Scalfari, la cultura comunista e il berlusconismo
(di (Danilo Quinto) Dopo essere stato sconfessato ‒ seppur con
ritardo ‒ in merito all’intervista a pF, rimossa nei giorni scorsi
dal sito ufficiale del Vaticano, Eugenio Scalfari è tornato ad occuparsi della
politica italiana. In uno dei suoi più recenti editoriali della domenica ‒
sempre da non perdere ‒ il fondatore de “La Repubblica” si chiede: «Che
accadrà di tutti noi senza più il caimano?».
Ha paragonato Berlusconi al diavolo, ha rivendicato il dissenso nei
suoi confronti e nei confronti del berlusconismo come «asset» del suo
giornale fin dal 1987 ‒ molti non se ne erano accorti fino ad ora ‒
«quando apparve chiaro il connubio di affari tra lui, i dorotei della Dc e
soprattutto i socialisti di Craxi», ha ricordato lo scontro con la Mondadori
dell’’89 (la guerra di Segrate, l’ha chiamata) e la nascita di Forza
Italia come «fenomeno devastante della vita pubblica italiana».
Dopo vent’anni, dice Scalfari, «Berlusconi è fuori
gioco», ma «è ancora in forze nel Paese, il berlusconismo», che
paragona al fascismo. «Ricordo a chi l’avesse dimenticato ‒ scrive
Scalfari ‒ la polemica non solo politica, ma culturale che si ebbe nel 1945
tra Benedetto Croce e Ferruccio Parri sul fascismo. Croce sosteneva che la
dittatura di Mussolini era stato un deplorevole incidente di percorso della
nostra storia, che aveva certamente avuto conseguenze terribili, ma non si era
mai verificato prima, sicché una volta terminato dopo una guerra perduta e un
paese pieno di rovine, il corso della nostra storia sarebbe ripreso e la libertà
avrebbe di nuovo avuto la sua pienezza».
Scalfari si schiera con Parri e afferma: «Demagogia,
qualunquismo, assenza di senso dello Stato sono altrettanti elementi che restano
nascosti per lungo tempo, ma non scompaiono dall’animo di molti e di tanto in
tanto emergono in superficie. Un fiume carsico che crea situazioni diverse tra
loro, ma legate da profonde analogie che hanno reso tardiva la nostra unità
nazionale e fragile la nostra democrazia».
Le parole di Scalfari sono la dimostrazione più coerente dell’odio
che la sinistra italiana ha manifestato nei confronti del “nemico”
Berlusconi, al quale va ascritto il merito storico di aver impedito che
la cultura comunista trionfasse nel Paese, dopo la discesa in campo manu
militari dei giudici, che agli inizi degli anni ’90 spazzarono via tutti i
partiti della Prima Repubblica, tranne ‒ appunto ‒ il Partito Comunista. È
questo che non gli hanno mai perdonato. Per questo, l’accanimento nei suoi
confronti ha raggiunto livelli storicamente mai visti prima in Italia, con
l’unica eccezione ‒ appunto ‒ di Piazzale Loreto.
Quell’accanimento, non è terminato con la decadenza votata dal Senato
alla fine di novembre e c’è da prevedere che nelle prossime settimane si
accentuerà e si doterà di tutte le armi a disposizione. Coinvolgerà
anche i milioni di italiani che nel corso di questi anni hanno dato il loro
consenso alle liste di Berlusconi e che ancora oggi ‒ lo attestano tutti i
sondaggi, a cominciare da quello che ogni settimana divulga l’Osservatorio
Demos, di Ilvo Diamanti ‒ sono disponibili a votarlo, nonostante il disprezzo
che molti nutrono nei loro confronti.
A testimonianza del fatto che l’Italia, nella sua
maggioranza, intende ancora esprimere una speranza di libertà dall’egemonia
culturale della sinistra, che dalla Rivoluzione del ’68 in poi, è entrata con
una forza dirompente e distruttiva nella scuola e nell’Università e quindi nella
società. Il “berlusconismo” di cui si duole Scalfari in fondo è proprio questo e
sta a Berlusconi comprendere ‒ ne ha ancora la possibilità ‒ che gli errori di
convenienza e di opportunismo del passato, devono lasciare spazio solo alla
politica, intesa nella sua accezione più nobile e più alta. (Danilo Quinto)
(di (Danilo Quinto) Dopo essere stato sconfessato ‒ seppur con
ritardo ‒ in merito all’intervista a pF, rimossa nei giorni scorsi
dal sito ufficiale del Vaticano, Eugenio Scalfari è tornato ad occuparsi della
politica italiana. In uno dei suoi più recenti editoriali della domenica ‒
sempre da non perdere ‒ il fondatore de “La Repubblica” si chiede: «Che
accadrà di tutti noi senza più il caimano?».
Ha paragonato Berlusconi al diavolo, ha rivendicato il dissenso nei
suoi confronti e nei confronti del berlusconismo come «asset» del suo
giornale fin dal 1987 ‒ molti non se ne erano accorti fino ad ora ‒
«quando apparve chiaro il connubio di affari tra lui, i dorotei della Dc e
soprattutto i socialisti di Craxi», ha ricordato lo scontro con la Mondadori
dell’’89 (la guerra di Segrate, l’ha chiamata) e la nascita di Forza
Italia come «fenomeno devastante della vita pubblica italiana».
Dopo vent’anni, dice Scalfari, «Berlusconi è fuori
gioco», ma «è ancora in forze nel Paese, il berlusconismo», che
paragona al fascismo. «Ricordo a chi l’avesse dimenticato ‒ scrive
Scalfari ‒ la polemica non solo politica, ma culturale che si ebbe nel 1945
tra Benedetto Croce e Ferruccio Parri sul fascismo. Croce sosteneva che la
dittatura di Mussolini era stato un deplorevole incidente di percorso della
nostra storia, che aveva certamente avuto conseguenze terribili, ma non si era
mai verificato prima, sicché una volta terminato dopo una guerra perduta e un
paese pieno di rovine, il corso della nostra storia sarebbe ripreso e la libertà
avrebbe di nuovo avuto la sua pienezza».
Scalfari si schiera con Parri e afferma: «Demagogia,
qualunquismo, assenza di senso dello Stato sono altrettanti elementi che restano
nascosti per lungo tempo, ma non scompaiono dall’animo di molti e di tanto in
tanto emergono in superficie. Un fiume carsico che crea situazioni diverse tra
loro, ma legate da profonde analogie che hanno reso tardiva la nostra unità
nazionale e fragile la nostra democrazia».
Le parole di Scalfari sono la dimostrazione più coerente dell’odio
che la sinistra italiana ha manifestato nei confronti del “nemico”
Berlusconi, al quale va ascritto il merito storico di aver impedito che
la cultura comunista trionfasse nel Paese, dopo la discesa in campo manu
militari dei giudici, che agli inizi degli anni ’90 spazzarono via tutti i
partiti della Prima Repubblica, tranne ‒ appunto ‒ il Partito Comunista. È
questo che non gli hanno mai perdonato. Per questo, l’accanimento nei suoi
confronti ha raggiunto livelli storicamente mai visti prima in Italia, con
l’unica eccezione ‒ appunto ‒ di Piazzale Loreto.
Quell’accanimento, non è terminato con la decadenza votata dal Senato
alla fine di novembre e c’è da prevedere che nelle prossime settimane si
accentuerà e si doterà di tutte le armi a disposizione. Coinvolgerà
anche i milioni di italiani che nel corso di questi anni hanno dato il loro
consenso alle liste di Berlusconi e che ancora oggi ‒ lo attestano tutti i
sondaggi, a cominciare da quello che ogni settimana divulga l’Osservatorio
Demos, di Ilvo Diamanti ‒ sono disponibili a votarlo, nonostante il disprezzo
che molti nutrono nei loro confronti.
A testimonianza del fatto che l’Italia, nella sua
maggioranza, intende ancora esprimere una speranza di libertà dall’egemonia
culturale della sinistra, che dalla Rivoluzione del ’68 in poi, è entrata con
una forza dirompente e distruttiva nella scuola e nell’Università e quindi nella
società. Il “berlusconismo” di cui si duole Scalfari in fondo è proprio questo e
sta a Berlusconi comprendere ‒ ne ha ancora la possibilità ‒ che gli errori di
convenienza e di opportunismo del passato, devono lasciare spazio solo alla
politica, intesa nella sua accezione più nobile e più alta. (Danilo Quinto)
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