Fa piacere anche a me pubblicare quanto segue, perchè chi ama la Santa Messa di sempre sia incoraggiato nel suo cammino, e chi ancora non la ama cominci a pensare seriamente, a imitazione di questo Vescovo del Benin, Mons. Pascal, ad esser figlio obbediente della santa Chiesa, del Santo Padre.
*Mons. Pascal N'Koué, vescovo di Natitingou nel Benin, è stato nominato dal Santo Padre arcivescovo della sede metropolitana di Parakou, sempre nel Benin. La notizia ci fa particolarmente piacere perché il vescovo N'Koué non ci è sconosciuto: non solo aveva accolto generosamente l'abbé le Pivain, proveniente dalla Fraternità San Pietro, ma è anche uno dei pochissimi (anzi, forse l'unico a nostra conoscenza) che abbia reso pubblica la sua relazione per il triennio di applicazione del motu proprio; e leggete che cosa ha scritto (fonte: SPO) . Enrico.
Natitingou, 15 giugno 2010
Eminenza Reverendissima,
È con gioia che, su sollecitazione della Nunziatura Apostolica in Benin, La informo della nostra esperienza con il Motu Proprio di Papa Benedetto XVI "Summorum pontificum".
Innanzitutto, vorrei dire che la forma straordinaria del rito romano è stata introdotta nella mia diocesi nell'ottobre 2003, quindi prima del Motu Proprio. La mia convinzione che queste due forme possano coesistere pacificamente e per arricchirsi a vicenda è fuori discussione e da lunga data. A mio modesto parere, le due forme non pongono alcun problema. I conflitti provengono dai nostri cuori malati e intossicati o dalle nostre ideologie provocate dalla ristrettezza della nostra mente e dalla nostra formazione troppo quadrata.
Come leggerete nel rendiconto allegato, redatto da padre Denis Le PIVAIN, parroco di San Giovanni Battista, non ci sono state tempeste a Natitingou, ma nondimeno un po' di turbulenza… Il sacerdote non intraprende nulla senza consultare il vescovo. Questo è uno dei suoi grandi meriti. L'unità della Chiesa oblige. In conseguenza, c'è una notevole simpatia e armonia tra tutti i sacerdoti a questo proposito.
Personalmente, devo confessare che la celebrazione nell’antica forma è una fortuna per il mio giovane clero e per tutta la diocesi. Permette di valorizzare ulteriormente l'altare (preghiere ai piedi dell'altare), il sacro silenzio, le secrete, la molteplicità dei segni di croce e genuflessioni e anche il fatto che sia tutto rivolto verso la croce (posizione ad orientem). In breve, il rito tridentino ci dà la possibilità di meglio comprendere e apprezzare il rito detto di Paolo VI.
Molti dei miei sacerdoti, senza alcuna pressione da parte mia, spontaneamente hanno iniziato ad imparare a celebrare la messa di San Pio V, o più precisamente la messa di Papa Giovanni XXIII. Ovviamente, più si insiste sulla "ars celebrandi", più le due forme si influenzano positivamente. Quando le rubriche sono interiorizzate, la liturgia tocca i fedeli per la sua bellezza e la sua profondità; e non c'è più bisogno di litigare sul mistero, il sacro, l’adorazione, la maestà di Dio e la partecipazione attiva. Tutto va da sé. Inoltre, il canone romano e i gesti liturgici dell’antico rito sono più vicini alla nostra religiosità e sensibilità africana. Parlo solo per mia diocesi.
Il mio desiderio è che un giorno ogni sacerdote sappia celebrare nelle due forme. Non è impossibile, soprattutto se se lo si introduce nei nostri seminari. Ma qui a Natitingou, noi non possiamo applicare il rito antico puramente e semplicemente, senza tenere conto della luce di "Sacrosanctum concilium". C’è tutto. La forma straordinaria non può ignorare il Concilio Vaticano II, proprio come la forma ordinaria non può ignorare il rito antico senza impoverirsi. C'è un equilibrio da mantenere. La Commissione "Ecclesia Dei" sembra incoraggiarci a proseguire in questo senso.
Finisco invocando i sacri Cuori di Gesù e di Maria su tutti i sacerdoti. È l'amore di Dio che salverà il mondo e non i riti come tali. Lavoriamo per stimolare questa passione per il Crocifisso, che ci ha amati e si è dato per noi.
Nella speranza di aver risposto per poco che sia alla Sua domanda, La assicuro, Eminenza Reverendissima, della mia fedele collaborazione nella Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.
Mons. Pascal N’KOUE .
_______
Don Andrea C. commenta così:
"Ho gustato la lettera che il Presule ha avuto la bontà di rendere pubblica provvedendo pure di “salvare con nome “alcune frasi, che meglio riassumono lo spirito di comunione ecclesiale ed anche la praticità pastorale di chi sta a contatto con la realtà quotidiana e a cui non sono permessi i voli pindarici, che sappiamo quale fine hanno fatto :
1) “In breve, il rito tridentino ci dà la possibilità di meglio comprendere e apprezzare il rito detto di Paolo VI”.
2) Il mio desiderio è che un giorno ogni sacerdote sappia celebrare nelle due forme.
3) È l'amore di Dio che salverà il mondo e non i riti come tali.
L’allora Card.Ratzinger nel famoso libro “ Introduzione allo spirito della Liturgia” aveva messo giustamente l’accento sulla pericolosità dei cambiamenti liturgici repentini, in un verso e nell’altro.
Una “fase intermedia” di reciproca comprensione dei due riti, celebrati nella normalità più assoluta, potrà far sfociare, nei tempi che solo la Provvidenza saprà dettare, la “riforma della riforma” che possa rimettere , senza traumi e senza urla inutili, al primo posto dell’azione Liturgica la Croce e il Signore Crocifisso e Risorto.
La lettera dell’Arcivescovo Africano è equilibratissima, rispettosa della realtà ma, nello stesso tempo, della teologia liturgica cattolica che è stata avvilita e stravolta, ma non annientata completamente dalle riforme fortemente datate degli anni ’60 che guardavano con troppo spirito di ammirazione le esperienze del protestantesimo in una visione ecclesiale avvelenata dall’allora imperante ideologia marxista.
Difatti il Presule Africano mirabilmente commenta : “I conflitti provengono dai nostri cuori malati e intossicati o dalle nostre ideologie provocate dalla ristrettezza della nostra mente e dalla nostra formazione troppo quadrata”
1) “In breve, il rito tridentino ci dà la possibilità di meglio comprendere e apprezzare il rito detto di Paolo VI”.
2) Il mio desiderio è che un giorno ogni sacerdote sappia celebrare nelle due forme.
3) È l'amore di Dio che salverà il mondo e non i riti come tali.
L’allora Card.Ratzinger nel famoso libro “ Introduzione allo spirito della Liturgia” aveva messo giustamente l’accento sulla pericolosità dei cambiamenti liturgici repentini, in un verso e nell’altro.
Una “fase intermedia” di reciproca comprensione dei due riti, celebrati nella normalità più assoluta, potrà far sfociare, nei tempi che solo la Provvidenza saprà dettare, la “riforma della riforma” che possa rimettere , senza traumi e senza urla inutili, al primo posto dell’azione Liturgica la Croce e il Signore Crocifisso e Risorto.
La lettera dell’Arcivescovo Africano è equilibratissima, rispettosa della realtà ma, nello stesso tempo, della teologia liturgica cattolica che è stata avvilita e stravolta, ma non annientata completamente dalle riforme fortemente datate degli anni ’60 che guardavano con troppo spirito di ammirazione le esperienze del protestantesimo in una visione ecclesiale avvelenata dall’allora imperante ideologia marxista.
Difatti il Presule Africano mirabilmente commenta : “I conflitti provengono dai nostri cuori malati e intossicati o dalle nostre ideologie provocate dalla ristrettezza della nostra mente e dalla nostra formazione troppo quadrata”
AMDG et BVM
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