15. << Vi sono in generale quattro situazioni che possono distrarci da questi gradini:
*una necessità inevitabile,
*l’utilità di un’azione volta al bene,
*l’incapacità propria dell’uomo,
*la vanità che viene dal mondo.
La prima è scusabile, la seconda è tollerabile, la terza è degna di compassione, la quarta è colpevole.
E veramente colpevole: per colui che viene distratto nella sua condotta da una situazione siffatta, meglio sarebbe stato non aver conosciuto la grazia di Dio, piuttosto che tornare indietro dopo averla conosciuta (cf. 2Pt 2,21).
Quale scusa avrà infatti per tale peccato? A buon diritto il Signore potrà dirgli: «Che cosa ancora dovevo farti che io non abbia fatto? Tu ancora non esistevi e io ti ho creato; hai peccato facendoti servo del diavolo e io ti ho redento; ti aggiravi assieme agli empi e io ti ho scelto; ti ho dato grazia ai miei occhi e volevo prendere dimora presso di te. Ma tu mi hai disprezzato, e non solo le mie parole ma me stesso ti sei gettato alle spalle per andare dietro alle tue passioni».
Dio buono, soave e mite, amico dolce, consigliere accorto, aiuto potente, quanto disumano e temerario è chi ti getta via, chi respinge dal suo cuore un ospite sì umile e mansueto!
Quale infelice e rovinoso scambio, gettar via il proprio Creatore e accogliere pensieri di male fatti per nuocerci; e il talamo segreto dello Spirito santo, quel luogo segreto del cuore che fino a poco prima fissava le gioie del cielo, abbandonarlo in un attimo ai più squallidi pensieri, al calpestio dei porci (cf Mt 7,6)!
Ancora è nel cuore la tiepida traccia lasciata dallo Sposo e già vi si insinuano adùlteri desideri.
Non si addice, non può succedere a orecchie che poco fa hanno udito parole che non è lecito ad alcuno pronunziare (2Cor 12,4), di piegarsi tanto in fretta ad ascoltare favole o detrazioni;
a occhi che poco fa sono stati battezzati da lacrime sante, di volgersi improvvisamente a guardare cose vane (cf. Sal 119, 37);
a una lingua che poco fa ha cantato un dolce epitalamio, che con parole infiammate e persuasive ha riconciliato la sposa con lo Sposo e l’ha introdotta nella cella del vino (Ct 2,4), di volgersi nuovamente a un linguaggio volgare e vacuo, a ordire inganni (Sal 50,19) e detrazioni.
Preservaci da questo, Signore.
Se tuttavia per debolezza umana dovessimo ricaderci non disperiamoci, ma ricorriamo nuovamente al medico misericordioso che solleva l’indigente dalla polvere e dall’immondizia rialza il povero (Sal 113,7): e lui, che non vuole la morte del peccatore, nuovamente ci guarirà e ci fascerà (cf. Ez 33,11).
È ormai tempo di terminare questa lettera.
Preghiamo tutti il Signore perché mitighi fin d’ora gli ostacoli che ci distolgono dal contemplarlo e in futuro ce ne liberi completamente; attraverso questi gradini ci conduca di altezza in altezza fino a vedere il Dio degli dei in Sion (Sal 84,8).
Là gli eletti gusteranno la dolcezza della contemplazione divina non a piccole gocce e con interruzioni; possederanno, invece, eternamente, in un torrente di delizie, una gioia che nessuno potrà loro togliere e una pace immutabile, la pace in lui (Sal 36,9; Gv 16,23; Sal 4,9).
Tu dunque, fratello mio Gervaso, se un giorno ti verrà dato dall’alto (Gv 19,11) di salire fino alla cima di questa scala ricordati di me, e prega per me quando sarai nella felicità (Gen 40,14): un télo tragga a sé un altro télo, e chi ascolta ripeta: «Vieni!» (Ap 22,17)>>. Guigo II Certosino.
AMDG et BVM
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