo visto in mano sulla cengia.
Allora mi era parso un pezzo di tufo, poi una pannocchia
abbrustolita, larga, cioè sdoppiata, e schiacciata perché
quei puntini neri e regolari sembravano dei grani abbrustoliti
disposti in righe regolari. Ora, invece, mi sembrava
una braciola molle, abbrustolita sopra una graticola dalle
maglie strette e regolari, con qualche chiazza di bruciato,
dove pareva che i fori avessero delle smagliature.


Capii dalla scena che segue che era invece un pezzo di
favo, reso molle dal calore del sole per esser stato esposto
ai suoi raggi per tutto il tempo del parto.
Eva appoggiò la Neonata sulla coscia sinistra e, tenendola
con la relativa mano, sporse la destra e, preso il dono, lo
addentò strappandone un grosso boccone.
Dalla sua bocca larga e mal custodita dalle labbra larghe
e sottili, calarono molti fili di miele liquido e trasparente.
Il Ragazzo stava a guardare e, quando vide quel liquido
filante e vischioso cadere sulle gambe della Bambina, fece
un gesto ed Eva piegò la testa sulla propria destra, così che
il liquido colasse per terra.
Masticava molto volentieri, ma non era bello guardarla.
Aveva il palato piatto e le labbra aperte fino alla radice delle
mascelle, così che non poteva trattenere il miele.
Il Ragazzo rimase a guardare ancora un po’, poi tentò
di prendere la Bimba, ma la madre se la strinse al petto. Il
Giovane allora se ne andò deluso: il trucco per prendere la
Figlia non era riuscito.

Il Capostipite succhia il latte di cangura
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§ 128

Dopo una breve pausa, cessa il buio e cambia la scena.
Entro uno stretto riquadro sullo sfondo nero, appare una
grande pelliccia. La parte dorsale resta nascosta a destra,
l’altra pende gonfia verso la mia sinistra. È grande come
mezza damigiana da 50 o 60 litri. La vedo di profilo.
Ha il pelo bianco avorio sotto il ventre e color cannella lungo
il fianco e forse sul dorso che non vedo.
Al centro della pelliccia scorgo una protuberanza vistosa.
Il colmo della sporgenza è di colore più scuro. Proprio
in quel punto vedo intervenire una mano umana rosea che
penetra nel ventre, segno che vi è un’apertura.
Quella mano abbassa il bordo inferiore di 15 o 20 cm.
A tenerla ferma in quella posizione interviene una mano
nera molto magra con cinque dita, di cui nessuna contrapposta
alle altre ma che escono a ventaglio, munite di unghie
robuste e nere. Sopraggiunge un’altra mano uguale a quest’ultima,
guidata ancora dalla mano rosea, e abbassa il
bordo di quella pelliccia dal lato opposto.
Quell’operazione mette allo scoperto due mammelle turgide,
grandi ciascuna come mezzo pompelmo, coperte di pelo
bianco e molto corto, fino alla rosetta del capezzolo che è di
color rosa.
Succede un po’ di confusione. Si frappone fra questa scena
e il mio sguardo una massa pelosa e nera e vi resta per forse
uno o due minuti.

Quando si scosta vedo che quella massa pelosa è la testa
dell’Uomo. Egli succhia il latte e lo sbruffa in un osso cavo
che vidi poiché lo avrebbe dato alla puerpera. Poi quelle
mani nere abbassano il bordo della borsa un po’ di più e mi
pare d’intravedere altre due mammelle.
Sono sempre stato appassionato di zoologia ma nelle enciclopedie
che ho letto non ho mai visto un animale simile,
per cui chiesi a voce normale:
– Che animale è? – .
Per tutta risposta vedo sparire la pelliccia e comparire, al
centro del video, un paio di orecchie diritte, alte quasi quanto
quelle di un asino ma non di forma tubolare come quelle.
Queste solo alla base sono accartocciate e accostate l’una
all’altra, poi salgono a forma di lancia.
Sono color cannella all’esterno e bianco avorio all’interno
che è tutto occupato da peli diritti che partono dai lati e
salgono obliqui verso la linea mediana dell’orecchio.
Percepisco a livello intellettivo una domanda:
– LO CONOSCI? –.
Feci un cenno negativo col capo poi, ricordandomi che
dovevo dare la risposta parlata, dissi:
– Non lo conosco. –
Per oltre un minuto stetti ad osservare quegli orecchi. Non
potevo vedere altro. Fissandoli bene mi accorsi che fremevano,
cioè tremavano leggermente.
– Se ne vedessi la testa forse riconoscerei di che animale
sono! – esclamo.
Fui accontentato.

Allo stesso posto, in primo piano, appare la testa di un
animale. Esso guarda verso la parte opposta al mio sguardo
e vedo quella testa dal suo lato sinistro. Sotto quelle orecchie
vi è un cranio piccolo che culmina proprio lì. Il muso
lungo e sottile è tra quello del cavallo e quello della capra,
ma va assottigliandosi molto verso la bocca.
Il suo pelo è lucido, color rossiccio-cannella. È un erbivoro.
Le sue mandibole sono a fior di pelle, molto lunghe
rispetto al cranio, ma non è magrezza. Lo dimostra il pelo
lucido. L’occhio è fermo e attento. Gli orecchi vibrano.
– Direi che è un canguro, se ne vedessi anche il collo. –
Anche questa volta fui accontentato.
L’animale sparì dal primo piano e lo vidi, da un’altura,
giù nel prato, distante 30 metri circa.
Gli vedevo solo la testa e il collo, il resto stava nascosto
sotto la linea del quadro visivo. Il suo collo era lungo ma
non in posizione normale. Alla base sembrava costretto in
avanti mentre, verso la testa, si ergeva immobile e guardava
verso la mia sinistra.

Mi vennero dei dubbi: “Siamo in Tasmania? O in
Australia? I canguri vivono là. L’Uomo verrebbe di là?
Impossibile. Non è cosa che riguarda la fede, ma la Bibbia
fa testo che egli è comparso presso le sorgenti dell’Eufrate
e del Tigri.”
In risposta ai miei dubbi scompare la figura del canguro
laggiù e ne compare un branco entro un riquadro di cm 5
per 10. Ne vedo solo le teste e a volte anche il collo perché
si alzano e si abbassano. Non vedo lo sfondo per capire se
scendono da un declivio o se saltano in piano. Penso:
“Vivono allo stato brado? O è libertà per il pascolo?
Dunque quella cangura non è sola. Né era legata quando le
si scoprirono i seni. È un animale domestico o addomesticato?”.
La spiegazione verrà da un’altra scena. Questa:

Il giovane padre toglie la Neonata
dalle mani di Eva


(Nota della curatrice) Il quadro visivo rimane sempre proiettato sulla parete
Est della casa, mentre l’immagine segue la scena che si svolge ancora
al lato Sud-Est del promontorio, dove è avvenuto il parto.

§ 129
 Il Ragazzo è di nuovo in piedi di fronte ad Eva seduta che
tiene la Bambina posata sulla coscia sinistra, che non vedo,
mentre con la destra tiene ancora un pezzo di quell’oggettocibo
che le era stato dato, il favo di miele.
Egli questa volta le porge l’oggetto di forma simile ad un
vaso portafiori, alto e stretto con costole verticali, più aperto
alla sommità.
Era un femore, forse di canguro: il Giovane evidentemente
utilizzava i femori, svuotati del midollo, come recipienti.
Qui le costole non sono regolari. Partono a metà altezza.
Una è più minuta, l’altra è più grossa, contorta e sporgente
fino alla sommità. Siccome glielo offre verticale, penso che
contenga il latte.
Eva guarda, ma ha le mani occupate.
Cessa di masticare e cerca sul terreno un posto, a destra
e davanti, dove posare il resto del cibo. Non trova di meglio
che la propria coscia destra, che non vedo, e prende con la
mano libera l’oggetto che le viene offerto.
Il Ragazzo le toglie la Bimba, se la pone sulla mano sinistra
accostata al petto e, con la destra, prende la mano sinistra
di Eva e la costringe a tenere quel biberon con ambedue
le mani e a portarlo alla bocca.

§ 130

Eva beve a canna, ma tiene d’occhio la sua Bambina.
Si accorge che il Ragazzo si allontana. È già a 10 metri
di distanza e va verso il sentiero che sale lungo lo scoscendimento
e non torna indietro. Allora Eva butta per aria il
biberon il quale, al colmo della parabola, lascia uscire un
liquido bianco e filante (latte e miele).
La femmina scatta in piedi furiosa, pone la mano sinistra
a terra e, servendosi del lungo braccio come fosse una pertica,
spicca un salto dopo l’altro agilmente, sale anch’essa
per il sentiero dove il Giovane la precede e lo raggiunge
presso un passo pericoloso.
Li vedo attraverso un cespuglio e un corpo opaco che sembra
uno spuntone di roccia. Là il sentiero è molto stretto, ed è il
punto dove il Ragazzo, accortosi dell’inseguimento, si ferma.
Eva lo raggiunge: vuole la Bimba che egli tiene alta con
la mano destra accostata alla spalla.
Essa allora lo graffia con quegli unghioni lunghi, forti e
ovali a nocciola, prima con una mano e poi con l’altra e gli
produce dei solchi sanguinanti dalla spalla al femore sinistro,
dalla gola al ventre.
Il dramma mi tiene col fiato sospeso. Vorrei vedere più da
vicino.

§ 131

 Ecco, sono portato al posto di quello spuntone di roccia e
li vedo ad un metro di distanza, l’uno a sinistra, l’altra
a destra.
La femmina è infuriata e scarmigliata.
Gli occhi grossi sembrano uscire dalle orbite.
Le labbra tirate mostrano tutte intere le due file di denti
fino alla radice delle mascelle.
La lingua e la gola vibrano. Certo essa urla.
Anche gli orecchi enormi vibrano fuori della cortina dei
capelli disordinati.
Alle prime rapide graffiature il Ragazzo reagisce con la
mano sinistra, tentando di allontanarla, ma essa gli afferra
la mano e gliela morde profondamente fino alla metà del
dorso.
Terribile quella bocca larga! I denti canini penetrano nel
dorso e nel palmo.
A questo punto il Ragazzo muove una gamba e le fa uno
sgambetto o le dà un calcio, non so precisare perché non
vedo le gambe sotto il riquadro.
Fatto sta che Eva si rovescia alla propria destra e sparisce
lungo l’ultimo tratto del canale che scende dall’altura.
“Macché! – brontolai fra me. – Quello non può essere
Adamo. Egli era un uomo grande, maturo, esperto, immune
dal dolore e dalle malattie; sapeva dominare gli animali
con uno sguardo e indovinava i loro istinti. Costui, invece,
è un ragazzo ingenuo che si è lasciato prendere alla sprovvista”.


Eva, la femmina preumana,
sarà il “dèmone” per l’uomo

§ 132

SARÀ IL DÈMONE PER L’UOMO. .
Queste parole che sentii pronunciare alla mia destra con
voce normale di uomo, ed altre che seguirono in tono più
debole di cui ricordo solo il concetto, mi diedero molto da
pensare là sul momento e poi in seguito.

Il significato immediato delle parole sommesse che udii
era questo:

§ 133
– LA LEZIONE DOVREBBE BASTARGLI PER
TENERLA LONTANA E NON FIDARSI DELLA PROPRIA
INESPERIENZA, PERCHÉ È IL ‘SERPENTE’ (qui lo vedevo
simboleggiato da quei denti canini di Eva che mordevano
la mano dell’Uomo) ‘L’ALBERO GENEALOGICO
SELVATICO DELLA CONOSCENZA DEL BENE
E DEL MALE’, IL QUALE, SE ‘CONOSCIUTO’ O
‘MANGIATO’ (nel senso di aver con esso un rapporto generativo)
FUORI DAL PROGETTO DI DIO, SAREBBE
STATO PORTATORE DI MORTE, PERCHÉ AVREBBE
CONDOTTO L’UMANITÀ A PERDERE LA PROPRIA
INTEGRITÀ FISICA E PSICHICA, PER FARLA
SOPRAVVIVERE SOLO ALLO STATO DI OMINIDE
A CAUSA DELLA PREVALENZA NUMERICA DEI
CARATTERI ANCESTRALI (poiché gli ancestri generavano
più precocemente e con maggiore frequenza della
specie umana). –

§ 134

 Ha detto: – Sarà il dèmone per l’uomo – .
Compresi che non si riferiva soltanto a quel primo Uomo
personalmente quando vi sarà la tentazione, ma al fatto che
nelle successive generazioni alcuni dei ‘Figli di Dio’, cioè
i legittimi discendenti di Adamo, si sarebbero uniti alle
‘figlie degli uomini’ (Genesi 6,1-4), discendenti illegittime di
Adamo attraverso il ramo di Caino, mescolandosi fino alla
completa ibridazione. Così che tutte e due le specie sarebbero
state corrotte e si sarebbe estinta la specie umana, se
Colui che è la Risurrezione non l’avesse guidata nel corso
di milioni di anni al recupero, parziale, dell’integrità originaria
mediante la selezione naturale, per incapacità di
sopravvivere degli individui più tarati, e anche attraverso
quella artificiale con la soppressione totale degli individui
irrecuperabili (come ad esempio con il diluvio di Noè o con
cataclismi di altro genere come a Sodoma e Gomorra) e a
livello genetico mediante l’immissione o creazione di nuovi
gameti perfetti nel corso dei millenni.
– E allora perché non la uccide? – esclamo, pensando
che dopotutto non era una persona, ma una bestia. Perdo di
vista il Ragazzo che sale per il sentiero. Mi guardo attorno
pensieroso.

La prima abitazione

§ 135   
Quando guardo di nuovo lo vedo arrivare ad un piccolo
spiazzo un po’ inclinato e dal fondo roccioso sul quale si
affaccia la porta di un casolare rustico. La porta è costituita
di grossi polloni di vimini orizzontali intrecciati con altri
vimini verticali più grossi, tutti neri e lucidi.
Il Ragazzo si ferma davanti allo stipite sinistro e con una
mano slega qualche nodo di una stringa e spinge la porta
che si gira su un palo che serve da cardine, aderente allo stipite
di destra. Non vedo il muro in cui si apre quella porta.
La scena si allontana ed ora vedo il muro. Non è però il
muro nero posto in evidenza nel riquadro precedente e che
dominava la pianura sottostante perché quello non aveva
aperture. Comprendo che siamo di fronte a una parete laterale,
anzi, oltre l’angolo di sinistra dello stesso edificio.
Sento un grande desiderio di vedere dentro l’abitazione del
primo Uomo, che vi entra in quel momento.

§ 136

Non so se fu effetto di autosuggestione o di rapimento, ma
ebbi l’impressione di essere portato dentro quella povera
abitazione nel momento in cui il Ragazzo entrava con la
Bimba in braccio. Egli, accostata la porta allo stipite, vi
appoggiò la spalla sinistra per farla aderire. Infatti era ‘imberlata’,
cioè i suoi bordi contrapposti non erano paralleli.
Tolse un corto paletto appeso presso lo stipite e lo infisse in
un foro del medesimo per tenere chiusa la porta. Altrettanto
fece per fissare la parte inferiore. La porta anche all’interno
era come un graticcio nero e lucido di catrame.

§ 137

Vedevo il Ragazzo stando ad un metro e mezzo dall’entrata.
Egli si voltò e stette a guardare una specie di piccozza
posta sopra un mobiletto grigio, alto 60 cm con un piano di
cm 40 per 40, posto a due metri dalla porta e accostato alla
parete di destra. Emetteva dei sospiri. Forse piangeva, ma
non potei vedere bene la sua faccia. Non toccò quell’arma:
la guardava soltanto.
Era proprio una piccozza dal manico d’osso, forse una
tibia lunga circa 35 cm. Alla sua sommità l’arma era costituita
da una pietra levigata, nera, lunga tra i 22 e i 25 cm,
con punta da una parte e taglio dall’altra. Questa era legata
a metà con una stringa di pelle pelosa che l’avvolgeva con
due spire, i cui capi entravano nell’osso bucato e spuntavano
dalla parte opposta dove erano annodati con un tassello.
Due stringhe più sottili fermavano l’arma da uno e dall’altro
lato del nodo della tibia, già incavato su misura.
Facevano due giri attorno alla pietra e, incrociati al di
sotto di essa, ne facevano altri due al di sotto del nodo. Così
la pietra era immobilizzata.
“Molto ingegnoso il Ragazzo – pensai – adesso se ne
serve”. Ma il giovanissimo padre non si muove. Sta lì, chino
sulla sua Bimba.

§ 138

Approfitto per esaminare l’ambiente.
L’ingresso era situato sulla parete rivolta a Nord-Ovest
e comunicava ad un solo ambiente con pianta a forma di
‘L’. La stanza era composta da due volumi, uno più piccolo
di fronte all’entrata, con una finestra centrale sulla parete
opposta alla porta, l’altro, a sinistra dell’ingresso, più profondo,
con una seconda finestra. Entrambe le finestre guardavano
verso Sud-Est.
La prima finestra, di circa 60 per 80 cm e munita di sbarre
trasversali, dista un metro dall’angolo di destra. Addossati
a quest’angolo vi sono, in piedi, dei manici di attrezzi privi
di corteccia, ma non vedo la loro estremità inferiore per cui
non riesco a capire il loro uso.
Sono di varie altezze, fra un metro e un metro e mezzo.

§ 139

All’angolo opposto, a destra dell’entrata, altri attrezzi di
lavoro, grezzi, di legno. Al centro di questa parete il mobiletto
su cui è poggiata la piccozza.
A sinistra della finestra frontale, sul pavimento di terra
battuta, ai piedi d’una parete affumicata, vedo un cranio
di ruminante molto piccolo in confronto della mandibola,
ancora munita di denti, che è stretta e lunga. È bianco, con
qualche segno nero e i fori delle occhiaie tappati di nero.
Capisco che è la mascella superiore di un canguro che ha la
funzione di un rudimentale mestolo.

§ 140

Altri recipienti, simili a secchi, sono allineati di seguito.
Esternamente tutti anneriti dal fumo, uno solo è nero-lucido
all’interno e sembra di terracotta. Sembrano pentole.
Sopra di questi, vedo appese alla parete tre o quattro borse
pelose e gonfie e degli oggetti informi. Davanti a tali oggetti,
vedo sul pavimento due mobiletti grigi, simili a quello
che regge la piccozza, ma più piccoli, con sopra delle pietre
nere e lucide, lavorate con taglio e punta. Sono delle
amigdale, dei raschiatoi e dei coltelli. Osservando quegli
oggetti appuntiti, mi accorsi che non erano messi lì a caso,
ma erano disposti in un certo ordine, pronti a qualche scopo
che non comprendo. Due scaglie bianche sembrano pietre
focaie.
Tutto questo si trovava nella metà della stanza di destra dominata
dalla porta e dalla prima finestra contrapposta.

§ 141
Mi giro a sinistra per vedere l’altra metà dell’ambiente.
La parete che portava le borse continuava, girato l’angolo
concavo, con una parete attigua per altri due metri in
profondità ed aveva un basamento in muratura alto circa
un metro e mezzo, mentre la parte superiore era fatta di assi
verticali, o tavole grezze un po’ contorte, che avevano tutta
l’aria di essere state tratte da tronchi mediante la spaccatura
da un capo all’altro con cunei di legno.
Erano allineate e legate con corregge pelose a due stanghe
orizzontali in alto. In basso le tavole erano fissate al
muro.
Due piccoli scaffali appesi a quella parete, portavano dei
vasi di varia grandezza; qualcuno sembrava una zucca decapitata.
Gli scaffali arrivavano all’angolo dell’altra parete,
a Est.

§ 142
 Al centro di quest’ultima, una finestra delle stesse dimensioni
della prima, ma, cosa che non avevo osservato in
quella e che qui saltava agli occhi, c’era un luccichio di vari colori.
Il davanzale, gli stipiti e l’architrave portavano infisse
pietre preziose, bianche, rosse, verdi e gialle. Alcune grosse
quanto un uovo di gallina, altre più piccole. Riflettevano i
raggi del sole che, a quell’ora, si dirigevano su un grande
tavolo che si trovava al centro della mezza stanza di sinistra.
Sopra il tavolo vedevo, dalla mia parte, una pelle d’animale
che copriva altri voluminosi oggetti colorati. All’estremità
opposta del tavolo, proprio davanti alla finestra, vedevo altri
oggetti brillanti di vari colori e dalla forma simile a cocci
di bottiglia, fissati alla base e molto aguzzi alla sommità.
Il mio pensiero correva alle abitazioni provvisorie dei pionieri,
cercatori d’oro e di diamanti nell’America.


Il ‘dèmone’ della cupidigia e della sensualità

§ 143   
Non potei trattenermi dal chiedere:
– Che cosa sono? –
– TAGLIAPELLI DI ANIMALI – Dopo qualche secondo
aggiunse sottovoce:
– OGGETTI PREZIOSI, PERICOLOSI. –
– Perché li tiene così esposti, se sono pericolosi? –
In quel momento mi arrivavano agli occhi i raggi riflessi
dai preziosi posti attorno alla finestra e quelli di rimando da
quei cocci speciali. Capii che le parole udite si riferivano
agli uni e agli altri.

§ 144
Intanto la Voce continuava:
– L’UOMO HA VOLTO AL MALE TUTTE LE COSE
PIÙ PREZIOSE, E NON SOLO QUELLE MATERIALI,
SCHIAVO DEL DÈMONE DELLA CUPIDIGIA, DELLA
SENSUALITÀ… – e altre cinque o sei parole che non ricordo.

Era la seconda volta che veniva nominato il ‘demonio’:
capivo che, in questo caso, non si trattava di un essere intelligente
senza corpo, ma di ‘una passione’ dell’uomo cattivo.
Al tempo stesso non potevo dissociarmi dai principi appresi
durante la mia formazione religiosa.

Avevo in mente la figura di Eva nell’atto di mordere e mi
affioravano i dubbi che la visione fosse di origine diabolica.
Perciò, ricordando il gesto di S. Bernadetta davanti
all’apparizione a Lourdes e non avendo a portata di mano
la corona del Rosario, dissi:
– Adesso ti arrangio io, succeda quel che si vuole, uccidermi
non puoi. Anche se ribalti la casa. –

§ 145   
Incominciai tutto teso e allarmato in previsione del peggio:
alzo la mano per farmi il segno della croce e dico:
– Nel nome del... – e non riesco a portare la mano fino
alla fronte. Pesa come non mai. Arriva solo all’altezza del
naso, per cui devo accontentarmi di piegare la fronte fino a
toccare l’estremità delle dita con la punta del naso e proseguo:
– ... Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – tutto senza
intoppi.
Poi, volendo fare l’esorcismo sul quadro visivo con un segno
di croce accompagnato nei quattro punti della finale
“Amen”, dico forte:
– A-me-e-en. –
Dicendo ‘A’ non riuscii a portare la mano sopra il quadro
visivo. Arrivai solo sotto il lato inferiore.
Con mia grande sorpresa sentii una Voce che sembrava
l’eco della mia e forte come la mia, sovrapporsi alla mia
parola divisa e distinta nelle quattro sillabe, una, anzi due
parole equivalenti ad essa:
– VA BE-E-EN. –

Ero sicuro di aver detto “A-men”. Non avevo il raffreddore
di naso, così da pronunciare ‘ben’ invece di ‘men’. Prima
di aver capito il significato della nuova formula, che credevo
una storpiatura, reagii dicendo:
– Signore, mi cambiate le parole in bocca. Non sono
Balaam, sto sempre dalla vostra parte. –
Intanto guardavo verso la portiera dove era terminata la
risonanza dell’ultima sillaba ‘en’. Una Voce mi disse dentro:
– COSA VUOI DI PIÙ? –

§ 146
Diedi un’ultima occhiata a quella abitazione rustica mentre
il Ragazzo usciva. La parete, a destra uscendo, era ingombra
di fasci di legna. Non vi era un giaciglio, né una
scala per salire ad un ipotetico soppalco, né vidi un focolare
nella stanza. Era solo un’abitazione-laboratorio.
Mi restava da spiegare la resistenza del braccio al movimento
voluto. Dai due tentativi avevo imparato che non
dovevo coprire il video con la mano.
La mossi di fianco, in alto, in basso, avanti e indietro: tutto
normale. Il fatto non mi sorprese più, quando ricordai le parecchie
volte che una Forza misteriosa si impadroniva delle
mie forze fisiche e mentali.
È bello lasciarsi giocare dalla Sapienza!

§ 147
 Distratto, avevo dimenticato il Ragazzo, o meglio non capivo
i suoi movimenti dopo averlo visto uscire dalla stanza.
Ora lo vedevo confusamente, come attraverso un materiale,
una massa di terra e roccia, resa trasparente. Era al di là
del bordo di un terrapieno e di un vuoto, distante 4 o 5 metri
ed io mi trovavo circa due metri più alto di lui. Compresi solo
dopo, quando la visuale si allargò, che lui stava sul ballatoio
di un rustico ed io sul terrazzo sopra il terrapieno di fronte.
Faceva delle acrobazie che non capivo, perché lo vedevo
di scorcio entro un piccolo riquadro, senza contorni di riferimento.
Saliva, scendeva di qualche gradino, si curvava, si contorceva,
si capovolgeva, appeso, con una gamba piegata, a
cavalcioni di uno dei pioli soprastanti di una scala a pioli.

Tenendo sempre la Bimba in braccio con la mano sinistra
sanguinante per la morsicatura, lavorava con la sola destra,
la testa all’ingiù grondante sudore. La Bimba accostata
al suo petto sanguinante per le graffiature, e stretta da
quella mano pure sanguinante, era tutta intrisa di sangue.
Compresi che il Ragazzo stava slegando le corregge che
tenevano legati i gradini di quella scala a pioli: voleva togliere
2 o 3 dei pioli più bassi perché Eva non potesse salirla.
Eva aveva infatti le gambe corte e non sarebbe stata in
grado di arrampicarsi senza qualche montante perché i piedi
corti e larghi non erano prensili.

Perciò il Ragazzo dovette cominciare a slegare quei pioli,
distanti fra loro circa 35 cm, cominciando dal basso, dal
terzo e dal quarto, lasciando legati il primo e il secondo
per tenere uniti i montanti. Le corregge che legavano i pioli
dovevano essere secche e dure per la lunga esposizione all’aria
e al sole. Da qui la fatica per sciogliere quei nodi.

§ 148
 Mi sembrava un gioco senza senso, per cui sentii il bisogno
di un autocontrollo:
“Non sogno. Sono qui nella mia canonica, questi sono i
miei mobili. Questa luce che riempie la stanza è cosa misteriosa.
Privilegio per me? Sarà una visione che hanno anche
altri veggenti? Ne sarei tanto contento. Molti testimoni danno
maggior credibilità e più completezza nel riferire, se si
espongono a testimoniare”.
– Signore, Voi mi conoscete, sapete che non ho buona memoria,
e le cose viste e udite in così poco tempo non riuscirò
a ricordarle e a coordinarle. –


L e costruzioni del primo Uomo

§ 149
 Mentre il Ragazzo continuava il suo lavoro, cercavo di
ricostruire mentalmente il sito in cui mi trovavo e l’ubicazione
degli edifici costruiti dal giovane Uomo attraverso le
inquadrature dalle misure assai ridotte dentro quel quadro
visivo che solo poche volte mi lasciava vedere in tutta la sua
estensione una scena più ampia.
Dovetti faticare non poco per collegare i piccoli dettagli e
farne mentalmente un quadro unitario.

(Nota della curatrice)  //Poiché negli scritti di don Guido non si trova una
descrizione globale e al tempo stesso dettagliata di questo sito, mi sono fatta
descrivere la complessa morfologia di quel luogo prendendone appunti.
Quanto segue è quello che ho raccolto dalle sue spiegazioni.
Mi disse don Guido:  

 //– Poche volte ho potuto vedere scene panoramiche di vaste proporzioni.
Quasi sempre la visione era mirata a farmi osservare un determinato particolare
che aveva una qualche importanza.
Sull’estremo sperone roccioso di un promontorio proteso da Nord a Sud,
e tagliato trasversalmente da larghi e profondi strati di roccia arenaria inclinati
a Nord-Est, il Ragazzo aveva costruito la sua abitazione sfruttando
le particolarità del terreno.
La cengia, sulla quale poggiava l’abitazione, era profonda in quel punto
almeno 5 metri e alta non meno di 3.
La conformazione del terreno consentiva di usare il piano della cengia
come fondamenta e la cengia superiore come tetto naturale, sporgente di
almeno un metro dal muro esterno dell’abitazione stessa.

Questo muro, visto frontalmente, appariva privo di aperture ed era stato
trattato con bitume per renderlo impermeabile, perciò appariva come un
muro nero. Guardando frontalmente l’edificio, l’ingresso si trovava sulla
parete a sinistra e, dal lato opposto, l’abitazione prendeva luce dalle due
finestrelle munite di barre trasversali di cui ho già parlato.
Questa grande profondità della cengia era stata ricavata scavando il
tenero strato di marna che si trovava fra le due cenge.
Con le pietre di arenaria ricavate altrove il Ragazzo aveva costruito,
invece, i tre lati esposti dell’abitazione seminascosta tra le due cenge e un
muro di contenimento sulla cengia inferiore a quella dell’abitazione, alto
circa 6 metri. Il materiale ricavato dallo scavo era stato utilizzato per colmare
il terrapieno sorretto dal muro di contenimento.
Questo ingegnoso lavoro aveva permesso al giovane Uomo di godere di
un terrazzo a livello del piano dell’abitazione che permetteva la comunicazione
su tutti i lati a vista dell’abitazione stessa e contemporaneamente di
raccogliere tutto quel materiale che altrimenti avrebbe ingombrato i percorsi
lungo le cenge.

La cengia, che proveniva da Est lungo la quale correva il sentiero che
collegava sul fianco del promontorio l’altura con la pianura, dopo aver girato
da Est a Sud e da Sud a Ovest, era dunque ostruita da questa barriera
artificiale al di sopra della quale era stata costruita l’abitazione.
Lo sbarramento in muratura delimitava, alla sua base, un cortile dal fondo
roccioso e leggermente pendente verso Nord-Est che rimaneva raccolto, a
destra guardando sempre frontalmente il terrapieno, dalla parete di un altro
rustico, una specie di ‘dépendence’, con la quale formava un angolo retto.
Sulla facciata di questo rustico, che si trovava ad un livello inferiore,
più modesto di quello precedente e che delimitava il cortiletto – prosegue
don Guido – si apriva verso Ovest la sua unica porta d’ingresso; sul lato
opposto del casolare, verso Est, vi era un’unica finestrella.
Gli altri due lati del cortile roccioso, erano delimitati da un muretto
semicircolare dal quale si poteva ammirare la piana sottostante.
All’esterno di questo muretto correva il sentiero, quello stesso che dal lato
Est del promontorio aveva percorso, salendo, il Ragazzo inseguito da Eva e
che, oltre l’angolo del terrapieno, proseguiva scendendo verso il lato Ovest.
Da qui il sentiero aveva una pavimentazione parzialmente lastricata a
larghi gradoni che scendevano fino a raggiungere un praticello adagiato
su una balza del pendio dove il giovane Uomo aveva sistemato il suo pollaio.
Il rustico che si affacciava sul cortile – continua don Guido – non godeva
come riparo dalla pioggia del prolungamento della cengia su cui stava
la più alta costruzione-laboratorio, ma si trovava esposto su tre lati e costruito
su una balza rocciosa, la cengia stessa del cortiletto.

Questo casolare aveva quindi avuto bisogno di un vero tetto fatto di
scandole di corteccia d’albero, segno che in quel posto la cengia superiore
era rientrante.
Dal lato opposto al cortile, dove si apriva la suddetta finestrella, il rustico
guardava su uno spiazzo erboso che proseguiva, voltando leggermente
a sinistra, con il sentiero già nominato che si snodava sul fianco Est del
promontorio fino a raggiungere, dopo una curva a destra di 180°, la valle
sottostante dal lato Sud-Est.
Sul primo tratto in discesa, a qualche decina di metri dal rustico, vi era
una frana che creava difficoltà, ma non impossibilità, al passaggio. Era la
frana che aveva fatto da sfondo alla scena del morso di Eva.
Il piano terra di questo rustico più modesto era adibito anch’esso ad
abitazione. Lo vidi internamente dopo la morte di Abele: era un ambiente
povero, affumicato, con il pavimento in terra battuta, diritto, pulito. Scoprii
nelle rivelazioni successive che qui vi si accendeva il fuoco per cuocere il
pane e in seguito era divenuta la dimora assegnata a Caino.
Il piano superiore del rustico era adibito a fienile o a granaio ed aveva
un ballatoio, rientrante e coperto dal tetto in scandole, tutto lungo la facciata
che guardava il cortile.
Poiché il dislivello tra il cortile del rustico e il terrazzo dell’abitazione
del giovane Uomo era di 5 o 6 metri – prosegue don Guido – il ballatoio
del rustico era un paio di metri più basso del piano del terrazzo che stava
sopra il terrapieno. Perciò la comunicazione fra i due livelli avveniva per
mezzo di una scala a pioli posta all’estremità Nord del ballatoio.
Dal lato opposto del ballatoio un’altra scala a pioli scendeva a livello
del sentiero che correva lungo il fianco Sud del casolare.

L’edificio inferiore adibito a fienile non era in asse con l’edifico superiore
adibito ad abitazione-laboratorio, ma fra i due corpi si formava un
angolo di almeno 130° perché la costruzione superiore, posta sul terrazzo,
era obliqua rispetto al muro meridionale del terrapieno.
Dalla prosecuzione della cengia che faceva piano unico con il terrazzo
superiore, si accedeva, sul lato più ad Ovest ed oltre l’abitazione del
Giovane, all’apertura di un abitacolo stretto e profondo nel quale era stato
sistemato il giaciglio.
Questo cubicolo era stato ricavato interamente nella roccia e prendeva
luce solo dall’apertura. Mentre il fianco del cubicolo verso monte correva
lungo il filone di arenaria, il fianco a valle era stato chiuso da un muro di
protezione alto fino al tetto naturale della cengia stessa. Questa dimora la
vidi solo internamente durante il sogno del ‘peccato originale’.

Ho dedotto la sua posizione perché il Ragazzo in quell’occasione attraversò
tutta la lunghezza del ballatoio, salì la scaletta che portava in cima
al terrapieno e non entrò nell’abitazione dei preziosi, ma proseguì oltre, sul
terrazzo, prima di scomparire nell’abitacolo.
Vidi che l’entrata era rivolta alla luce meridiana e che il giaciglio era
sistemato in parallelo con la cengia stessa, nel lato più aderente alla parete
verso monte, e l’abitacolo ne risultava lungo e stretto.
Sopra la cengia che faceva da tetto all’abitazione del giovane Uomo vi
era la cisterna che non vidi, ma che suppongo fosse la chiusa di fronte alla
quale il Ragazzo con il favo in mano, nella prima parte della visione, si girò
e saltò di sotto.
Lo dedussi dall’orientamento del rudimentale acquedotto fatto con canne
di bambù, visto anch’esso nella prima parte della visione, e dallo scorrere
dell’acqua al di qua del muro cieco e nero dell’abitazione quando il
Ragazzo s’inoltrò nel vano buio, a sinistra di quel muro, e, dopo qualche
secondo, aprì la saracinesca e la lasciò defluire.
Quindi il Ragazzo – conclude don Guido – rendendo inagibile la scala
che dal primo livello, quello del sentiero e del cortiletto, saliva al ballatoio
del rustico più basso, rendeva impossibile l’accesso a tutti i suoi angoli
riservati.  //

 “Il Capostipite dell’umanità”

§ 150   

Mi trovavo sopra l’angolo esterno del terrapieno che
guardava sul cortile sottostante e avevo alla mia sinistra il
muro nero dell’abitazione rivolto a Sud-Ovest.
Ad un livello più basso e quasi di fronte, in obliquo, vi è
la facciata di un rustico [si tratta del rustico nominato nella
descrizione precedente].
Intravedo il Ragazzo che dal sentiero era arrivato in cima
alla scala a pioli di cui ora distinguo le estremità superiori
appoggiate al bordo del ballatoio, o poggiolo, che prima
non avevo visto.
Lo vedo spuntare da sotto e cammina sul ballatoio venendo
verso di me. Il Ragazzo non era allo stesso livello della
mia posizione, ma circa due metri più basso.
Sostò alquanto; passò la mano libera sulla fronte e la liberò
dai capelli, che scendevano disordinati e appiccicati davanti
agli occhi. Lo guardavo di scorcio, poiché il poggiolo era
perpendicolare al terrapieno dominante lo spiazzo che avevo
di sotto.
Ad un certo punto, in prossimità del terrapieno su cui mi
trovavo, lo vedo scomparire. Doveva salire un’altra scala,
che non vedevo, per arrivare al mio stesso livello.
Rimase nascosto qualche minuto, forse per riposarsi.

§ 151
 Fui molto sorpreso dal suo aspetto quando da quell’angolo
lo vidi ricomparire di fronte a me, sul terrazzo, distante
forse 6 metri. Si fermò.

Teneva la testa bassa, ansimava, forse piangeva. I lunghi
capelli erano appiccicati sulla nuca dal sudore e dal sangue.
Aveva la guancia destra gonfia e anche le labbra, e
bernoccoli grossi sulla fronte.
Poi s’incamminò verso la mia sinistra in direzione del
muro nero.
Il riquadro lo segue e si sposta anch’esso verso sinistra e
il ballatoio, a destra, scompare.
La scena inquadra sempre il Ragazzo, che si ferma qualche
secondo, e ha ora come sfondo il muro nero che ho nominato.
Il viso, il petto, le braccia, le mani, ed anche la Bambina,
per quel poco che la vedevo, erano intrisi di sangue. Era
sfigurato, irriconoscibile.
Ciò contribuì a farmi credere che non si trattasse più della
stessa persona, ma di un estraneo. Vedendolo scuotere la
mano sinistra grondante sangue, chiesi:
– Cacciatore? –
La risposta non la ricordo bene. Mi sembra fosse:
– PRESSAPPOCO, – e poi una Voce femminile con tono
sommesso – DI MIELE – ma non capii.
– Poveretto – dissi – non aveva armi per difendersi e,
preso alla sprovvista nella sua avventura, si è lasciato scorticare
a quel modo? Ma chi è? –

§ 152   – NON LO RICONOSCI ? È ROSSO – mi fu risposto.
– Eh, no Signore! Ci vedo bene: distinguo il colore roseo
della sua pelle dalle striature di sangue, di cui è imbrattato,
e dalle righe rosse che gli solcano il braccio sinistro e il petto.
È insanguinata anche quella piccola preda che tiene tra
le mani e che si dimena. È ferita anch’essa? Valeva la pena
di rischiare tanto? Ma chi è? –

§ 153    – È IL CAPOSTIPITE DELL’UMANITÀ. –
“È una delle definizioni di Adamo – pensai. – Non lo
ha mai chiamato col nome di Adamo, perché? Forse perché
non dice tutto. Si riferisce alla Terra perché Ad-ham significa
il ‘Dominus-Terrae’ o ‘il Signore della Terra’ (e non
come certuni credono ‘il fatto di terra’) e questo attributo
non si riferisce all’umanità. Mentre è questa la cosa più importante”.
Lo chiamò il campione”, “il tuo primo parente”, “il proto”,
il protoparente”, “il progenitore”, “rosso”, “il capostipite
dell’umanità”, e l’uomo, con significato non certo
elogiativo, ma non lo chiamò mai ‘Adamo’. Così, come non
chiamò mai ‘Eva’ la femmina ancestre.

Il Giovane si deterge le ferite

§ 154
 Ora che lo vedo di fronte a me, lo osservo, e non riconosco
affatto in lui il bel Giovane che aveva occupato la metà
destra del mio corpo.
Ha cessato di ansimare, alza la testa, sbanda i capelli
lordi di sangue e di sudore dietro gli orecchi, e, con
passo deciso e composto, si avvia lungo il fianco della
parete nera verso l’angolo opposto a quello da cui era
comparso.
Al termine della parete c’è una zona in ombra con una
maggiore profondità di campo, limitata a sinistra dalla linea
verticale del riquadro e alta quanto la parete nera, cioè,
delimitata anche sopra dalla linea orizzontale dello stesso
riquadro e a destra dal muro nero. Non so ancora cosa vi è
sopra. Non vedo nemmeno ciò che vi è dentro quella specie
di apertura che è tutta nera, in ombra.
Sicuramente vi è un’altra scala a pioli che sale sopra la
cengia dove, presumo, ci sia la cisterna.

Egli entra in quella macchia d’ombra e, pochi secondi
dopo, vedo cadere davanti alla parete nera una fitta cortina
d’acqua larga circa un metro e mezzo.
Sarà salito per la scala e avrà aperto la saracinesca per
dare avvio all’abbondante acqua che comincia a cadere di
qua del muro, ma discosta da esso.
Tutto fa pensare che l’abitazione sia incastonata sotto il
bordo della cengia che le fa da tetto e già per sua natura
impermeabile.
Il nero della facciata è invece dovuto alla sua impermeabilizzazione
con bitume.
Questa piccola ma sufficiente riserva d’acqua intiepidita
dal sole e alimentata dal rudimentale acquedotto formato
da canne di bambù infilate una nell’altra è sufficiente a rendere
l’habitat più confortevole.

Penso: “Ingegnoso il Ragazzo!”. Poi, riflettendo, realizzo
che nella sua perfezione egli è di gran lunga più intelligente
di qualunque scienziato odierno che, se anche ha un maggior
bagaglio di nozioni, porta sempre qualche minima menomazione
nelle sue facoltà.
A questa vivace intelligenza si aggiunga il fatto che Dio
gli faceva da Madre e da Padre, insegnandogli tutto ciò che
gli era conveniente, anche a costruire.
Il Ragazzo esce, si porta al centro della parete, sempre
con la Bimba in braccio accostata al petto.
Lo vedo di fronte a circa 6 metri di distanza. Si scosta dalla
parete con tre o quattro passetti e si sottopone a quella
doccia abbondante a testa bassa per alcuni secondi, quindi
senza voltarsi retrocede presso la parete.


L ’Omega rovesciato

§ 155
 Nel frattempo il mio punto d’osservazione si era ritirato:
era come se mi trovassi sospeso nello spazio, distante forse
10 metri dal giovane Uomo.
Il piano su cui il Ragazzo si muove, e di cui non vedo il
terreno perché mi è consentito di vederlo solo dalle caviglie
in su, sembra protetto al di qua della cortina d’acqua da un
parapetto nerissimo e opaco, largo 15 cm circa, perfettamente
diritto e ancorato non so come ai due lati del video.
È senza soluzioni di continuità, cioè non vi è al centro un
tratto più stretto che segni un collegamento fra le due parti,
ma è un tutt’uno omogeneo.
Al centro del parapetto, o fascia nera, vi è invece incorporato,
senza cuciture, un oggetto d’oro, forse un sigillo,
di forma simile all’occhiello di un’ asola grande 7 o 8 cm,
sdraiato, con la curva rivolta alla mia sinistra.
Non somiglia ad un ferro di cavallo perché la parte rotonda
è troppo stretta in proporzione alla sua lunghezza. Dà
l’idea, piuttosto, di un ‘omega rovesciato’.
“Sì, è un Omega” conclusi.

§ 156
 Quell’ ‘Omega’ era in contrapposizione all’ ‘Alfa’: e l’Alfa
era il Creatore, pronunciato e scritto come al neon al
principio della Creazione. L’Alfa: lo Spirito Puro, l’Assoluto,
la Forza Creatrice Prima che è Dio; l’Omega: il
primo Uomo e la prima Donna e i loro discendenti puri,
dotati pur essi di Spirito, quello Spirito che è della stessa
Sostanza del Padre, perché l’Uomo e la Donna sono Figli
legittimi di Dio.

Ho inteso anche che con la nascita della Donna è chiuso il
periodo della creazione di nuove specie viventi . Compiuta
la sesta fase, il cosiddetto 6° ‘giorno’, il Creatore disse:
“Basta” e ‘cessò di creare’. Si astenne cioè dall’intervenire
direttamente come aveva fatto fino allora sulla cellula
generativa. Il Creatore aveva terminato il Suo programma
ora che aveva posto in essere il Suo ultimo Capolavoro, la
Donna.

“Ma perché rovesciato? – mi chiesi. – Forse che era già
nata nella mente del Ragazzo l’idea di fare a modo suo, di
disobbedire a Dio, per cui era già previsto che il capolavoro,
l’Omega, venisse ribaltato? E perché a sinistra? Forse
perché la sinistra simboleggia le cattive ispirazioni, mentre
il Signore sta invece alla nostra destra?”.

In verità Dio non cessò di creare vite nuove anche dopo
l’Omega: creò ancora l’ovulo di Sara, madre di Isacco;
l’ovulo di Anna, madre di Samuele; l’ovulo di Elisabetta,
madre di Giovanni il Battista dimezzando così il suo tasso di
ibridazione; l’ovulo di Anna, madre di Maria e, contemporaneamente,
il seme che lo fecondò giacché Maria si è autodefinita
“Immacolata Concezione”: ciò vuol dire che Maria
non ha ricevuto geni imperfetti da alcuno dei suoi genitori
e che perciò Maria è interamente Nuova Creazione; infine
creò il seme che fecondò l’ovulo perfetto di Maria dando
a Gesù una Natura Umana perfetta a cui si unì lo Spirito
di Dio, la Sua Natura Divina. Ma Dio non creò più alcuna
nuova specie.


La culla dell’umanità:
il quando e il dove

§ 157   
Mentre l’Uomo va e viene sotto la doccia, penso all’ultima
definizione che gli è stata data: rosso e, collegandolo con
i Pellerossa, mi chiedo:
“È mai possibile che l’umanità abbia avuto la sua culla
nell’America? La Bibbia non può aver sbagliato, anche se
vi è chi dice che essa non è attendibile sul piano scientifico.
L’indicazione della Bibbia concorda con i dati più antichi
della paleontologia e dell’archeologia i quali sostengono
che l’uomo è apparso nei Vecchi Continenti”.
Pertinente e puntuale mi venne la spiegazione.
– È ACCADUTO MOLTO TEMPO FA. SAI ANCHE
QUESTO? –
Nella domanda c’era un rimprovero alla mia presunzione,
dimostrata a proposito dell’epoca della creazione delle stelle,
ma non me ne accorsi subito e risposi imperterrito:
– Lo so Signore; tra la fine dell’Era Terziaria e l’inizio
della Quaternaria. –
– SAI QUANTI ANNI FA? –
Ricordavo l’ipotesi più spinta di Teillhard de Chardin che
ammetteva un milione di anni e che giudicavo ancora troppo
limitata considerando il tempo necessario alle prime generazioni
per diversificarsi e per espandersi oltre la Catena
dell’Himalaia, verso la Cina, e a Sud verso l’Africa. Per cui
risposi:
– Un milione e mezzo o due. –
– DI PIÙ – rispose.
– Tre? –
– DI PIÙ – ripeté.
– Quattro? Cinqu...
Non avevo terminato la parola che sentii sovrapporsi:
– ...ANTA – e una debole eco continuò l’ultima ‘A’ per due
secondi.
La cifra era così iperbolica rispetto ai dati della scienza,
che mi lasciò diffidente, anzi incredulo. Aveva detto anta
dopo che avevo detto “quattro” o “cinque” mentre lo stavo
pronunciando cinq...?
“Si tratta di quaranta o di cinquanta?” pensai.

(Nota della curatrice) Quando don Guido mi parlò di questo particolare
ammise di non aver ben capito se il Signore avesse unito il Suo “ANTA”
al “quattro”, che aveva appena pronunciato, o al “cinq…”, che stava pronunciando,
sovrapponendovi la Sua Voce. Don Guido, nel dubbio, propendeva
per questa seconda ipotesi. Ma mi disse anche che era stato frettoloso
in quella numerazione, senza lasciare alcun intervallo tra un termine e
l’altro.
Alcuni anni dopo la sua morte, mentre stava per uscire la terza edizione,
venni a sapere che nel tardo Eocene, ossia tra i 56,5 e i 35,4 milioni di
anni fa, ci fu un fiorire di immense praterie dominate dalle graminacee.
Questo particolare mi colpì perché rispecchiava esattamente quanto descritto
al §19 che dice: “Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio
verso Sud… una zona pianeggiante, fertile, coperta di vegetazione
cerealicola che si stendeva a perdita d’occhio. Dall’enorme estensione
di quella vegetazione color oro dedussi che quelle messi crescevano
spontanee”. Ricordando il dilemma di don Guido, trovo che la descrizione
fatta al §19 risolva ogni dubbio e che perciò il Signore intendesse
dire che l’Uomo apparve sulla terra in un periodo che va inserito in quel
lasso di tempo.

Poi ricordai quanto è stato scritto sui libri che trattano
dell’evoluzione: l’epoca in cui avvenne la separazione tra
le scimmie caudate e i pongidi (gorilla, orango, scimpanzé)
viene assegnata al periodo dell’Eocene (il 2° dell’Era
Terziaria), cominciato da un massimo di 70 milioni ad un
minimo di 50 milioni di anni fa e durato da un massimo di
40 milioni ad un minimo di 30 milioni di anni.
Gli ominidi sono giudicati contemporanei dei pongidi.
Dunque la prima famiglia degli ancestri, i progenitori immediati
dell’Uomo e destinati ad esser i suoi ausiliari, è
proprio dentro il 40.mo e il 50.mo milione di anni.
E, se la capostipite degli ancestri è contemporanea del
primo Uomo, è chiaro che Adamo è stato creato 40 o 50
milioni di anni fa.

§ 158    
Mentre guardavo sempre il Ragazzo che andava e veniva
da sotto la doccia, la Voce soggiunse:
– LONTANO DA QUI – e dopo qualche secondo,–
OSSERVA: IN QUELLA DIREZIONE. –
Le parole udite non mi avevano fatto capire il segno di interpunzione,
cioè i due punti dopo ‘osserva’, per cui reagii
subito:
– Sto guardando in quella direzione. –
Allora mi accorsi che i lati verticali della cornice rosea,
addossata agli sguinci della finestra, brillavano a brevissimi
intervalli, come per attirare la mia attenzione. Alla mia
sinistra il lato rientrava nello sguincio per 10 cm circa, e
alla mia destra sporgeva fuori dal muro oltre il limite del
davanzale per altri 10 cm.

Sommessamente mi suggerisce:
– OSSERVA L’ORIENTAMENTO. –
Sapevo che la facciata della canonica orientata ad Est,
era leggermente girata a Nord. L’orientamento indicatomi
dalla cornice era un po’ di più che raddrizzare quello della
canonica, quindi Est–Sud-Est.
Subito domandai:
– In America? – pensando che l’aveva chiamato “ROSSO”.
– IN QUELLA DIREZIONE. -
Alla mia domanda non poteva rispondere con il nome
della Regione nominata dalla Bibbia, cioè l’Armenia, perché
l’antica Armenia è ora divisa tra la Turchiala Russia e
l’Iran, e forse un po’ anche l’Iraq.

Mi ha risposto in modo inatteso:
– SAI CHE ORA È? –
Una domanda così confidenziale mi stupì. Capivo che non
aveva bisogno, Lui, di sapere l’ora, ma voleva semplicemente
che io lo dicessi. Risposi:
– Saranno le tre e dieci, pressappoco. –
– GUARDA IL TUO OROLOGIO. –
Lo avevo al polso. Lo avvicinai all’occhio sinistro. Avevo
gli occhiali, ma stentavo a vedere le lancette a causa della
solita luce rosea. Sapevo che era passata da poco ‘l’ora
solita’ delle mie levate notturne e quanto era accaduto così
rapidamente, mi sembrava un tempo breve.
Così dissi subito:
– Sono le ‘tre’ e... –
Tardavo a leggere la lancetta dei minuti, e per prendere
tempo cominciai a pronunciare:
– e minuti… – Volevo proseguire guardando l’orologio.
Appena pronunciata la sillaba ‘mi’, si sovrappose la Sua
Voce:
– LA – Ma non vi feci caso. Ripetei:
– minuti... – Non capii la mia impertinenza ed Egli:
– CHILOMETRI – insistette sommessamente.
Non mi resi conto del gioco di parole e capii solo dopo alcuni
mesi, in un ‘sogno’ profetico, che era la risposta esatta
alla mia domanda e una precisazione della sua indicazione,
quando mi disse:
– LONTANO DA QUI, IN QUELLA DIREZIONE: TREMI-
LA CHILOMETRI. –

§ 159   Su una carta geografica che abbia sulla stessa scala l’Italia
e il Medio Oriente, partendo dal Lago di Santa Croce
verso il centro di quel cerchio geografico che mi fu fatto
vedere subito dopo che Eva si era staccata dalla schiera dei
suoi familiari perché erano cominciate le doglie del parto,
cerchio che dopo aver abbandonato a Nord il Mar Nero
restringendosi comprendeva la parte sudoccidentale del
Caspio, credo si arrivi a Ninive con 3.000 km secondo una
misurazione sommaria.
Non per nulla quando, nel buio del quadro, comparve quel
puntino illuminato mi aveva ammonito: Attento! Dì quello
che vedi”.
Era anche un punto geografico! Oltre che una lezione di
antropologia ginecologica: dalla cellula fecondata al parto!

                              ***

Il problema della ‘costa’
Eva viene generata dalla costola di Adamo 
(Lorenzo Maitani e bottega, dettaglio della facciata del duomo di Orvieto).

§ 160
Nel frattempo osservavo il Ragazzo andare e venire sotto
quella doccia, o per meglio dire cascata d’acqua, per otto,
dieci o dodici volte. Le fermate erano brevi, forse perché
l’acqua era fredda e perché, scorrendo sulle ferite, ne accresceva
il dolore; ma anche perché, quando doveva lavare
la Bambina, facendo cadere l’acqua sulla propria testa
per lasciarla correre intiepidita lungo i suoi capelli sopra
la Bambina, dovette accorgersi, dalle grida di lei, quando
quel tepore veniva a mancare man mano che si raffreddava
la propria testa.

§ 161
Un’altra cosa mi interessava molto sapere: la sua ‘costa’.
Un commentatore della Bibbia, Festorazzi
 [Arcivescovo emerito di Ancona 1991-2004,
Studioso e biblista poco noto del secolo XX e autore dei testi: La Bibbia
e il problema delle origini’, Rivelazione biblica di Dio, in "I teologi del Dio vivo" (1968);
 Introduzione alla storia della salvezza, in "il messaggio della salvezza 2" (1973);
 Gli scritti dell'Antico Testamento, in "il messaggio della salvezza 5" (1985)].

 aveva tradotto il versetto genesiaco con queste parole:
 – Dio gli tolse una costola e ci mise intorno della carne e
così fabbricò la Donna. –

Avevo capito che quella ‘costa’ era la costa genitale, il
membro maschile, ed ora volevo proprio assicurarmi che
il Creatore non avesse mutilato il Campione dell’umanità
proprio di quel membro per fabbricare la Donna.

§ 162  
La fitta cortina d’acqua mi impediva di vedere bene il
Ragazzo in faccia, ma per vedergli la “costa” vi era quella
fascia nerissima e opaca da un lato all’altro del quadro visivo,
proprio all’altezza del suo inguine. Da principio l’avevo
creduta un parapetto basso sul ciglio dello spiazzo, ma era
così liscia e intera, cioè senza segni di agganciamento nella
parte centrale, che, a guardar meglio, stentavo a credere
fosse stata fatta dal Giovane.
Quando egli si trovava addossato alla parete nera, la fascia
larga 15 cm gli nascondeva i genitali. Quando veniva
avanti, sotto la doccia, speravo di vederglieli da sotto quel
parapetto, invece avevo l’impressione di essere portato gradatamente
più in alto, così che non potevo vedere al di sotto
di quel virtuale parapetto. Così ogni volta, finché:
– Signore, – dissi – alla mia età (65 anni) non mi scandalizzo
se vedo un uomo tutto intero. Lasciatemi constatare
che non è vero che lo abbiate mutilato della sua – costola
genitale – per dare vita alla prima Donna. Quello è mio
padre ed io non sono Cam. –

§ 163
Il Ragazzo ritorna verso la cascata, ed è l’ultima volta. Lo
vedo a 6 m circa da me, all’altezza del mio sguardo ed ho
l’impressione di essere sospeso per aria, discosto dal terrazzo.
Solite mosse: l’acqua scende sulla testa e scorre per
i lunghi capelli sulla Bambina che tiene fra le mani, poi la
sposta, prima a sinistra fuori dall’acqua, e lava se stesso
con una mano, poi a destra e si lava con l’altra mano.
Le ferite sembra non sanguinino più.
A questo punto ebbi l’impressione di venir portato più in
basso, per un istante, sotto il livello della fascia nera. Vidi
che il Ragazzo era integro e normale sotto la fascetta nera
della peluria pubica. Guardai in alto, per vedere, dalla mia
posizione cosa ci fosse sopra la grotta da cui scendeva la
cortina d’acqua, ma il quadro visivo non lasciava vedere
nulla sopra quella cortina. Il Ragazzo ritornò alla parete e
vi stette un po’, quindi si diresse verso l’abitazione, alla mia
sinistra, oltre l’angolo del muro nero.

§ 164   
Dopo pochi secondi l’acqua cessa di cadere ed egli esce e
si mette al posto di prima. Si asciuga al sole e tiene costantemente
la testa sopra la Bambina, forse per proteggerla
dai raggi del sole. Non vedo l’ombra della testa, né quella
della persona per indovinare l’ora del giorno. Ma dal fatto
che tiene la testa sopra il corpo della Bimba, arguisco che
solo così le protegge gli occhi e che il sole ha passato il
mezzogiorno. Dopo qualche minuto, egli sposta la testa della
Bimba alla propria destra. Sorpresa: il nuovo calore del
sole ha portato in lei un senso di rilassamento, forse dovuto
anche alla cessata doccia, che si rivela con esiti fisiologici
liquidi. Gocce bionde cadono dalla mano sinistra che regge
i glutei della Neonata e altre gocce scorrono lungo il
costato al quale era appoggiata, segnato dai graffi rossi.
Egli sposta la Creatura sulla mano e avambraccio sinistro
e, tenendola leggermente scostata dal petto, con la destra si
terge quel liquido biondo. Sposta la Bimba di nuovo sulla
destra e scuote dalla mano sinistra il resto di quel liquido,
misto a sangue.
 Pensavo con un senso di compassione che
il ‘Dominus’, il Signore della Terra, non aveva a disposizione
neppure un pannolino per la signora, la ‘Domina’ della
Terra, la Donna. Volevo esprimermi in modo analogo, ma in
quel momento mi venne fatto dire:
– Cosa farai adesso di quel tuo... ‘cosino’? – riferito alla
Bimba che era proprio piccola.

§ 165  
 Il Ragazzo resta lì per parecchi secondi. Poi vedo che i
suoi occhi non fissano più la Bambina, ma guardano più in
là, oltre il bordo del terrazzo.
Sembrano seguire il movimento verso la sua sinistra di
qualche cosa che si muove laggiù, nel cortile sottostante. Mi
sembrava soprappensiero. Stava rigido sui suoi piedi e girava
lentamente solo la testa che seguiva lo sguardo. Stava
osservando Eva.
Ora gli vedevo, di profilo, solo la nuca e la guancia destra.
Questa sembrava molto più paffuta di quando lo vidi
vicinissimo. Il suo collo, al confronto, mi sembrò più sottile
del normale, tanto che pensavo al tipo umano dell’Estremo
Oriente.

  1.  

Il primo cedimento alla tentazione
 

§ 166   
Fu a questo punto che sentii una voce di donna che parlava
in una lingua sconosciuta, non gutturale ma armoniosa
come quella italiana, e pronunciava l’acca distintamente,
ma non capii le parole. Era sicuramente una delle due
Celesti Messaggere, per cui ripetei come già altre volte:
– Signore, se viene da Voi, fate che io capisca. –
Pensai in seguito che probabilmente quella voce voleva
solo attirare la mia attenzione perché riflettessi su quanto
stavo vedendo.
Forse in quel momento il Ragazzo avrà considerato che la
Neonata andava anche nutrita. Quindi Eva andava richiamata
per farle da nutrice.
La tentazione del male inizia quasi sempre con l’illusione
di un falso bene. Era questo il divieto: farla ritornare per
evitare una funesta occasione? Era questa la disobbedienza?
Veramente il giovane Papà avrebbe avuto a disposizione
il latte di cangura. Ma, forse pensava, la cangura non
sarebbe stata in grado di accudirla.

“Lo faccio o non lo faccio?”
§ 167
Il Ragazzo si sarà anche chiesto:

“Perché Dio mi ha proibito
di avere rapporti con ‘l’albero selvatico’? Ha generato
me e poi da me questa bella Bambina. Dio ha detto che se
avessi rapporti con lei ne seguirebbe la morte per l’estinzione
della mia specie. Ma il mio seme è seme di vita, non di
morte. Dio ha anche detto: “crescete e moltiplicatevi e riempite
la terra”. Ora io sono cresciuto in età da poter generare
e non voglio aspettare tanti anni che cresca anche questa
Piccina perché mi dia dei figli. Mi ha costituito Ad-ham, cioè
il ‘Dominus-Terrae’, ‘il Padrone della Terra’, quindi Lui comanda
in Cielo e io sono il Padrone in Terra, il Signore,
il dio qui sulla Terra. E per raggiungere il mio scopo farò
come ha fatto Dio: non sarò io a cercare lei, ma essa stessa
spontaneamente alla sua stagione, quella degli amori, verrà
da me. Mi troverò coricato, ma non in profondo sonno come
la volta scorsa. E, se Egli mi rimprovera, dirò che la colpa è
Sua perché è Lui che mi ha insegnato il modo...”.

E avrà concluso che se il suo seme era buono e che se la
femmina era come il solco della terra, adatta a farlo germogliare,
Dio gliel’aveva proibito solo per gelosia. Dopotutto
quella femmina senza pelo aveva cresciuto anche lui e, come
madre, era stata ineccepibile.

§ 168
Il riquadro si sposta, adagio adagio, verso destra, abbandonando
la metà sinistra della parete nera.
Vedo comparire, oltre l’angolo, ad un livello di poco inferiore
a quello del terrazzo che appoggia sul terrapieno, un
piano inclinato, coperto da una specie di lunghi coppi diritti
e rovesci, fatti con scorze d’albero, quasi tutti disuguali,
accartocciati alle estremità e tenuti fermi dal peso di parecchie
pietre piatte, informi e gialle. Capisco che è il tetto di
una costruzione rustica. Anzi, ora riconosco la costruzione.
Sono portato più in alto e vedo, sotto la sporgenza del tetto,
verso il cortile, il ballatoio di prima che corre per tutta la
lunghezza del fabbricato.
Ora vedo che la parete interna è fatta di assi schiette come
quelle che ho visto di sopra, presso i preziosi. Dalle fessure
vedo spuntare della paglia. Deve essere il fienile, o il luogo
dove si batte il frumento.

Eva, la femmina con le gambe corte

§ 169
Da una posizione gradatamente più alta che mi permette
di vedere al di là del bordo del terrazzo sul quale mi trovo,
scorgo sotto il solaio del ballatoio, appoggiate ad esso, le
estremità disuguali e scheggiate della scala a otto pioli.
La scala poggia a lato del sentiero che corre a livello del
cortile. È alta poco meno di tre metri e i montanti sorpassano
di mezzo metro l’altezza del piano del ballatoio.
A metà della scala vedo Eva con le lunghe braccia in alto.
È aggrappata con le mani al terzultimo piolo che sta a 70
cm dal piano del ballatoio e lo scuote fortemente ogni qual
volta volge il capo a sinistra, verso il Ragazzo, aprendo la
bocca ed emettendo la lingua.

 Poggia il piede sinistro sul secondo piolo.
Mancano il 3°, il 4° e il 5° piolo. Dal posto dove era legato
il 4° piolo, verso sinistra, vedo per qualche secondo, come
ci fosse un fotomontaggio, una striscia di pelle mezzo allacciata
al montante della scala, che si sfila e cade sul terreno.
Capisco ora le acrobazie del Giovane per rendere impossibile
a Eva di salire: capovolgendosi, egli aveva slegato tre
pioli.
Il piede destro di essa è all’altezza del piolo seguente, cioè
del primo piolo mancante che, se fosse rimasto al suo posto,
sarebbe all’altezza della biforcazione delle sue gambe.
Nonostante gli sforzi delle braccia aggrappate al 6° piolo,
essa non riesce ad alzarsi.

§ 170  Osservo la testa schiacciata della femmina; i capelli sconvolti
la coprono fino al collo; le orecchie le ballano ogni
volta che scuote rabbiosamente la scala.
Il suo tronco è bene sviluppato. Ha spalle spioventi. I fianchi
sono più larghi di quelli della madre e delle sorelle. Le
vedo della peluria sotto l’ascella sinistra e quando scuote la
scala le vedo oscillare il seno di quel lato.

– OSSERVA LE GAMBE – mi viene suggerito.
– Sono tozze, senza sagoma – rispondo.
– SONO CORTE – insiste la Voce.
– Sarà perché, stando quassù, le vedo di scorcio. –
Per brevi istanti sono portato dirimpetto alla scala, distante
5 m circa.
– Sono proprio corte! – esclamo – sia in rapporto al torace,
sia in confronto alle braccia, anzi, agli avambracci.
Quelle gambe sono lunghe solo un terzo della sua statura. –


Eva è riammessa nell’abitazione

§ 171
Vengo portato di nuovo all’altezza del terrazzo, al posto di
prima, anzi un po’ più discosto dal bordo di esso.
Dalla fascia nera è ora sparito l’occhiello o fermaglio
d’oro, l’Omega rovesciato a sinistra che vedevo sovrapposto
a quel bordo.
Vedo sul lato destro del ballatoio il Ragazzo con la Bimba
in braccio nella posizione di prima. Ora si muove verso l’angolo
dal quale era salito e scompare dietro di esso. Capisco
che va incontro ad Eva.

Il muro nero

§ 172 Il riquadro, spostato di nuovo a sinistra, mostra ora tutto
il muro nero come da principio. È proprio un manufatto e
non una roccia nera, come avevo immaginato.
Scena vuota. Non mi resta che guardare il muro. La fascia
nera, già priva dell’asola, dopo un po’ sparisce anch’essa.
Eppure, finché vi è quel muro, quella cornice del riquadro
e la luce che riempie la mia stanza, una conclusione deve
venire.
Esamino quel muro. È lungo poco più di tre metri. L’altezza
non mi è dato di calcolarla perché lo vedo fino all’altezza
del lato superiore della cornice rosea. È formato di pietre
giallastre di arenaria di vario spessore, tolte dai filoni di
cui è composta l’altura e sistemate direttamente sul muro. A
fianco di una pietra grossa ve ne sono due e anche tre di più
sottili. È evidente che il costruttore le ha usate man mano
che poteva scavarle, senza avere la possibilità di scegliere
quelle dello stesso spessore per ciascuno strato, o corso di
muro. Vorrei contare il numero dei corsi, ma è impossibile
per l’irregolarità delle linee.
Dei due spigoli verticali alle due estremità del muro, solo
in quello di destra posso distinguere le pietre. Vedo che, invece
di sovrapporre incrociate le teste delle pietre più lunghe,
queste sono sovrapposte dallo stesso verso. Eccetto
in qualche caso non sono ‘legate’, come si dice in gergo
edilizio: la linea verticale della giuntura fra due pietre, invece
di essere coperta da una pietra del corso soprastante,
corrisponde ad una connessura di quel corso. È evidente
l’inesperienza di lui anche nel collegamento delle pietre.

§ 173   Il materiale di coesione è il catrame misto a quella sabbia
fine e regolare di cui non ricordo il nome specifico ma che
qui, nel Bellunese, chiamiamo ‘saldàn’ e che si trova spesso
tra i filoni di arenaria al posto della marna.
Quell’impasto è stato mescolato alla paglia o alla loppa,
di cui vedo sporgere dalle connessure le estremità, più nere
presso la parete e più gialle nella parte più esposta.
Penso che a togliere il catrame da quegli steli più esposti
abbia contribuito, più che lo stillicidio della cascata d’ac-
qua, lo strofinio di oggetti che vi sono passati d’appresso. La
parte più bassa del muro (circa 1 m) è intonacata di catrame
e non lascia vedere steli di paglia. Lo spigolo di sinistra,
quello dietro il quale c’è l’ingresso, è perfettamente verticale,
come l’altro, e coperto, per la larghezza di un metro, da
un intonaco grigio ben levigato.
Suppongo che il giovane costruttore abbia fatto aderire allo
strato di catrame dell’intonaco sottostante la sabbia di ‘saldàn’,
onde proteggersi dal contatto inquinante del catrame.
In qualche punto un brandello di intonaco è caduto.

§ 174 Mi chiedo da quanto tempo l’Uomo abbia costruito quel
muro. – È appena un ragazzino – dissi quando lo vidi per
la prima volta nella visione. Ma dal lavoro fatto, direi che
egli non avesse meno di 15 o 16 anni, così pure dalla sua
corporatura e dal fatto che è già padre. La sua faccia, priva
di barba e anche di peluria, lo mostra alle soglie dell’adolescenza
che in lui dovette essere precoce perché campione
di salute ed esuberante di vitalità.


Il serpente: “Callidior erat”

§ 175
La scena è ancora vuota e sono stanco di aspettare una
conclusione. I minuti sono lunghi quando si aspetta, tanto
più dopo le brevissime sequenze viste fino allora nel dramma.
Non mi resta che immaginare quello che succederà tra
i tre protagonisti. Lui, sarà sceso dalla scala a pioli e, per
ripararla, avrà dovuto consegnare la Figlioletta alla madre.
Questa avrà cercato di scappare, ma egli l’avrà raggiunta
e l’avrà condotta ad un corso d’acqua perché si lavasse. Si
sarà lavato anche lui e la Bimba dalla pipì.

Poi, dopo aver riparato la scala, l’avrà fatta salire per
tenerla come bàlia della Bimba, ruolo che essa ebbe anche
con lui durante l’infanzia, per il latte, l’assistenza ecc...
Infatti, dice la Genesi all’inizio del 3° capitolo: era “la più
astuta di tutti gli animali che camminano sulla Terra”, “callidior
erat”, cioè la più sviluppata psicologicamente. Era
affezionata alla Bambina come lo era stata a lui ed anche
già esperta.

§ 176   L’attesa mi pareva troppo lunga, forse 5 o 10 minuti.
Faccio per alzarmi e andarmene, ma non ci riesco. Mi viene
voglia di consultare l’ora nell’orologio, ma la solita Voce,
in tono normale, mi ammonisce:
– ATTENTO ALLA FINALE BREVE, IMPORTANTE!
– Seguono altre parole in sordina che non ricordo. Si riferivano
al racconto genesiaco da leggere tra le righe  e
specialmente a quanto mi fu rivelato nella seconda rivelazione,
quella del ‘peccato originale’. Rassegnato attendo la
conclusione. Mi ritorna il desiderio di consultare l’orologio,
sebbene l’esperienza di prima mi abbia insegnato che,
con quella luce, non avrei distinto le lancette. Penso:
“Adesso porterò il polso proprio davanti all’occhio e,
tenendo lo sguardo fisso sullo scenario, potrò sbirciare
sull’orologio per qualche istante”. Ecco, eseguo: l’orologio
è davanti al mio occhio sinistro, il migliore.

§ 177   In quel momento ricompare il Ragazzo dall’angolo da dove
era uscito di scena, a destra. Tiene sulle mani la Neonata.
Ricompare anche la fascia nera senza l’asola d’oro, ma è
più larga di prima e gli nasconde anche parte delle gambe.
Si dirige spedito e composto, con passo sicuro verso l’angolo
opposto. Ha fatto appena tre o quattro passi quando
compare anche la madre dietro di lui. Essa, nel fare il primo
passo sul piano, poggia a terra la mano sinistra, senza
curvarsi molto. Cammina a stento e ‘dondolandosi’ ad ogni
passo.
“Serpens erat”, – pensai – cioè ‘camminava oscillando
di qua e di là’, ‘serpeggiando’. Allora ‘serpens’ non è un
ofide: è il participio presente del verbo ‘serpeo’”.
Barcolla, sembra stia per cadere perché si appoggia ancora
a terra con la mano altre due volte. Il Ragazzo è arrivato
all’angolo di sinistra ed entra, sempre con la Bimba in
braccio accostata al petto.
Suppongo che dal di dentro egli abbia chiamato Eva,
perché la vedo alzare le braccia e agitare sopra il capo gli
avambracci in segno di gioia. Prende forza e si affretta ad
entrare.

Eva fu “LENZA” per il giovane Uomo

§ 178   “Ecco – pensai – l’ha chiamata lui”. Poi, con tono naturale
dissi:
– Per il latte. –
– SUO, DI LUI – dice la Voce.
– Per il latte... – e intendevo proseguire ‘e per l’assistenza’,
e comincio:
a) – e per l’a... – ma dovetti interrompermi perché la voce,
ripetendo sopra la mia mezza parola, vi aggiunse:
L’A-TTE DI MASCHIO. –
Senza prestarvi attenzione e senza ripetermi, continuai
imperterrito per completare la seconda parte della parola
‘assistenza’:
b) – asss’… – e non potei proseguire.
– SI CHIAMA SPERMA – concluse la Voce.
Contrariato per l’intromissione di parole che per me in
quel momento non avevano alcun senso, tentai di ripetere la
mia frase dall’inizio e di spiccare le sillabe, come soglio fare
nelle discussioni con i contestatori che non sanno ascoltare:
– Per il latte e per l’assist... –
Un solletico alla gola mi fece inghiottire un niente. Ripresi
fiato e volli riprendere con forza la parola ‘l’ assistenza’, ma
non mi riuscì di dire che:
c) – lllll’... – finché ebbi fiato. Mi interruppi senza poter
continuare.
Questa volta mi fu suggerito:
– TERMINA LA PAROLA DA DOVE L’HAI LASCIATA
INTERROTTA. –
Dissi con facilità: – ...enza. –
A questo punto, mentre guardavo Eva indecisa dinanzi
l’ingresso dell’abitazione del giovane Uomo, sentii come
l’eco della mia voce, subito dietro le spalle, ripetere prima:
– LLL’...ENZA, – poi un po’ più lontano – LL-ENZA,
– poi ancora – L-ENZA, – in tono più fievole, come se provenisse
dal di là della portiera donde ero uscito.
la Voce:
– L’HAI DETTO, PURTROPPO. –
Lì per lì non compresi il significato delle due ultime sillabe
che la Voce aveva ripetuto per tre volte premettendovi la
lunghissima ‘elle’ che io avevo pronunciato con fatica. Io ci
vedevo l’apostrofo dopo la ‘elle’ e non capivo cosa significasse
‘l’enza’.
Capivo però che si trattava di un significato allegorico.
Poi capii che quella lunghissima ‘elle’ andava unita a ‘enza’
e perciò formava il termine ‘LENZA’.

 ‘Lenza’ è il filo (cui si attacca l’amo) che
 il pescatore usa per prendere il pesce.
Ecco: quella femmina simildonna, Eva, fu ‘lenza’ per
Adamo che, preso all’amo, inciampò.
In quell’istante vidi scomparire Eva dentro l’ingresso.
Con quest’ultima immagine sparì definitivamente il quadro
visivo con la sua cornice e anche la luce rosea che riempiva
la mia cucina.

§ 179   Mi sentii solo, come nelle solite veglie notturne. I mobili
e le cose d’intorno, illuminati dalla solita lampadina da 60W,
mi parvero più poveri di prima.

“Questo è un messaggio – pensai. – Chi mi crederà? Non
è per me solo, ma per la Chiesa. Anzi, per l’umanità intera.
Riferirò”.
La visione era stata una lezione teologico-scientifica che
aveva dissipato tanti miei dubbi o problemi. Dovevo essere
contento come di una scoperta, e lo ero sinceramente.
Avevo ancora le mani sulla Bibbia, la sola cosa che avessi
continuato a vedere durante tutta la visione, e, guardandola,
mi dicevo:

“Mi ordinò di prendere in mano la Bibbia, non di leggerla.
Non ne ho letta neanche una parola, perché Lui me l’ha
fatta leggere tra le righe ed anche sulle righe che non vi
sono scritte, senza che avessi da affaticarmi la vista.
 ‘La Verità’ mi è venuta incontro e mi ha investito, dolcemente.
La Sapienza’ [cioè Dio] ha giocato con me. Mi ha giocato
più volte, mi ha trattato con confidenza e io sono stato tante
volte diffidente e contestatore ostinato. Egli mi conosceva.
Gli ho detto che non ero adatto a ricevere una rivelazione
di tanta importanza. Mi ha anche fatto diventare cieco per
qualche minuto. Perché ha scelto proprio me? Vermis sum
et non homo [Sono un niente, un verme, non un uomo importante].
E non ho neanche capito tutto. Chissà se mi ricorderò
tutto?!
Mi ha rimproverato: l’hai detto purtroppo. Cosa ho
detto di male?”.

La vera causa del peccato originale

§ 180   Capii che quelle Sue parole erano vere e profetiche. Il
purtroppo non si riferiva a me che avevo detto ‘per il
latte’, ma al fatto riguardante il latte di maschio o sperma,
ossia al desiderio di Adamo di usare il suo seme per farsi,
‘purtroppo’, una discendenza tutta sua con un progetto di
estrema ambizione e autosufficienza per svincolarsi dalla
sottomissione a Dio: la vera causa del peccato.
 E si riferiva
anche allo ‘stesso peccato’ commesso dai suoi discendenti
che lo ripeterono con le donne ibride per avere schiavi più
forti e più intelligenti (Genesi 6,1).


§ 181   “E quella finale breve, importante a cosa si riferiva?”.
Alcuni mesi dopo rividi la scena di cannibalismo che mi
inorridì: la vecchia che tagliava con i denti il cordone ombelicale
e poi che si mangiava la placenta.

Soltanto meditando riuscii a capire che il morso con cui
la vecchia madre brizzolata troncava il cordone ombelicale
della Neonata segnava la separazione stabilita dal Creatore
fra la specie degli ancestri e quella umana.

“L’Uomo doveva lasciare la madre e unirsi alla sua Donna
per dare vita, a suo tempo, ad una sola carne (Genesi 2,24),
cioè alla nuova e unica specie umana, quella pura dei ‘Figli
di Dio’ ”. Questo era l’unico ordine che all’inizio Dio diede
all’uomo.


Riposi la Bibbia al suo posto e andai a coricarmi, recitando
prima il Miserere e poi il Te Deum. Si! Perché, sebbene
non abbia mai posseduto né un’automobile, né una moto,
potevo dire di aver fatto il viaggio più lungo a ritroso nel
tempo e nello spazio e di aver risolto l’annoso ‘problema
delle origini’, con dei dati molto più esaurienti di quanto
avessi mai sperato.


Promesse del Signore a don Guido

§ 182  
 Volevo riassumerli prima di addormentarmi, perché temevo
di non ricordare molte sequenze, ma mi fu suggerito:
– RIPOSATI, OGGI È LA FESTA DELLA MADONNA. TI
AIUTERÒ A RICORDARE E A CAPIRE. –

E, continuando, pareva che ripetesse il passo biblico di
Isaia (55,10) dicendomi:
– LA MIA PAROLA NON RITORNA A ME SENZA AVER
OTTENUTO IL SUO EFFETTO. –
E poi le parole di Geremia (1,12):
– RICORDATI CHE ANCH’IO STO BEN ATTENTO
PERCHÉ SI REALIZZI TUTTO QUEL CHE DICO…
POICHÉ IO VIGILO SULLA MIA PAROLA PER
REALIZZARLA. –
Poi, mi parve di sentire ancora la stessa esortazione:
– RIPOSATI. OGGI È LA FESTA DI MARIA. –

Mentalmente aggiunsi:
Maria, madre naturale di Gesù e madre, secondo lo spirito,
di tutti i redenti(§8). Oh! Che bello! Non è venuta qui
sola, ha condotto con Sé anche la prima vera donna, la
madre naturale dei figli di Dio(§ 8), finora sconosciuta ed
equivocata con Eva”.

Eva: ‘albero della conoscenza
del bene e del male’

§ 183   Nel passare dei giorni meditavo sulle cose viste e udite e
scrivevo degli appunti. Nei momenti più impensati mi ritornava
in mente or l’uno or l’altro episodio.
La prima cosa riguardava quella ‘bestia-ponte’ che finalmente
avevo collegato a quella femmina già vista nel ‘sogno
profetico’ del ‘peccato originale’: quell’episodio mi
era ritornato limpido alla memoria, sebbene avessi sempre
cercato di dimenticarlo perché lo avevo creduto frutto di
autosuggestione.
Avevo compreso l’identità di Eva e avevo visto che apparteneva
all’‘albero selvatico’, alla specie degli ancestri. Ora
mi appariva chiaro il suo ruolo.

Lo riassumo:
– Come ‘strumento’ di creazione, Eva è stata due volte
capo di ponte, cioè fecondata ad opera di Dio. In entrambi
i casi nessun gene ancestrale passò ai Figli di Dio perché:
a) per creare il primo Uomo, Dio creò in lei sia l’ovulo della
nuova specie umana, sia lo spermatozoo che lo fecondò;
b) per creare la Donna, Dio creò in lei solo l’ovulo della
specie umana poiché allo spermatozoo provvide il giovane
Padre, Adamo, nel sonno.

– Allo stesso tempo Eva fu ‘per Adamo’ anche l’albero
(§133) della ‘conoscenza’, del Bene e del male:

1) fu ‘albero genealogico selvatico della conoscenza, in
senso biblico, del Bene o in Bene’ quando fu strumento del
Creatore per dar vita alla Donna.

2) Ma Eva fu anche ‘albero della conoscenza del male
o in male’ quando, “non per volontà di Dio ma per volontà
del Capostipite dell’umanità” (Romani 5,20), contribuì realmente
al concepimento di Caino attraverso il suo ovulo
ancestrale, con i suoi cromosomi e geni, secondo le leggi
naturali della genetica, “sottomettendo (la specie umana)
alla corruzione”.
In questo caso, perciò, Eva fu veramente ‘madre’ di Caino,
cioè ponte fra le due specie pure, a differenza di quando
fu solamente capo di ponte per i ‘Figli di Dio’. Ponte
fatale!

In quest’ultima circostanza Eva fu anche ‘lenza’ per
Adamo perché lo prese all’amo quando il giovane Uomo
volle fare, cioè ‘pretese’ di poter fare, ‘come Dio’. Eris sicut
deus..[“… et eritis sicut dii ..”], in senso negativo. Egli si era illuso di generare una
creatura umana perfetta da quella femmina, o ‘albero genealogico
selvatico’, che aveva prodotto già due bei frutti, prima
lui e poi la Bambina, ed era ‘bello da vedersi’, rispetto
alle altre femmine ancestri, e ‘desiderabile per arrivare alla
conoscenza’, ossia al rapporto generativo (Genesi 3,6).

– Ecco spiegato perché Eva è in luce (§64). Eva ‘è la
chiave del mistero’ e, una volta individuata la sua vera identità,
risulta l’innocenza assoluta della vera Donna, Figlia e
legittima Moglie dell’Uomo, la quale, quando fu commesso
il ‘peccato originale’, aveva un anno di età o forse due,
come dirò nelle pagine che seguono.

                         ***

Prime reazioni al racconto

§ 184

1) La mattina seguente alla visione, alla prima Messa,
supponendo che i fedeli avessero sentito il tuono e il terremoto
nel cuore della notte, annunciai dal pulpito:
– Questa notte ho avuto una visione misteriosa. Una luce
intensa ha riempito la stanza dove studio e una Voce di uomo
disse io sono (§13). Poi due Voci femminili dissero: non
temere, siamo qui anche noi, le due madri dei figli di Dio (§8), ecc…
 – e conclusi: – Abbiamo in cielo una Santa sconosciuta:
la prima Donna. Non è Eva, ma una vera Donna.
È difficile spiegare l’equivoco, ma basta che sappiate che
responsabile del ‘peccato originale’ fu solo Adamo, come
dice per l’appunto la Lettera ai Romani di S. Paolo che
ripete per ben quattro volte di fila: “come per il ‘peccato
di uno solo’, Adamo, il peccato entrò nel mondo, così ‘per
opera di uno solo’, Gesù, riacquistammo il titolo di ‘figli
di Dio’ non più legittimi però, ma ‘adottivi’ in Gesù”. La
prima Donna è assolutamente innocente, aveva al momento
del ‘peccato originale’ l’età di un anno o poco più. –
Non era il caso di dare maggiori spiegazioni in pubblico.

(Nota della curatrice) Queste parole di don Guido furono recepite dall’assemblea
in modo assolutamente negativo. Fra i presenti vi fu un vero
e proprio sconcerto e da quel momento don Guido fu ritenuto esaurito o
quantomeno strano, tanto che in seguito fu trattato con ironia da molti del
paese.
L’accaduto fu riferito al Vescovo Gioacchino Muccin ancor prima che
don Guido avesse avuto il tempo di stendere la sua relazione. Il risultato fu
che il suo Superiore gli proibì formalmente di parlare ancora in pubblico di
tutto ciò che riguardava l’argomento.
Con la stessa tempestività l’accaduto fu riferito anche ai suoi confratelli
i quali da quel momento assunsero anch’essi nei suoi confronti un atteggiamento
di palese sufficienza.


§ 185

2) La seconda volta che parlai in pubblico, ma senza accennare
alla visione in obbedienza all’invito del Vescovo,
esponendo il realismo che si nasconde dietro le pagine difficili
della Genesi Biblica, e in particolare nei riguardi del
‘peccato originale’, fu ad una tavola rotonda presieduta da
Padre Pont (S. J.), predicatore degli Esercizi Spirituali che
si tennero a Possagno il 28 Settembre del 1972, un mese e
mezzo dopo la visione.

Quando il predicatore annunciò l’argomento del ‘peccato
originale’, che diceva di voler trattare “prescindendo dall’evoluzione
e dalla selezione”, chiesi la parola.
Ero arrivato a spiegare come il Creatore, intervenendo a
livello di microbiologia genetica, creò nel seno di una femmina
antropoide, eccezionale ed unica perché più simile fisicamente
ad una donna di quanto non lo fossero le altre
femmine della sua specie, una cellula germinativa umana,
cioè formata da spermatozoo più ovulo.
Da questa cellula nacque il primo Uomo. E come, appena
il primo Uomo fosse arrivato all’età di poter generare,
il Creatore lo avesse fatto cadere in un profondo sonno
perché non si accorgesse di ciò che sarebbe accaduto,
cioè il rapporto che sarebbe intervenuto con quella stessa
femmina già preparata eccezionalmente per la seconda
volta dal Creatore con un ovulo umano ad essere fecondata
dal primo Uomo. Il rapporto avvenne e ne nacque la
vera prima Donna. Dopo di che, Dio cessò di intervenire
con la Sua opera creatrice-mediata, chiamata così perché
Dio si era servito ‘come mezzo’ o supporto di una femmina
della specie più prossima a quella umana, come aveva
fatto fino a quel punto, avendo raggiunto il vertice della
Creazione...

Padre Pont mi interruppe:
– Che libri ha letto? –
– Tanti – risposi –.
– In quale libro ha letto queste cose? –
– In nessuno – risposi.
– E come si permette di interpretare così la Sacra
Scrittura? –
– Ho cercato di rappresentarmi le cose in modo umano
– dissi, per non rivelare pubblicamente d’aver avuto una
rivelazione. Capivo che non era né il momento né il luogo
adatto per entrare in discussione. Mi bastava suscitare il
problema.

Non mi lasciò continuare e mi tolse la parola.
Un giovane confratello che mi sedeva accanto mi chiese
se avessi avuto una rivelazione.
– Non voglio dirlo – dissi.
– Perché? –
– Perché i preti sono feroci contro queste cose e voglio
stare al riparo dai loro strali. –
Altri confratelli mi si erano avvicinati, mentre Padre Pont
continuava a parlare. Ma intanto il ghiaccio era rotto.

Il dì seguente, il secondo degli esercizi, fu cantato il ‘Te
Deum’ dinanzi al Santissimo esposto. Ero commosso!

§ 186
3) Una breve relazione al mio Vescovo, scritta dopo alcuni
mesi, e una seconda di lì a poca distanza, rimasero lettera
morta per un anno. In esse non accennai ad Eva vista due
anni prima nella rivelazione de ‘Il peccato originale’, per il
disagio di dover parlare di quel corpo nudo.
Quando, recatomi in vescovado, chiesi al Vescovo se
l’avesse letta, mi rispose:
– È la terza volta che ho prova della sua fervida fantasia.
Idee peregrine, proprio peregrine – disse ridendo.

§ 187
4) Reazioni negative, anche violente, ebbi dai confratelli
quando raccontavo loro qualche episodio della visione.
Preferivano stare al sicuro sull’interpretazione tradizionale
della Bibbia e mi ricordavano che “La Rivelazione è chiusa
con l’ultimo degli Apostoli”.

Ma io soggiungevo che “Verbum Dei non est alligatum”,
la Parola di Dio non può essere imprigionata entro
schemi umani o, meglio, entro volontà umane (2 Tm 2,9).
L’anatema dell’ultimo versetto dell’Apocalisse riguarda solamente
il Libro dell’Apocalisse, per chi avesse manomesso
‘quel Libro’. Non dice che Dio avrebbe cessato di parlare
agli uomini quando Egli avesse ritenuto che questo fosse
utile ad alimentare la fede.

§ 188
5) Parecchio tempo dopo, quando mi convinsi che la
strada gerarchica era chiusa, spedii una relazione, molto
breve, al Patriarca di Venezia Albino Luciani, già mio condiscepolo.
Mi rispose dicendomi che non si può far uso delle rivelazioni
private che tocchino il contenuto della Bibbia se prima
la Santa Sede non ne abbia riconosciuta l’autenticità, cioè
l’origine soprannaturale e l’assenza di errore.
Penso che nella sua delicatezza non volesse pronunciarsi
in modo più esplicito per non invadere il campo d’autonomia
del mio diretto Superiore. Tuttavia, memore evidentemente
delle predizioni fatte ad entrambi ancora seminaristi
da Padre Matteo Crawley nel lontano 1928 con cui questi
preannunciò a lui che sarebbe salito ai più alti gradi della
scala ecclesiastica e a me che da anziano avrei avuto dal
Signore una rivelazione sui punti oscuri della Bibbia, cominciò
a dire pubblicamente che “Dio è Padre e Madre per
l’Uomo”, come io gli avevo spiegato 47. Segno evidente che
mi aveva creduto.

47  La frase, già scritta in un versetto di Isaia, qui non si limita ad un significato spirituale,
ma acquista un significato totale che comprende anche il corpo e l’anima del primo Uomo
avendo Dio creato direttamente i gameti che ne hanno dato origine.

§ 189
6) Un giorno venne a trovarmi il mio confessore. Dopo il
solito favore reciproco, lo fermai in canonica e gli raccontai
di quella femmina nuda nel branco degli ancestri e del
ricordo che mi seguiva.
– Immorale! – esclamò. E se ne andò senza salutarmi.
Quella sera ero conturbato per averlo scandalizzato. Prima
di addormentarmi mi lamentai:
– Signore, è mai possibile che venga da Voi una cosa immorale?


§ 190

E il Signore mi rispose con un altro ‘sogno profetico’ che
aveva solo la funzione di confermarmi quello del ‘peccato
originale’ che avevo avuto nel 1970 e di collegarlo con la
visione che ho testè narrato.
In quel ‘sogno’ rividi la femmina nuda al centro del crocchio
delle sorelle nere e pelose. Non la vedevo più di color
giallastro, ma proprio bianca. La vidi uscire dalla compagnia
schierata e udii nuovamente la Voce che diceva:
– È IN LUCE. –
Quest’espressione l’avevo capita solo pochi giorni prima
quando in un programma televisivo fu usata per sottolineare
che quella certa persona ‘era degna di particolare attenzione’.
Per cui questa volta ne compresi il significato.
Rividi Eva distesa a terra, accudita dalla vecchia madre.
Credo sia ora opportuno esporre lo ‘status quaestionis’,
cioè le altre ‘rivelazioni’, i ‘sogni profetici’ e le ‘locuzioni’,
che ebbi prima e dopo la visione che ho testè raccontato.


Chies d’Alpago (Belluno):
don Guido nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe tenne l’omelia
sulla Genesi alla luce della nuova rivelazione.


Il SEGNO DI CAINO
PRIMA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago in data incerta fra il 1965 e il 1968





(Nota della curatrice)
È bene ricordare al lettore che questa locuzione è pervenuta almeno quattro anni prima della grande visione appena descritta [vedi Don Guido Bortoluzzi (7)] e che prima di questa rivelazione don Guido non aveva avuto alcuna rivelazione. Aveva solo intuito che la Donna era figlia di Adamo perché tratta
dalla sua ‘costa’, ma la identificava ancora con Eva.


Premessa




§ 191 Rileggendo nella Bibbia il racconto della ‘Torre di Babele’, giunsi al versetto 5-8 del Capitolo 11 della Genesi e mi soffermai alle parole:
“Il Signore discese e disse: – Confondiamo le loro lingue
in modo che non si intendano più –”.
– Macché! È un’eresia – esclamai. – “Deus intentator malorum est”, dice la lettera di S. Giacomo, Dio non può tentare nessuno al male (Gc. 1,13). La confusione è avvenuta molto tempo prima, sicuramente con il peccato originale. –


La prima locuzione interiore

§ 192 Rilessi la storia di Caino e mi fermai ad indovinare quale
fosse “il segno che il Signore gli aveva posto perché chi lo
avesse incontrato non lo uccidesse” (Genesi 4,15).


“Quel ‘segno’ – pensai, – deve essere sul davanti della
sua persona, per essere riconoscibile da chi lo incontra:


a) Un marchio sulla fronte? Sarebbe stata una crudeltà. Doveva
essere un segno a sua difesa, non a sua condanna.

b) Un orecchino? Non è in faccia.


c) Un anello al naso? O sul labbro inferiore? Impossibile.

d) Un segno sul mento? Nella bocca?”.

FERMATI LÌ – mi disse una Voce sommessa – NON SI
VEDE, SI SENTE.


Era la prima volta in assoluto che udivo la Voce del
Signore. Ne rimasi commosso.
“Allora è dentro la bocca” pensai.

e) – I canini sporgenti? -


È QUELLO DI CUI TI INTERESSI. -
Chiusi il Libro, vi appoggiai la fronte e stetti parecchi minuti a fantasticare. Domandai:
– Signore, che segno era quello? Doveva aprire la bocca,
mostrare la lingua?-
La stessa Voce mi suggerì in tono chiaro:
LA PAROLA. – Fui entusiasta della rivelazione ed esclamai:
– Grazie, Signore; questo potevate dirmelo solo Voi! –



'‘La parola’'


§ 193 Andavo ricapitolando: “L’uso cosciente della parola, o
la manifestazione del pensiero attraverso la parola, come
ebbe a dire Paolo VI, è privilegio esclusivo dell’Uomo fra
tutti gli esseri creati in quanto è stato fatto ad immagine di
Dio”.
Quindi il primo Uomo, creato perfetto ad immagine e somiglianza di Dio, parlava. In senso accomodativo si può dire che:
“In principio erat verbum”, in principio, all’inizio dell’umanità
esisteva la parola, il linguaggio.

Ma se ‘la parola’ era un requisito normale per l’Uomo,
come poteva essere un segno che contraddistingueva Caino
come uomo?
Conclusi che se l’umanità ai suoi esordi era ristretta a
quell’unica famiglia che necessariamente parlava e che se
Caino si faceva conoscere come uomo soltanto con l’uso
della ‘parola’ per non essere ucciso, era chiaro che Caino
nelle forme somatiche non si dimostrava un uomo ma un
ominide.


L’ipotesi dell’ibridazione della specie umana con quella subumana, espressa da alcuni studiosi già nel ‘700, era
dunque ben indovinata

(Nota 48: Don Guido sta pensando al francese George Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788). Fu il primo studioso di scienze naturali nell’intuire che se l’Uomo era stato creato perfetto, come dice
la Bibbia, e poi era decaduto allo stato bestiale, la causa andava ricercata in un problema di ibridazione genetica).

E di conseguenza se Caino, come dice la Bibbia in Genesi 4,15,
aveva timore di venir ucciso perché poteva essere
scambiato per un ominide, è chiaro pure che era cominciata
la caccia agli ominidi per sterminarli ed impedire che si
moltiplicassero e compromettessero ancora l’integrità della
specie umana mediante rapporti generativi irresponsabili.

A conferma di questa supposizione starebbe il “canto della
spada” di Lamek, quel Lamek discendente di Caino (Genesi
4,18-24) che non va confuso con il suo omonimo discendente di Set (Genesi 5,25-31).
Grazie a questo ‘segno’ Caino non fu ucciso. Sicuramente
non prima d’aver generato, poiché noi uomini odierni
siamo tutti discendenti di Caino.




IL PECCATO ORIGINALE
SECONDA RIVELAZIONE:
ricevuta nel 1970 a Farra d’Alpago e scritta dopo il 1974

(Nota della curatrice) / Questa rivelazione è strettamente
legata a quella precedente, ragione per cui don Guido ha voluto che i due capitoli fossero messi di seguito.

Va ricordato al lettore che, quando nel 1970 don Guido ebbe questa rivelazione, non aveva ancora avuto la grande visione del 1972 riportata nelle pagine precedenti. Aveva avuto solo la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ ricevuta sotto forma di locuzione interiore. Quindi, durante questa rivelazione, non conosce ancora la vera identità di Eva, motivo questo che giustifica le riflessioni precedenti il racconto di questa rivelazione, ma ha già assunto come una certezza la tesi dell’ibridazione della specie umana.
Partendo però da questa conclusione, si aprivano due possibilità: chi
aveva peccato con un ancestre, il primo Uomo o la prima Donna? La Bibbia diceva che “Eva aveva ascoltato il ‘serpente’ e che poi... ‘aveva mangiato’ e aveva dato da mangiare all’Uomo”.

Il verbo ‘mangiare’ aveva chiaramente un significato allegorico. Era una metafora per intendere ‘avere rapporti generativi’. Lo diceva già il commento del Sales (Genesi 4,1). Inoltre questa era una deduzione logica sapendo che la conseguenza del peccato originale
era stata la nascita di Caino, un ibrido. Tutto ciò, però, non era ancora sufficiente per la comprensione del testo biblico.

Il problema quindi era insolubile e don Guido comprese che né lui, né
altri, avrebbe potuto risolverlo senza l’aiuto di Dio. Perciò, quando si arrese di fronte ai suoi limiti, il Signore lo considerò pronto a ricevere la rivelazione del ‘peccato originale’ che gli svelò sotto forma di ‘sogno profetico’.
Data la scabrosità del contenuto, il ‘sogno profetico’ fu scelto
dal Signore come il modo migliore affinché il messaggio arrivasse
a don Guido, volente o non, almeno nel subconscio.
È la stessa dinamica della rivelazione della morte di Abele e di alcune
altre rivelazioni avvenute prima e dopo la grande visione.

Poiché don Guido aveva un carattere forte e deciso e quand’era contrariato opponeva tutte le sue forze per resistere a un’idea che non approvava, il Signore lo mise in condizione di accogliere come conoscenza ciò che probabilmente ad occhi aperti avrebbe rifiutato.
Il fatto che avesse avuto questa rivelazione ‘in sogno’, gli creò non pochi problemi di credibilità. In quest’epoca così materialista, le esperienze che non possono essere scientificamente dimostrate e ripetute trovano poco credito!
Perfino egli stesso fu indotto in un primo tempo, a causa della scabrosità del contenuto, a respingerlo come fonte di conoscenza, cercando con la volontà di dimenticarlo. Solo dopo la grande visione del 1972 e dopo aver compreso i collegamenti con quella, essendosi tranquillizzato che pur questo era un messaggio autentico del Signore, si accinse a trascriverlo dando ad esso l’importanza che ha un ‘sogno profetico’.

Perciò, prima di proseguire, è utile spendere qualche parola per spiegare al lettore che cosa s’intende quando si parla di ‘sogni profetici’.

I ‘sogni profetici’

Questi sono una delle tante modalità scelte dal Signore, come le locuzioni, le visioni, le estasi, le apparizioni, ecc., per far conoscere il Suo Pensiero o la Sua Volontà agli uomini.
Il termine oggi suona in modo strano perché si tende a confonderli con
i sogni onirici o sogni comuni che sono una proiezione inconscia dell’‘io’.
Ma don Guido, che ha sperimentato cosa sia un ‘sogno profetico’, sa che, a differenza dei normali sogni, la mente e le capacità razionali non vengono attenuate, ma addirittura potenziate! Egli infatti mantiene tutte le sue capacità di analisi e di sintesi, mentre il suo corpo rimane in totale inerzia, nel sonno appunto.
Il ‘sogno profetico’ ha per don Guido molte caratteristiche
simili alla visione, dove le capacità intellettive e la memoria restano integre, tant’è vero che le mette sullo stesso piano.
Nell’Antico Testamento, quando questo avveniva, nessuno se ne stupiva, e parlarne era cosa normale. Il soggetto infatti, al suo risveglio, non
aveva alcun dubbio che il sogno avesse un contenuto profetico autentico,
anche se talvolta in chiave allegorica da decodificare.


Ma, a differenza di S. Giuseppe, di don Bosco e di altri Santi, don Guido è meno docile perché tende a respingerne i contenuti. Se, come accadde, le scene che ha visto sono troppo violente per il suo animo sensibile, inconsciamente tende a cancellarle dalla sua mente.
Tuttavia alcuni ricordi si sistemano ugualmente nel suo inconscio, permettendogli più tardi di fare collegamenti, similitudini, deduzioni, ecc. fino a quando, confermato dal Signore, si decide a prenderne nota.

È comunque chiaro che don Guido, come egli stesso afferma nel suo
manoscritto, non fa alcuna distinzione fra visioni in stato di veglia o di
sonno, poiché entrambe sono esperienze soprannaturali che gli danno immagini della medesima intensità, nitidezza e consapevolezza. Si tratta, in entrambi i casi, di doni carismatici in cui le percezioni avvengono attraverso lo Spirito e sono altrettanto vive di quelle percepite in stato di veglia attraverso i sensi./

Premessa


§ 194 È la seconda rivelazione dopo quella de ‘Il segno di
Caino’, ma questa mi venne fatta ‘in sogno’.
Ho già detto come mi fu rivelato ‘Il segno di Caino’ mentre stavo studiando sul libro della Genesi le parole che lo riguardavano. Quel ‘segno’ era ‘la parola’, l’uso della favella, prerogativa esclusiva dell’Uomo, perché solo all’Uomo
fu dato un cervello perfetto, molto più perfetto di qualunque
altro animale, un apparecchio computer ricetrasmittente.

Quella prima rivelazione rafforzò il concetto che mi ero
formato sul problema della confusione delle lingue come
effetto della confusione o ibridazione fra la specie umana
e quella degli ominidi-ancestri. L’uso della favella era dunque un’eccezione per Caino che doveva assomigliare in tutto ad un ominide-ancestre.
Nel testo di ‘Storia Sacra’ scritto da don Bosco avevo
appreso che Caino, diventato vecchio, era tanto ‘peloso’ e
brutto ‘da essere scambiato per una bestia’.
Ma mi chiedevo se fosse già vecchio quando uccise Abele
e se fosse brutto fin dalla nascita, donde l’invidia verso il
fratello come Esaù verso Giacobbe.

Caino dunque doveva essere frutto del peccato originale
commesso dal primo Uomo, peccato ripetuto dai discendenti
puri di Adamo, i ‘Figli di Dio’, “quando videro che tra le ‘figlie degli uomini’ (le discendenti ibride di Caino) ce n’erano
di belle (non pelose) e le presero in sposa” (Genesi 6,1-2).
Studiai di nuovo il terzo capitolo della Genesi e considerai il versetto 6: “Vidit quod bonum esset lignum ad vescendum... aspectuque delectabile”, cioè “Adamo vide che
l’albero genealogico era buono e, nell’ebraico si legge, desiderabile per avere conoscenza”.
Quel ‘conoscenza’ è un eufemismo: indica, come si sa,
rapporto generativo’. Qui sta il nodo del mistero: individuare
l’albero genealogico che, conosciuto, avrebbe portato alla rovina.


La rovina del genere umano non poteva venire per via di
generazione dall’Albero genealogico della Vita umana,
perché il Creatore, che fece bene tutte le cose, fece benissimo
il Campione dell’umanità e altrettanto bene la sua legittima
Sposa, la Donna. Dunque, la rovina non avrebbe potuto venire dalla Donna, perché anch’essa apparteneva all’Albero della Vita,
giacché fu “tratta dalla costa”, cioè dal seme, di Adamo
e un rapporto generativo fra Lei e l’Uomo non solo
non era proibito, ma comandato.


L’incesto nella prima e seconda generazione, nella monogenesi della specie umana come per qualsiasi altra specie,
era d’obbligo per necessità di natura per la trasmissione dei
caratteri integri della nuova specie e per l’unità stessa della
specie. Non c’erano alternative.
Perciò l’albero genealogico a cui allude il versetto doveva
essere estraneo alla specie umana.
Questa è la verità che si nasconde dietro l’espressione metaforica del versetto 3,6 della Genesi.

In altre parole l’Uomo, quel primo Uomo e come lui ogni
suo discendente legittimo, doveva evitare ogni rapporto generativo al di fuori della sua specie, cioè con ‘l’albero genealogico’ da cui fu tratto: quello degli ancestri.

§ 195 Ed ecco i miei pensieri: [leggere con particolare attenzione]
– Dice la Genesi al versetto 15 del terzo capitolo: “Porrò
inimicizia fra te, serpente, e la Donna e fra il tuo seme e
quello di lei”. L’“inimicizia fra il ‘serpente’ e la Donna”, rispecchiata nella “inimicizia fra ‘il seme’ suo (del serpente)
e quello di lei (della Donna)”, si riferisce a Caino e Abele?
Ma se essi sono entrambi figli di Adamo (Genesi 4,1-2), allora essi avrebbero avuto come madre, il primo questo simbolico ‘serpente’ e l’altro la Donna.

– Che cos’era quel ‘serpente’ maledetto femmina, il cui
seme avvelena e porta alla morte?

– Il problema era ancora incentrato nei primi versetti del
terzo capitolo:
– Se le madri di Caino e Abele, come è detto al versetto
3,15, sono distinte e sono per Caino il ‘serpente’ e per Abele
la Donna, e se in entrambi i casi il padre è lo stesso Adamo,
allora al versetto 4,2 dove si dice che “Adamo conobbe
Eva, sua moglie; ella concepì e partorì Caino; e poi partorì
il fratello di lui Abele”, il verbo ‘partorì’ (="dare alla luce"),
qui espresso al femminile, andrebbe sostituito con ‘generò’
che indica per entrambi i casi la paternità di Adamo, al maschile.
Per lo stesso motivo il pronome femminile andrebbe sostituito con un pronome maschile che sottintenda Adamo,
così: “Adamo conobbe Eva, da essa egli generò Caino e poi
(Adamo) generò, dalla Donna, il fratello di lui Abele”.


– Certo è che tutti e due sono figli di Adamo, il primo
sicuramente della femmina denominata ‘il serpente’, l’altro
della Donna.
– E se la madre di Caino nei versetti precedenti era stata
denominata ‘il serpente’, era improprio chiamare quella femmina
‘moglie’ di Adamo.

Questi ed altri insistenti interrogativi mi venivano alla
mente ogni volta che mi dedicavo alla lettura della Genesi.
Ricordandomi d’avere a casa mia a Farra d’Alpago una
Bibbia del 1700 con molte note in calce, pensai che, vista
l’epoca in cui fu stampata così vicina a quella di George
Louis Leclerc conde de Buffon, ci fosse in essa qualche accenno alla sua teoria sull’ibridazione della specie.
Avevo sistemato la biblioteca nella mia camera. Presi
quella Bibbia del ‘700, scritta ancora con la lettera "f" al
posto della ‘s’, e vi studiai fino a mezzodì.
Tempo sprecato, delusione, amarezza. Per quanto mi arrovellassi il cervello in tante supposizioni, capivo che non
potevo riuscire a comprendere quel mistero tenuto nascosto
per tanti secoli ai profeti dell’Antico Testamento ed anche a
quelli del Nuovo.



§ 196 ! Ma sapevo che ci sarei riuscito, perché nel 1928 Padre
Matteo Crawley, al termine di una meditazione che tenne
a noi chierici, predisse al seminarista della I liceo classico
Albino Luciani che sarebbe salito ai più alti gradi della
Gerarchia Ecclesiastica, e predisse a me, alunno allora di I
teologia, che sedevo a 2 metri davanti a lui nel banco della
Cappella, che il Signore mi avrebbe rivelato i segreti della
Bibbia.
Mi predisse anche avversità, ma aggiunse che il Signore
mi avrebbe sostenuto e consolato con le Sue rivelazioni.


Ricordavo inoltre come, già nel 1922, anche don Giovanni
Calabria, da Verona, [Nota d. r.:1873+ 4.XII.1954; beatificato
dal Beato Giov.Paolo II il 17.4.1988] mi fece sapere
che ‘da anziano, avrei dovuto scrivere un libro importante
sulla Genesi Biblica’ e aveva insistito che lo scrivessi presto.


Erano però ormai trascorsi tanti anni e le tristi vicende
che si erano succedute nella mia vita mi insegnavano che
non ero più la persona adatta per ricevere una rivelazione.



§ 197 Chiusi la Bibbia a mezzodì e, dopo un pasto frugale, andai
a riposare nella camera attigua alla mia, sul letto che era
stato della mia povera mamma, morta alcuni mesi prima.

Adagiandomi ero arrivato a recitare le parole del Miserere
del Salmo 50 di Re Davide: “Et in peccatis concepit me mater mea”, nel peccato mi concepì mia madre.
A quel pensiero mi ribellavo e trovavo assurdo che un atto
d’amore benedetto da Dio potesse essere un peccato.
La frase dunque doveva avere un altro significato. Quale?
Aveva forse a che fare con il ‘peccato originale’? In che
cosa sarà consistito questo misterioso peccato?


E, meditando, mi soffermai sul versetto seguente:
“... Incerta et occulta Sapientiae tuae manifestasti
mihi”, Tu, o Dio, hai manifestato a me i misteri della Tua
Sapienza.
– Signore, non avete ancora manifestato alla Chiesa il
mistero del ‘peccato originale’! Se lo avete rivelato al Re
profeta, perché egli non lo ha detto? –
Mi addormentai e puntualmente ebbi un ‘sogno’.


Scene di vita quotidiana


Ecco il ‘sogno’.
§ 198 Mi trovavo in un cortiletto a poca distanza dal suo ingresso.


(Nota 49: Abbiamo visto che questo ‘sogno’ è stato ricevuto 2 anni
prima della grande visione già raccontata, ma le scene si riferiscono ad un episodio avvenuto un anno e mezzo o due dopo la nascita della Bambina.
Quindi Adamo, che nella rivelazione di prima aveva una quindicina d’anni, ora ne ha 16 o 17).

A destra avevo la facciata di un rustico, di fronte un terrapieno, alto circa 6 m e lungo 5 o 6, che scendeva verticalmente e si congiungeva ad un muretto che in forma semicircolare delimitava, alla mia sinistra, il cortile per gli altri
due lati. Questo spiazzo dominava la pianura sottostante
verso Sud e verso Ovest.
Davanti a me, poco più oltre e sempre vicino all’ingresso
del cortile, vedo un animale femmina a statura eretta, alto
quasi un metro, nero e peloso, di un pelo non fitto e liscio
come quello delle scimmie, ma più rado e arruffato come la
lanugine che l’uomo ha dall’adolescenza alla radice degli
arti superiori ed inferiori.
Tiene in braccio il suo piccolo, brachicefalo, privo di naso
e di mento, che con la sua mano si diverte a far oscillare
il grande orecchio destro orizzontale della madre che esce
sulla spalla e lo urta.
Alla sinistra di essa ci sono altre due femmine, pure in
piedi e vedo, di profilo, il loro muso glabro con l’angolo
facciale retto, senza mento e senza naso, con capelli che
scendono sulla nuca fino al collo e davanti fino agli occhi.
Sono un po’ più alte della prima e guardano verso il centro
del cortile. Le vedo dalle anche in su, così che posso osservare al di sopra delle loro teste, quello che esse vedono.




§ 199 Quattro cuccioli della stessa specie si muovono carponi
attorno ad una piccola Creatura umana, rosea e grassoccia,
che vedo di schiena, ridere contenta e stare in piedi.
Età: un anno e mezzo o due.
Vidi poco dopo che era una Bimba.
Mi sembrò che il maschietto più grande insegnasse agli
altri a girare intorno alla Bambina e, passandole davanti, a
fare la genuflessione doppia con inchino profondo.
Sopraggiunge dal lato opposto al mio un bel Giovane
completamente nudo, dalla pelle arrossata e lucida, imberbe, con capelli neri che gli scendono fino alle spalle.
Scavalca il muretto e, passando attraverso la scena, va
a sedersi sulla panca con le spalle appoggiate alla parete
della costruzione rustica. Sta a guardare la scena.
Il cucciolo più grande, nero e peloso, con gli orecchi
grandi, nudi, eretti fin sopra la testa, si muove con molta
disinvoltura. Fa una genuflessione doppia e inchino profondo davanti al Giovane e poi davanti alla piccola Creatura
umana, quindi si allontana verso il fondo del cortile con
agili capriole.
Un altro cucciolo, questa volta femmina, un po’ più piccolo ma con gli orecchi orizzontali, si sforza di ripetere i gesti
del primo, ma li fa in modo più impacciato.

La femmina ‘sui generis’ della specie preumana


§ 200 Vedo intervenire una femmina diversa, un esemplare eccezionale ed unico nel suo genere, non pelosa salvo alla
radice degli arti, di pelle non nera ma giallastra, non vista
prima perché era accovacciata presso l’angolo esterno del
cortile alla mia sinistra.
Non ha orecchi eretti come i maschi, né completamente orizzontali come le altre femmine. Sono sì di grandezza
sproporzionata, ma solo la parte superiore è piegata in fuori, orizzontalmente, di circa 4 cm e senza il bordo ripiegato
della cartilagine.
La sua bocca, quando è chiusa, non appare larga come
quella dei suoi simili ma, quando la apre, si vedono i quattro
canini un po’ più lunghi degli altri denti.
Ha gli avambracci lunghi, ma le mani sono meno rozze.
Ha gambe corte e tozze, ma non come gli altri esemplari
della sua specie. È brachicefala, con i capelli opachi castano
chiaro, lunghi dietro fino al collo e davanti fino agli occhi.
Ma sotto quella fronte bassa ci sono un paio di occhi umani e gote umane.
Mostra dai 25 ai 30 anni paragonata alla donna di oggi.
Essa interviene fra i piccoli ogni volta che uno di essi si
azzarda a toccare la Bambina. Avanza a salti. Non cammina
sulle gambe, ma, servendosi delle braccia come di grucce,
avanza portando innanzi il suo sedere ad ogni balzo.
Il più intraprendente è il maschietto più grande. Al sopraggiungere della femmina glabra, il più grandicello schizza
via svelto con delle capriole.

La Bambina è stata ‘concepita immacolata’

§ 201 Appena l’avevo vista la Voce mi suggerì delle parole che
non ricordo esattamente, ma il cui senso era che:
QUELLA FEMMINA SENZA PELO È LA MADRE DELLA BAMBINA, CONCEPITA IMMACOLATA PER L’INTERVENTO DIRETTO DEL CREATORE SULLA FORMAZIONE DEL GAMETE FEMMINILE E SULLA MODALITÀ
DELLA SUA FECONDAZIONE AD OPERA DELL’UOMO
‘IN SIMILITUDINE NATURAE’ – , cioè con un rapporto secondo natura, benché nel sonno, come dice la Bibbia.


La femmina bianca e senza pelo fa la genuflessione doppia e l’inchino profondo davanti al Giovane e costringe la
cuccioletta nera a ripetere la cerimonia. Poi ritorna all’angolo dal quale era venuta. Altri due cuccioli, ultimi arrivati,
si muovono sui quattro arti intorno alla piccola Creatura
umana.
Interviene di nuovo il cucciolo più grande che ripete la cerimonia, ma succede confusione. Forse ha toccato la Bimba
ai piedi, o questa vuol giocare coi più piccoli perché si curva
verso di loro. C’è un nuovo intervento della femmina senza
pelo che sopraggiunge dal suo angolo dove era tornata ad
accovacciarsi.
Ma questa volta la femmina si avvicina troppo al Giovane
e, dopo un nuovo atto d’adorazione con inchino profondo,
pare dapprima che gli voglia toccare un ginocchio: poi lo
tenta avvicinando la testa fra le ginocchia del giovane Uomo
seduto.
Ma egli la scaccia, ed essa questa volta si erge in piedi
e ritorna al suo posto ma, passando a fianco della Bimba
intenta a guardare i più piccoli e china su di loro, le dà uno
schiaffetto per scaricare su di lei l’umiliazione e procede.
La Bimba cammina piangendo verso il giovane Papà seduto e si ferma al suo fianco destro. Speravo che la prendesse in braccio, o che, almeno, l’accarezzasse. Invece egli sta
osservando la femmina bianca che si allontana.

La piana ai piedi del promontorio


Cambia la scena.


§ 202 Vidi quest’ultima scena da un livello superiore, non più
dal cortile dove prima il Giovane stava seduto sulla panca,
ma dal ballatoio di legno sovrastante la facciata alla quale
egli prima appoggiava la schiena.
Questo ballatoio non era sporgente dalla facciata ma
rientrante da essa e coperto dal tetto.
Di là potei vedere, verso Sud, una grande pianura che dal
piede dell’altura su cui mi trovavo si allungava fino a perdita d’occhio (3 o 4 km) nella foschia lontana, contenuta entro
due solchi divergenti per tutta la lunghezza.


All’inizio la larghezza della piana poteva essere di 50 m
circa, più lontano pareva fosse più larga.
Era tutta coperta di messi spontanee biondeggianti.
Il pane era assicurato e anche la biada per gli animali servitori.
Era un vasto campo di frumento, tracciato nella parte più
prossima da qualche solco per l’irrigazione anche lungo la
linea mediana.
Nella parte occidentale di questa pianura e vicino all’altura su cui mi trovavo, il campo era stato ridotto ad orto con
diverse specie d’ortaggi.
Oltre l’orto, fino alla distanza di 100 metri, vedevo una
fila di cinque o sei casette alte un metro e mezzo, sicuramente costruite dal giovane Uomo per quelle femmine con i
loro cuccioli, ed una più grande in mezzo all’orto, forse per
mettere a riparo gli attrezzi da lavoro.
Sul ballatoio compare il Giovane dall’estremità Sud. Lo
seguo fino al capo opposto di esso. Di là, una scaletta saliva
sopra il terrapieno. Sale e, girando a sinistra, percorre il terrazzo fino al suo termine (oltre l’ingresso dell’abitazione con
i preziosi che vidi nella grande visione). Lo percorro con lui
ed entro in una grotta che riceveva luce solo dall’entrata.
Il soffitto era composto di lastroni di pietra giallastra di
arenaria. L’abitacolo era stato evidentemente ricavato lungo una cengia e murato in tutta la sua lunghezza nella parte
esterna.
All’interno dell’abitacolo la parete di sinistra, volta a valle
e lungo la quale camminavo, era coperta da una malta di sabbia grigia, sopra uno sfondo nero non ben levigato che aveva
lo scopo di renderla impermeabile. Alla mia destra c’era un
giaciglio, alto 30-40 cm, addossato alla parete rocciosa.
Ora mi ritrovo nella parte più interna dell’abitacolo. Il Giovane vi si adagia con i piedi verso l’ingresso.
Lo osservo di scorcio da dietro la sua testa, al suo stesso
livello,vicinissimo.


La Bimba è innocente
riguardo al peccato originale


§ 203 Compare all’ingresso la Bambina nuda. Si ferma un poco.
Poi avanza coi passetti incerti dei pargoli di un anno e mezzo o due, forse per l’asperità del pavimento.
Mentre passava a fianco del giaciglio, m’aspettavo di vedere il giovane Papà farle una carezza, ma nulla. Ormai
avevo capito che il giovane Uomo era il Capostipite Adamo.
Non volevo guardare la Bimba perché era nuda, ma una
Voce mi disse:
– GUARDALA! È MOLTO BELLA. –
Era proprio molto bella. Un viso paffuto, con lineamenti
così delicati, armoniosi e ben proporzionati che mi fecero
sorridere. Anche le sue membra erano ben proporzionate e
grassocce. La pelle era lucida e rosea, ma di un roseo meno
intenso di quella del suo Papà.


La vedevo bene nonostante fosse in controluce. Pareva a
piedi scalzi, ma forse aveva una suoletta.
Passò lungo il fianco del giaciglio, superò il posto nel
quale mi trovavo e si diresse verso il fondo dell’abitacolo e
non la vidi più. Doveva avere, penso, il suo giaciglio dietro
a me.
– RICORDATI CHE È INNOCENTE! – mi venne detto
– RICORDALO! –
Non capii che queste parole si riferivano al fatto che stava
per accadere.

Quella femmina “PONTE”


§ 204 Vidi, invece, un’ombra comparire e sparire due, tre volte,
all’ingresso della grotta.
La terza volta la vidi completamente inquadrata nella luce
dell’ingresso. Non la vedevo bene in controluce, ma quegli
orecchi lunghi, dalle punte orizzontali mi fecero capire che
era la femmina glabra già vista nel cortile.

La Bambina non poteva essere salita lassù da sola; vi fu
portata certamente dalla madre, la quale si era fermata
fuori dell’ingresso per l’abitudine, perché evidentemente il
Giovane non la voleva nel cubicolo.
Le reiterate apparizioni della sua testa nel vano dell’ingresso dovettero corrispondere ad altrettanti segnali della sua voce, perché emetteva la lingua.
Certo ciangottava come una gatta in calore. Era la sua
stagione, prevista dal giovane Uomo.


Egli “diede ascolto a quella voce”, incoraggiandola, suppongo, la prima, la seconda, la terza volta che essa aveva
sporto la testa dallo stipite dell’ingresso. Poi lo vidi sollevare la testa dal guanciale e anche un po’ le spalle, poiché
giaceva supino, e la guardò per alcuni istanti.
Forse la invitava.
Fu allora che essa si decise ad entrare.


La solita Voce intervenne dicendo:
– PONTE. –
Rimasi pensieroso. Quale legame poteva esserci mai fra
quel che vedevo e un ponte? Rinunciai a capire e concentrai
nuovamente la mia attenzione sulla femmina che mi stava
davanti.

Il ‘peccato originale’

§ 205 La vedevo solo dalle anche in su, ma poi, dai movimenti che faceva, capivo che poggiava prima un ginocchio sul
giaciglio da un lato dei piedi del Ragazzo, poi l’altro ginocchio dall’altro lato.
Quindi, aiutandosi con le lunghe braccia come grucce, si
spinse innanzi sopra il corpo del Giovane, fino a presentare
i suoi seni sopra la faccia di lui come volesse offrirgli il proprio ‘frutto’, cioè il latte dei suoi seni.
Quando si chinò sopra di lui vidi il suo muso ad un palmo
sopra i miei occhi.
Quella testa schiacciata, quei capelli corti che le scendevano fin sugli occhi, quegli orecchi enormi e orizzontali, quella bocca dalle labbra aperte fino alla radice delle mascelle,
ma specialmente quegli occhi grossi, quasi fuori
dalle orbite, che mi fissavano, mi fecero inorridire.

In quel momento fui scosso di soprassalto dal fracasso
che pareva ripetere un suono simile a pecc... pecc... pecc...
prodotto dalla messa in moto di un grosso camion a tre assi
posteggiato a fianco della mia casa.
Istintivamente mi ritrassi e mi svegliai.
Anch’io giacevo supino ed avevo l’impressione che la femmina giallastra fosse sopra di me come se mi fosse venuta
addosso. Che orrore!
Contemporaneamente una Voce potente, assecondando lo
strepito del motore e dell’innesto della marcia, disse:
– PECCATO ORRRR... ENDO, ... ORRRR... IBILE, ...
ORRRR... IGINALE. –
Il tre assi partì con un suono metallico, come se il parafango
fosse urtato ripetutamente da un ferro. Mi alzai esclamando:

– Gesù mio, misericordia! E il Ragazzo si è innamorato di
una strega simile? –

§ 206 Non si era innamorato di quella femmina preumana. Si
era solo illuso di generare da essa una creatura bella come
la Bambina.
Vide (perché aveva osservato) che l’albero (selvatico) era
bello (rispetto alle altre femmine) e desiderabile per arrivare alla conoscenza (ossia al rapporto generativo) per avere
altri figli (Genesi 3,6).
Non vidi il Giovane mangiare cioè succhiare il frutto ossia il latte dell’albero, né lo vidi mangiare dell’albero. Era
intuitivo.

Pensai: “Inimicus homo superseminavit zizaniam”. Solo
un ribelle poteva seminare la zizzania sopra il campo del
Signore, la Vita Umana!


Riflettei: “Qui potest facere mundum de immundo concepto semine?”. E chi se non Dio può nuovamente rendere
mondo ciò che è stato concepito da un seme immondo?

Ripensando allo strepito (pecc... pecc... pecc...) di quel
motore che veniva messo in moto e alle tre parole udite
contemporaneamente a quel rumore, specialmente all’ultima con quell’‘erre’ prolungata della parola ORRRR...
IGINALE, sono indotto a credere che fosse già predisposta
la coincidenza della parola col fracasso onomatopeico che
ho già detto e che mi ha fatto sussultare inorridito.






§ 207 Avevo quasi dimenticato molti particolari di questo ‘sogno’, quando, due anni dopo la grande visione del 1972 e
quattro da questa rivelazione, ebbi un altro ‘sogno’, quello
de ‘La sera del giorno fatale della morte di Abele’ che narrerò più avanti.

Quel ‘sogno’ aveva un preciso riferimento a questo, riguardo alla Donna. Quando durante quella rivelazione dissi “vorrei vederla, perché non l’ho mai vista”.
– L’HAI VISTA – mi fu risposto e rividi la Bambina nel
cortile e nel cubicolo con il padre e udii nuovamente le parole:
– RICORDATI CHE È INNOCENTE! –
Il Signore voleva riportarmi con la memoria a questa rivelazione (del ‘peccato originale’), perché l’estraneità della
Donna a questo peccato è fondamentale per la comprensione
di tutta la Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento.

L’ibridazione della specie umana creata perfetta


§ 208 Se Adamo non si fosse illuso di generare da questa femmina preumana delle persone, cosa che non poteva accadere
senza l’intervento del Signore, passata la sua generazione il
problema non si sarebbe mai più ripresentato per l’incompatibilità genetica fra le due specie.

Se il Capostipite non avesse generato dalla femmina ancestre, essa non avrebbe portato con i suoi cromosomi lo squilibrio nella specie umana. Invece l’istinto bestiale entrato
nel patrimonio genetico dell’umanità, sarà il genio malefico
dell’animo umano.

Ecco dunque perché aveva così grande valore l’obbedienza a Dio: il Giovane non poteva conoscere le leggi della
genetica, e Dio non era tenuto a spiegargliele, ma solo a
dargli un ordine e fargli sapere che, se avesse trasgredito,
la sua specie, come specie pura, avrebbe trovato la morte...
l’estinzione. È quanto è accaduto.

§ 209 Per l’uomo perfetto era impossibile generare dagli ancestri comuni. I cromosomi, come i gancetti di una cernieralampo, possono combinarsi solo se sono appaiati o, al massimo, se da un lato ve n’è solo uno in più.
Quindi fra la specie umana e quella preumana non c’era
alcuna possibilità di ibridazione perché la differenza di due
cromosomi rendeva impossibile l’aggancio a tutta la cerniera. “... Puoi mangiare a volontà di tutti gli alberi del
giardino...”
(Nota 50:“Questa era un’ipotesi teorica
– spiegava don Guido – che non voleva intendere che ad
Adamo fosse concesso accoppiarsi alle altre femmine ancestri esclusa Eva. Sarebbe inverosimile una mostruosità simile! ‘Deus intentator malorum est’, Dio non può spingere alcuno
al male”.)


è una frase che nasconde una verità di ordine
genetico: i cromosomi ed i geni della cellula riproduttiva
umana non potevano attecchire con quelli della cellula riproduttiva delle altre femmine ancestri.
Potevano attecchire solo con quelli dell’‘albero della conoscenza del bene e del male’, cioè con quell’esemplare
unico ed eccezionale, il ‘capo di ponte’ che doveva restare
‘ponte a senso unico’ e che non doveva essere usato in senso
vietato, pena la rovina, la morte del genere umano come
specie pura.

Passato il pericolo relativo a questa femmina, le due specie avrebbero potuto coesistere serenamente.
Da qui il perentorio divieto di ‘mangiare’ il frutto di ‘quell’albero’.
Il Giovane disobbedì.

Si credeva un dio in Terra e volle fare come Dio, non
sapendo che, troncato il cordone ombelicale che univa la
Bambina alla madre preumana, “Deus cessavit ab omni
opere suo quod patrarat”, Dio aveva terminato il Suo programma d’intervento creativo diretto, essendo stato raggiunto il finalismo della creazione della specie umana.


Voler fare come Dio aveva fatto è stata l’infausta presunzione del primo Uomo che così creò un ‘ponte’ fra le due
specie, aprendo la via all’involuzione della specie umana
dalla quale tuttora non siamo completamente risorti.
Adamo non sapeva che i figli ereditano i caratteri non solo
del padre ma anche della madre in uguali proporzioni.
Credeva, come si è creduto fino a tempi relativamente recenti, che la femmina fosse solo il ‘locus aptus’, il luogo
adatto come il solco della terra per far germogliare il seme.
La sua ignoranza delle leggi della genetica non giustifica
il suo peccato di disubbidienza, di presunzione, di incesto
bestiale.


Caino, il frutto di questo rapporto vietato, come mi fu fatto
vedere nella terza, nella sesta e nella settima rivelazione,
sarà in tutto simile ai figli delle sorelle di Eva perché erediterà i caratteri fisici della specie degli ancestri dalla madre. Sarà nero, peloso e brachicefalo ecc…
Ma erediterà dal padre i caratteri psichici e intellettivi
nella misura in cui sarà capace. Da quel peccato, infatti,
ebbe origine l’ibridazione della specie umana con quella
subumana degli ancestri.

Essa avrebbe portato all’estinzione della specie umana
pura e al totale abbrutimento di quella ibrida se il Creatore,
“per opera del quale furono fatte tutte le cose”, non fosse
intervenuto ‘in extremis’ ad eliminare con il diluvio, cosiddetto universale, o con più diluvi, tutti gli individui irrecuperabili e non avesse guidato la rievoluzione di quei pochi
che erano meno contaminati dalle tare ancestrali.
Dunque solo in questo caso si può parlare di ‘rievoluzione
guidata’.


L’ipotesi o teoria sostenuta nel ‘700 da Leclerc era dunque esatta. Egli era credente e credeva alla Bibbia che dichiara l’Uomo fatto ‘molto bene’ da Dio e non allo stato di
bestia in via di evoluzione, e che l’umanità fu corrotta fin
dalla prima generazione a causa dell’ibridazione fra le due
specie mediante il ‘trait d’union’ o ‘capo di ponte’. Leclerc
ebbe una profonda intuizione o una rivelazione? Se avesse
detto di aver avuto una rivelazione sarebbe morto sul rogo!!
Io non fui messo al rogo, ma ho sperimentato quanto pesi
essere emarginato...!


§ 210 Avendo assistito al ‘peccato originale’ compresi il vero significato della ‘circoncisione’: la ‘costa’


(nota 51: Fino dall’adolescenza don Guido aveva intuito che l’espressione
allegorica della Genesi (la costa)
nascondeva un significato genetico, aiutato dalla fortuita identica espressione idiomatica del suo paese natio che chiamava ‘costa’ il membro maschile. Don Guido riteneva inutile fare esegesi biblica su un termine metaforico. Prima, diceva, bisogna comprendere il concetto che si nasconde dietro un eufemismo, poi si può tradurlo adeguatamente. Infatti aveva compreso che “se la Donna fu tratta dalla ‘costa’
di Adamo, Ella era sua Figlia”)

di Adamo peccò e la ‘costa’ di Abramo e figli fu circoncisa.


Compresi anche che il Battesimo è un perfezionamento
della circoncisione:

1) la ‘circoncisione’ è un atto di riparazione al ‘peccato
originale’: è un atto simbolico di sottomissione e di obbedienza a Dio in contrapposizione all’autosufficienza e alla
disobbedienza di Adamo;

2) il ‘Battesimo’ è un atto formale di adozione a ‘figlio
di Dio’, previa la sottomissione a Dio. Il diseredato viene
riammesso ai diritti dell’eredità.


La circoncisione non può essere considerata in modo riduttivo
come un atto di mera osservanza alla Legge, ma deve
essere il segno di una consapevole volontà di riscatto dalla
condizione di illegittimità di fronte a Dio. La Circoncisione
è l’espressione della volontà dell’uomo di stringere un’alleanza
personale con Dio alla quale Dio risponderà con l’adozione a figlio mediante il Battesimo.









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