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giovedì 15 dicembre 2016

Francia: Cattolici ringiovaniti. In rito antico.

Francia: Cattolici ringiovaniti. In rito antico.

Leggiamo su Blondet & Friends.

“Aiuto, torna Gesù!”, titolava  giorni fa Libération, il quotidiano della gauche (editore Rotschild, naturalmente), sentinella sempre attenta ai possibili  disturbi dello status quo. Nessun pericolo in realtà: in Francia i cattolici sono, come sempre, il 5 per cento della popolazione, una minoranza assoluta. La novità è che hanno abbandonato i socialisti e la sinistra, di cui erano i satelliti obbedienti, ed hanno determinato la vittoria alle primarie di François Fillon.
Il candidato di centro destra, filorusso, ha dichiarato che “la famiglia deve essere al centro delle politiche pubbliche”; Hollande ha deliberatamente e sistematicamente smantellato le notevoli (ed efficaci) misure di sostegno alla natalità e alla famiglia: ridotta di un terzo  la durata del congedo maternità, sostanziale cancellazione di una maggiorazione di pensione per le donne che hanno allevato tre figli o più, rincaro delle mense scolastiche per famiglie numerose, tagli al sostegno all’affitto per tali famiglie, abbassamento del tetto per il quoziente familiare…”. Risultato: 19 mila nascite in meno nel 2015”, denuncia Ludovine de la Rochère.

lunedì 2 maggio 2016

LA FAMIGLIA E' LA CULLA della nascita e dello sviluppo di una nuova vita

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ES IT ]

RADIOMESSAGGIO DI 
SUA SANTITÀ PIO XII 

IN OCCASIONE DELLA
«GIORNATA DELLA FAMIGLIA»
Domenica, 23 marzo 1952


La famiglia è la culla della nascita e dello sviluppo di una nuova vita, la quale, affinché non perisca, ha bisogno di essere curata ed educata: diritto, questo, e dovere fondamentale dato e imposto immediatamente da Dio ai genitori. Contenuto e scopo dell’educazione nell’ordine naturale è lo sviluppo del bambino per divenire un uomo completo: contenuto e scopo dell’educazione cristiana è la formazione del nuovo essere umano, rinato nel battesimo, a perfetto cristiano. Tale obbligo, che fu sempre costume e vanto delle famiglie cristiane, è solennemente sancito dal canone 1113 del Codice di diritto canonico, che suona così: «Parentes gravissima obligatione tenentur prolis educationem tum religiosam et moralem, tum physicam et civilem pro viribus curandi, et etiam temporali eorum bono providenti ». « I genitori hanno il gravissimo obbligo di curare con tutte le loro forze l’educazione, così religiosa e morale, come fisica e civile, dei loro figli, e di provvedere anche al loro benessere temporale ».

Le questioni più urgenti di così vasto argomento sono state chiarite in diverse occasioni dai Nostri Predecessori e da Noi stessi. Pertanto Ci proponiamo ora non di ripetere quel che è già stato ampiamente esposto, ma piuttosto di richiamare l’attenzione sopra un elemento, che, pur essendo la base e il fulcro dell’educazione, specialmente cristiana, sembra invece ad alcuni, a prima vista, quasi estraneo ad essa. Vorremmo cioè parlare di ciò che vi è di più profondo ed intrinseco nell’uomo: la sua coscienza. Vi siamo indotti dal fatto che alcune correnti del pensiero moderno cominciano ad alterarne il concetto e ad impugnarne il valore. Tratteremo dunque della coscienza in quanto oggetto della educazione.
La coscienza è come il nucleo più intimo e segreto dell’uomo. Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio — della cui voce la coscienza risuona — e con se stesso. Là egli si determina per il bene o per il male; là egli sceglie fra la strada della vittoria e quella della disfatta. Quando anche volesse, l’uomo non riuscirebbe mai a togliersela di dosso; con essa, o che approvi o che condanni, percorrerà tutto il cammino della vita, ed egualmente con essa, testimone veritiero ed incorruttibile, si presenterà al giudizio di Dio. La coscienza è quindi, per dirla con una immagine tanto antica quanto degna, un άδυτον un santuario, sulla cui soglia tutti debbono arrestarsi; anche, se si tratta di un fanciullo, il padre e la madre. Solo il sacerdote vi entra come curatore di anime e come ministro del Sacramento della penitenza; né per questo la coscienza cessa di essere un geloso santuario, di cui Dio stesso vuole custodita la segretezza col sigillo del più sacro silenzio.
In che senso dunque si può parlare della educazione della coscienza?

ESSENZA DELLA COSCIENZA CRISTIANA

Occorre rifarsi ad alcuni concetti fondamentali della dottrina cattolica per ben comprendere che la coscienza può e deve essere educata.
Il divin Salvatore ha arrecato all’uomo ignaro e debole la sua verità e la sua grazia: la verità per indicargli la via che conduce alla sua meta; la grazia per conferirgli la forza di poterla raggiungere.
Percorrere quel cammino significa, nella pratica, accettare il volere e i comandamenti di Cristo, e conformare ad essi la vita, cioè i singoli atti, interni ed esterni, che la libera volontà umana sceglie e fissa. Ora qual è la facoltà spirituale, che nei casi particolari addita alla volontà medesima, affinché scelga e determini, gli atti che sono conformi al volere divino, se non la coscienza? Essa è dunque eco fedele, nitido riflesso della norma divina delle umane azioni. Sicché le espressioni, quale «il giudizio della coscienza cristiana », o l’altra «giudicare secondo la coscienza cristiana », hanno questo significato: la norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla parola e dalla volontà di Cristo. Egli è infatti via, verità e vita, non solo per tutti gli uomini presi insieme, ma per ogni singolo [1]: è tale per l’uomo maturo, è tale per il fanciullo ed il giovane.
Da ciò consegue che formare la coscienza cristiana di un fanciullo o di un giovane consiste innanzi tutto nell’illuminare la loro mente circa la volontà di Cristo, la sua legge, la sua via, e inoltre nell’agire sul loro animo, per quanto ciò può farsi dal di fuori, affine di indurlo alla libera e costante esecuzione del divino volere. È questo il più alto impegno della educazione.

PRESUPPOSTI E FONTI DELLA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA

Ma dove troveranno l’educatore e l’educando, in concreto e con facilità e certezza, la legge morale cristiana? Nella legge del Creatore impressa nel cuore di ciascuno [2], e nella rivelazione, nel complesso, cioè, delle verità e dei precetti, insegnati dal divino Maestro. Ambedue, sia la legge scritta nel cuore, ossia la legge naturale, sia le verità e i precetti della rivelazione soprannaturale, il Redentore Gesù ha rimesso, come tesoro morale della umanità, nelle mani della sua Chiesa, affinché essa le predichi a tutte le creature, le illustri e le trasmetta, intatte e difese da ogni contaminazione ed errore, dall’una all’altra generazione.

ERRORI NELLA FORMAZIONE E NELLA EDUCAZIONE
DELLA COSCIENZA CRISTIANA –
PRETESA REVISIONE DELLE NORME MORALI

Contro questa dottrina, incontrastata per lunghi secoli, emergono ora difficoltà ed obiezioni che occorre chiarire.
Come della dottrina dommatica, così anche dell’ordinamento morale cattolico si vorrebbe istituire quasi una radicale revisione per dedurne una nuova valutazione.
Il passo primario, o per dir meglio il primo colpo all’edificio delle norme morali cristiane, dovrebbe essere quello di svincolarle — come si pretende — dalla sorveglianza angusta ed opprimente dell’autorità della Chiesa, cosicché, liberata dalle sottigliezze sofistiche del metodo casistico, la morale sia ricondotta alla sua forma originaria e rimessa semplicemente alla intelligenza e alla determinazione della coscienza individuale.
Ognuno vede a quali funeste conseguenze condurrebbe un tale sconvolgimento dei fondamenti stessi della educazione.
Omettendo di rilevare la manifesta imperizia e immaturità di giudizio di chi sostiene simili opinioni, gioverà mettere in evidenza il vizio centrale di questa «nuova morale ». Essa, nel rimettere ogni criterio etico alla coscienza individuale, chiusa gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue determinazioni, ben lungi dall’agevolarle il cammino, la distoglierebbe dalla via maestra che è Cristo.
 Il divin Redentore ha consegnato la sua Rivelazione, di cui fanno parte essenziale gli obblighi morali, non già ai singoli uomini, ma alla sua Chiesa, cui ha dato la missione di condurli ad abbracciare fedelmente quel sacro deposito.
Parimente la divina assistenza, ordinata a preservare la Rivelazione da errori e da deformazioni, è stata promessa alla Chiesa, e non agli individui. Sapiente provvidenza anche questa, poiché la Chiesa, organismo vivente, può così, con sicurezza ed agilità, sia illuminare ed approfondire le verità anche morali, sia applicarle, mantenendone intatta la sostanza, alle condizioni variabili dei luoghi e dei tempi. Si pensi, per esempio, alla dottrina sociale della Chiesa, che, sorta per rispondere a nuovi bisogni, non è in fondo che l’applicazione della perenne morale cristiana alle presenti circostanze economiche e sociali.
Come è dunque possibile conciliare la provvida disposizione del Salvatore, che commise alla Chiesa la tutela del patrimonio morale cristiano, con una sorta di autonomia individualistica della coscienza?
Questa, sottratta al suo clima naturale, non può produrre che venefici frutti, i quali si riconosceranno al solo paragonarli con alcune caratteristiche della tradizionale condotta e perfezione cristiana, la cui eccellenza è provata dalle incomparabili opere dei Santi.
La «morale nuova » afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei « siete obbligati », «non è lecito », che hanno troppo sapore di un’avvilente pedanteria.

I PRECETTI MORALI DELLA CHIESA PER LA EDUCAZIONE
 DELLA COSCIENZA NELLA VITA PERSONALE…

Ora invece la Chiesa vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a penetrarle profondamente.
La Chiesa però non può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro. Egli infatti ha insegnato che per entrare nel regno dei cieli non basta dire « Signore, Signore », ma deve farsi la volontà del Padre celeste [3]. Egli ha parlato della « porta stretta » e della « angusta via » che conduce alla vita [4], ed ha aggiunto: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non vi riusciranno » [5]. Egli ha posto come pietra di paragone e segno distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti [6]. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda « Quali? » risponde: « Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te stesso! ». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce [7]. Egli esige che l’uomo sia pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita [8]. Poiché Egli soggiunge: « A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare all’inferno » [9].
Così parlava Gesù Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, « bonitate et amore plenum » [10].
E l’Apostolo delle genti San Paolo ha forse predicato altrimenti? Col suo veemente accento di persuasione, svelando l’arcano fascino del mondo soprannaturale, egli ha dispiegato la grandezza e lo splendore della fede cristiana, le ricchezze, la potenza, la benedizione, la felicità in essa racchiuse, offrendole alle anime come degno oggetto della libertà del cristiano e meta irresistibile di puri slanci d’amore. Ma non è men vero che sono altrettanto suoi gli ammonimenti come questo: «Operate con timore e tremore la vostra salute » [11], e che dalla medesima sua penna sono scaturiti alti precetti morali, destinati a tutti i fedeli, siano essi di comune intelligenza, ovvero anime di elevata sensibilità. Prendendo dunque come stretta norma le parole di Cristo e dell’Apostolo, non si dovrebbe forse dire che la Chiesa di oggi è inclinata piuttosto alla condiscendenza che alla severità? Di guisa che l’accusa di durezza opprimente, dalla «nuova morale » mossa contro la Chiesa, in realtà va a colpire in primo luogo la stessa adorabile Persona di Cristo.
Consapevoli pertanto del diritto e del dovere della Sede Apostolica d’intervenire, quando bisogni, autorevolmente nelle questioni morali, Noi nel discorso del 29 ottobre del passato anno Ci proponemmo d’illuminare le coscienze intorno ai problemi della vita coniugale. Con la medesima autorità dichiariamo oggi agli educatori e alla stessa gioventù; il comandamento divino della purezza dell’anima e del corpo vale senza diminuzione anche per la gioventù odierna. Anch’essa ha l’obbligo morale e, con l’aiuto della grazia, la possibilità di conservarsi pura. Respingiamo quindi come erronea l’affermazione di coloro, che considerano inevitabili le cadute negli anni della pubertà, le quali così non meriterebbero che se ne faccia gran caso, quasi che non siano colpa grave, perché ordinariamente, essi aggiungono, la passione toglie la libertà necessaria, affinché un atto sia moralmente imputabile.
Al contrario, è norma doverosa e saggia che l’educatore, pur non trascurando di rappresentare ai giovani i nobili pregi della purezza, in guisa da avvincerli ad amarla e desiderarla per se stessa, inculchino tuttavia chiaramente il comandamento come tale, in tutta la sua gravità e serietà di ordinazione divina. Egli così spronerà i giovani ad evitare le occasioni prossime, li conforterà nella lotta, di cui non nasconderà loro la durezza, li indurrà ad abbracciare coraggiosamente quei sacrifici che la virtù esige, e li esorterà a perseverare e a non cadere nel pericolo di deporre le armi fin dal principio e di soccombere senza resistenza alle perverse abitudini.

.… E NELLA VITA PUBBLICA

Anche più che nel campo della condotta privata, vi sono oggi molti che vorrebbero escludere il dominio della legge morale dalla vita pubblica, economica e sociale, dall’azione dei pubblici poteri nell’interno e all’esterno, nella pace e nella guerra, come se qui Dio non avesse nulla da dire, almeno di definito.
L’emancipazione delle attività umane esterne, come le scienze, la politica, l’arte, dalla morale viene talora motivata in sede filosofica dall’autonomia che ad esse compete, nel loro campo, di governarsi esclusivamente secondo leggi proprie, benché si ammetta che queste collimano d’ordinario con quelle morali. E si reca ad esempio l’arte, alla quale si nega non solo ogni dipendenza, ma anche ogni rapporto con la morale, dicendo: l’arte è solo arte, e non morale né altra cosa, da reggersi quindi con le sole leggi della estetica, le quali peraltro, se sono veramente tali, non si piegheranno a servire la concupiscenza. In simile maniera si discorre della politica e della economia, che non hanno bisogno di prendere consiglio da altre scienze, e quindi dall’etica, ma, guidate dalle loro vere leggi, sono per ciò stesso buone e giuste.
È, come si vede, un sottile modo di sottrarre le coscienze all’imperio delle leggi morali. In verità, non si può negare che tali autonomie siano giuste, in quanto esprimono il metodo proprio di ciascuna attività e i confini che separano le loro diverse forme in sede teorica; ma la separazione di metodo non deve significare che lo scienziato, l’artista, il politico siano liberi da sollecitudini morali nell’esercizio delle loro attività, specialmente se queste hanno immediati riflessi nel campo etico, come l’arte, la politica, la economia. La separazione netta e teorica non ha senso nella vita, che è sempre una sintesi, poiché il soggetto unico di ogni specie di attività è lo stesso uomo, i cui atti liberi e coscienti non possono sfuggire alla valutazione morale. Continuando a osservare il problema con sguardo ampio e pratico, che fa talora difetto a filosofi anche insigni, tali distinzioni ed autonomie sono volte dalla natura umana decaduta a rappresentare come leggi dell’arte, della politica o dell’economia ciò che invece riesce comodo alla concupiscenza, all’egoismo e alla cupidigia. Così l’autonomia teorica dalla morale diviene in pratica ribellione alla morale, e si spezza altresì quella armonia insita alle scienze e alle arti, che i filosofi di quella scuola acutamente riscontrano, ma dicono casuale, mentre è invece essenziale, se considerata dal soggetto, che è l’uomo, e dal suo Creatore, che è Dio.
Perciò i Nostri Predecessori e Noi stessi, nello scompiglio della guerra e nelle turbate vicende del dopoguerra, non abbiamo cessato d’insistere sul principio che l’ordine voluto da Dio abbraccia la vita intera, non esclusa la vita pubblica in ogni sua manifestazione, persuasi che in ciò non vi è alcuna restrizione della vera libertà umana, né alcuna intromissione nella competenza dello Stato, ma una assicurazione contro errori ed abusi, dai quali la morale cristiana, se rettamente applicata, può proteggere. Queste verità debbono essere insegnate ai giovani e inculcate nelle loro coscienze da chi, nella famiglia o nella scuola, ha l’obbligo di attendere alla loro educazione, ponendo così il seme di un avvenire migliore.

ESORTAZIONE FINALE

Ecco quanto intendevamo oggi di dirvi, diletti figli e figlie che Ci ascoltate, e nel dirvelo non abbiamo nascosto l’ansia che Ci stringe il cuore per questo formidabile problema, che tocca il presente e l’avvenire del mondo e l’eterno destino di tante anime. Quanto conforto Ci darebbe d’essere certi che voi condividete questa Nostra ansia per la cristiana educazione della gioventù! Educate le coscienze dei vostri fanciulli con tenace e perseverante cura. Educatele al timore, come all’amore di Dio. Educatele alla veracità. Ma siate veraci per primi voi stessi, e bandite dall’opera educativa quanto non è schietto né vero. Imprimete nelle coscienze dei giovani il genuino concetto della libertà, della vera libertà, degna e propria di una creatura fatta ad immagine di Dio. E ben altra cosa che dissoluzione e sfrenatezza; è invece provata idoneità al bene; e quel risolversi da sé a volerlo e a compierlo [12]; è la padronanza sulle proprie facoltà, sugl’istinti, sugli avvenimenti. Educateli a pregare e ad attingere dalle fonti della Penitenza e della Ss.ma Eucaristia ciò che la natura non può dare: la forza di non cadere, la forza di risorgere. Sentano già da giovani che senza l’aiuto di queste energie soprannaturali essi non riuscirebbero ad essere né buoni cristiani, né semplicemente uomini onesti, cui sia retaggio un vivere sereno. Ma così preparati, potranno aspirare anche all’ottimo, potranno darsi cioè a quel grande impiego di sé, il cui adempimento sarà il loro vanto: attuare Cristo nella loro vita.
A conseguire questo scopo Noi esortiamo tutti i Nostri diletti figli e figlie della grande famiglia umana ad essere fra di loro strettamente uniti: uniti per la difesa della verità, per la diffusione del regno di Cristo sulla terra. Si bandisca ogni divisione, si rimuova ogni dissenso; si sacrifichi generosamente — costi quel che costi — a questo bene superiore, a questo supremo ideale, ogni veduta particolare, ogni preferenza soggettiva; « se mala cupidigia altro vi grida », la vostra coscienza cristiana vinca ogni prova, sicché il nemico di Dio « tra voi di voi non rida » [13]. Il vigore della sana educazione si riveli nella sua fecondità in tutti i popoli, i quali tremano per l’avvenire della loro gioventù. Così il Signore riverserà su di voi e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle sue grazie, in pegno delle quali v’impartiamo con paterno affetto l’Apostolica Benedizione.

A.A.S., vol. XXXXIV (1952), n. 5 - 6, pp. 270 - 278.
[1] Cf. Io., 14, 6.
[2] Cf. Rom., 2, 14-16.
[3] Cf. Matth., 7, 21.
[4] Cf. Matth., 7, 13-14.
[5Luc., 13, 24.
[6] Io., 14, 21, 24.
[7] Cf. Luc., 9, 23.
[8] Cf. Matth., 10, 37-39.
[9Luc., 12, 4-5.
[10] Lit. de sacr. Corde Iesu.
[11Phil., 2, 12
[12] Cf. Gal., 5,13.
[13Par., 5, 79, 81.

sabato 9 aprile 2016

FAMILIARIS CONSORTIO


ESORTAZIONE APOSTOLICA

DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO ED AI FEDELI
DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I COMPITI
DELLA FAMIGLIA CRISTIANA
NEL MONDO DI OGGI

.......
e) I divorziati risposati

84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.

Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.

La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).

Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.

Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.

I senza-famiglia

85. Ancora una parola desidero aggiungere per una categoria di persone che, per la concreta condizione in cui si trovano a vivere - e spesso non per loro deliberata volontà - io considero particolarmente vicine al Cuore di Cristo e degne dell'affetto della sollecitudine fattiva della Chiesa e dei pastori.

Esistono al mondo moltissime persone le quali, disgraziatamente, non possono riferirsi in alcun modo a ciò che si potrebbe definire in senso proprio una famiglia. Grandi settori dell'umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l'irregolarità ed instabilità dei rapporti, l'estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia».

In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell'urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione. E' un compito che incombe, solidarmente, all'intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.

A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).

domenica 25 ottobre 2015

“Gli attacchi contro il matrimonio e la famiglia provengono da un mondo ateo e neo-comunista”

Il Vescovo Athanasius Schneider dichiara: “Gli attacchi contro il matrimonio e la famiglia provengono da un mondo ateo e neo-comunista”

Siamo onorati di presentare ai nostri lettori due sermoni di Sua Eccellenza il Vescovo Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakhstan e vescovo titolare di Celerina. Lo scorso fine settimana il Vescovo Schneider si è recato negli Stati Uniti per presiedere a eventi e a ordinazioni sacerdotali per i Canonici Regolari della Nuova Gerusalemme. Vi preghiamo di leggere i testi dei suoi due vigorosi e puntuali sermoni pubblicati qui sotto.  
La famiglia – Chiesa domestica, Front Royal, Virginia
Miei cari fratelli e sorelle in Cristo! 
Viviamo un un’epoca in cui una delle creazioni più belle da parte di Dio, vale a dire quella del matrimonio e della famiglia, si trova sotto un attacco massiccio da parte dei nuovi atei, della dittatura ideologica mondiale neo-comunista che si è appropriata della quasi totalità del potere politico e mediatico. Tuttavia, è enigmatico scoprire persino nei ranghi del clero, ai nostri giorni, dei collaboratori in quest’opera di attacco generale contro il matrimonio e la famiglia. La famiglia cristiana si trova di fronte a un nuovo Golia.

Ma è proprio in questo momento che siamo chiamati ad essere fedeli all’immutabile verità della nostra fede cattolica ed apostolica che i nostri padri e i nostri avi ci hanno trasmesso. Abbiamo l’opportunità di essere coraggiosi testimoni della divina verità e della bellezza del matrimonio e della famiglia. Per questo fine abbiamo ricevuto i doni dello Spirito Santo, in particolar modo nel sacramento della confermazione. Per duemila anni, questa virtù ha dotato i fedeli della capacità di preferire la morte al tradimento dei voti battesimali, al peccato, al tradimento dei voti matrimoniali, al tradimento dei voti sacerdotali o religiosi.

Nella sua Enciclica sul Matrimonio e la Famiglia, Papa Leone XIII affermò già nel 1880: “La legge della Chiesa è stata in alcune epoche così diversa dalla legge civile che Ignazio martire (Polic., 5), Giustino (Apoll. 1, 15), Atenagora (Legat., 32, 33) e Tertulliano (Coron, 13) denunciarono pubblicamente come ingiusti e adulteri dei matrimoni che erano stati sanciti dalle leggi imperiali” (Arcanum Divinae, n. 21).

La famiglia e l’intera società umana fioriranno solamente a condizione che la divina verità sul matrimonio e la famiglia venga osservata, come ha insegnato Papa Leone XIII: “Sin dall’inizio del mondo, infatti, è stato stabilito da Dio che le cose istituite da Lui e dalla natura devono essere sperimentate da noi come le più vantaggiose e salutari, tanto più quando esse rimangono immutate nella loro piena integrità. […] Se l’impulsività o la malvagità del comportamento umano si azzardano a cambiare o a perturbare l’ordine delle cose che è stato costituito con perfetta previdenza, i disegni di infinita saggezza e utilità allora o cominceranno a diventare dannosi o cesseranno di essere vantaggiosi, in parte perché a causa del cambiamento che hanno subìto avranno perso il loro potere di apportare benefìci, in parte perché Dio sceglierà di infliggere punizioni all’orgoglio e alla sfrontatezza dell’uomo. Ora, quanti negano che il matrimonio sia santo e lo relegano, spogliato di ogni santità, alla categoria di cosa secolare e comune, sradicano in questo modo i fondamenti della natura, non solo opponendosi ai disegni della Provvidenza ma distruggendo anche – nella misura in cui sono in grado di farlo – l’ordine che Dio ha stabilito. Nessuno si dovrebbe pertanto meravigliare se da queste minacce insane ed empie dovesse sorgere una serie di mali perniciosi fino al grado più estremo, tanto per la salvezza delle anime come per quella della società” (Arcanum Divinae, 25).

“Si dice che gli antichi romani siano rimasti inorriditi dal primo esempio di divorzio, ma ben presto tutto il loro senso della decenza cominciò a svanire; il debole freno alle passioni venne rimosso e il voto del matrimonio venne infranto così spesso che sembra credibile quanto alcuni scrittori hanno affermato, vale a dire che le donne tenevano il computo degli anni non in base al numero degli anni in carica dei consoli, ma a quello dei loro mariti” (Arcanum Divinae, 30).

Ai nostri giorni vi sono famiglie, giovani, sacerdoti e vescovi che sono spesso emarginati, ridicolizzati e perseguitati dal potere dittatoriale dell’ideologia del genere del neo-marxismo mondiale, per il fatto di rimanere fedeli ai comandamenti divini. Tuttavia vi sono anche famiglie, giovani, sacerdoti e vescovi che vengono emarginati e ridicolizzati persino in alcuni ambienti ecclesiastici a causa della loro fedeltà all’integrità della fede cattolica e del culto divino secondo la tradizione dei nostri avi.

Per rimanere fedele alla sua vocazione, la famiglia cattolica deve praticare specialmente la preghiera giornaliera. Papa Pio XII disse alle coppie recentemente sposate:
“Vi chiediamo di tenere a cuore questa bella tradizione delle famiglie cattoliche: la preghiera comune della sera. Le famiglie si riuniscono alla fine di ogni giorno per implorare le benedizioni divine e per onorare la Vergine Immacolata per mezzo della preghiera del rosario per tutti quelli che dormono sotto lo stesso tetto. Le dure e inesorabili esigenze della vita moderna non vi concedono il privilegio di poter dedicare dei momenti devoti di gratitudine a Dio, o di poter leggere – secondo un’antica pratica – una breve biografia del santo che la Chiesa ci propone ogni giorno come modello e come protettore speciale. Sforzatevi di santificare questo pur breve momento della giornata dedicandolo a Dio, per lodarLo e per presentarGli i vostri desideri, le vostre necessità, le vostre sofferenze e le vostre occupazioni. Il centro della vostra casa dev’essere il Crocifisso o l’immagine del Sacro Cuore di Gesù: che Cristo regni sulla vostra casa e vi ruinisca intorno a Lui ogni giorno” (Discorso alle coppie recentemente sposate, 12 febbraio 1941).
Miei cari fratelli e sorelle, la famiglia cattolica ha una vocazione che ai giorni nostri è talvolta dimenticata. Si tratta della vocazione ad essere il primo seminario sacerdotale (cfr. Concilio Vaticano II, Optatam totius, n. 2). Papa Pio XII ammonì i genitori cattolici con queste parole:
“Se un giorno Dio vi concederà il grande onore di chiamare qualcuno dei vostri figli al Suo servizio, riconoscete il valore e il privilegio inerenti alle tante grazie che tale chiamata comporta. […] Voi ponete i fiori e i frutti del vostro matrimonio sull’altare, per vivere consacrati al Signore. […] Non vi lasciate intimorire dal dono della santa vocazione che è scesa dal cielo per posarsi sui vostri figli. Se voi credete, e se l’amore vi ha innalzato a nuovi livelli, non è un conforto e una gioia vedere vostro figlio sull’altare, vestito coi paramenti sacri, offrire il sacrificio della messa e pregare per sua madre e suo padre? Non è una grande consolazione, che fa palpitare d’amore il cuore di una madre per sua figlia, il vederla consacrata a Cristo, servirLo e amarLo con tutto il suo essere?” (Lettera alle coppie sposate, 25 marzo 1942).
Cari padri, care madri, cari nonni e nonne, dite: “Signore, se Tu vuoi, chiama uno dei miei figli, o dei miei nipoti, al sacerdozio”. Voi ragazzi e ragazze, che sentite nel vostro cuore la vocazione al matrimonio e a fondare una chiesa domestica, potete anche pregare così: “Signore, se Tu vuoi, chiama uno dei miei futuri figli al sacerdozio”. E qualcuno di voi, bambini e ragazzi, potrebbe dire, forse oggi stesso: “Signore, sono pronto a seguirti, se vuoi chiamarmi al sacerdozio”.

Che meravigliosa vocazione essere veri cattolici! Che meravigliosa vocazione combattere per l’integrità della fede e dei divini comandamenti! Che meravigliosa vocazione essere una famiglia cattolica, una chiesa domestica! Che meravigliosa vocazione essere casti ragazzi e caste ragazze! Che meravigliosa vocazione essere un seminarista e un sacerdote con un cuore puro e ardente!

Non vi lasciate spaventare dal Golia dei nostri giorni, che è la dittatura del nuovo mondo anti-cristiano. Il dono della fortezza dello Spirito Santo vi renderà capaci di sconfiggere il Golia dei nostri giorni con le cinque pietre della fionda di Davide.

O Santo Spirito, fai fiorire di nuovo molte chiese domestiche, che ci forniranno le cinque pietre di Davide per vincere Golia, vale a dire, buoni padri e buone madri di famiglia, figli puri, ragazzi puri, sacerdoti puri e vescovi intrepidi. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

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Ordinazione sacerdotale, 17 ottobre 2015, Charles Town

Cari candidati al sacerdozio, cari fratelli e sorelle in Cristo!

Il Nostro Signore Gesù Cristo ci ha concesso oggi la grande grazia di celebrare il sacramento della santa ordinazione sacerdotale. In questo sacramento si verifica un miracolo di onnipotenza e di amore divini. Tramite l’imposizione delle mani del vescovo, lo Spirito Santo discende nelle anime dei candidati e vi imprime un potere e una dignità che supera tutti i poteri di questo mondo e tutti gli onori umani. Questo potere e questa dignità è il sacerdozio di Cristo.

Gesù Cristo, Dio incarnato, è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. Non c’è altra via di salvezza all’infuori di Lui. Per mezzo del Suo sacrificio sulla Croce, Gesù ha offerto in una volta sola un atto d’adorazione, di ringraziamento, di espiazione, di propiziazione per i peccati e di impetrazione di infinito valore. Non esiste, nell’intero universo, nella storia intera e in tutta l’eternità alcun atto che possa essere più gradito e che possa rendere più onore al Dio Trino che il sacrificio della Croce. E questo atto di sacrificio di Gesù sulla Croce è l’unico vero atto sacerdotale nel senso pieno della parola.

Il sacerdozio di Cristo e il Suo sacrificio sulla Croce sono così grandi che non cesseranno mai. Gesù, l’eterno Sommo Sacerdote, è sempre vivo (cfr. Ebr 7, 25), e pertanto il Suo sacrificio redentore è sempre vivo e presente in tutti i momenti, in tutte le generazioni, in tutti i luoghi: “L’Agnello è ritto ed è vivo, anche se immolato” (Ap 5, 6). Il sacerdozio di Cristo non cesserà mai: esso è così grande che rimane per tutta l’eternità, poiché appartiene alla Seconda Persona della Santissima Trinità.

Nella Sua ineffabile saggezza e nel Suo immenso amore misericordioso, Gesù ha voluto condividere il Suo unico ed eterno sacerdozio con uomini deboli. E così Egli ha istituito durante l’ultima cena – quando ha offerto come il vero Melchisedek in modo sacramentale a Dio Padre il Suo corpo e il Suo sangue sotto le specie del pane e del vino (cfr. Sal 109, 4) – il sacramento dell’ordinazione sacerdotale. L’intera vita di un sacerdote cattolico ha pertanto il suo significato e la sua finalità nella celebrazione del sacrificio di Cristo per la glorificazione della maestà divina e per la salvezza del mondo e di tutte le anime.

Ogni battezzato partecipa del sacerdozio di Cristo, anche se in un modo generale o comune. Questo sacerdozio generale o comune si realizza principalmente nell’offerta della propria vita, delle proprie sofferenze e delle proprie petizioni in unione spirituale col sacrificio che il sacerdote ordinato come un “altro Cristo” (alter Christus) offre nella celebrazione della santa messa. Anche se entrambe derivano dall’unico sacerdozio di Cristo, le due realizzazioni del sacerdozio di Cristo differiscono l’una dall’altra. Secondo i piani della sapienza divina, queste due categorie di sacerdozio sono collegate l’una all’altra. Il sacerdozio comune trova una delle sue realizzazioni più nobili nel sacramento del matrimonio. Il sacerdozio comune è stato creato da Dio per far fondare e vivere la famiglia cristiana, la chiesa domestica (così si esprimeva già Sant’Agostino, cfr. De bono viduitatis e il Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11). La famiglia come chiesa domestica è da parte sua il primo seminario, secondo l’insegnamento del Magistero (cfr. Vaticano II, Optatam totius, 2).

Uno dei frutti più belli che una famiglia cristiana, una chiesa domestica, possa offrire a Dio, consiste nel darGli un figlio come sacerdote. Possiamo dire che in un certo senso il sacerdozio comune, la famiglia cristiana, è stato fondato da Dio perché ci fosse sempre una continuità di sacerdozi ordinati, perché ci fossero sempre nella Chiesa e nel mondo veri sacerdoti di Cristo, perché ci fosse sempre un “altro Cristo” (alter Christus) che offrisse quotidianamente l’infinito sacrificio redentore di Cristo come un dolce e profumato aroma agli occhi della Divina Maestà, per la delizia di tutta la corte celeste e per la salvezza del mondo.

Qui possiamo riconoscere la ragione più profonda per cui il sacerdote cattolico non debba sposarsi ma debba rimanere vergine e celibe. Il sacerdozio ordinato e sacramentale è celibato, è come un fragrante fiore verginale che è germogliato dal giardino del sacerdozio comune, dalla famiglia cristiana, ed è derivato dal casto amore coniugale dei genitori cattolici. Molti anni fa, nella casa di un sacerdote deceduto in Polonia, venne trovato un piccolo scrigno con questa iscrizione: “Da aprirsi dopo la mia morte”. Lo scrigno venne aperto e vi ci si trovò una ghirlanda di mirto con questa nota: “Questa è la ghirlanda matrimoniale di mia madre. L’ho portata con me in varie nazioni in memoria di quel santo momento in cui mia madre ha fatto voto non solo di fedeltà ma anche di rettitudine all’altare di Dio. Ella ha mantenuto il suo voto, ed ha avuto il coraggio di avere me dopo il nono figlio. Dopo Dio, è a lei che debbo la mia vita e la mia vocazione al sacerdozio. Mettete questa ghirlanda, la ghirlanda matrimoniale di mia madre, nella mia tomba”. Siamo anche a conoscenza di quest’episodio della vita di Papa Pio X: dopo la sua consacrazione episcopale il giovane vescovo Giuseppe Sarto visitò la sua vecchia madre, le mostrò il suo anello episcopale e le chiese: “Mamma, non è bello quest’anello?”. La madre sollevò la mano in cui portava la sua fede d’oro e rispose: “Se io non avessi portato fedelmente questo mio anello, tu non avresti mai portato il tuo”.

Cari candidati al sacerdozio, non dimenticatelo mai: sarete sacerdoti per offrire quotidianamente l’ineffabile sacrificio redentore di Cristo, per essere strumenti viventi dell’Eterno Sommo Sacerdote, affinché per mezzo delle vostre voci e delle vostre mani le grazie redentrici del sacrificio di Cristo possano fluire su questo mondo, che è così profondamente infangato nei peccati. La disposizione interiore delle vostre anime, dei vostri cuori, delle vostre menti dovrà corrispondere ogni giorno di più alle terribili e divine parole che pronuncerete: “Questo è il Mio Corpo”. Voi appartenete totalmente ed esclusivamente a Gesù Sommo Sacerdote. Non appartenete più a voi stessi, né a nessun’altra creatura.

Tutto il vostro amore deve essere verginale, casto, sacerdotale, abnegato, paternale; ciò significa che il vostro amore dev’essere in modo eminente pastorale, il che significa a sua volta: prendersi cura delle anime, salvare anime. A questo proposito avete ricevuto la santa vocazione, a questo proposito ricevete oggi il marchio indelebile del sacerdozio di Cristo, a questo proposito le vostre famiglie vi offrono oggi a Dio come bei fiori del giardino della loro chiesa domestica.

Che la Nostra Signora, la Madre dell’Eterno Sommo Sacerdote, conservi voi e il vostro sacerdozio nel Suo Cuore Immacolato e implori per voi la grazia di concedere alla Chiesa, per mezzo del vostro sacerdozio, molte nuove e sante vocazioni sacerdotali e molte sante famiglie cattoliche. O Cuore Immacolato di Maria, sii il nostro rifugio, sii la nostra salvezza. Amen.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio - Dall'originale inglese pubblicato da Rorate Caeli]

AVE MARIA!

lunedì 10 agosto 2015

sabato 30 maggio 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Solennità della Santissima Trinità



OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Parco di Bresso 
Domenica, 3 giugno 2012 
Solennità della Santissima Trinità

Venerati Fratelli,
Illustri Autorità,
Cari fratelli e sorelle!


E’ un grande momento di gioia e di comunione quello che viviamo questa mattina, celebrando il Sacrificio eucaristico. Una grande assemblea, riunita con il Successore di Pietro, formata da fedeli provenienti da molte nazioni. Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione, che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi Apostoli: andare e fare discepoli tutti i popoli, «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19). Saluto con affetto e riconoscenza il Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, principali artefici di questo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure i loro Collaboratori, i Vescovi Ausiliari di Milano e tutti gli altri Presuli. Sono lieto di salutare tutte le Autorità presenti. E il mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!

Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha ricordato che nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, il quale ci unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al Padre come figli, così che possiamo gridare: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15.17). In quel momento ci è stato donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere fino al compimento definitivo nella gloria celeste; siamo diventati membri della Chiesa, la famiglia di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, «popolo che – come insegna il Concilio Vaticano II – deriva la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Cost. Lumen gentium, 4). La solennità liturgica della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, ci invita a contemplare questo mistero, ma ci spinge anche all’impegno di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati ad accogliere e trasmettere concordi le verità della fede; a vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza della Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma direi per «irradiazione», con la forza dell’amore vissuto.

Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28). Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita. L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità, immagine di Dio. Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. E’ fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. 

E’ fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Cari sposi, abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nella fragilità. Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i vostri genitori, e anche le relazioni tra fratelli e sorelle siano opportunità per crescere nell’amore.



Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il vostro «sì», con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo. 

Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il dialogo, rispettare il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere perdono, superare con intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordare gli orientamenti educativi, essere aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili nella società civile. Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia. Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica (cfr Esort. ap. Familiaris consortio, 49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza.

Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo progetto (cfr 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della Sacra Scrittura, possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.

Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine di Dio, è chiamato anche al riposo e alla festa. Il racconto della creazione si conclude con queste parole: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. 
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gen 2,2-3). Per noi cristiani, il giorno di festa è la Domenica, giorno del Signore, Pasqua settimanale. E’ il giorno della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno alla mensa della Parola e del Sacrificio Eucaristico, come stiamo facendo noi oggi, per nutrirci di Lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore. E’ il giorno dell’uomo e dei suoi valori: convivialità, amicizia, solidarietà, cultura, contatto con la natura, gioco, sport. E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio.


Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal volto umano. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere. Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in un Noi, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» (Enc. Deus caritas est, 18). Amen.


CELEBRAZIONE EUCARISTICA

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