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martedì 12 ottobre 2021

Ricevo e condivido

 




A coloro che chiedono cosa accadrà e quanto durerà; a coloro che hanno paura, per la loro vita e per quella dei loro familiari; 

a coloro che non vogliono assoggettarsi ai diktat di un potere autoreferenziale e dispotico; 

a coloro che rivestono la carica di parlamentari accettando di essere annullati nella loro dignità, nella loro libertà e nell’esercizio del potere legislativo, da un potere esecutivo che detta regole confezionate da soggetti terzi, estranei ad entrambi i poteri; 

a coloro che indossano la toga di magistrato e da quasi due anni a questa parte non sollevano alcuna questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale, contro tutte quelle norme che in nome dell’emergenza ledono in maniera palese decine di articoli della Carta Costituzionale, oggetto di riserva di legge assoluta; 

a coloro che restano increduli rispetto al fatto che uno Stato assolve preventivamente se stesso – come dice il filosofo Giorgio Agamben – con una legge (DL n. 44 dell’1 aprile 2021, art. 3) che lo esenta da ogni responsabilità sulla somministrazione ai suoi cittadini di un farmaco, citando gli artt. 589 e 590, che riguardano l’omicidio colposo e le lesioni personali; 

a coloro che non si rendono conto che il “green pass” è una misura politica di controllo sociale – una mostruosità giuridica – molto più lesiva della libertà personale rispetto alle misure che subivano i cittadini dell’URSS dell’epoca di Stalin;

 a coloro che, per giuramento sacro, dovrebbero curare e si limitano, invece, ad eseguire direttive sanitarie impartite dall’alto; 

a coloro che, per ignoranza o per ignavia, pensano ancora che “tutto tornerà come prima”;  

a coloro che dovrebbero informare correttamente la popolazione sui fatti e che invece fanno da cassa di risonanza a-critica di logiche anti-umane; 

a coloro che ritengono, ingenuamente, che qualche sabato di manifestazione possa alleviare il giogo che è stato confezionato, che diventerà sempre più stringente; 

a coloro che non immaginano neanche di possedere un’anima, il cui alimento  proviene da Dio, non dagli uomini; 

a coloro che vivono la disperazione di essere lasciati soli da una gerarchia ecclesiastica lontana da Cristo, dalla Sua Parola e dalla Sua Vita;

a tutti costoro so rispondere solo con le parole che Robert Hugh Benson fa dire al Papa (cent’anni fa, ne “Il padrone del mondo” immaginava che un Papa esistesse e non sbagliava pensando a Papa Benedetto XVI, mai validamente dimessosi), in conclusione del suo discorso sull’Istituzione del Nuovo Ordine di Cristo Crocifisso:

“La nostra non è più la lotta contro l’ignoranza particolare, quella dei pagani che non hanno ricevuto il Vangelo, o quella di coloro i cui padri lo hanno ripudiato. Non è più la lotta contro le effimere ricchezze di questo mondo, né contro la scienza mendace; né, infine, contro quelle fortezze dell’infedeltà contro cui abbiamo combattuto per il passato. Piuttosto, sembra sia finalmente giunto quel tempo di cui parla l’apostolo: ‘ciò non avverrà, se prima non sarà giunta la manifestazione della ribellione dell’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si oppone e si innalza sopra tutto ciò che è Dio’. Non dobbiamo più, ormai, lottare contro questa o quella forza, ma contro l’immensità ormai manifesta di quel potere, già preannunciato da secoli, la cui sconfitta è stabilita fin dall’eternità. (…) È sembrato opportuno alla nostra umiltà che il Vicario di Cristo dovesse lui stesso chiamare i figli di Dio alla nuova battaglia; è nostra intenzione scrivere nel Nuovo Ordine di Cristo Crocifisso i nomi di tutti coloro che decidono di offrire se stessi per il Suo supremo servizio. (…) La nostra principale intenzione, istituendolo, è stata quella di guardare più a Dio che all’uomo, di ricorrere a Colui che chiede la nostra generosità, più che a quelli che tendono a negarla; e di consacrare ancora una volta anima e corpo, con atto formale e deliberato, al volere di Dio e al servizio di Colui che, unico, può richiedere un’offerta così totale di sé, e che si degna di accettare doni così miseri! (…) Il fondamento della regola sarà espresso dai tre principi evangelici, ai quali aggiungiamo una quarta intenzione: il desiderio del martirio e il proponimento di riceverlo. (…) Non offriamo altra ricompensa se non quella che Cristo stesso promette a coloro che Lo amano e sacrificano a Lui la loro vita: nessun’altra promessa di pace se non quella di essere disprezzati dal mondo; nessun’altra patria fuori di quella dei pellegrini e dei viandanti che tendono a una città che sta per venire; nessun’altra vita se non quella nascosta con Gesù Cristo in Dio”.

Non abbiate paura, amici. “Dio non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per Lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Egli, infatti, ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo, del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro. È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno. Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (san Paolo, seconda lettera a Timoteo, 7-14).

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DANILO QUINTO

mercoledì 21 agosto 2019

MARIA SANTISSIMA e il dragone rosso




Maria e il serpente * 21 agosto 2019

Ad aprire la  crisi del Governo italiano non sono stati nè  Matteo Salvini, nè l’altro  Matteo, quello dell’ Enrico, stai sereno, rivolto una mattina del gennaio 2014 al suo compagno di partito Letta, mentre la sera faceva cadere il Governo per sostituirsi a lui (poi, sappiamo com’è andata a finire…), nè  Luigi Di Maio, che non ne aveva la forza politica (i sondaggi danno il M5S al 7% se si votasse oggi), nè  Beppe Grillo o  Casaleggio, preoccupati solo che il loro  giocattolo si rompesse, nè tanto meno  Giuseppe Conte, che non ne aveva nessuna voglia, tanto da proporsi, nel discorso tenuto ieri al Senato - dopo aver snocciolato al suo Vice-Presidente del Consiglio una serie di insulti e minacce senza precedenti nella storia parlamentare - come candidato della nuova maggioranza PD-M5S più  frattaglie, sulla quale in molti stavano lavorando da mesi per eliminare dalla scena politica Salvini. 


Il 9 agosto, il giorno dopo il comunicato con il quale Salvini annuncia il deposito da parte della Lega di una mozione di sfiducia al Governo, un  uomo venuto dalla fine del mondo - dall’Argentina, che non è troppo lontana, visto che ci sono gli aerei e lui ne ha presi tanti in questi sei anni, ma mai quello per Buenos Aires, chissà perchè? - dà una lunga intervista a  La Stampa, nella quale si occupa delle  sfide per l’Europa. Proprio lui, che nel 2016 ha ricevuto il Premio  Kalergi o altrimenti detto  Premio Internazionale Carlo Magno di Aquisgrana.

«Tutta brava gente coloro che sono stati premiati con questo premio», scriveva Maurizio Blondet il 27 settembre 2016. «Fu Kalergi», aggiungeva Blondet, «a lanciare l’idea degli Stati Uniti d’Europa: Altiero Spinelli venne molto dopo. Fu Kalergi, nel 1955, a proporre l’ Inno alla Gioia di Beethoven (dalla nona sinfonia) come inno ufficiale dell’Unione europea, che in seguito venne adottato. Fu Kalergi, aiutato da Robert Schuman, Ministro degli Esteri francese, ad assegnare la gestione della produzione di acciaio, ferro e carbone ad una sovranità sovranazionale, sotto la direzione dei primi euroburocrati non eletti da nessuno: i famosi  commissari europei. Fu Kalergi a mandare i primi memorandum ai governi di Italia, Francia, Germania e Regno Unito, negli anni ’60, perché adottassero una unione monetaria». Fu Kalergy a teorizzare il meticciato e la sostituzione della popolazione europea con l’apporto di masse di uomini provenienti da aree geografiche estranee alla storia, alla cultura, all’identità cristiana dell’Europa.

Perchè questo  disegno? Lo spiegò l’ uomo vestito di bianco nel suo discorso del 2016, quando disse:

« (…) Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare».

Il  nuovo umanesimo – una categoria che appartiene all’impianto teorico della  Massoneria – si fonda con la  capacità di aggiornare l’idea di Europa, accogliendo e integrando i migranti, dialogando con loro senza chiedere la conversione (e se questo lo fa un uomo che siede sulla Cattedra di Pietro è tutto dire), capaci di generare, cioè di copulare con le femmine europee (che non fanno più figli perchè la cultura dell’aborto ne ha sterminati in Europa qualche centinaia di milioni nello spazio di qualche decennio e l’uso massivo dei sistemi contraccettivi ne impedisce la nascita), che diventano  pasto di consumo per la creazione di una  nuova razza.

Poi, nella stessa intervista, l’ uomo che è venuto dalla fine del mondo si occupa – ed è inevitabile, considerata la sua propensione ad interessarsi delle migliorie tecnologiche dei condizionatori d’aria o della raccolta differenziata, come ha scritto mirabilmente nella sua tanto apprezzata  Laudato sì – dell’emergenza ambientale. Cioè di quelle fandonie dell’establishment mondiale, che avrebbe a cuore (sic!) la tutela della salute della popolazione e non le migliaia e migliaia di miliardi dollari che si produrrebbero se la questione dei mutamenti climatici, che si suppone siano prodotti dall’attività umana, diventasse politica prioritaria degli Stati. Tanto che le lobby che si contendono quest’enorme business seguono con grande interesse le manifestazioni pubbliche organizzate dal  fenomeno Greta e dal suo entourage.

Infine, l’intervista dell’ uomo vestito di bianco propone il  colpo finale:  i pericoli legati al sovranismo. Il papa argentino afferma: «Il  sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle  guerre. Pericolosi anche i  populismi: una cosa è che il popolo si esprima, un’altra è imporre al popolo l’atteggiamento populista. Il popolo è sovrano (ha un modo di pensare, di esprimersi e di sentire, di valutare), invece i populismi ci portano a sovranismi: quel suffisso, ‘ ismi‘, non fa mai bene. È un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934».

L’obiettivo è delineato: è Matteo Salvini nel mirino, come lo è stato per un anno e mezzo da parte dell’informazione mainstream e da parte dei poteri forti, italiani ed internazionali, che temono che l’Italia riconquisti la sua dignità, la sua libertà e la sua sovranità nei confronti dell’Europa e del resto del mondo.  Non vogliono che si frapponga nessun ostacolo al loro disegno di fare di una Terra benedetta da Dio – che ha voluto che proprio in Italia risiedesse fino alla fine dei tempi il successore di Suo Figlio – una Terra sconsacrata e senza Dio.

Salvini ha una grave colpa da scontare : è stato l’unico a porre al centro della sua azione politica l’emergenza dei clandestini che vengono trasportati dalle navi delle ONG nel nostro territorio. Un business di dimensioni allucinanti, che coinvolge organizzazioni criminali e quel  mondo di mezzo, che ha visto fortemente ridimensionati nell’ultimo anno e mezzo i suoi sporchi affari.

Il  dado è tratto. Dopo l’intervista, si mette in moto la macchina  diplomatica del Vaticano, che attraverso il Segretario di Stato, il cardinale Parolin (non ne abbiamo le prove, ma è legittimo supporlo) manda segnali, fa incontri, detta la linea da seguire.  Eliminare Salvini dalla scena politica. E’ come prendere  due piccioni con una fava. Salvini, in Italia e in Europa, è l’ alter ego del Presidente degli Stati Uniti, che in questo momento è il maggiore  nemico dell’uomo vestito di bianco, con le sue politiche sovraniste, di cessazione del dialogo con l’Europa, di riaffermazione nel suo Paese – pur con tutte le sue contraddizioni – dei principi cristiani a favore della vita e contro l’aborto, della sua idea di restituire agli americani la possibilità di difendersi da un’immigrazione incontrollata e potenzialmente esplosiva.

Salvini, per l’ uomo vestito di bianco, è responsabile di di un peccato gravissimo, che non si può perdonare.  Lui in piazza, più volte, ha esibito il Rosario. Ha chiesto la protezione per l’Italia della Santa Vergine Maria.

Guai a nominare Maria! I Vescovi si scatenano. Gli stessi Vescovi - che benedicono i Gay Pride o che promuovono preghiere comuni con i musulmani nelle Chiese cattoliche o che fanno occupare le Chiese dai poveri per offrire loro pranzi e cene, oltraggiando la Casa del Signore e facendo credere che la condizione di povero, in quanto tale, porti alla salvezza eterna - al nome di Maria sobbalzano. Gridano contro Salvini. Cosa c’entrano i simboli religiosi con la politica?, dicono i Vescovi, preoccupati che i cattolici s’interroghino sul fatto che un leader politico chieda per il suo Paese la protezione della Madre di Dio e che i cattolici votino quel leader politico, invece di votare quei partiti – come loro suggeriscono - composti da donne e uomini miscredenti, che hanno fatte strame negli ultimi decenni delle leggi di Dio.

La Madonna fa paura. Vi ricordate cosa disse l’ uomo vestito di bianco il 10 giugno 2014 durante l’incontro che tenne con i Francescani dell’Immacolata, accompagnati dall’allora Commissario? Ecco quello che disse:

«Vorrei dirvi ufficialmente una parola. Il vostro carisma è un carisma singolare. C’è lo spirito di san Massimiliano Kolbe, martire. C’è lo spirito di san Francesco: l’amore alla povertà, l’amore a Gesù Cristo spogliato, perché lui ha sposato la Chiesa povera e Cristo spogliato, non la povertà astratta. Ma c’è un’altra cosa che a me fa capire perché il mondo è tanto arrabbiato contro di voi: la Madonna. C’è qualcosa che il mondo non tollera. Questa è un’interpretazione mia, poi voi potreste dire: ‘è una considerazione pietosa, vecchia e pietosa’. Ma io credo a questo. [Il mondo] non tollera la Madonna, non tollera e non tollera di più quella parola del vostro nome:  Immacolata. È stata l’unica persona solamente umana nella quale lui sempre ha trovato la porta chiusa, dal primo momento».

Chi è lui? Lo scopriamo con le parole conclusive:

«Non tollera. Ma pensate anche il momento che voi vivete adesso come una  persecuzione diabolica. Pensatela così. Questa non è un’idea di pietà per conformarvi. No, sono sicuro». Poco prima aveva detto: «Io conosco i motivi di questo trasferimento e mi sembrano giusti. Prima di prendere la decisione sono stato consultato dalla Congregazione e io ho detto sì, perché questo sia chiaro: sono io il responsabile…».

Era lui il responsabile del decreto dell’11 luglio 2013, firmato su  suo mandato dal cardinale João Braz Card. de Aviz, Prefetto della  Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, che decretava il commissariamento dei Frati Francescani dell'Immacolata, di quei frati che amano la Madonna.

La Madonna fa paura. Ha fatto paura anche al premier Conte, devoto di Padre Pio, si dice, che ha rimproverato Salvini di aver usato in pubblico  simboli religiosi, il Rosario, perchè questo gesto lederebbe la  libertà religiosa. Mentre Conte parla – ed è l’ultimo di una serie di attacchi al suo Vice-Presidente del Consiglio con il quale ha lavorato per oltre 14 mesi, ma che ora viene considerato irresponsabile, incosciente, curatore di interessi di partito, ecc., ecc., quasi fosse un  assassino, un vero e proprio  linciaggio – Salvini prende dalla sua tasca il Rosario, lo porta alla bocca e lo bacia. Un fare quasi furtivo, ma di cui non può fare a meno, forse per affidarsi a Colei che lo può proteggere da quella sequela di insulti e offese che ha ascoltato e nei confronti delle quali – e questo lo può fare solo una persona che da peccatore coltiva la sua fede – rimane impassibile. Chiama Conte  amico mio, come deve fare un buon cristiano di fronte a chi gli è nemico.

Ma Salvini va ancora più in là. Nel suo intervento risponde a Conte con queste parole:  «Mi permetta signor Presidente, lei fa un torto ai cattolici italiani quando pensa che votano in base a un Rosario e io
sono orgoglioso di credere e di testimoniare con il mio lavoro il fatto che credo e non ho mai chiesto per me la protezione, ma per il popolo italianofinché campo chiederò la protezione del Cuore Immacolato di Maria perché questo è un Paese che merita tutto e non me ne vergogno di consegnare nelle mani di Maria il destino del popolo italiano. Non me ne vergogno». Si vedono, sullo schermo, visi arrabbiati, furiosi, minacciosi, ma Salvini non si scompone. Aggiunge che lui vuole  «un Paese libero e sovrano con figli e una mamma e un papà», cita Giovanni Paolo II e di fronte alle proteste dei post-comunisti, dice: «Bè, che c’è? Voi citerete Saviano e io San Giovanni Paolo II… posso essere libero di rifarmi alle opere, alla vita e ai miracoli di chi meglio ritengo?».
Mai in un’aula parlamentare era stato citato il  CUORE IMMACOLATO DI MARIA. Salvini ha avuto il coraggio di farlo, ispirato sicuramente dallo Spirito Santo. Onore a Matteo Salvini. Solo il  CUORE IMMACOLATO DI MARIA può salvare l’Italia dalla dittatura del pensiero unico e dalla dittatura dell’ideologia comunista – che ha prodotto Bibbiano, di cui non si può e non si deve parlare - che opprime questo Paese da 70 anni, che è stata protagonista di tutte le leggi anticristiche contro la vita e la famiglia approvate negli ultimi decenni.

Io, da cattolico, sto con Salvini e mi prendo la responsabilità di dire ai cattolici, se amano l’Italia e se amano il  CUORE IMMACOLATO DI MARIA, di stargli accanto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Rimaniamo uniti spiritualmente, cari amici.  Continuiamo insieme a pregare e non smettiamo di recitare insieme il Rosario, giorno e notte, per proteggere l’azione politica di Matteo Salvini, politico e credente e finchè non sarà data al popolo italiano la possibilità di esprimersi con il loro voto. Ci sarà da combattere, ora e da soffrire, ma con gioia. L’Italia sarà liberata.

Lo scontro in atto non è terreno. E' di natura soprannaturale. E' tra Dio e mammona. E' tra Maria e il serpente. Il Cuore Immacolato di Maria, trionferà. 

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- Danilo Quinto -

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Se volete aderire a questa  catena di Rosari giorno e notte per liberare e salvare l’Italia, scrivete a pasqualedanilo.quinto@gmail.com o visitate la mia pagina Facebook ( www.facebook.com/pasqualedaniloquinto/) o il sito di Crux Fidelis ( www.cruxfidelis.it).

Santa Giornata, amici. Ave Maria, Danilo Quinto

P.S. Dio o mammona è il titolo del mio ultimo libro. Se volete acquistarlo scrivete a  pasqualedanilo.quinto@gmail.com

AMDG et DVM

lunedì 10 agosto 2015

mercoledì 16 luglio 2014

Celibato sacerdotale

Celibato sacerdotale
Fondato da Cristo: 
replica di uno storico a Gennari sul gran tema del celibato sacerdotale



Vista la situazione, ripubblichiamo un chiarissimo articolo del prof. de Mattei Roberto 

(Roberto de Mattei su “Il Foglio” del 07/04/2011) Gianni Gennari, collaboratore regolare del quotidiano dei vescovi “Avvenire”, ha affrontato, su “Il Foglio” del 2 aprile, il tema forte del celibato ecclesiastico, riproponendone (non è la prima volta) la modifica o l’abolizione.  La tesi di Gennari è che la legge sul celibato dei preti non risale a Gesù Cristo e non è materia di fede, e perciò non può considerarsi intoccabile. Insorgendo contro un recente articolo del cardinale Mauro Piacenza, apparso in prima pagina sul ’”Osservatore Romano” (Questione di radicalità evangelica, , 23 marzo 2011), il corsivista di “Avvenire” arriva a definire la difesa del celibato fatta dal card. Piacenza come “dottrinalmente infondata”, “sottilmente violenta” e, addirittura, offensiva di “duemila anni di storia della Chiesa cattolica”.



Ma ciò che ancor più lo irrita è il cambiamento in materia del cardinale Ratzinger che, nel 1970 condivise un manifesto teologico che chiedeva di ripensare il legame tra sacerdozio e celibato, mentre oggi, come Benedetto XVI, ribadisce che il celibato ecclesiastico deve essere considerato un “valore sacro” per i sacerdoti di rito latino.

Gennari conclude il suo articolo auspicando che di fronte a nuove situazioni e nuove urgenze, “il Papa possa tornare a certe convinzioni manifestate apertamente dal teologo”, anche perché ormai “esistono le condizioni per una prudente prassi diversa” e “nelle opinioni e nelle decisioni dei Papi possono verificarsi veri cambiamenti”. Gennari tiene infine a sottolineare che la sua richiesta del matrimonio dei preti è ben distinta da quella dell’ordinazione sacerdotale delle donne, sulla quale c’è stata anche di recente “la riaffermazione della prassi contraria, legata al fatto che la coscienza della Chiesa, interpretata al livello della massima autorità, non è tale da permettere di superare la disciplina attuale fondata sull’esempio di Cristo stesso e di duemila anni di storia continua”.
E’ da qui che occorre partire: dall’idea di Gennari secondo cui nella Chiesa verità e leggi possano evolvere secondo l’esperienza religiosa (prassi) del popolo cristiano. A questa concezione evoluzionistica si oppone la dottrina della Chiesa, secondo cui esiste un depositum fidei, contenuto nella Tradizione cattolica, che la Chiesa può esplicitare, ma mai innovare. Gesù infatti non mise per scritto il suo insegnamento, ma lo affidò alla sua Parola, che poi trasmise agli Apostoli perché la diffondessero ad ogni angolo della terra. Il deposito della Fede fu conservato soprattutto nella Tradizione orale della Chiesa, che precedette le Sacre Scritture e contiene elementi che nelle Scritture non risultano. Il fatto che il Papa sia vescovo di Roma o che sette siano i Sacramenti non discende, ad esempio dalla Scrittura, ma dalla Tradizione, che è infallibilmente assistita dallo Spirito Santo. La questione che allora si pone è se la legge del celibato ecclesiastico, oltre ad essere una plurisecolare prassi ecclesiastica, discenda o no dalla Tradizione divino-apostolica della Chiesa.
Soccorrono su questo punto alcuni importanti studi sull’origine del celibato ecclesiastico. Il primo, più volte ristampato dalla Libreria Editrice Vaticana, è il saggio del cardinale Alfons Maria Stickler, Il celibato ecclesiastico. La sua storia e i suoi fondamenti teologici; il secondo, meno noto, ma non meno importante, è quello del padre Christian Cochini, appena tradotto in lingua italiana dalla casa editrice Nova Millennium Romae, con il titolo Origini apostoliche del celibato sacerdotale. Tali opere ribaltano la vecchia tesi del padre Franz Xaver Funck, un gesuita aperto alle suggestioni del modernismo, che agli inizi del Novecento, riteneva di confutare il grande orientalista Gustav Bickell. Mentre Bickell sosteneva il fondamento divino-apostolico della legge del celibato, Funck la considerava una prassi ecclesiastica emersa non prima del IV secolo, ovvero una legge di carattere storico (e perciò riformabile). Cochini dimostra che Funck non fece buon uso del metodo storico-critico, prendendo per buono un documento spurio in cui il vescovo-monaco Pafnuzio, nel corso del Concilio di Nicea (325) avrebbe contestato aspramente la continenza per i preti sposati. Oggi è provato che tale testo fu elaborato probabilmente all’interno della setta dei Novaziani. Stickler, da parte sua, sottolinea l’errore ermeneutico di chi, sulla scia di Funck, ha confuso i concetti di ius (diritto) e di lex (legge).
Il fatto che prima del IV secolo mancasse una legge scritta, non significa che non esistesse una norma giuridica obbligatoria che imponesse la continenza del clero. Quando Papa Siricio, negli anni 385-386, con le decretali “Directa” e “Cum in unum”, formalizzò per la prima volta una disciplina per chierici, stabilendo che vescovi, sacerdoti e diaconi erano tenuti, senza eccezioni, a vivere permanentemente nella continenza, egli non introdusse una nuova dottrina, ma codificò una Tradizione, vissuta nella Chiesa fin dalle origini. Il progresso teologico consiste proprio in questo: nello sviluppo della conoscenza di un precetto tradizionale, in questo caso il celibato ecclesiastico, che può meglio essere spiegato in estensione, chiarezza e certezza. A ciò conducono le edizioni critiche e i nuovi documenti di lavoro sui primi secoli di cui oggi dispongono gli studiosi.
L’unico argomento che viene addotto da Gennari contro questa tesi ruota attorno ad un sofisma sempre confutato e sempre ripetuto: il fatto cioè, in apparente contraddizione con la tradizione apostolica, che a partire dagli Apostoli stessi, i primi cristiani fossero sposati. Ciò che è in questione però non è l’ordinazione di uomini sposati nei primi secoli del cristianesimo. Sappiamo che ciò era cosa normale, se san Paolo prescrive ai suoi discepoli Tito e Timoteo che i candidati al sacerdozio dovevano essere stati sposati solo una volta (1 Tm 3,2; 3, 12). La questione centrale è quella della continenza da ogni uso del matrimonio, dopo l’ordinazione sacerdotale. Non bisogna confondere infatti lo stato di matrimonio con l’uso dello stesso. Il matrimonio è un’istituzione di carattere giuridico morale, elevata dalla Chiesa a sacramento, il cui fine è la propagazione del genere umano. L’uso del matrimonio è invece l’unione fisica di due sposi, diretta alla generazione. A questo diritto, si può liberamente rinunciare, pur rimanendo sposati. E’ quanto facevano i primi cristiani i quali, pur rimanendo giuridicamente sposati, decidevano di non usare del matrimonio, cioè di vivere da celibi all’interno dello stato matrimoniale. La parola celibe, in questo senso, non indica uno status, ma la scelta di astenersi per sempre dai piaceri sessuali. Nei primi secoli fu riconosciuto al clero la possibilità di vivere nello stato matrimoniale, ma non il diritto di usare del matrimonio. Ciò che fu dall’inizio obbligatorio, non fu lo stato di celibe, ma la continenza, ovvero l’astensione dall’atto generativo.
Nei primi secoli della Chiesa, l’accesso agli ordini sacri era aperto agli sposati, a condizione che essi, col consenso della moglie, rinunciassero all’uso del matrimonio e praticassero una vita di continenza. La prescrizione apostolica della continenza ebbe il suo logico sviluppo nelle leggi che imposero progressivamente ai sacerdoti lo stato celibatario. La lunga serie degli interventi papali ebbe il suo coronamento nel Concilio Lateranense I, convocato da Callisto II (1123), nel quale fu promulgata la legge non solo della proibizione, ma della invalidità del matrimonio per chi aveva ricevuto gli ordini sacri. Nel primo millennio, le chiese orientali non conobbero questo sviluppo dogmatico-disciplinare e rimasero come eccezione alla regola latina. In seguito, nelle chiese orientali scismatiche, l’antica disciplina celibataria si allargò sempre di più, mentre la maggior parte delle Chiese orientali rimaste unite o ritornate all’unione con Roma, ha finito per accettare la disciplina dell’Occidente, anche se per alcuni cattolici, come i Maroniti e gli Armeni, Roma tollera che seguano l’antico costume greco: il fatto stesso però che, in Oriente, i sacerdoti non possono sposarsi dopo l’ordinazione e soltanto i sacerdoti celibi sono ordinati vescovi, significa che l’uso del matrimonio per chi lo avesse contratto precedentemente alla ordinazione, è una pratica tollerata, ma non certo posta a modello.
Del resto, gli attacchi al celibato accompagnano da sempre la storia della Chiesa Nel 1941, ad esempio, fu messo all’Indice un libro curato dal teologo protestante Hermann Mulert, Der Katholizismus der Zukunft (Lipsia 1940), in cui si reclamava, come chiede Gennari, la possibilità di inserire il celibato ecclesiastico come facoltativo. Ma non c’è da illudersi su questo punto: se cade la legge del celibato, cade con essa il sacerdozio celibatario e si apre la strada all’istituzionalizzazione del matrimonio ecclesiastico. Né serve ripetere che la castità è impossibile, visto che il Concilio di Trento ha condannato chi lo afferma (sess. XXIX, can- 9).
E’ vero però che ad una vita di perfetta continenza l’uomo non può giungere con le sole sue forze, ragione per cui Dio non l’ha comandato, ma solo consigliato. Chi liberamente sceglie di seguire questo consiglio evangelico, trova non in sé stesso, ma in Dio, la forza per essere coerente con la propria scelta. Il celibato resta, certo, un sacrificio e questo, ha osservato il padre Cornelio Fabro, “sta o cade con il carattere della Chiesa cattolica come l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo”. Il prete cattolico, infatti, può e vuole sacrificarsi soltanto per una causa assoluta. Ma oggi l’unicità della Chiesa romana come vera Chiesa è messa in discussione e il concetto di sacrificio è abbandonato, in nome della ricerca del piacere ad ogni costo. La vocazione sacerdotale esige inoltre la donazione totale e l’esclusivo orientamento di ogni preoccupazione a Dio e alle anime, il che è incompatibile con la divisione del cuore che è propria a chi è preso dalle cure familiari.
Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, ha affermato che la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione “nel legame che il celibato ha con l’ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa” (n. 29). Sviluppando il Magistero pontificio, nei suoi articoli sull’“Osservatore Romano” e nel suo recente volume Il sigillo. Cristo fonte dell’identita del prete (Cantagalli Siena 2010), il cardinale Piacenza ribadisce che la radice teologica del celibato è da rintracciare nella nuova identità che viene donata a colui che è insignito del Sacramento dell’Ordine. Il problema di fondo è dunque quel ruolo del sacerdote nella società postmoderna che il nuovo Prefetto della Congregazione per il Clero rilancia con forza. La richiesta dell’abolizione del celibato si inserisce in un contesto di secolarizzazione considerato irreversibile, malgrado le lezioni in senso contrario della storia.
Secolarizzazione significa perdita del concetto di sacro e di sacrificio e assunzione della “mondanità” come valore, Ma la modernizzazione della Chiesa ha portato oggi alla sua “sessualizzazione”. La purezza però è una virtù che spinge chi la pratica verso il cielo, mentre la sessualità inchioda le tendenze umane alla terra. Molti sacerdoti reclamano il piacere come un diritto e, se non lo ottengono ufficialmente, lo esercitano nella semi-clandestinità, talvolta sotto gli occhi benevolmente complici dei loro vescovi. Il cammino è esattamente contrario a quello percorso dai primi cristiani. Allora accadeva che gli uomini sposati scegliessero di abbracciare, con il sacerdozio, una vita di assoluta castità. Oggi succede che sacerdoti che hanno consacrato la loro vita al Signore reclamino di poter godere dei piaceri del mondo. Ciò non è nuovo nella Chiesa, che ha vissuto come una piaga il concubinato dei preti, cioè il fatto che essi vivessero abitualmente more uxorio, come accadeva quando san Pier Damiani scrisse l’infuocato Liber Ghomorranus.
La via da seguire, ancora oggi, è quella, indicata da Benedetto XVI, di una profonda riforma morale, analoga alla rinascita gregoriana dell’XI secolo. E se si volessero riassumere le ragioni in difesa del celibato dei preti, diremmo in primo luogo che non si tratta di una legge ecclesiastica, ma della volontà stessa di Cristo, trasmessa attraverso gli apostoli alla Chiesa; in secondo luogo che il mondo ha bisogno di sacerdoti i quali non assecondino la loro pur sofferta umanità, ma la vincano, rispecchiando Cristo e ponendosi come modello e guida alle anime, oggi più che mai assetate di assoluto. (Roberto de Mattei)


giovedì 12 dicembre 2013

Danilo Quinto e la storia più recente

Scalfari, la cultura comunista e il berlusconismo

Scalfari(di  (Danilo Quinto) Dopo essere stato sconfessato ‒ seppur con ritardo ‒ in merito all’intervista a pF, rimossa nei giorni scorsi dal sito ufficiale del Vaticano, Eugenio Scalfari è tornato ad occuparsi della politica italiana. In uno dei suoi più recenti editoriali della domenica ‒ sempre da non perdere ‒ il fondatore de “La Repubblica” si chiede: «Che accadrà di tutti noi senza più il caimano?».

Ha paragonato Berlusconi al diavolo, ha rivendicato il dissenso nei suoi confronti e nei confronti del berlusconismo come «asset» del suo giornale fin dal 1987 ‒ molti non se ne erano accorti fino ad ora ‒ «quando apparve chiaro il connubio di affari tra lui, i dorotei della Dc e soprattutto i socialisti di Craxi», ha ricordato lo scontro con la Mondadori dell’’89 (la guerra di Segrate, l’ha chiamata) e la nascita di Forza Italia come «fenomeno devastante della vita pubblica italiana».

Dopo vent’anni, dice Scalfari, «Berlusconi è fuori gioco», ma «è ancora in forze nel Paese, il berlusconismo», che paragona al fascismo. «Ricordo a chi l’avesse dimenticato ‒ scrive Scalfari ‒ la polemica non solo politica, ma culturale che si ebbe nel 1945 tra Benedetto Croce e Ferruccio Parri sul fascismo. Croce sosteneva che la dittatura di Mussolini era stato un deplorevole incidente di percorso della nostra storia, che aveva certamente avuto conseguenze terribili, ma non si era mai verificato prima, sicché una volta terminato dopo una guerra perduta e un paese pieno di rovine, il corso della nostra storia sarebbe ripreso e la libertà avrebbe di nuovo avuto la sua pienezza».

Scalfari si schiera con Parri e afferma: «Demagogia, qualunquismo, assenza di senso dello Stato sono altrettanti elementi che restano nascosti per lungo tempo, ma non scompaiono dall’animo di molti e di tanto in tanto emergono in superficie. Un fiume carsico che crea situazioni diverse tra loro, ma legate da profonde analogie che hanno reso tardiva la nostra unità nazionale e fragile la nostra democrazia».

Le parole di Scalfari sono la dimostrazione più coerente dell’odio che la sinistra italiana ha manifestato nei confronti del “nemico” Berlusconi, al quale va ascritto il merito storico di aver impedito che la cultura comunista trionfasse nel Paese, dopo la discesa in campo manu militari dei giudici, che agli inizi degli anni ’90 spazzarono via tutti i partiti della Prima Repubblica, tranne ‒ appunto ‒ il Partito Comunista. È questo che non gli hanno mai perdonato. Per questo, l’accanimento nei suoi confronti ha raggiunto livelli storicamente mai visti prima in Italia, con l’unica eccezione ‒ appunto ‒ di Piazzale Loreto.

Quell’accanimento, non è terminato con la decadenza votata dal Senato alla fine di novembre e c’è da prevedere che nelle prossime settimane si accentuerà e si doterà di tutte le armi a disposizione. Coinvolgerà anche i milioni di italiani che nel corso di questi anni hanno dato il loro consenso alle liste di Berlusconi e che ancora oggi ‒ lo attestano tutti i sondaggi, a cominciare da quello che ogni settimana divulga l’Osservatorio Demos, di Ilvo Diamanti ‒ sono disponibili a votarlo, nonostante il disprezzo che molti nutrono nei loro confronti.

A testimonianza del fatto che l’Italia, nella sua maggioranza, intende ancora esprimere una speranza di libertà dall’egemonia culturale della sinistra, che dalla Rivoluzione del ’68 in poi, è entrata con una forza dirompente e distruttiva nella scuola e nell’Università e quindi nella società. Il “berlusconismo” di cui si duole Scalfari in fondo è proprio questo e sta a Berlusconi comprendere ‒ ne ha ancora la possibilità ‒ che gli errori di convenienza e di opportunismo del passato, devono lasciare spazio solo alla politica, intesa nella sua accezione più nobile e più alta. (Danilo Quinto)