Mi pare opportuno impostare questo prezioso articolo di F. Cannone per ricordare come la così detta Teologia della Liberazione è sempre un tradimento dei poveri, del Vangelo, di Cristo Gesù.
*
La filosofia della liberazione secondo “La Civiltà Cattolica”
(di
Fabrizio Cannone)
Dopo aver citato le condanne che il Magistero
pontificio emise nell’ultimo secolo di storia con la Pascendi, la
Divini Redemptoris e l’Humani generis, rispettivamente contro il
modernismo, il comunismo e l’evoluzionismo filosofico, Giovanni Paolo II ricorda
che «da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede (…) ha
dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l’assunzione acritica
(…) di tesi e metodologie derivanti dal marxismo» (Fides et ratio,
54). L’enciclica faceva riferimento all’Istruzione Libertatis nuntius su
alcuni aspetti della “teologia della liberazione” (1984).
Come se tutto questo non fosse né noto né assodato, la
rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, un tempo espressione della più pura
teologia romana, propone ai lettori un saggio di apertura in cui il teologo e
filosofo della liberazione gesuita Juan Carlos Scannone, ripete i clichés
tipici di quell’erroneo indirizzo filosofico-teologico-politico (cfr. La
filosofia della liberazione, in “La Civiltà Cattolica”, quaderno 3920, pp.
105-120). Nel suo articolo padre Scannone si propone di esporre la veridicità,
le caratteristiche, la storia e infine «la validità attuale» della
filosofia della liberazione. Per il gesuita la filosofia della liberazione
argentina è una «filosofia della prassi» che si situa nell’orizzonte
dell’«attuale superamento della metafisica della sostanza e del soggetto»
(p.113) e si caratterizza per la sua «opzione etico-storica e teorica per le
vittime dell’ingiustizia e della violenza.»
Non c’è molto da dire per dimostrare l’assurdità del proposito di
padre Scannone che è evidentemente, magari servendosi impropriamente delle
aperture di F., quello di rimettere in circolazione una
visione, di stampo materialistico, che pretendeva di fare teologia “dal basso”,
a partire non dalla volontà di Dio, ma dalle necessità (presunte…) del popolo e
dei miseri.
La filosofia, che dovrebbe essere per un cattolico la ancilla
theologiae, e coincidere con un profondo desiderio di saggezza, viene
piegata a valenze di tipo sociale-populistico. Secondo Scannone, «la
filosofia della liberazione (FL) è nata in Argentina nel 1971, a partire dalla
presa di coscienza di un gruppo di filosofi sull’ingiustizia strutturale che
opprime la maggior parte della popolazione nell’America Latina» (p. 105).
Inoltre, «la prassi del liberazione è l’atto primo (Gustavo Gutierrez),
punto di partenza e luogo ermeneutico di una riflessione umana radicale, come
è quella filosofica, che usa come mediazione analitica intrinseca i contributi
delle scienze dell’uomo, della società e della cultura» (pp. 107-108).
In pratica si tratta di fare filosofia rigettando la patristica, la
scolastica e le varie indicazioni del Magistero, importantissime in
realtà nell’ambito filosofico e metafisico, e di sostituirvi le fallibilissime e
sempre approssimative “scienze dell’uomo”, come la psicologia (o magari la
psicanalisi!), la sociologia (a tinta marxista) e l’economia politica
(antiliberista a parole, in realtà mondialista, anti-nazionale e
filo-globalizzazione).
C’è molto da aggiungere? Perfino uno dei fondatori della
teologia della liberazione, Clodovis Boff è arrivato a capire che essa era
erronea in radice, perché come scrisse anni fa in un articolo di resipiscenza
sulla “Rivista Ecclesiastica Brasileira”, se da Cristo si arriva sempre al (bene
del) povero, partendo del povero non è detto che si arrivi a Cristo, e dunque
trattasi di una teologia (e di una filosofia) in cui Dio resta facoltativo.
L’articolo di padre Scannone è un lungo delirio in stile
latino-americano anni ‘70: dall’ assunzione «del metodo
anadialettico» (p. 119), fino alla «incessante apertura alle continue
novità e alterità delle situazioni e delle risposte storiche dei popoli» (p.
119).
Il Magistero della Chiesa però ha risposto preventivamente a queste
affermazioni filosofiche, insegnando con chiarezza: «Verità e
libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono»
(Fides et ratio, 90) e: «La Verità, che è Cristo, si impone
come autorità universale che regge, stimola e fa crescere (cfr Ef 4,15) sia la
teologia che la filosofia» (Fides et ratio, 92). Nella filosofia (e
nella teologia) della liberazione c’è proprio questo rifiuto della Verità, che è
Cristo. (Fabrizio Cannone)
(di
Fabrizio Cannone)
Dopo aver citato le condanne che il Magistero
pontificio emise nell’ultimo secolo di storia con la Pascendi, la
Divini Redemptoris e l’Humani generis, rispettivamente contro il
modernismo, il comunismo e l’evoluzionismo filosofico, Giovanni Paolo II ricorda
che «da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede (…) ha
dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l’assunzione acritica
(…) di tesi e metodologie derivanti dal marxismo» (Fides et ratio,
54). L’enciclica faceva riferimento all’Istruzione Libertatis nuntius su
alcuni aspetti della “teologia della liberazione” (1984).
Come se tutto questo non fosse né noto né assodato, la
rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, un tempo espressione della più pura
teologia romana, propone ai lettori un saggio di apertura in cui il teologo e
filosofo della liberazione gesuita Juan Carlos Scannone, ripete i clichés
tipici di quell’erroneo indirizzo filosofico-teologico-politico (cfr. La
filosofia della liberazione, in “La Civiltà Cattolica”, quaderno 3920, pp.
105-120). Nel suo articolo padre Scannone si propone di esporre la veridicità,
le caratteristiche, la storia e infine «la validità attuale» della
filosofia della liberazione. Per il gesuita la filosofia della liberazione
argentina è una «filosofia della prassi» che si situa nell’orizzonte
dell’«attuale superamento della metafisica della sostanza e del soggetto»
(p.113) e si caratterizza per la sua «opzione etico-storica e teorica per le
vittime dell’ingiustizia e della violenza.»
Non c’è molto da dire per dimostrare l’assurdità del proposito di
padre Scannone che è evidentemente, magari servendosi impropriamente delle
aperture di F., quello di rimettere in circolazione una
visione, di stampo materialistico, che pretendeva di fare teologia “dal basso”,
a partire non dalla volontà di Dio, ma dalle necessità (presunte…) del popolo e
dei miseri.
La filosofia, che dovrebbe essere per un cattolico la ancilla
theologiae, e coincidere con un profondo desiderio di saggezza, viene
piegata a valenze di tipo sociale-populistico. Secondo Scannone, «la
filosofia della liberazione (FL) è nata in Argentina nel 1971, a partire dalla
presa di coscienza di un gruppo di filosofi sull’ingiustizia strutturale che
opprime la maggior parte della popolazione nell’America Latina» (p. 105).
Inoltre, «la prassi del liberazione è l’atto primo (Gustavo Gutierrez),
punto di partenza e luogo ermeneutico di una riflessione umana radicale, come
è quella filosofica, che usa come mediazione analitica intrinseca i contributi
delle scienze dell’uomo, della società e della cultura» (pp. 107-108).
In pratica si tratta di fare filosofia rigettando la patristica, la
scolastica e le varie indicazioni del Magistero, importantissime in
realtà nell’ambito filosofico e metafisico, e di sostituirvi le fallibilissime e
sempre approssimative “scienze dell’uomo”, come la psicologia (o magari la
psicanalisi!), la sociologia (a tinta marxista) e l’economia politica
(antiliberista a parole, in realtà mondialista, anti-nazionale e
filo-globalizzazione).
C’è molto da aggiungere? Perfino uno dei fondatori della
teologia della liberazione, Clodovis Boff è arrivato a capire che essa era
erronea in radice, perché come scrisse anni fa in un articolo di resipiscenza
sulla “Rivista Ecclesiastica Brasileira”, se da Cristo si arriva sempre al (bene
del) povero, partendo del povero non è detto che si arrivi a Cristo, e dunque
trattasi di una teologia (e di una filosofia) in cui Dio resta facoltativo.
L’articolo di padre Scannone è un lungo delirio in stile
latino-americano anni ‘70: dall’ assunzione «del metodo
anadialettico» (p. 119), fino alla «incessante apertura alle continue
novità e alterità delle situazioni e delle risposte storiche dei popoli» (p.
119).
Il Magistero della Chiesa però ha risposto preventivamente a queste
affermazioni filosofiche, insegnando con chiarezza: «Verità e
libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono»
(Fides et ratio, 90) e: «La Verità, che è Cristo, si impone
come autorità universale che regge, stimola e fa crescere (cfr Ef 4,15) sia la
teologia che la filosofia» (Fides et ratio, 92). Nella filosofia (e
nella teologia) della liberazione c’è proprio questo rifiuto della Verità, che è
Cristo. (Fabrizio Cannone)
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