mercoledì 25 luglio 2012

"Il peccato mortale è come una freccia a due punte che l’uomo ha fabbricato nella sua coscienza, consigliato da satana. ...il peccato veniale non deve essere preso alla leggera,




Il peccato


Il peccato è una trasgressione volontaria della legge di Dio.
Suppone sempre tre elementi essenziali:
  1. materia proibita (o almeno ritenuta tale)
  2. avvertenza da parte dell’intelletto
  3. consenso o accettazione da parte della volontà.
Se la materia è grave e l’avvertenza e il consenso perfetti, abbiamo il peccato mortale; se la materia è leggera o l’avvertenza e il consenso imperfetti, il peccato è veniale.

Il peccato mortale

Ad una donna, Consuelo, la Madonna dice: "Il peccato mortale è come una freccia a due punte che l’uomo ha fabbricato nella sua coscienza, consigliato da satana. L’uomo, quando commette un peccato che conduce alla morte, lancia con ribellione questa freccia contro il cuore di Dio. La cosa più sorprendente è che essa non raggiunge il cielo, perché da lì furono precipitati satana, autore del male, e la sua iniquità. La freccia avvelenata si conficca di nuovo nell’anima dell’uomo che ebbe l’ardimento di ribellarsi contro il Creatore e lo ferisce a morte."

Sono troppi gli uomini che vivono abitualmente in peccato mortale. Assorbiti quasi completamente dalle preoccupazioni della vita, occupati negli affari professionali, divorati da una sete insaziabile di piaceri e di divertimenti e immersi in una ignoranza religiosa che giunge spesso a livelli incredibili, non si pongono neppure il problema dell’al di là. Alcuni, soprattutto se hanno ricevuto nell’infanzia una certa educazione cristiana e conservano ancora un barlume di fede, sogliono reagire dinanzi alla morte imminente e ricevono con dubbie disposizioni gli ultimi sacramenti prima di comparire davanti a Dio; ma molti altri scendono nel sepolcro rattristati solo dal pensiero di dover abbandonare per sempre questo mondo, al quale avevano profondamente attaccato il cuore.
Queste anime sono sovrastate dal pericolo dell’eterna dannazione. Il peccato mortale abituale ha totalmente adombrato le loro anime.
Tuttavia, non tutti coloro che vivono abitualmente in peccato hanno contratto la medesima responsabilità davanti a Dio. 
Possiamo distinguere quattro specie di peccati rappresentanti altrettante categorie di peccatori:

  1. I peccati di ignoranza.Non ci riferiamo all’ignoranza totale e invincibile, che toglierebbe ogni responsabilità morale, ma a quella che è frutto di una educazione antireligiosa o indifferente e che si associa ad una intelligenza mediocre e ad un ambiente ostile e refrattario ad ogni influenza religiosa.
    Coloro che vivono in tali condizioni avvertono, di solito, una certa malizia nel peccato. Si rendono perfettamente conto che certe azioni ripetute di frequente non sono moralmente rette. Sentono, forse, ogni tanto, il pungolo del rimorso. Hanno quindi una sufficiente capacità per commettere liberamente un vero peccato mortale che li allontana dalla via della salvezza.
    Però è necessario riconoscere che la loro responsabilità è molto attenuata davanti a Dio.
    Se hanno conservato l’orrore per quello che pareva loro più ingiusto e peccaminoso, se il fondo del loro cuore si è sempre mantenuto retto in quello che è fondamentale e se hanno coltivato, sia pure in modo superficiale, qualche devozione alla Vergine, se si sono astenuti dall’attaccare la religione e i suoi ministri e, soprattutto, se nell’ora della morte innalzano il loro cuore a Dio pentiti e fiduciosi nella sua Misericordia, non v’è dubbio che saranno giudicati con benignità allorché si troveranno di fronte al tribunale divino.
    Se Cristo ha detto che molto sarà chiesto a chi molto fu dato (Luca 12,48), è lecito pensare che poco sarà chiesto a chi poco ha ricevuto.
    Costoro sogliono ritornare a Dio con relativa facilità quando se ne presenta l’occasione. Siccome la loro vita dissipata non proviene da vera malvagità, ma da una profonda ignoranza, tutto ciò che impressiona la loro anima, come la morte di un familiare, la predica di un missionario, un dissesto finanziario, di solito basta per riportarli sul retto cammino.
    Tuttavia non brilleranno mai né per fervore né per dottrina.
  1. I peccati di fragilitàSono molte le persone sufficientemente istruite in fatto di religione i cui disordini non si possono attribuire alla semplice ignoranza dei propri doveri. Ciononostante, non peccano per calcolata e fredda malvagità.
    Sono deboli, di scarsa energia di volontà, fortemente inclinate ai piaceri sensuali, irriflessive.
    Lamentano le loro cadute, ammirano i buoni, vorrebbero essere come loro, però poco si impegnano per divenirlo veramente.
    Queste disposizioni non le scusano dal peccato; anzi, sono più colpevoli di coloro che peccano per ignoranza, dal momento che vi si abbandonano con maggior cognizione di causa. Tuttavia, in fondo, sono più deboli che cattive.
  1. I peccati di indifferenzaLa terza categoria è costituita da coloro che peccano non per ignoranza o per fragilità, ma per meditata indifferenza.
    Peccano pur sapendo di peccare, non perché vogliano il male in quanto offesa di Dio, ma perché non sanno rinunciare ai propri piaceri e poco si curano se la loro condotta non è accetta agli occhi di Dio.
    Peccano con meditata indifferenza, senza rimorsi di coscienza e se anche questi sopraggiungono li mettono a tacere per continuare indisturbati sulla loro via.
    La loro conversione è molto difficile, data la loro continua infedeltà alle mozioni della grazia, la consapevole noncuranza dei principi morali e il disprezzo sistematico dei buoni consigli che possono ricevere da coloro che hanno a cuore il loro bene.
  1. I peccati di ostinazione e di malizia.C’è infine una quarta categoria di peccatori, la peggiore di tutte. Sono coloro che si danno al male per raffinata malizia e satanica ostinazione.
    Il loro peccato più abituale è la bestemmia, intesa come espressione di odio verso Dio. All’inizio furono forse buoni cristiani, però scivolarono a poco a poco; le passioni, sempre più accontentate, acquistarono proporzioni gigantesche, e arrivò il momento in cui si considerarono definitivamente perduti.
    Frutto della disperazione, la defezione e l’apostasia. Infrante le ultime barriere che li trattenevano sull’orlo del precipizio, si abbandonarono, per una specie di vendetta contro Dio e contro la propria coscienza, ad ogni sorta di delitti e di disordini.
    Attaccano fieramente la religione, combattono la Chiesa, odiano i buoni, fanno parte delle sette anticattoliche e, perseguitati dai rimorsi della loro coscienza, si immergono sempre più nel male.
    Si hanno allora i casi di persone che dicono: "Io non credo all’esistenza dell’inferno; però, se esiste e io vi andrò, almeno avrò il piacere di non dover curvarmi mai davanti a Dio", oppure "Se nell’ora della morte chiedessi un sacerdote per confessarmi, non chiamatelo perché starò delirando".
    Solo un miracolo della grazia può convertire uno di questi infelici. La persuasione e il consiglio riescono inutili; anzi, potrebbero avere un effetto contrario. Non rimane che la via soprannaturale: l’orazione, il digiuno, le lacrime, l’incessante ricorso alla Vergine Maria, avvocata e rifugio dei peccatori.
Il peccato veniale

Sempre a Consuelo, Maria SS.ma dice: "Il peccato veniale è una disobbedienza lieve contro la legge di Dio, nella quale prende parte la volontà dell’uomo. Questo peccato non provoca nell’anima le stragi del peccato mortale; tuttavia, sebbene non abbia quegli effetti terribili e nocivi perché manca di materia grave, non deve essere preso alla leggera, dato che il peccato veniale predispone e lascia aperta la porta al peccato che conduce alla morte, dopo il quale si perde la grazia santificante e l’amicizia con Dio.

Dopo il peccato mortale non c’è nulla che debba essere evitato con maggior cura che il peccato veniale.
Benché molto meno disastroso del peccato mortale, esso si trova ancora sul piano del male morale, che è il maggiore di tutti i mali. 
A differenza, però, del mortale, il peccato veniale rappresenta una semplice deviazione, non una totale opposizione a Dio; è una malattia, non la morte dell’anima. Chi commette un peccato veniale devia solo dal retto sentiero, senza perdere l’orientamento fondamentale alla meta.
Si considerano tre specie di peccati veniali:
  1. Ex genere suo: sono quelle mancanze che per loro stessa natura implicano solo un leggero disordine o una leggera deviazione (per es.: una bugia che non reca pregiudizio a nessuno)
  2. Ex parvitate materiae: sono quelle mancanze che, di per se gravemente proibite, per l’esiguità della materia implicano solo un leggero disordine (per es.: il furto di una piccola somma di denaro)
  3. Ex imperfetione actus: sono quelle mancanze che difettano del pieno consenso o della piena avvertenza in materia per sé grave (per es.: i pensieri impuri semideliberati o semiavvertiti)
I peccati veniali non mutano di specie anche se vengono ripetuti con frequenza. Mille peccati veniali non faranno mai un peccato mortale. Tuttavia un peccato veniale potrebbe diventare mortale:
  • per la coscienza erronea o anche seriamente dubbiosa riguardo alla malizia grave di un’azione che tuttavia si esegue;
  • per il suo fine gravemente cattivo (per es.: colui che ingiuria leggermente il prossimo allo scopo di fargli pronunciare una bestemmia);
  • per il pericolo prossimo di cadere in peccato mortale;
  • per lo scandalo grave cui potrebbe dare occasione (per es.: una persona stimata per il suo stile di vita altamente religioso che per semplice curiosità entrasse in una sala da ballo malfamata);
  • per l’accumularsi della materia di molti peccati veniali (per es.: colui che commette a ripetizione piccoli furti sino a giungere alla materia grave).
Un abisso separa il peccato veniale dal mortale. Tuttavia, il peccato veniale costituisce una vera offesa a Dio, una disobbedienza alle sue leggi e una ingratitudine ai suoi benefici. Da una parte, ci si propone la volontà di Dio e la sua gloria, dall’altra, i nostri gusti e le nostre soddisfazioni; e volontariamente preferiamo questi ultimi.
E’ certo che non li preferiremmo se sapessimo che ci allontano radicalmente da Dio (e in questo si distingue il peccato veniale dal mortale), però non c’è dubbio che la mancanza di rispetto e di delicatezza verso Dio è di per sé grandissima anche nel peccato veniale.
E’ tanto grave la malizia di un peccato veniale per l’offesa che arreca a Dio, che non lo si dovrebbe commettere, anche se con esso fosse possibile liberare tutte le anime del purgatorio o estinguere per sempre le fiamme dell’inferno.
Tuttavia, occorre distinguere tra i peccati veniali di pura fragilità e quelli che si commettono con piena avvertenza.
I primi non li potremo mai evitare del tutto e Dio, che conosce le nostre debolezze, facilmente ce li perdonerà. L’unica cosa che conviene fare è cercare di diminuirne il numero ed evitare lo scoraggiamento che suppone sempre un senso di amor proprio più o meno dissimulato.
Reagendo prontamente, con un pentimento vivo ma pieno di mansuetudine, di umiltà e di fiducia nella misericordia del Signore, queste mancanza di fragilità lasciano appena una traccia nell’anima e non costituiscono un serio ostacolo per la nostra santificazione.

Quando, invece, i peccati veniali sono frutto di una piena avvertenza e di un deliberato consenso, rappresentano un grave impedimento al perfezionamento dell’anima.
E’ impossibile progredire nella via della santità: tali peccati contristano lo Spirito Santo, come dice S.Paolo, e paralizzano completamente la sua azione santificatrice nell’anima.

Il peccato veniale deliberato produce effetti un questa e nell’altra vita:
  1. in questa vita:

  • ci priva di molte grazie attuali che lo Spirito Santo aveva condizionate alla nostra fedeltà. Questa privazione determinerà alcune volte la caduta in una tentazione; altre volte, l’assenza di un vero progresso nella vita spirituale; sempre, una diminuzione del grado di gloria eterna.
  • diminuisce il fervore della carità e la generosità nel servizio di Dio
    Generosità e fervore che suppongono un sincero desiderio di perfezione e uno sforzo costante verso di essa, incompatibili con il peccato veniale deliberato, che rappresenta una rinuncia all’ideale di santità e un arresto volontario nella lotta intesa a conseguirla.
  • aumenta le difficoltà per l’esercizio delle virtù. 
    Privati di molte grazie attuali di cui avremmo bisogno per mantenerci sulla via del bene e diminuito il fervore e la generosità nel servizio di Dio, l’anima a poco a poco si debilita e perde sempre più energie.
  • predispone al peccato mortale.
    Rare volte si registra la caduta improvvisa di un’anima ricca di vita soprannaturale, per quanto violento sia l’attacco dei suoi nemici.
    Le cadute che debilitano l’anima quasi sempre sono state preparate lentamente. L’anima ha ceduto sempre più terreno al nemico, ha diminuito sempre più il vigore con le sue imprudenze volontarie in cose che giudicava di poca importanza; si sono affievolite le luci e le ispirazioni divine, si sono smantellate le difese che la presidiavano fino al giungere del momento in cui il nemico, con un assalto più vigoroso, se ne impadronisce.

  1. nell’altra vita:

  • nel purgatorio
    L’unica ragione d’essere delle pene del purgatorio è il castigo e la purificazione dell’anima. Ogni peccato, oltre la colpa, comporta un reato di pena che occorre soddisfare in questa vita o nell’altra. Tutto si paga. Dio non può rinunciare alla sua giustizia e l’anima dovrà pagare fino all’ultimo. Le pene che dovrà soffrire nel purgatorio per le mancanze che adesso commette con tanta disinvoltura definendole bagattelle o scrupoli, sorpassano ogni altra pena di questo mondo.
  • nel cielo
    Gli aumenti di grazia santificante di cui l’anima rimase priva in questa vita per la sottrazione di tante grazie attuali in pena dei suoi peccati veniali, avranno una ripercussione eterna.
    L’anima avrà in paradiso una gloria minore di quella che avrebbe potuto conseguire con una maggiore fedeltà alla grazia. Il grado di felicità propria e di gloria divina sono commensurati al grado di grazia conseguito in questa vita.
Per combattere il peccato veniale, anzitutto, è necessario concepirne un grande orrore, senza di cui non faremo nessun vero progresso nella perfezione. A tal fine, ci sarà di grande aiuto la considerazione delle ragioni che abbiamo esposte sulla malizia e le conseguenze del peccato. Dobbiamo lottare contro il peccato veniale con insistenza, senza mai darci pace con il pretesto di riprendere fiato. In realtà, a riprendere fiato, in queste soste, è solo il peccato.
Occorre essere fedeli nell’esame di coscienza generale e particolare, incrementare lo spirito di sacrificio e di orazione, conservare il raccoglimento interno ed esterno nella misura in cui lo permettono gli obblighi del proprio stato, essere disposti a sostenere tutto pur di non commettere un solo peccato veniale deliberato. Quando saremo giunti a radicare nella nostra anima questa disposizione in modo permanente e abituale, quando saremo in grado di praticare qualsiasi sacrificio pur di evitare un peccato veniale volontario, anche lievissimo, saremo giunti vicino al traguardo finale.
Non è un’impresa facile, tuttavia, mediante un lavoro costante e l’umile orazione, è possibile avvicinarci a questo ideale e conseguirlo nella misura in cui vi riuscirono i santi.


Le imperfezioni

Così dice Maria SS.ma a Consuelo: "Le debolezze proprie del carattere sono congenite; nascono cioè con la persona. Il carattere può essere modificato, anche se per farlo occorre sforzo, pazienza e grande costanza. Le mancanze proprie della natura umana sono spesso un mezzo molto efficace per esercitare la virtù dell’umiltà.
Paolo, l’apostolo delle genti, era un uomo di grandi impeti, incline all’ira e poco mansueto. La sua presenza provocava alterchi negli uomini.....Paolo si era tracciato un cammino per somigliare a Cristo e lottò sempre contro le sue debolezze e insufficienze."
L’imperfezione, anche se volontaria, si differenzia dal peccato veniale. Un atto buono in se stesso non cessa di essere sulla linea del bene anche se poteva essere migliore; il peccato veniale, anche il più lieve, si trova invece sulla linea del male.
Ciò non toglie che, nella pratica, l’imperfezione volontaria impedisce all’anima di dirigersi con slancio verso la santità.
Dice S.Giovanni della Croce: "Se l’anima desiderasse qualche imperfezione, che Dio senza dubbio non può volere, non si formerebbe una unica volontà divina, perché l’anima vorrebbe ciò che Dio non vuole.
Senza avvertenza e cognizione e senza libertà, l’anima potrà di certo cadere in imperfezioni e peccati veniali e negli appetiti naturali, poiché, di tali peccati sta scritto che il giusto vi cadrà sette volte al giorno e se ne rialzerà.
Imperfezioni abituali sono, per esempio, l’abitudine di parlare spesso, l’attaccamento a piccole cose che l’anima mai si decide di superare, come sarebbe l’affetto ad una persona, ad un vestito, ad una stanza, a quel tale genere di cibi, di relazioni, a quelle piccole soddisfazioni, alla mania di udire novità e simili.
Se l’anima porta affetto abituale a qualsivoglia di queste imperfezioni, incontra maggiore ostacolo a crescere in virtù e sarà impossibile che l’anima progredisca nella perfezione benché l’imperfezione si piccolissima. Difatti che importa se un uccellino sia legato ad un filo sottile piuttosto che ad uno grosso?
Per quanto il filo sia sottile, è sempre vero che l’uccellino è legato e, sino a che non lo spezzi, non potrà volare. Senza dubbio il filo più tenue è più facile a rompersi, ma pur deve rompersi, ché altrimenti l’uccello non si potrà liberare. Così avviene all’anima unita con affetto a qualche cosa: benché fornita di molte virtù, non giungerà alla libertà dell’unione divina.
Colui che non si cura di riparare la fenditura di un vaso, benché sottilissima, vedrà trapelarne a poco a poco tutto il liquido in esso contenuto."
L’anima deve porre tutto il suo impegno e spiegare tutte le sue energie, facendo uso di tutti i mezzi a sua disposizione, per diminuire il numero delle imperfezioni e tendere sempre verso quello che è più perfetto, procurando di fare tutte le cose con la maggiore intensità possibile. Si tratta, in sintesi, di perfezionare i motivi che ci spingono ad operare, facendo tutte le cose ogni volta con maggior purezza di intenzione, con l’ansia di glorificare Dio, con il desiderio di rimanere sotto l’azione dello Spirito Santo, senza riguardo per i nostri gusti ed i nostri capricci.
Occorre tendere sempre più ad una conformità sempre più perfetta e docile alla volontà di Dio su di noi, fino a lasciarci portare da lui, senza resistenza, ovunque egli vorrà, fino alla morte totale dei nostri personali egoismi ad alla piena trasformazione in Cristo, che ci permetta di dire con S.Paolo: "Non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me" (Gal. 3,20).




Fonti Bibliografiche: A. Royo Marin - Teologia della perfezione cristiana - Edizioni Paoline. Consuelo - Maria Trono della Sapienza - Edizioni Ancora

"Ave Maria!"

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