CAPITOLO 10
La santissima Trinità invia il santo arcangelo Gabriele ad annunziare a Maria santissima che è stata eletta madre di Dio.
109. Era deciso da infiniti secoli, ma celato nei segreti della Sapienza eterna, il tempo e l'ora conveniente in cui doveva manifestarsi nella carne il grande mistero della pietà, giustificato nello spirito, predicato agli uomini, svelato agli angeli e creduto nel mondo. Arrivò dunque la pienezza di questo tempo, che fino ad allora, benché pieno di profezie e promesse, era molto vuoto, perché gli mancava la pienezza di Maria santissima, per il cui volere e consenso tutti i secoli dovevano ricevere il loro compimento, che era il Verbo eterno incarnato, passibile e redentore. Questo mistero era preordinato prima dei secoli, affinché poi in essi si eseguisse per mano della nostra celeste Signora. Quindi, trovandosi già lei nel mondo, non si doveva più rimandare la redenzione umana e la venuta dell'Unigenito del Padre, perché ormai non era più necessario che egli prendesse come in prestito dimore straniere, potendo vivere stabilmente nella sua dimora, edificata ed arricchita con le sue stesse spese anticipate, assai meglio di quanto non lo fu il tempio di Salomone con quelle di suo padre Davide.
110. In questa pienezza del tempo, l'Altissimo decise d'inviare nel mondo il suo Unigenito. E comunicando - a nostro modo d'intendere o di parlare - i suoi eterni decreti con le profezie e le testimonianze fatte agli uomini fin dal principio, e tutto ciò con lo stato e la santità a cui aveva elevato Maria santissima, giudicò che tutto questo era appunto utile per l'esaltazione del suo santo nome, che era bene si manifestasse agli angeli l'esecuzione di questa sua eterna volontà e che per mezzo di loro s'incominciasse a mettere in opera. Così sua Maestà parlò al santo arcangelo Gabriele con quella voce o parola, con cui è solito far conoscere a quegli spiriti celesti la sua santa volontà. Generalmente li illumina a cominciare da quelli superiori, perché questi poi purifichino e illuminino quelli inferiori secondo il loro ordine, fino ad arrivare agli ultimi, manifestando gli uni agli altri ciò che Dio ha rivelato ai primi. Tuttavia, in questa circostanza non fu così; infatti, questo santo arcangelo ricevette l'incarico direttamente ed immediatamente dal Signore.
111. All'ispirazione della volontà divina san Gabriele, come ai piedi del trono, si presentò pronto ed attento all'essere immutabile dell'Altissimo. Sua Maestà in persona gli manifestò il messaggio che doveva portare a Maria santissima e le parole precise con le quali doveva salutarla e parlaile; quindi il primo autore di tali parole fu Dio stesso, che le formò nella sua mente divina, da qui passarono al santo arcangelo e per mezzo di lui a Maria purissima. Insieme a queste parole, il Signore rivelò al santo principe Gabriele molti ed imperscrutabili misteri circa l'incarnazione; la santissima Trinità gli comandò che andasse ed annunciasse alla celeste Signora che la sceglieva fra le donne perché fosse madre del Verbo eterno e lo concepisse nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo, restando sempre vergine. Inoltre il Signore gli rivelò tutto il resto che doveva svelare alla sua grande regina e signora e di cui doveva parlare con lei.
112. Subito sua divina Maestà manifestò a tutti gli altri angeli che era giunto il tempo della redenzione umana e che decideva di scendere nel mondo senza aspettare oltre, poiché aveva già preparato e adornato come madre sua Maria santissima, come aveva fatto alla loro presenza, dandole questa suprema dignità. Gli spiriti divini udirono la voce del loro Creatore e, con incòmparabile gaudio e rendimento di grazie per il compimento della sua eterna e perfetta volontà, cantarono nuovi inni di lode, ripetendo sempre quel cantico di Sion: «Santo, santo, santo, sei tu, o Dio e Signore degli eserciti. Giusto, potente sei, o Signore e Dio nostro, che abiti nelle altezze e chini lo sguardo sugli umili della terra 7 . Ammirabili sono tutte le tue opere, o Altissimo, e sublimi i tuoi pensieri».
113. Intanto l'augusto principe Gabriele, obbedendo con straordinario giubilo all'ordine divino, scese dal cielo, accompagnato da migliaia di angeli bellissimi, che lo seguivano in forma visibile. L'aspetto di questo grande messaggero era come quello di un giovane nobilissimo e di rara bellezza: il suo viso era splendente e irradiava raggi vivissimi, il suo aspetto grave e maestoso, i suoi passi misurati, i gesti composti, le sue parole ponderate e penetranti. In tutto, insomma, tra il severo e il cortese, mostrava di avere un che di divino più degli altri angeli che la gloriosa Signora aveva visto fino ad allora in quella forma. Portava un diadema di singolare splendore e le sue vesti, lunghe e maestose, erano di vari colori, smagliantì e rifulgenti; sul petto portava come incastonata una croce bellissima, che manifestava il mistero dell'incarnazione a cui il suo annuncio si riferiva. Tutte queste circostanze contribuirono ad aumentare ancora di più l'attenzione e il desiderio della prudentissima Regina.
114. Tutto questo esercito celestiale, col suo principe e capo san Gabriele, indirizzò il suo volo verso Nazaret, città della Galilea, e verso l'abitazione di Maria santissima, che era una casa umile; la sua stanza era stretta e priva degli ornamenti che usa il mondo per nascondere la sua meschinità e la sua mancanza di beni più grandi. Maria santissima aveva allora quattordici anni, sei mesi e diciassette giorni, perché li aveva compiuti l'8 settembre e da quel giorno fino a questo, in cui si compì il più grande dei misteri che Dio abbia operato nel mondo, erano trascorsi sei mesi e diciassette giorni.
115. La giovane signora era di bell'aspetto e più alta di quanto siano comunemente le altre donne in quell'età, il suo corpo era proporzionato e perfetto. Il viso era più lungo che rotondo, però grazioso, non magro né grasso; il colorito bruno chiaro, la fronte spaziosa e proporzionata. Le sopracciglia erano ad arco perfettissimo, gli occhi, grandi e seri, d'incredibile ed indicibile bellezza, avevano un colore tra il nero e il verde scuro; lo sguardo era limpido e dolce. Il naso era diritto e perfetto, la bocca piccola, le labbra erano vermiglie, non eccessivamente sottili ma neanche grosse. Tutta la sua persona, insomma, in questi doni di natura era ta]mente proporzionata e bella che nessun'altra creatura umana lo fu mai tanto. Guardarla suscitava nello stesso tempo gioia e rispetto, tenerezza e timore reverenziale; attraeva il cuore e lo tratteneva in una soave venerazione, induceva a lodarla, ma subito la sua maestà e le sue molte grazie e perfezioni lasciavano senza parole, e procurava effetti divini, che non si possono facilmente spiegare, in tutti quelli che la contemplavano. Essi si sentivano il cuore ricolmo di influssi celesti e in balia di movimenti divini, che li sollevavano a Dio.
116. Il suo abbigliamento era umile, povero, di colore argenteo scuro o grigio come cenere, composto senza civetteria, anzi con somma modestia. Avvicinandosi l'ora delrannuncio del cielo, la grande Regina, che ne era ignara, stava in altissima contemplazione dei misteri che l'Altissimo aveva rinnovato in lei con tanti favori nei nove gioini precedenti. Assicurata dal medesimo Signore - come si è detto - che il suo Unigenito sarebbe disceso ben presto a prendere forma umana, ella se ne stava tutta fervorosa ed allegra, confidando in questa parola. Rinnovando i suoi desideri umili e ardenti, diceva nel suo cuore: «È possibile che sia già venuto il tempo tanto fortunato in cui il Verbo dell'eterno Padre scenderà per nascere e vivere fra gli uomini 8 , e che il mondo lo venga a possedere? È possibile che i mortali lo debbano vedere con gli occhi del corpo 9 , e che debba nascere quella luce inaccessibile per illuminare quelli che stanno nelle tenebre? Oh, chi meriterà di vederlo e conosceilo? Oh, chi potrà baciare la terra dove poserà i suoi piedi divini?».
117. «Si rallegrino i cieli, esulti la terra, e tutti eternamente lo benedicano e lo lodino, poiché la loro felicità eterna è ormai vicina. Rallegratevi, o figli di Adamo, afflitti sì per la colpa, ma creature del mio diletto, perché presto solleverete il capo e scuoterete il giogo della vostra antica schiavitù. Già si avvicina la vostra redenzione, giàviene la vostra salvezza. Rallegratevi, antichi Padri, Profeti e giusti che tutti aspettate nel seno di Abramo, trattenuti nel limbo, poiché assai presto verrà la vostra consolazione, e il vostro Redentore, bramato e promesso, non tarderà oltre. Magnifichiamolo dunque tutti e cantiamo inni di lode. Oh, fossi io serva delle sue serve! Oh, fossi schiava di colei che Isaia indicò come sua madre! O Emmanuele, vero Dio e vero uomo! O chiave di Davide, che devi aprire i cieli! O sapienza eterna! O legislatore della nuova Chiesa! Vieni, Signore, vieni a noi; libera dalla schiavitù il tuo popolo, e ogni mortale veda la tua salvezza!».
118. Nell'ora appunto in cui giunse l'angelo san Gabriele, Maria santissima stava presentando al Padre queste e molte altre suppliche, che la mia lingua non è in grado di riportare. Era purissima nell'anima, perfettissima nel corpo, nobilissima nei pensieri, eccellentissima in santità, colma di grazie e tutta tanto divinizzata e gradita agli occhi di Dio, che a ragione poté essere sua degna madre ed efficace strumento per farlo uscire dal seno del Padre ed attirarlo nel suo grembo verginale. Ella fu il potente mezzo della nostra redenzione e per molti motivi ne siamo a lei debitori. Per questo merita che tutte le nazioni e le generazioni la benedicano e la lodino eternamente. Quello poi che avvenne quando entrò il messaggero celeste, lo dirò nel capitolo seguente.
119. Qui accenno solamente una cosa degna di meraviglia, che cioè Dio lasciò questa celeste Signora nell'essere e nello stato comune delle virtù, di cui ho pailato nella prima parte, sia perché ricevesse l'annuncio del santo arcangelo, sia per l'effetto stesso di questo mistero così alto, che si doveva compiere in lei. Così dispose l'Altissimo, perché l'incarnazione si doveva operare come mistero di fede, intervenendo in essa le opere di questa virtù con quelle della speranza e della carità; il Signore, dunque, la lasciò in esse, affinché credesse e sperasse nella parola divina. Inoltre, a questi atti seguì poi ciò che presto dirò con l'inadeguatezza dei miei tennini e le mie limitate capacità, mentre la grandezza dei misteri mi rende sempre più inadatta a spiegarli.
Insegnamento della Regina e signora del cielo
120. Figlia mia, con speciale affetto ti manifesto ora la mia volontà e il desiderio che tu ti renda degna della mia conversazione intima e familiare con Dio e che perciò ti disponga con grande diligenza e sollecitudine, sia piangendo le tue colpe, sia dimenticando e rinnegando tutto ciò che èvisibile, in modo che per te non immagini ormai più altra cosa al di fuori di Dio. A tale scopo, ti conviene mettere in pratica tutto l'insegnamento che fino ad ora ti ho dato e quello che dovrai scrivere in avvenire, come ti manifesterò. Io ti guiderò insegnandoti come ti devi comportare in questa familiarità e vita con lui, usando dei favori che riceverai dalla sua benignità per concepiflo nel tuo grembo mediante la fede, la luce e la grazia che ti darà. Quindi, se non ti prepari prima attenendoti a queste indicazioni, non potrai conseguire l'adempimento dei tuoi desideri, né io il frutto del mio insegnamento, che ti do come tua maestra.
121. Giacché trovasti, senza meritarlo, il tesoro nascosto e la peila preziosa 16 dell'ammaestramento che ti sto dando, disprezza quant'altro potresti avere, per acquistare solamente questa peila d'inestimabile valore, perché insieme con essa riceverai tutti i beni, ti renderai degna dell'intima amicizia del Signore e meriterai che egli faccia del tuo cuore la sua eterna dimora. In cambio di questa grande fortuna, voglio che tu muoia ad ogni cosa terrena, offrendo la tua volontà con amore riconoscente, e che a mia imitazione tu sia talmente umile da rimanere intimamente persuasa che non vali, non puoi e non meriti niente e non sei nemmeno degna di essere accettata come schiava delle serve di Cristo.
122. Rifletti quanto io ero lontana dall'immaginare la dignità di madre di Dio che l'Altissimo mi preparava; ciò anche quando già mi aveva promesso che in breve sarebbe venuto nel mondo e mi induceva a desiderare questa sua venuta con sentimenti d'amore tali che il giorno prima di questo prodigioso avvenimento, essendo il mio cuore preso da queste angosce amorose, mi pareva di doverne morire, se la divina provvidenza non mi avesse confortata. Da una parte dilatavo il mio cuore, sicura com ero che ben presto l'Unigenito del Padre sarebbe disceso dal cielo, ma dall'altra la mia umiltà m'induceva a pensare che forse il mio vivere nel mondo ritardava la sua venuta. Considera dunque, o carissima, la profonda umiltà del mio cuore, e quale esempio sia questo per te e per tutti i mortali! Ma poiché ti riesce difficile comprendere una così alta sapienza e scrivere di essa, contemplami nel Signore: alla sua luce divina potrai meditare e comprendere meglio le mie azioni perfettissime; fa' in modo d'imitarle, seguendo le mie orme.
CAPITOLO 11
Maria santissima ascolta l'annuncio del santo arcangelo; si compie il mistero dell'incarnazione ed ella concepisce nel suo grembo il Verbo eterno.
123. Voglio confessare alla presenza del cielo, della terra e dei loro abitanti, nonché del Dio eterno e creatore di tutto l'universo, che, giunta al punto di prendere la penna per scrivere dell'arcano mistero dell'incarnazione, vengono meno le mie già deboli forze, ammutolisce la mia lingua, il mio ragionare si arresta, si bloccano le mie facoltà e, volgendo il mio intelletto alla divina luce che mi guida e ammaestra, mi trovo tutta sopraffatta e sommersa. In essa si conosce tutto senza inganno, s'intende senza raggiri; vedo la mia inadeguatezza, conosco il vuoto delle parole e quanto sono insufficienti i termini per dare un'idea completa di un mistero che alla fine comprende Dio stesso e la più grande opera e meraviglia della sua onnipotenza. Vedo in questo mistero la divina ed ammirabile armonia della provvidenza e sapienza infinite, con le quali Dio lo ordinò e preparò da tutta l'eternità, cominciando a dispoilo gradatamente fin dalla creazione del mondo, affinché tutte le sue opere e creature risultassero un mezzo adatto allo scopo altissimo della discesa di Dio nel mondo per farsi uomo.
124. Vedo inoltre come il Verbo eterno, per discendere dal seno di suo Padre, aspettò e scelse come occasione ed ora più opportuna il silenzio della mezzanotte 1 dell'ignoranza dei mortali, quando tutti i discendenti di Adamo erano sepolti ed immersi nel sonno dell'oblio, privi della conoscenza del loro vero Dio, senza che ci fosse chi aprisse la bocca per confessarlo e benedirlo, eccetto alcuni, pochi, del suo popolo. Tutto il resto del mondo restava nel silenzio e nelle tenebre, essendo in corso una lunga notte di quasi cinquemiladuecento anni; i secoli e le generazioni si succedevano le une alle altre, ciascuna nel tempo determinato dall'eterna sapienza, affinché tutti potessero conoscere il loro Creatore e in certo qual modo imbattervisi, dal momento che lo avevano così vicino che, stando in lui, ne ricevevano la vita, l'essere e il movimento. Tuttavia, sebbene alcuni dei mortali cercassero Dio andando quasi a tentoni, non essendo ancora arrivato il chiaro giorno della luce inaccessibile, non riuscivano a incontrailo; perciò, non conoscendolo, attribuivano la divinità alle cose sensibili e più vili della terra.
125. Giunse finalmente il fortunato giorno in cui l'Altissimo, disprezzando i lunghi secoli di una così rozza ignoranza, volle manifestarsi agli uomini e dare inizio alla redenzione del genere umano, assumendone la natura nel grembo di Maria santissima, già preparata per questo mistero. Per spiegare meglio ciò che di esso mi viene manifestato, è opportuno premettere alcune cose misteriose che avvennero quando l'Unigenito stava per discendere dal seno del suo divin Padre. Premetto innanzitutto che fra le tre Persone divine, come la fede insegna, sebbene vi sia distinzione personale, non vi è disuguaglianza alcuna nella sapienza, nell'onnipotenza, né in alcun altro attributo, come non può essercene neppure nella sostanza della natura divina; come nella dignità e peffezione infinita sono uguali, così lo sono anche nelle opere ad extra, perché esse escono fuori da Dio per dare origine a qualche creatura o cosa temporale. Queste opere sono indivise fra le tre Persone divine, perché non le fa una sola Persona, ma tutte e tre, in quanto sono un unico Dio e hanno una stessa sapienza, uno stesso intelletto e una stessa volontà. Quindi, come il Figlio sa e vuole ed opera ciò che sa e vuole ed opera il Padre, parimenti lo Spirito Santo sa e vuole ed opera come il Padre e il Figlio.
126. Con questa indivisibile unità tutte e tre le Persone realizzarono, con una medesima azione, l'incarnazione, benché sia stata la sola persona del Verbo a ricevere in sé la natura umana, unendola ipostaticamente a se stesso. Si dice perciò che il Figlio fu inviato dall'eterno Padre, dal cui intelletto procede, e che fu inviato da lui per opera dello Spirito Santo, il quale intervenne in questa missione. Ma poiché era il Figlio che doveva incarnarsi nel mondo, prima di scendere dal cielo senza uscire dal seno del Padre, pregò a nome dell'umanità, che doveva ricevere nella sua persona. Presentò i propri meriti previsti, affinché attraverso di essi si concedesse a tutto il genere umano la redenzione e il perdono dei peccati, per i quali doveva dare soddisfazione alla giustizia divina. Chiese il «fiat» della beatissima volontà del Padre che lo inviava, perché accettasse tale riscatto per mezzo delle sue opere, della sua santissima passione e dei misteri che voleva operare nella nuova Chiesa e nella legge della grazia.
127. L'eterno Padre accettò questa preghiera e questi meriti previsti del Verbo e gli concesse tutto quello che propose e domandò per i mortali. Anzi, egli stesso gli raccomandò i suoi eletti come sua eredità. Per questo Cristo Signore nostro disse mediante san Giovanni che non aveva perso né erano morti quelli che il Padre suo gli aveva dati, perché li aveva conservati tutti, eccetto il figlio della perdizione, che fu Giuda. E un'altra volta disse delle sue pecorelle che nessuno avrebbe potuto rapiile dalle sue mani, né da quelle del Padre suo. Lo stesso avverrebbe per tutti gli uomini se, essendo sufficiente la redenzione, si aiutassero fra sé rendendola efficace per tutti e in tutti; infatti, nessuno sarebbe escluso dalla divina misericordia, se tutti l'accettassero per mezzo del loro Redentore.
128. Tutto questo - a nostro modo d'intendere - avvenne in cielo, nel trono della beatissima Trinità, prima del «fiat» di Maria santissima, del quale ora dirò. Quando l'Unigenito del Padre s'incarnò nel grembo della Vergine, si mossero i cieli e tutte le creature. Per l'unione inseparabile delle tre Persone divine, anche il Padre e lo Spirito Santo scesero con il Verbo, che era l'unico a doversi incarnare. Col Signore e Dio degli eserciti, uscirono tutti i componenti della celeste milizia, pieni d'invincibile fortezza e di splendore. Non era necessario sgombrare il cammino, perché la Divinità lo riempie tutto, sta in ogni luogo e nulla può ostacolarla; tuttavia, i cieli, rispettando il loro stesso creatore, lo onorarono aprendosi tutti e undici. Anche gli altri elementi lo venerarono: le stelle si vestirono di nuova luce, la luna, il sole e gli altri pianeti affrettarono il loro corso in suo ossequio, per trovarsi presenti alla più grande delle sue opere e meraviglie.
129. I mortali non conobbero questo movimento e cambiamento di tutte le creature, sia perché accadde di notte, sia perché il Signore stesso volle che fosse manifesto solo agli angeli, i quali lo lodarono con rinnovata ammirazione, conoscendo misteri così imperscrutabili e venerabili, nascosti agli uomini. Questi allora erano ben lontani da tali meraviglie e da simili benefici, che facevano stupire gli stessi spiriti angelici, ai quali soltanto, per il momento, veniva affidato il compito di dare gloria, lode e venerazione al loro Creatore. Soltanto nel cuore di alcuni giusti l'Altissimo infuse in quell'ora una nuova sensazione di straordinario giubilo, che avvertirono tutti. Quindi, concepirono nuovi ed elevati pensieri sul Signore e alcuni si sentirono ispirati a sospettare che quella novità, che percepivano, fosse effetto della venuta del Messia per la redenzione del mondo. Ma tutti tacquero, perché ognuno credeva che solo a lui fosse accaduto quel cambiamento e venuto quel pensiero, giacché così dispose il potere divino.
130. Anche nelle altre creature vi fu un mutamento. Gli uccelli si misero a cantare con allegria straordinaria, le piante e gli alberi migliorarono nei loro frutti e nella loro fragranza e rispettivamente tutte le altre creature sentirono qualche misteriosa vivificazione. Ma quelli che la ricevettero maggiormente, furono i Padri e i Santi che si trovavano nel limbo, dove fu inviato l'arcangelo san Michele a portare notizie tanto liete, con cui li consolò e li lasciò così pieni di giubilo che proruppero in nuove lodi all'Altissimo. Solo l'inferno ne trasse un rinnovato dolore, poiché quando il Verbo eterno scese dalle altezze dei cieli, i demoni sentirono la forza impetuosa del potere divino, che li sommerse come le onde del mare e li precipitò nella parte più profonda di quelle tenebrose caverne, senza che potessero resistere o rialzarsi. Quando poi la volontà divina lo permise, uscirono nel mondo e lo percorsero tutto, indagando se vi fosse qualche novità, alla quale dovesse attribuirsi quella che avevano sperimentato in se stessi. Non poterono, però, rintracciarne la causa, benché si riunissero più volte per discutere tale questione; infatti il potere divino celò loro il mistero della sua incarnazione e il modo in cui Maria santissima aveva concepito il Verbo incarnato. Soltanto alla sua morte e sotto la croce seppero con certezza che Cristo era vero Dio e vero uomo.
131. Perché l'Altissimo compisse questo mistero, il santo arcangelo Gabriele entrò nella stanza in cui stava pregando Maria santissima, accompagnato da innumerevoli angeli in forma umana visibile, tutti rifulgenti di bellezza incomparabile. Era il giovedì, alle sette della sera, all'imbrunire. La Principessa del cielo lo vide e lo guardò con somma discrezione, non più di quello che bastava a identificailo come angelo del Signore. Dopo ciò, con la sua solita umiltà, volle onorailo. Il santo principe non acconsentì, anzi egli stesso s'inchinò profondamente a lei come a sua Regina e signora, nella quale adorava i divini misteri del suo Creatore, riconoscendo contemporaneamente che da quel giorno mutavano gli antichi tempi e l'usanza che gli uomini si prostrassero davanti agli angeli, come aveva fatto Abramo. Infatti, venendo la natura umana esaltata alla dignità del medesimo Dio nella persona del Verbo, gli uomini ne risultavano già adottati come figli suoi e compagni o fratelli degli stessi angeli, come uno di essi disse all'evangelista san Giovanni, non permettendogli di adorarlo.
132. Il santo arcangelo salutò la nostra e sua Regina e le disse: «Tt saluto, o piena di grazia, il Signore è con te; benedetta tu fra le donne». Udendo questo nuovo saluto, la più umile delle creature rimase turbata. Questo avvenne per due cause. L'una fu la sua profonda umiltà, per la quale le sembrò insolito sentirsi salutare e chiamare benedetta fra tutte le donne, mentre si considerava l'ultima di tutti i mortali. L'altra fu che, mentre andava considerando nel suo cuore tale saluto, il Signore le fece comprendere che la sceglieva per Madre sua. Questo la sconcertò molto di più, per la bassa considerazione che aveva di sé. Per tranquillizzaila, l'arcangelo proseguì, manifestandole l'ordine del Signore: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo» Aggiunse, poi, le altre parole che riporta la Scrittura.
133. Solo la nostra prudentissima ed umile Regina poté, fra le creature semplicemente tali, stimare e magnificare nel modo dovuto un così nuovo e singolare mistero. Poiché conobbe quanto è grande, giustamente ne restò ammirata e si turbò. Tuttavia, rivolse presto il suo umile cuore al Signore, il quale non poteva negare nulla alle sue preghiere. Nel segreto del suo intimo gli domandò nuova luce ed assistenza per comportarsi adeguatamente in una situazione così ardua, perché, per operare questo mistero, l'Altissimo la lasciò nello stato della fede, speranza e carità, sospendendole ogni altra forma di favori e di elevazioni interiori, che spesso, per non dire continuamente, riceveva. Trovandosi in questa disposizione interiore, rispose a san Gabriele ciò che riporta in seguito san Luca e cioè: «Come è possibile? Non conosco uomo» Nello stesso tempo dentro di sé presentava al Signore il voto di castità che aveva fatto e lo sposalizio che sua Maestà aveva celebrato con lei.
134. Le rispose il santo principe Gabriele: «Signora, èfacile al potere divino farvi madre senza che conosciate uomo; lo Spirito Santo verrà con la sua presenza e starà di nuovo con voi, e la potenza dell'Altissimo vi coprirà con la sua ombra affinché da voi possa nascere il Santo dei santi, che si chiamerà Figlio di Dio. Sappiate che anche la vostra parente Elisabetta, nella sua sterile vecchiaia, ha concepito un figlio, e questo per lei è il sesto mese di gravidanza, perché niente è impossibile a Dio. Colui che fa concepire e partorire chi era sterile può far sì che voi, Signora, arriviate ad essere sua madre, restando sempre vergine e risultando ancor più consacrata nella vostra grande purezza. Ora, al Figlio che partorirete, Dio darà il trono di suo padre Davide, e il suo regno sulla casa di Giacobbe sarà eterno. Voi, Signora, ben conoscete la profezia di Isaia, il quale disse che una vergine avrebbe concepito e partorito un figlio, che si sarebbe chiamato Emmanuele, cioè Dio con noi. Questa profezia è infallibile e si deve adempiere nella vostra persona. Similmente conoscete il grande mistero del roveto, che Mosè vide ardere senza che venisse consumato dal fuoco, per significare con questo le due nature, divina e umana, che stanno insieme in una sola persona, sènza che quella umana sia consumata da quella divina, e per indicare altresì che la madre del Messia lo avrebbe concepito e partorito senza che la sua purezza verginale venisse meno. Ricordatevi, Signora, della promessa che fece il nostro Dio eterno al patriarca Abramo, cioè che dopo la schiavitù dei suoi discendenti in Egitto, alla quarta generazione, avrebbero fatto ritorno in questa terra; il mistero di questa promessa stava nel fatto che in questa generazione, per mezzo vostro, Dio fatto uomo avrebbe riscattato tutto il genere umano dall'oppressione del demonio. Inoltre, quella scala che Giacobbe vide in sogno fu figura del cammino reale che il Verbo incarnato avrebbe aperto, affinché i mortali salissero al cielo e gli angeli scendessero sulla terra, dove sarebbe venuto l'Unigenito del Padre per vivere con gli uomini e comunicare loro i tesori della Divinità, con la partecipazione delle virtù e perfezioni del suo essere immutabile ed eterno».
135. Per sollevare Maria santissima dal turbamento che le sue parole le avevano procurato, il messo celeste fornì queste indicazioni, richiamandosi all'annuncio delle antiche promesse e profezie della Scrittura, alla fede e alla conoscenza che Maria aveva di esse e del potere infinito dell'Altissimo. Tuttavia l'eccelsa Signora, superando gli stessi angeli in sapienza, prudenza e santità, prendeva tempo, per poi rispondere con la pienezza che si addiceva al più grande dei misteri del potere divino. Questa grande Signora considerò che dalla sua parola dipendevano la realizzazione del disegno della beatissima Trinità, l'adempimento delle sue promesse e profezie, il sacrificio più gradito tra tutti quelli che erano stati offerti, l'aprirsi delle porte del paradiso, la vittoria e il trionfo sull'inferno, la redenzione di tutto il genere umano, la soddisfazione della giustizia divina, l'istituzione della nuova legge della grazia, la gloria degli uomini, il gaudio degli angeli e tutti i benefici che sarebbero derivati dall'incarnazione dell'Unigenito del Padre, venendo egli ad assumere la condizione di servo nel suo grembo verginale.
136. È certamente una grande meraviglia, degna della nostra ammirazione, che l'Altissimo abbia lasciato tutti questi misteri, e gli altri che ciascuno di essi racchiude, in mano ad un'umile giovane e che tutto sia dipeso solo dal suo «fiat». Tuttavia egli rimise degnamente e sicuramente tutto questo alla fortezza e sapienza di questa donna forte, la quale, apprezzando ciò con tanta magnificenza e sublimità, non tradì la confidenza che egli aveva riposto in 1ei. Per operare ad intra Dio non ha bisogno della cooperazione delle creature; ma egli non volle eseguire la più grande ed eccellente tra le opere ad extra, cioè l'incarnazione, senza la collaborazione di Maria santissima e il suo libero assenso. Dette così compimento con lei e attraverso di lei a tutte le opere che portò alla luce al di fuori di sé, perché fossimo grati di questo beneficio alla madre della Sapienza e nostra riparatrice.
137. Questa grande Signora considerò e penetrò profondamente lo spazioso campo della dignità di madre di Dio, per comprarlo con un «fiat»; si rivestì di forza sovrumana, e gustò e vide quanto era buono questo scambio con Dio. Conobbe i sentieri dei suoi misteriosi benefici, si adornò di fortezza e di bellezza. Quindi, avendo considerato tra sé e con l'arcangelo Gabriele la grandezza di così alti e divini misteri ed avendo pienamente compreso l'annuncio che riceveva, il suo purissimo spirito fu rapito nell'ammirazione, nella venerazione e in un sommo, intensissimo amore di Dio. Per l'intensità di questi superni moti interiori, come per un loro effetto connaturale, il suo castissimo cuore fu in un certo senso compresso con una tale forza, che ne uscirono tre gocce del suo purissimo sangue; queste si posero nel luogo naturale per il concepimento del corpo di Cristo nostro Signore, che da esse venne formato per virtù dello Spirito divino. Quindi, il cuore di Maria purissima, a forza di amore, forni realmente la materia della quale si formò l'umanità santissima del Verbo per la nostra redenzione. Nello stesso tempo ella, con la sua umiltà non mai abbastanza esaltata, inclinando un po' il capo e congiungendo le mani, pronunciò quelle parole che furono il principio della nostra redenzione: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto »
138. Quando pronunciò questo «fiat», tanto dolce per Dio e tanto felice per noi, avvennero istantaneamente quattro cose. La prima fu la formazione del corpo santissimo di Cristo nostro Signore dalle tre gocce di sangue che uscirono dal cuore di Maria santissima. La seconda fu la creazione dell'anima santissima dello stesso Signore, creata anch'essa come le altre. La terza fu l'infusione dell'anima nel corpo, componendo la sua umanità perfettissima. La quarta fu l'unione ipostatica, nella persona del Verbo, della divinità con l'umanità, che realizzò in un solo istante l'incarnazione; fu quindi formato Cristo, vero Dio e vero uomo, Signore e redentore nostro. Questo accadde di venerdì, il 25 marzo, al sorgere del sole, nell'ora stessa in cui fu formato il nostro progenitore Adamo, nell'anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, come nel martirologio computa la Chiesa romana, guidata dallo Spirito Santo. Questo conto è quello vero e certo, e così mi èstato manifestato, avendolo io domandato per obbedienza. Conformemente a ciò, il mondo fu creato nel mese di marzo e, siccome le opere dell'Altissimo sono tutte perfette, le piante e gli alberi uscirono dalla mano di sua Maestà con i loro frutti e li avrebbero conservati sempre, senza perderli, se il peccato non avesse alterato tutta la natura, come dirò a tale proposito in un altro trattato, se sarà volontà del Signore.
139. Nello stesso istante in cui l'Onnipotente celebrò le nozze dell'unione ipostatica nel talamo verginale di Maria santissima, la celeste signora fu elevata alla visione beatifica, contemplò chiaramente ed intuitivamente la Divinità e conobbe in essa altissimi misteri, dei quali parlerò nel prossimo capitolo. In particolare, le furono chiariti i segreti di quelle cifre che aveva ricevuto nell'abbigliamento ed anche di quelle che portavano gli angeli destinati alla sua protezione. Il bambino divino andava crescendo in modo naturale nell'utero materno, con l'alimento, la sostanza e il sangue della Madre santissima, come gli altri uomini, benché esente dalle imperfezioni che i figli di Adamo soffrono in quello stato. Ciò era dovuto al fatto che l'Imperatrice del cielo era libera da alcune di esse, che sono effetti del peccato, accidentali e non appartenenti alla sostanza della generazione, come anche dai limiti costituzionali comuni alle altre donne, che incidono sulla formazione e la crescita dei loro figli. Infatti la materia, a cui ella doveva contribuire e che non riceveva dalla natura corrotta delle altre discendenti di Eva, le veniva data mediante gli atti eroici delle virtù che esercitava, specialmente della carità. In verità, poiché le opere che l'anima compie con fervore e amore agiscono naturalmente sullo stato di salute, ciò veniva finalizzato dalla divina provvidenza al sostentamento del Dio bambino; così l'umanità del nostro redentore era alimentata naturalmente, e nello stesso tempo la divinità veniva ricreata con l'esercizio di eroiche virtù. In questo modo Maria santissima, essendo concepita senza peccato e libera dai suoi effetti gravosi, forni allo Spirito Santo, per la formazione del corpo di Cristo, sangue puro. E mentre quello delle altre madri, necessario a far crescere i figli, è imperfetto ed impuro, la Regina del cielo dava al bambino quello più puro, sostanzioso e delicato, perché glielo comunicava a forza di amore e di altre virtù, oltre che attraverso la sostanza dei cibi che mangiava. Sapendo, poi, che il suo sostentarsi era finalizzato a dare alimento al Figlio di Dio e suo, prendendo il cibo faceva sempre atti talmente eroici che gli spiriti angelici se ne stupivano, stentando quasi a credere che si potessero compiere azioni umane così comuni con tanto merito e compiacimento del Signore.
140. Questa donna celeste entrò in possesso della maternità divina con tali privilegi, che quanti ne ho riferiti sinora e ne riferirò d'ora in poi non sono che la minima parte della sua eccellenza, né la mia lingua è in grado di esprimerla, perché all'intelletto non è possibile concepirla adeguatamente, né i più dotti e sapienti troveranno termini adatti per spiegaila. Gli umili, che comprendono l'arte dell'amore divino, ne riceveranno la conoscenza per mezzo della luce infusa e per il sapore interiore con cui si percepiscono tali cose segrete. E non solo Maria santissima divenne cielo, tempio e dimora della santissima Trinità, non solo fu trasformata, elevata e divinizzata col nuovo e speciale aiuto della Divinità presente nel suo grembo purissimo, ma anche quell'umile casa e quella povera stanza in cui pregava vennero divinizzati e consacrati come nuovo santuario del Signore. Inoltre gli spiriti celesti, che erano testimoni di questa meraviglia, stavano a contemplarla, magnificavano l'Onnipotente con nuovi canti di lode e con gioia indicibile e, in compagnia della felicissima Madre, lo benedivano a nome suo e di tutto il genere umano, che ignorava il più grande dei suoi benefici e la maggiore delle sue misericordie.
Insegnamento della regina Maria santissima
141. Figlia mia, ti vedo stupefatta, e a ragione, per aver conosciuto con nuova luce il mistero di un Dio che si umilia sino ad unirsi alla natura umana nel seno di una povera giovane. Ora voglio, carissima, che tu rifletta bene sul fatto che Dio, venendo nel mio grembo, non si umiliò per me sola, ma anche per te. Il Signore è infinito nella misericordia e il suo amore non ha limiti; per questo si occupa e si prende cura di qualsiasi anima che lo riceva e si compiace di essa come se avesse creato quella sola e si fosse fatto uomo solo per lei. Per tale ragione devi considerarti come sola nel mondo, al fine di ringraziare con tutta la forza del tuo amore il Signore per la sua venuta in esso; poi gli devi rendere grazie perché è venuto anche per tutti gli altri. Con viva fede conosci e confessi che quel Dio, infinito negli attributi ed eterno nella maestà, che scese a farsi uomo nel mio grembo, è quello stesso che cerca te, chiama te, arricchisce te, accarezza te e si volge tutto a te, come se tu fossi la sua unica creatura. Allora, valuta bene e considera a cosa ti obbliga una così ammirabile benignità e trasforma questa ammirazione in atti vivi di fede e di amore. Ciò è dovuto ad un re e Signore come lui, che si degnò di venire a te quando tu non lo potevi né cercare né trovare.
142. Qualsiasi cosa questo Signore ti desse fuori da se stesso, l'apprezzeresti molto, guardandola anche solo con criteri umani, senza valerti della luce superiore. E veramente qualunque dono, che venga dalla mano di un Re tanto eminente, è degno di ogni stima. Ma se volgi lo sguardo a Dio, lo conosci con la luce superna e sai che ti ha resa capace della sua divinità, vedrai che, se essa non ti si fosse comunicata e Dio non fosse venuto a te, tutto quanto egli ha creato sarebbe per te uno spregevole niente. In tal modo godrai e ti riposerai solo nel considerare che hai un Dio così amorevole, amabile, potente, soave e ricco. Egli pur essendo infinito, si degna di umiliarsi fino alla tua bassezza per sollevarti dalla polvere, arricchire la tua povertà ed essere per te padre, sposo e amico fedelissimo.
143. Fai dunque attenzione, figlia mia, agli effetti che ha in te questa verità. Pensa bene, e fallo spesso, all'amore dolcissimo di questo grande Re nella sua cura, nelle sue consolazioni e carezze, nei favori che ricevi, negli sforzi che attende da te, nella luce della sua divina conoscenza, che ha acceso nel tuo cuore. Con essa potrai comprendere profondamente l'infinita grandezza del suo stesso essere, la meravigliosità delle sue opere e dei suoi misteri più nascosti, la verità del tutto, che è lui, ed il nulla di ciò che è visibile. Questa conoscenza è la base dell'insegnamento che ti ho dato perché tu giunga a comprendere con quanto riguardo e onore devi trattare i favori e i benefici di questo Signore e Dio, tuo vero bene, tuo tesoro, tua luce e tua guida. Guarda a lui come a un Dio infinito, pieno di amore e terribile. Ascolta, carissima, le mie parole, il mio insegnamento e le mie indicazioni, perche in cio risiede la pace e la luce dei tuoi occhi.
CAPITOLO 12
Quali furono i moti interiori dell'anima santissima di Cristo nostro Signore nel primo istante del suo concepimento e ciò che allora operò la sua purissima Madre.
144. Per comprendere meglio i primi moti dell'anima santissima di Cristo nostro Signore, consideriamo ciò che nel capitolo precedente si è accennato, cioè che tutta la sostanza di quel divino mistero - la formazione del corpo, la creazione e l'infusione dell'anima, l'unione dell'umanità con la persona del Verbo - accadde e si verificò in un istante. Così, non si può dire che in qualche momento Cristo nostro bene sia stato solo uomo, perché sempre fu uomo vero e Dio vero, uomo-Dio e Dio-uomo. Come nella natura umana, appena comincia ad esistere, entrano in funzione le sue facoltà, così l'anima santissima di Cristo nostro Signore godette della visione e dell'amore di Dio nello stesso istante in cui si compì l'incarnazione, poiché le sue facoltà, intelletto e volontà, s'incontrarono subito con la Divinità. La natura umana si unì ad essa nella propria sostanza e nelle proprie facoltà, affinché tanto nell'essere quanto nell'operare fosse tutta divinizzata.
145. La meraviglia di questo mistero sta nel fatto che tanta gloria e, più ancora, la grandezza infinita della Divinità erano ristrette in un corpicino così piccolo, non più grande di un'ape o di una mandorla non molto grossa, dato che le dimensioni del corpo santissimo di Cristo Signore nostro non erano maggiori di queste quando si verificarono il concepimento e l'unione ipostatica. In quella piccolezza erano presenti la sua gloria e la sua passibilità, poiché la sua umanità era contemporaneamente gloriosa e passibile ed egli era insieme comprensore e viatore. Ma il medesimo Dio, che nel suo potere e nella sua sapienza è infinito, poté restringere ed annientare la sua divinità sempre infinita e racchiuderla nella sfera limitata di un corpo così piccolo, con un ammirabile e nuova maniera di stare in esso, senza smettere di essere Dio. Con la stessa onnipotenza fece si che l'anima santissima di Cristo nostro Signore fosse gloriosa, ma restassero sospesi gli effetti e le doti che tale gloria doveva comunicare al suo corpo, affinché Cristo fosse anche passibile e viatore. Tutto questo avvenne al solo scopo di realizzare la nostra redenzione per mezzo della sua croce, passione e morte.
146. Per effettuare queste opere e le altre che la sua santissima umanità doveva compiere, gli vennero infuse nel medesimo istante del suo concepimento tutte le attitudini che si addicevano alle sue facoltà e che erano necessarie per le azioni sia di comprensore che di viatore; così ebbe la conoscenza beatifica e quella infusa, la grazia santificante e i doni dello Spirito Santo, che, come dice Isaia, riposarono su Cristo'. Ebbe tutte le virtù, eccettuate la fede e la speranza, che non potevano stare insieme con la pienezza della visione beatifica. E se vi sono delle virtù che tollerino delle imperfezioni in colui che le possiede, queste non potevano trovarsi nel Santo dei santi, il quale non poté commettere peccato, né si trovò inganno sulla sua bocca. Inoltre, sulla dignità ed eccellenza della conoscenza e della grazia, nonché sulle virtù e perfezioni di Cristo nostro Signore, non occorre trattenersi oltre, perché questo insegnano ampiamente i santi dottori e i maestri di teologia. Mi basta sapere che tutto questo fu operato dal potere divino con perfezione tale che il giudizio umano non può comprendere. Infatti, quell'anima santissima di Cristo doveva bere alla sorgente stessa, che è la Divinità, e dissetarsi senza fine al torrente delle sue delizie, come dice Davide 3 . E così ebbe la pienezza di tutte le virtù e le perfezioni.
147. L'anima santissima di Cristo nostro Signore fu dunque divinizzata ed abbellita con la divinità e con i suoi doni, e questi furono i suoi moti interiori: prima di tutto vide e conobbe la divinità intuitivamente come è in se stessa e come stava unita alla sua santissima umanità; poi, l'amò subito con sommo amore beatifico; dopo ciò, conobbe la propria natura umana come inferiore all'essere di Dio; di conseguenza si umiliò profondissimamente e, in questa umiliazione, rese grazie all'immutabile essere di Dio per averla creata e per il beneficio dell'unione ipostatica, con cui aveva innalzato la sua natura umana all'essere di Dio. Conobbe il fine della redenzione e anche che la sua umanità santissima era passibile; allora, si offrì in sacrificio gradito come redentore del genere umano e, accettando la passibilità a nome proprio e degli uomini, rese grazie all'eterno Padre. Riconobbe la struttura della sua umanità santissima, la materia della quale era stata formata e come gli era stata comunicata da Maria purissima mediante la carità e l'esercizio di virtù eroiche. Prese possesso di quella santa dimora, facendone la sua abitazione, si compiacque di essa e della sua bellezza eminentissima, ammirò e si aggiudicò come sua proprietà in eterno l'anima della più perfetta tra le semplici creature. Lodò l'eterno Padre per aveila creata con ornamenti di grazie e di doni tanto eccellenti e per averla fatta libera dalla legge del peccato, comune a tutti i discendenti di Adamo, pur essendo ella stessa sua figlia. Pregò per la purissima Signora e per san Giuseppe, chiedendo per loro la salvezza eterna. Tutte queste opere, ed altre che Gesù Cristo compì, furono altissime, come di vero uomo e vero Dio; ed eccetto quelle che riguardano la visione e l'amore beatifico, con tutte e con ciascuna di esse acquistò così tanti meriti che col loro valore si sarebbero potuti redimere infiniti mondi, se fosse stato possibile che ve ne fossero.
148. Anzi, il solo atto di obbedienza, che la santissima umanità unita al Verbo fece accettando la passibilità e acconsentendo che la gloria dalla sua anima non ridondasse al corpo, sarebbe stato sovrabbondante per la nostra redenzione. Ma anche in quel caso, non avrebbe saziato l'amore immenso che portava agli uomini, se con volontà immutabile non ci avesse amato fino alla fine, dando la sua vita per noi con le dimostrazioni e le condizioni del più grande affetto che l'intelletto umano e quello angelico potessero mai immaginare. Ora, se appena entrò nel mondo ci arricchì tanto, quali tesori e quali ricchezze di meriti ci dovette lasciare quando ne usci per mezzo della sua passione e morte di croce, dopo trentatré anni di tribolazioni e di opere tanto divine! Oh, immenso amore! Oh, carità senza limiti! Oh, misericordia senza misura! Oh, pietà generosissima! Oh, ingratitudine e riprovevole dimenticanza dei mortali di fronte ad un così inaudito quanto importante beneficio! Che sarebbe di noi senza di esso? E che faremmo per questo Signore e redentore, se per noi egli avesse fatto meno, dal momento che ci mostriamo tanto ingrati e impassibili di fronte a ciò che ha operato? Se non gli corrispondiamo come a redentore che ci diede vita e libertà eterna, ascoltiamolo almeno come maestro, seguiamolo come luce, come guida che c'insegna il cammino per giungere alla nostra vera felicità.
149. Questo Signore e maestro non soffrì per se stesso, né al fine di meritare il premio per la sua anima santissi ma o l'aumento della sua grazia, ma meritò tutto per noi, perché egli non ne aveva bisogno, né poteva ricevere aumento di gloria, poiché di tutto era pieno; come dice l'Evangelista, infatti, essendo uomo era ad un tempo Unigenito del Padre. In ciò non ebbe uguali, né può averne, perché tutti i santi e le semplici creature acquistarono meriti per sé e soffrìrono in vista del loro premio. Solo l'amore di Cristo fu senza interesse, tutto per noi. Se studiò e progredì nella scuola dell'esperienza, fece questo anche per ammaestrarci ed arricchirci con lo sperimentare lui stesso l'obbedienza, con i meriti infiniti che acquistò e con l'esempio che ci diede, affinché fossimo dotti e saggi nell'arte dell'amore, che non si apprende perfettamente con i soli desideri se non si mette in pratica concretamente. Data la mia inadeguatezza, non mi dilungherò nei misteri della vita santissima di Cristo nostro Signore, rimetten domi ai Vangeli e prendendone solamente quello che sarà necessario per questa divina Storia della Madre sua e signora nostra. Infatti, essendo la vita del Figlio e quella della Madre santissima tanto unite e legate l'una all'altra, non posso dispensarmi dal riferirmi all'opera degli Evangelisti; aggiungerò poi qualcosa che essi non scrissero, perché non necessaria per la loro storia e per i primi tempi della Chiesa.
150. A tutti i moti interiori dell'anima di Cristo Signore nostro nell'istante del suo concepimento, seguì in Maria santissima, in un altro momento o istante di natura, la visione beatifica della Divinità, come si è detto nel capitolo precedente; infatti, in un istante di tempo vi possono essere molti istanti di quelli che chiamano di natura. In questa visione la purissima Signora conobbe con chiarezza e distinzione il mistero dell'unione ipostatica delle due nature, divina e umana, nella persona del Verbo eterno; inoltre, la beatissima Trinità la confermò nel titolo, nel nome e nel diritto di Madre di Dio, poiché era davvero tale, essendo madre naturale di un figlio, che era Dio eterno con la stessa certezza e verità con cui era uomo. Sebbene questa grande Signora non avesse cooperato immediatamente all'unione della Divinità con l'umanità, non per questo perdeva il diritto di vera Madre di Dio, poiché vi contribuì con la sua carne e con le sue facoltà, in quanto le spettava come madre, e più madre delle altre, dato che ella sola prendeva parte a quella generazione senza l'apporto dell'uomo. Negli altri concepimenti si chiamano padre e madre coloro che vi concorrono nel modo stabilito per ciascuno dalla natura, benché non partecipino immediatamente alla creazioiie dell'anima né alla sua infusione nel corpo del figlio; a maggior ragione, Maria santissima si doveva chiamare e si chiama Madre di Dio, anche se ella sola collaborò come madre, senza altra causa naturale, alla generazione di Cristo, vero Dio e vero uomo.
151. Similmente, la vergine Madre di Dio conobbe in questa visione tutti i misteri futuri della vita e morte del suo Figlio dolcissimo, della redenzione del genere umano e della nuova legge del Vangelo che con essa doveva essere fondata; inoltre, conobbe altri grandi ed imperscrutabili misteri, che a nessun altro santo furono manifestati. La prudentissima Vergine, vedendosi alla presenza della Divinità, con la pienezza di conoscenza e di doni che le furono elargiti in quanto Madre del Verbo, si umiliò dinanzi al trono della Maestà infinita e, tutta profusa nella sua umiltà e nel suo amore, adorò il Signore prima nel suo essere infinito e subito dopo nell'unione con l'umanità santissima. Gli rese grazie per il beneficio e la dignità di madre e per quello che sua Maestà faceva a favore di tutto il genere umano. Gli diede gloria e lode per tutti i mortali; si offrì in sacrificio gradito per nutrire, crescere e servire il suo Figlio santissimo e per assisterlo e cooperare, per quanto fosse possibile da parte sua, all'opera della redenzione. La santissima Trinità l'accettò e la designò coadiutrice in questo mistero. A tale scopo ella chiese nuova grazia e luce divina, sia per comportarsi in modo conveniente alla dignità e al compito di madre del Verbo incarnato, sia per trattarlo con la venerazione e la magnificenza dovute a Dio. Offrì al suo Figlio santissimo i futuri figli di Adamo, con i Padri del limbo, e a nome di tutti e di se stessa fece molti atti eroici di virtù e innalzò grandi suppliche, che ora mi trattengo dal riferire per averne riportate altre simili in differenti occasioni. Da esse si può desumere ciò che la santissima Regina fece in questa circostanza, tanto superiore a tutte le altre in cui si era trovata fino a quel fortunato e felice giorno.
152. Tuttavia, è nel chiedere di comportarsi degnamente come Madre dell'Unigenito del Padre che fu più insistente ed affettuosa con l'Altissimo, perché tale motivazione era più forte della sua timidezza e a ciò la obbligava il suo cuore umile, per cui desiderava essere guidata in tutte le sue azioni in questo compito di madre. Le rispose l'Onnipotente: «Colomba mia, non temere, perché io ti assisterò e ti guiderò, ordinandoti tutto quello che dovrai fare col mio Figlio unigenito». Avuta questa promessa, usci dall'estasi, in cui era avvenuto tutto ciò che ho detto e che fu la più ammirabile fra tutte. Ritornata così in se stessa, la prima cosa che fece fu prostrarsi a terra e adorare il suo Figlio santissimo, Dio e uomo, concepito nel suo grembo verginale, perché non aveva ancora compiuto questa azione con le facoltà e con i sensi; infatti, la prudentissima Madre non tralasciò mai di adempiere ed eseguire nessuna di quelle azioni che poté fare in ossequio al suo Creatore. Da allora conobbe e sentì nuovi effetti divini nella sua anima santissima, nonché in tutte le sue facoltà interiori ed esteriori. E quantunque in tutta la sua vita avesse goduto di uno stato nobilissimo nella disposizione della sua anima e del suo santissimo corpo, da questo giorno dell'incarnazione del Verbo in poi restò più spiritualizzata e divinizzata, con nuovi splendori di grazia e nuovi doni indicibili;
153. Nessuno pensi però che la purissima Madre abbia ricevuto tutti questi favori e questa unione con la divinità e umanità del suo Figlio santissimo per vivere sempre in mezzo a consolazioni spirituali, godendo e non soffrendo. Non fu affatto così, poiché a imitazione del suo dolcissimo Figlio, e nel modo possibile, questa Signora visse godendo e soffrendo nello stesso tempo; infatti, la memoria e l'alta conoscenza che ella aveva ricevuto delle future tribolazioni e della morte del suo Figlio santissimo le trafiggevano il cuore. Questa sofferenza deve essere misurata con la conoscenza e con l'amore che tale madre doveva e portava ad un simile figlio, e frequentemente le si rinnovava con la presenza e la conversazione di lui. Sebbene tutta la vita di Cristo e della sua santissima Madre fosse un continuo martirio con incessanti pene e tribolazioni, nel candidissimo e amorevole cuore della purissima Signora vi era questo speciale tipo di sofferenza, che cioè teneva sempre presenti la passione, i tormenti, gli oltraggi e la morte del suo Figlio. Quindi, col dolore di trentatré anni continui, celebrò la lunga vigilia della nostra redenzione, rimanendo questo mistero sempre nascosto nel suo cuore, senza compagnia né sollievo di creature.
154. Con questo amore sofferto, piena di amara dolcezza, molte volte contemplava il suo Figlio santissimo. Prima e dopo la sua nascita, parlandogli nell'intimo del suo cuore, gli ripeteva queste parole: « Signore e padrone dell'anima mia, dolcissimo figlio delle mie viscere, oh, perché mi avete concesso di possedervi come madre per poi dovervi dolorosamente perdere, restando orfana e priva della vostra desiderabile compagnia? Ecco che voi avete appena un corpo dove ricevere la vita e già conoscete la sentenza della vostra tragica morte per la redenzione degli uomini! La prima delle vostre opere sarebbe già un prezzo ben superiore a quello necessario per riscattarli dai loro peccati! Oh, se con questo si considerasse soddisfatta la giustizia dell'eterno Padre e i tormenti e la morte si compissero su di me! Dal mio sangue e dal mio essere avete preso il corpo, senza il quale per voi, che siete Dio immortale, non sarebbe possibile soffrìre. Dunque, se io vi diedi lo strumento dei dolori, che almeno possa subire con voi la stessa morte! O colpa disumana, come è possibile che tu, tanto crudele e causa di tanti mali, abbia meritato la grande fortuna di avere come tuo redentore proprio colui che, essendo il sommo bene, ti poté far felice? Dolcissimo Figlio e amore mio, oh, chi potrebbe proteggervi dai vostri nemici? Oh, se fosse volontà del Padre che io vi custodisca e vi allontani dalla morte o almeno muoia con voi, senza che vi separiate da me! Ma purtroppo adesso non succederà più ciò che avvenne al patriarca Abramo, perché si realizzerà quanto fu deciso. Si adempia la volontà del Signore». La nostra Regina, come dirò qui di seguito, non faceva che ripetere questi sospiri pieni d'amore, poiché l'eterno Padre li accettava come sacrificio gradito. Essi erano quasi dolci carezze per il Figlio.
Insegnamento che mi diede la nostra Regina e signora
155. Figlia mia, giacché mediante la fede e la luce divina giungesti a conoscere la grandezza della Divinità e la sua ineffabile degnazione nello scendere dal cielo per te e per tutti i mortali, bada bene di non ricevere questi benefici in modo che restino in te senza frutto. Adora Dio con profonda riverenza e lodalo per quanto conosci della sua bontà. Non ricevere invano la luce e la grazia, anzi ti sia di esempio e di stimolo ciò che fece il mio Figlio santissimo e ciò che feci io a sua imitazione. Infatti, sebbene egli fosse vero Dio e io fossi sua Madre, perché in quanto uomo la sua umanità santissima era creata, noi riconoscemmo la nostra natura umana, ci umiliammo ed esaltammo la Divinità più di quanto possano comprendere le creature. Tu devi offrire un simile culto a Dio in ogni tempo e in ogni luogo senza differenza, ma specialmente quando ricevi il Signore nell'Eucaristia. In questo ammirabile sacramento vengono e rimangono in te, in modo nuovo e incomprensibile, la divinità e l'umanità del mio Figlio santissimo e si manifesta la sua magnifica benignità, poco considerata e rispettata dai mortali, i quali non corrispondono a tanto amore.
156. Tu, dunque, fa' in modo di essergli riconoscente con umiltà e con riverenza tanto profonde, quanto potranno le tue forze e facoltà; infatti, nonostante si sforzino, sarà sempre meno di ciò che tu devi e di ciò che Dio merita. Per supplire come ti è possibile alla tua inadeguatezza, offrìrai quello che il mio Figlio santissimo ed io operammo e unirai il tuo spirito e il tuo amore a quello della Chiesa trionfante e militante. In questo modo domanderai, offrendo a tal fine la tua stessa vita, che tutte le nazioni vengano a conoscere, confessare e adorare il loro vero Dio incarnato per tutti, mostrandoti riconoscente per i benefici che ha fatto e fa a tutti, a coloro che lo riconoscono come a coloro che lo negano. Ma soprattutto voglio questo da te, o carissima, cosa che al Signore e a me sarà molto gradita: affliggiti della crudeltà, ignoranza e pigrizia degli uomini e del pericolo cui sono esposti, delringratitudine dei fedeli, figli della Chiesa, che hanno ricevuto la luce della fede e vivono del tutto dimentichi di queste opere e grazie dell'incarnazione, e anzi di Dio stesso; giungono al punto di distinguersi dagli infedeli soltanto in alcune cerimonie esteriori, che fanno senz'anima e senza sentimento del cuore, spesso offendendo e provocando con esse la giustizia divina, che dovrebbero placare.
157. Questa terribile ignoranza viene loro dal non essere ben disposti ad acquistare e raggiungere la vera conoscenza dell'Altissimo, per cui meritano che la luce divina si allontani da loro e li lasci in balia delle tenebre, con cui si rendono più indegni degli stessi infedeli; per questo subiranno un castigo senza confronto maggiore. Affliggiti, dunque, per un simile danno del tuo prossimo e chiedine il rimedio dal profondo del cuore. Ma affinché tu sia immune da un pericolo tanto terribile, non negare i favori e i benefici che ricevi, non disprezzarli e non dimenticarli col pretesto di essere umile. Ricordati e medita nel tuo cuore quanto da lontano la grazia dell'Altissimo si mosse per chiamarti. Considera come ti attese consolandoti nei tuoi dubbi, calmando i tuoi timori, nascondendo e perdonando le tue mancanze e moltiplicandoti i favori, le carezze e i benefici. Ti assicuro, figlia mia, che devi confessare di cuore che l'Altissimo non ha fatto tanto con nessun altro, poiché tu niente valevi né potevi, anzi eri povera e più inutile di tutti. Sia, dunque, la tua gratitudine maggiore di quella di tutte le altre creature.
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