sabato 30 novembre 2013

San Bernardo di Chiaravalle: I SERMONE SUL CANTICO dei CANTICI


Bernardo di Chiaravalle


Sermoni sul Cantico dei Cantici


SERMONE I


I. Il Cantico, terzo pane dopo l’Ecclesiastico e le Parabole. II. Chi può gustare la santa lettura. III. L’inizio del Cantico dei Cantici. IV. Titolo del libro e varietà di cantici nella Scrittura. V. Cantici di quanti si convertono a Dio. VI. Un singolare cantico nuziale.


Il Cantico, terzo pane dopo l’Ecclesiastico e le Parabole. 

I. 1. A voi, fratelli, si devono dire cose diverse da quelle che si dicono agli altri (comuni cristiani), o per lo meno in modo diverso. A quelli, infatti, chi, nell’insegnamento segue il metodo dell’Apostolo, porge latte, e non cibo solido. Che poi agli uomini spirituali debbano somministrarsi cose più solide, lo indica ancora san Paolo con il suo esempio, dove dice: «Parliamo, non con parole dotte secondo l’umana sapienza, ma con un linguaggio suggerito dallo spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali». E altrove: «Parliamo di sapienza tra i perfetti», e ho fiducia che voi siate tali, a meno che invano vi siate a lungo occupati nello studio delle cose celesti, invano abbiate lavorato a purificare i vostri sensi, meditando giorno e notte la legge del Signore. Pertanto, preparate la vostra bocca non al latte, ma al pane. E secondo Salomone è pane, il libro intitolato Cantico dei cantici, un pane splendido e saporito: venga servito, se vi piace, e sia spezzato per voi.

2. Dalle parole, infatti, dell’Ecclesiaste siete stati già istruiti, se non erro, a conoscere e disprezzare, con la grazia di Dio, le vanità di questo mondo. E che cosa dire delle Parabole? Non sono forse la vostra vita e i vostri costumi sufficientemente emendati e informati secondo la dottrina che esse contengono?
Ora dunque, dopo aver gustato questi due pani che avete ricevuto in prestito dalla madia dell’amico, accostatevi a questo terzo pane, che troverete migliore. Due, infatti, sono i mali che da soli o massimamente militano contro l’anima: l’amore delle vanità del mondo, e l’amore smodato di se stesso. Quei due libri offrono un rimedio a questa duplice peste: il primo troncando con il falcetto della disciplina tutti i superflui germogli della mala concupiscenza; l’altro scoprendo sagacemente con il lume della ragione in ogni gloria mondana il trucco (fuco) della vanità, e distinguendolo chiaramente dalla solida verità. Infine, a tutti gli umani studi e mondani desideri insegna a preferire il timore di Dio e l’osservanza dei suoi comandamenti. E giustamente. Poiché quello è veramente l’inizio della sapienza, l’altra ne è la consumazione, se veramente ci consta essere vera e consumata sapienza l’allontanarsi dal male senza il timore di Dio, né esservi affatto opera buona fuori dell’osservanza dei comandamenti.

3. Cacciati dunque i due mali con la lettura dei due libri (sopra citati), si è pronti ad accostarsi a questo sacro mistico sermone, che, essendo frutto di entrambi, non deve essere presentato se non a menti e orecchie pure.




Chi può gustare la santa lettura. 
II. Diversamente sarebbe un’indegna presunzione accingersi a questa lettura prima di aver domato la carne con un tirocinio ascetico e averla assoggettata allo spirito, prima di aver disprezzato e rigettato la pompa è la corruzione del secolo. A quel modo infatti che la luce splende invano davanti agli occhi ciechi o chiusi, così l’uomo carnale non percepisce le cose dello Spirito di Dio. Lo Spirito Santo, infatti, che insegna, rifugge dalla finzione, e tale è la vita incontinente; e neppure avrà mai parte con la vanità del mondo, essendo Spirito di verità. E che c’è di comune tra la sapienza che viene dall’alto e la sapienza del mondo, che è stoltezza presso Dio, o la sapienza della carne che è anch’essa nemica di Dio? Ma penso che quell’amico che ci è capitato in casa da un viaggio, non avrà da mormorare contro di noi quando si ciberà di questo terzo pane.

4. Ma chi lo spezzerà? C’è il padre di famiglia: riconoscete il Signore nell’atto di spezzare il pane. Chi altro ne sarebbe capace? Io, certamente, non sarei tanto temerario da arrogarmi tale compito. Guardate a me per non aspettare da me. Poiché anch’io sono uno di quelli che aspettano mendicando con voi il cibo per l’anima mia, il nutrimento dello spirito. In realtà, povero e bisognoso, busso alla porta di colui che apre, e nessuno chiude, (per chiedere lume) sul profondissimo mistero di questo scritto. Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore. I pargoli hanno chiesto pane: non c’è chi loro lo spezzi; lo chiediamo alla tua benignità. O piissimo, spezza agli affamati il tuo pane, spezzalo con le mie mani, se ti degni, ma con le tue forze.


 L’inizio del Cantico dei Cantici. 
III. 5. Spiegaci, di grazia, da chi, di chi e a chi viene detto: Mi baci con i baci della sua bocca (Cant 1,1). E che cosa vuol dire l’entrare così repentino e di colpo nel discorso. Prorompe infatti in quelle parole, come se la persona, chiunque sia, che implora il bacio rispondesse a un altro che aveva parlato prima. E poi, se chiede di essere baciata da non so chi, lo esige, perché specifica: con la bocca, e con la bocca sua, di lui, come se quelli che si baciano presentino qualche altra cosa e non la bocca, o una bocca altrui e non piuttosto la propria? Ma non dice neppure: mi baci con la sua bocca, ma insinua qualche cosa di più: Mi baci, dice, con il bacio della sua bocca. Dolce discorso questo che comincia con un bacio, e allettante la forma di questa Scrittura che colpisce e invita alla lettura, sicché diventa piacevole investigare, anche se con fatica, mentre la soavità del discorso non lascia sentire l’eventuale difficoltà della ricerca. E veramente, chi non sarebbe reso attento da questo inizio senza inizio e dalla novità dell’espressione nel libro antico? Di qui si vede come questo non sia frutto di umano ingegno, ma composto dall’arte dello Spirito in modo tale che, sebbene difficile a capirsi, ne sia dilettevole l’investigazione.



Titolo del libro e varietà di cantici nella Scrittura.
IV. 6. Ma che? Tralasciamo il titolo? Non dobbiamo trascurare neppure un iota, dal momento che ci viene comandato di raccogliere le briciole di frammenti, perché non vadano perduti. Il titolo è questo: Cominciano i Cantici dei cantici di Salomone. Osserva in primo luogo il nome di Salomone che significa Pacifico. Esso si adatta bene all’inizio del libro, che comincia con il segno di pace, cioè dal bacio. E avverti con ciò che all’intelligenza di questa scrittura sono invitate solo le menti pacifiche che riescono a rendersi superiori alle perturbazioni dei vizi e al tumulto delle umane faccende.

7. Inoltre, non pensare che a caso il titolo porti, non semplicemente «Cantici», ma Cantico dei cantici. Ho letto infatti molti cantici nelle Scritture, e non mi sovviene che alcuno di essi sia stato chiamato così. Cantò Israele un canto al Signore dopo che era sfuggito alla spada e insieme al giogo del Faraone, nel medesimo tempo liberato e vendicato dal Mar Rosso. Il suo, però, non è stato detto Cantico dei cantici, ma dice la Scrittura, se ben ricordo: Cantò Israele questo carme al Signore (Es 15,1). Cantò anche Debora, cantò Giuditta, cantò pure la madre di Samuele e anche alcuni Profeti hanno cantato; e non si legge che alcuno di essi abbia chiamato il suo Cantico dei cantici. In verità, se non erro, troverai che tutti hanno composto un cantico in occasione di un beneficio ricevuto: per esempio, per una vittoria ottenuta, per uno scampato pericolo o per aver ottenuto una qualsiasi cosa desiderata. Così dunque parecchi hanno cantato, ognuno per i suoi motivi particolari, per non essere trovati ingrati ai benefici divini, secondo quel detto del salmo: Ti darò gloria quando lo avrai beneficato (Sal 48,19). Invece Salomone, dotato di singolare sapienza, ornato di sublime gloria, ricchissimo di beni d’ogni specie, che godeva di una sicura pace, non sembra avesse bisogno di alcuna cosa, per aver ottenuto la quale fosse spinto a comporre questo cantico. Né in questo si trova allusione a cosa di questo genere.

8. Pertanto, divinamente ispirato, intese cantare le lodi di Cristo e della Chiesa, e la grazia dell’amore sacro, e i sacramenti dell’eterno connubio; e volle insieme esprimere il desiderio dell’anima santa, e compose, esultando nello spirito, con gioconde, ma figurate espressioni, un carme nuziale. Difatti, velava anch’egli, come Mosè la sua faccia, non meno forse in questa parte splendente, perché in quel tempo nessuno o rari erano coloro che potessero contemplare questa gloria a faccia scoperta. Penso dunque che questo carme nuziale, a motivo della sua eccellenza, sia stato, esso solo, chiamato Cantico dei cantici, a quel modo che colui al quale viene cantato, è detto singolarmente Re dei re, e Dominatore dei dominatori (1 Tm 6,15).


Cantici di quanti si convertono a Dio. 
V. 9. Del resto, se voi considerate la vostra esperienza personale, non avete anche voi cantato un cantico nuovo al Signore che opera meraviglie, nella vittoria con cui la vostra fede ha vinto il mondo, e nella vostra uscita dalla fossa della miseria e dal fango del pantano? E ancora, allorché il Signore si è degnato di stabilire sulla roccia i vostri piedi e dirigere i vostri passi, penso che anche allora, a motivo del beneficio della nuova vita concessavi, sia risuonato sulla vostra bocca un canto nuovo, un carme al nostro Dio. Il quale, a voi penitenti, non solo ha rimesso i peccati, ma ha promesso il premio; e allora molto di più, pieni di gaudio, per la speranza dei beni futuri, avete cantato le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore. E se talvolta un passo della Scrittura che fino ad allora a qualcuno era chiuso o oscuro, d’un tratto è divenuto chiaro, allora si è reso necessario che per il ricevuto alimento del pane celeste salisse gradito alle orecchie di Dio dalle anime rifocillate il canto dell’esultanza e della lode. Ma anche nei quotidiani esercizi e nelle lotte che non mancano di provenirci in ogni ora dalla carne, dal mondo, dal demonio, poiché, come sperimentate continuamente in voi stessi, la vita dell’uomo sulla terra è una milizia, ogni giorno dovete innalzare nuovi canti per le riportate vittorie. Ogni qual volta viene superata una tentazione o soggiogato un vizio, o evitato un imminente pericolo, o si scopre un laccio che il nemico tende, o una qualsiasi annosa e inveterata passione viene una buona volta perfettamente guarita, o una virtù molto e lungamente desiderata e spesso implorata, finalmente, con la grazia di Dio viene ottenuta, non risuona, forse, come dice il Profeta, l’azione di grazie e la voce di lode, e a ogni beneficio si benedice Dio nei suoi doni? Diversamente sarà giudicato come ingrato chi nel finale rendiconto non potrà dire a Dio: Sono canti per me i tuoi precetti nel luogo del mio pellegrinaggio (Sal 118,54).

10. Penso che voi già riconoscete in voi stessi quelli che nel Salterio sono chiamati «Salmi graduali», per il fatto che ogni volta che realizzate un progresso, secondo i propositi che ognuno ha concepito nel suo cuore, sentite il bisogno di cantare la lode e la gloria di chi opera in voi. Non vedo come possa, adempiersi quell’altro versetto: Voce di esultanza e di salvezza nelle tende dei giusti (Sal 117,15); o quella bellissima e saluberrima esortazione dell’Apostolo: Cantate e salmeggiate a Dio nei vostri cuori con salmi, inni e cantici spirituali (Ef 5,19).


 Un singolare cantico nuziale.
VI. 11. Ma vi è un cantico che sorpassa per la sua singolare dignità e soavità tutti quelli di cui abbiamo parlato e quanti altri vi potessero essere: e meritamente questo chiameremo «Cantico dei cantici», perché esso è frutto di tutti gli altri. Questo cantico solo l’unzione (dello Spirito) lo insegna, solo s’impara con l’esperienza. Lo riconoscano quelli che hanno fatto questa esperienza; chi non ha questa esperienza arda dal desiderio, non, tanto di conoscerlo, quanto di sperimentarlo. Non consiste in un suono che esce dalla bocca, ma in un giubilo del cuore; non espressione delle labbra, ma tripudio di gioia intima, non armonia di voci, ma di volontà. Non si sente di fuori, non risuona in pubblico: sola lo sente colei che lo canta e colui al quale è cantato, cioè lo Sposo e la sposa. È infatti un carme nuziale, che esprime i casti e giocondi amplessi degli animi, la concordia dei costumi e la mutua carità degli affetti.


12. Del resto, non è in grado di cantare tale cantico o di udirlo l’anima ancora puerile e neofita, di recente convertita dal secolo, ma conviene a una mente già provetta ed erudita, la quale cioè, mediante il progresso nella virtù, è già talmente cresciuta con l’aiuto di Dio, da raggiungere l’età perfetta e in un certo modo nubile, fatta idonea alle nozze con il celeste Sposo, quale, insomma, più dettagliatamente si descriverà a suo luogo. Tale età provetta viene calcolata in base ai meriti, non agli anni. Ma il tempo passa, e la povertà e la regola ci comandano di uscire al lavoro manuale. Domani, nel nome del Signore continueremo quel che avevamo cominciato a dire del bacio perché il discorso di oggi sul titolo ci ha fatto deviare dall’argomento iniziato.

Salus nostra in manu tua est, o Maria,
respice nos tantum
et laeti serviemus Regi Domino.

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