Bernardo di Chiaravalle
Sermoni sul Cantico dei Cantici
SERMONE I
I. Il Cantico, terzo pane dopo l’Ecclesiastico e le
Parabole. II. Chi può gustare la santa lettura. III. L’inizio del Cantico dei
Cantici. IV. Titolo del libro e
varietà di cantici nella Scrittura. V. Cantici di quanti si convertono a Dio. VI.
Un singolare cantico nuziale.
Il Cantico, terzo pane dopo l’Ecclesiastico e le Parabole.
I. 1. A voi, fratelli, si devono dire cose diverse
da quelle che si dicono agli altri (comuni cristiani), o per lo meno in modo
diverso. A quelli, infatti, chi, nell’insegnamento segue il metodo dell’Apostolo,
porge latte, e non cibo solido. Che poi agli uomini spirituali debbano
somministrarsi cose più solide, lo indica ancora san Paolo con il suo esempio,
dove dice: «Parliamo, non con parole dotte secondo l’umana sapienza, ma con un
linguaggio suggerito dallo spirito, esprimendo cose spirituali in termini
spirituali». E altrove: «Parliamo di sapienza tra i perfetti», e ho fiducia che
voi siate tali, a meno che invano vi siate a lungo occupati nello studio delle
cose celesti, invano abbiate lavorato a purificare i vostri sensi, meditando
giorno e notte la legge del Signore. Pertanto, preparate la vostra bocca non al
latte, ma al pane. E secondo Salomone è pane, il libro intitolato Cantico dei
cantici, un pane splendido e saporito: venga servito, se vi piace, e sia
spezzato per voi.
2. Dalle parole, infatti, dell’Ecclesiaste siete
stati già istruiti, se non erro, a conoscere e disprezzare, con la grazia di
Dio, le vanità di questo mondo. E che cosa dire delle Parabole? Non sono forse
la vostra vita e i vostri costumi sufficientemente emendati e informati secondo
la dottrina che esse contengono?
Ora dunque, dopo aver gustato questi due pani che
avete ricevuto in prestito dalla madia dell’amico, accostatevi a questo terzo
pane, che troverete migliore. Due, infatti, sono i mali che da soli o
massimamente militano contro l’anima: l’amore delle vanità del mondo, e l’amore
smodato di se stesso. Quei due libri offrono un rimedio a questa duplice peste:
il primo troncando con il falcetto della disciplina tutti i superflui germogli
della mala concupiscenza; l’altro scoprendo sagacemente con il lume della
ragione in ogni gloria mondana il trucco (fuco) della vanità, e distinguendolo
chiaramente dalla solida verità. Infine, a tutti gli umani studi e mondani
desideri insegna a preferire il timore di Dio e l’osservanza dei suoi
comandamenti. E giustamente. Poiché quello è veramente l’inizio della sapienza,
l’altra ne è la consumazione, se veramente ci consta essere vera e consumata
sapienza l’allontanarsi dal male senza il timore di Dio, né esservi affatto
opera buona fuori dell’osservanza dei comandamenti.
3. Cacciati dunque i due mali con la lettura dei
due libri (sopra citati), si è pronti ad accostarsi a questo sacro mistico
sermone, che, essendo frutto di entrambi, non deve essere presentato se non a
menti e orecchie pure.
Chi può gustare la santa lettura.
II. Diversamente sarebbe un’indegna presunzione
accingersi a questa lettura prima di aver domato la carne con un tirocinio
ascetico e averla assoggettata allo spirito, prima di aver disprezzato e
rigettato la pompa è la corruzione del secolo. A quel modo infatti che la luce
splende invano davanti agli occhi ciechi o chiusi, così l’uomo carnale non
percepisce le cose dello Spirito di Dio. Lo Spirito Santo, infatti, che
insegna, rifugge dalla finzione, e tale è la vita incontinente; e neppure avrà
mai parte con la vanità del mondo, essendo Spirito di verità. E che c’è di
comune tra la sapienza che viene dall’alto e la sapienza del mondo, che è
stoltezza presso Dio, o la sapienza della carne che è anch’essa nemica di Dio?
Ma penso che quell’amico che ci è capitato in casa da un viaggio, non avrà da
mormorare contro di noi quando si ciberà di questo terzo pane.
4. Ma chi lo spezzerà? C’è il padre di famiglia:
riconoscete il Signore nell’atto di spezzare il pane. Chi altro ne sarebbe
capace? Io, certamente, non sarei tanto temerario da arrogarmi tale compito.
Guardate a me per non aspettare da me. Poiché anch’io sono uno di quelli che
aspettano mendicando con voi il cibo per l’anima mia, il nutrimento dello
spirito. In realtà, povero e bisognoso, busso alla porta di colui che apre, e
nessuno chiude, (per chiedere lume) sul profondissimo mistero di questo
scritto. Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore. I pargoli hanno chiesto
pane: non c’è chi loro lo spezzi; lo chiediamo alla tua benignità. O piissimo,
spezza agli affamati il tuo pane, spezzalo con le mie mani, se ti degni, ma con
le tue forze.
L’inizio del Cantico dei Cantici.
III. 5. Spiegaci,
di grazia, da chi, di chi e a chi viene detto: Mi baci
con i baci della sua bocca (Cant 1,1). E che cosa vuol dire
l’entrare così repentino e di colpo nel discorso. Prorompe infatti in quelle
parole, come se la persona, chiunque sia, che implora il bacio rispondesse a un
altro che aveva parlato prima. E poi, se chiede di essere baciata da non so
chi, lo esige, perché specifica: con la bocca, e con la bocca sua, di lui, come
se quelli che si baciano presentino qualche altra cosa e non la bocca, o una
bocca altrui e non piuttosto la propria? Ma
non dice neppure: mi baci con la sua bocca, ma insinua
qualche cosa di più: Mi baci, dice,
con il bacio della sua bocca. Dolce discorso questo che comincia con
un bacio, e allettante la forma di questa Scrittura che colpisce e invita alla
lettura, sicché diventa piacevole investigare, anche se con fatica, mentre la
soavità del discorso non lascia sentire l’eventuale difficoltà della ricerca. E
veramente, chi non sarebbe reso attento da questo inizio senza inizio e dalla
novità dell’espressione nel libro antico? Di qui si vede come questo non sia
frutto di umano ingegno, ma composto dall’arte dello Spirito in modo tale che,
sebbene difficile a capirsi, ne sia dilettevole l’investigazione.
Titolo del libro e varietà di cantici nella Scrittura.
IV. 6. Ma che?
Tralasciamo il titolo? Non dobbiamo trascurare neppure un iota, dal momento che
ci viene comandato di raccogliere le briciole di frammenti, perché non vadano
perduti. Il titolo è questo: Cominciano
i Cantici dei cantici di Salomone. Osserva in primo luogo il nome di
Salomone che significa Pacifico. Esso si adatta bene all’inizio
del libro, che comincia con il segno di pace, cioè dal bacio. E avverti
con ciò che all’intelligenza di questa scrittura sono invitate solo le menti
pacifiche che riescono a rendersi superiori alle perturbazioni dei vizi e al
tumulto delle umane faccende.
7. Inoltre, non pensare
che a caso il titolo porti, non semplicemente «Cantici», ma Cantico dei
cantici. Ho letto infatti molti cantici nelle
Scritture, e non mi sovviene che alcuno di essi sia stato chiamato così. Cantò
Israele un canto al Signore dopo che era sfuggito alla spada e insieme al giogo
del Faraone, nel medesimo tempo liberato e vendicato dal Mar Rosso. Il suo, però, non è stato detto Cantico
dei cantici, ma dice la Scrittura, se ben ricordo: Cantò
Israele questo carme al Signore (Es 15,1). Cantò
anche Debora, cantò Giuditta, cantò pure la madre di Samuele e anche alcuni
Profeti hanno cantato; e non si legge che alcuno di essi abbia chiamato il suo
Cantico dei cantici. In verità, se non erro, troverai che tutti hanno composto
un cantico in occasione di un beneficio ricevuto: per esempio, per una vittoria
ottenuta, per uno scampato pericolo o per aver ottenuto una qualsiasi cosa
desiderata. Così dunque parecchi hanno cantato, ognuno per i suoi motivi
particolari, per non essere trovati ingrati ai benefici divini, secondo quel
detto del salmo: Ti darò gloria quando lo avrai beneficato (Sal 48,19). Invece Salomone, dotato di
singolare sapienza, ornato di sublime gloria, ricchissimo di beni d’ogni
specie, che godeva di una sicura pace, non sembra avesse bisogno di alcuna
cosa, per aver ottenuto la quale fosse spinto a comporre questo cantico.
Né in questo si trova allusione a cosa di questo genere.
8. Pertanto, divinamente ispirato, intese cantare
le lodi di Cristo e della Chiesa, e la grazia dell’amore sacro, e i sacramenti
dell’eterno connubio; e volle insieme esprimere il desiderio dell’anima santa,
e compose, esultando nello spirito, con gioconde, ma figurate espressioni, un
carme nuziale. Difatti, velava anch’egli, come Mosè la sua faccia, non meno
forse in questa parte splendente, perché in quel tempo nessuno o rari erano
coloro che potessero contemplare questa gloria a faccia scoperta. Penso dunque
che questo carme nuziale, a motivo della sua eccellenza, sia stato, esso solo,
chiamato Cantico dei cantici, a quel modo che colui al quale viene
cantato, è detto singolarmente Re dei re, e Dominatore dei dominatori (1 Tm 6,15).
Cantici di quanti si convertono a Dio.
V. 9. Del resto, se voi considerate la vostra
esperienza personale, non avete anche voi cantato un cantico nuovo al Signore
che opera meraviglie, nella vittoria con cui la vostra fede ha vinto il mondo,
e nella vostra uscita dalla fossa della miseria e dal fango del pantano? E ancora, allorché
il Signore si è degnato di stabilire sulla roccia i vostri piedi e dirigere i
vostri passi, penso che anche allora, a motivo del beneficio della nuova vita
concessavi, sia risuonato sulla vostra bocca un canto nuovo, un carme al nostro
Dio. Il quale, a voi penitenti, non solo ha
rimesso i peccati, ma ha promesso il premio; e allora molto di più, pieni di
gaudio, per la speranza dei beni futuri, avete cantato le vie del
Signore, perché grande è la gloria del Signore. E se talvolta un passo della
Scrittura che fino ad allora a qualcuno era chiuso o oscuro, d’un tratto è
divenuto chiaro, allora si è reso necessario che per il ricevuto alimento del
pane celeste salisse gradito alle orecchie di Dio dalle anime rifocillate il
canto dell’esultanza e della lode. Ma anche nei quotidiani esercizi e nelle
lotte che non mancano di provenirci in ogni ora dalla carne, dal mondo, dal
demonio, poiché, come sperimentate continuamente in voi stessi, la vita
dell’uomo sulla terra è una milizia, ogni giorno dovete innalzare nuovi canti
per le riportate vittorie. Ogni qual volta viene superata una tentazione o
soggiogato un vizio, o evitato un imminente pericolo, o si scopre un laccio che
il nemico tende, o una qualsiasi annosa e inveterata passione viene una buona
volta perfettamente guarita, o una virtù molto e lungamente desiderata e spesso
implorata, finalmente, con la grazia di Dio viene ottenuta, non risuona, forse,
come dice il Profeta, l’azione di grazie e la voce di lode, e a ogni beneficio
si benedice Dio nei suoi doni? Diversamente sarà giudicato come ingrato chi nel
finale rendiconto non potrà dire a Dio: Sono canti per me i tuoi precetti
nel luogo del mio pellegrinaggio (Sal 118,54).
10. Penso che voi già riconoscete in voi stessi
quelli che nel Salterio sono chiamati «Salmi graduali», per il fatto che ogni
volta che realizzate un progresso, secondo i propositi che ognuno ha concepito
nel suo cuore, sentite il bisogno di cantare la lode e la gloria di chi opera
in voi. Non vedo come possa, adempiersi quell’altro versetto: Voce di
esultanza e di salvezza nelle tende dei giusti (Sal
117,15); o quella bellissima e saluberrima esortazione dell’Apostolo: Cantate e salmeggiate a Dio nei vostri cuori
con salmi, inni e cantici spirituali (Ef 5,19).
Un singolare cantico nuziale.
VI. 11. Ma vi è un
cantico che sorpassa per la sua singolare dignità e soavità tutti quelli di cui
abbiamo parlato e quanti altri vi potessero essere: e meritamente questo
chiameremo «Cantico dei cantici», perché esso è frutto di tutti gli altri.
Questo cantico solo l’unzione (dello Spirito) lo insegna, solo s’impara con
l’esperienza. Lo riconoscano quelli che hanno fatto questa esperienza; chi non
ha questa esperienza arda dal desiderio, non, tanto di conoscerlo, quanto di
sperimentarlo. Non consiste in un suono che esce dalla bocca, ma in un giubilo
del cuore; non espressione delle labbra, ma tripudio di gioia intima, non armonia
di voci, ma di volontà. Non si sente di fuori, non risuona in pubblico: sola lo
sente colei che lo canta e colui al quale è cantato, cioè lo Sposo e la sposa. È
infatti un carme nuziale, che esprime i casti e giocondi amplessi
degli animi, la concordia dei costumi e la mutua carità degli affetti.
12. Del resto, non è in
grado di cantare tale cantico o di udirlo l’anima ancora puerile e neofita, di
recente convertita dal secolo, ma conviene a una mente già provetta ed erudita,
la quale cioè, mediante il progresso nella virtù, è già talmente cresciuta con
l’aiuto di Dio, da raggiungere l’età perfetta e in un certo modo nubile, fatta
idonea alle nozze con il celeste Sposo, quale, insomma, più dettagliatamente si
descriverà a suo luogo. Tale età provetta viene calcolata in base ai meriti,
non agli anni. Ma il tempo passa, e la povertà e la regola ci comandano di
uscire al lavoro manuale. Domani, nel nome del Signore continueremo quel che
avevamo cominciato a dire del bacio perché il discorso di oggi sul titolo ci ha
fatto deviare dall’argomento iniziato.
Salus nostra in manu tua est, o Maria,
respice nos tantum
et laeti serviemus Regi Domino.
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