“Io non sono che una bambina
impotente e debole,
tuttavia
è la mia stessa debolezza che
mi dà l’audacia
di offrirmi
vittima al tuo amore, o Gesù!”
Santa Teresa di Gesù Bambino
L’infanzia: alternanza di gioia e dolore …..
Teresa Martin nasce ad Alençon (Francia) il 2 gennaio
1873, in una famiglia religiosissima, allietata dalla nascita
di ben 9 figli, di cui 4 muoiono nei primissimi anni di vita,
fra il 1867 e il 1870.
La nascita di Teresa viene, pertanto,
accolta con grande gioia.
Non ha ancora due anni e Teresa recita già le preghiere,
come scrive Zelia, nella lettera dell’8 novembre 1874 (2).
A tre anni afferma: “Scelgo tutto…” (3) e s’industria a fare
dei sacrifici con l’inseparabile sorella Celina di sei anni.
A quattro anni manifesta il desiderio di seguire le sorelle
attirate dalla vita claustrale.
La sorella Paolina riporta in una lettera raccolta nella
corrispondenza generale: “…sarò religiosa in un chiostro
perché Celina vi vuole andare, e poi, Paolina mia, bisogna
pure insegnare alla gente a leggere, non è vero? Ma
non sarò io a fare scuola, ciò mi annoierebbe troppo, sarà
Celina. Io sarò la madre, passeggerò tutto il giorno nel
chiostro e poi andrò con Celina. Giocheremo con la sabbia
e poi alle bambole..
- Dunque tu credi, mia povera Teresa, di poter parlare
tutto il giorno? Ma non sai che bisognerà stare zitte?
- E’ vero, … Beh, peggio per me, non dirò niente.
- Che farai, allora?
- Mi arrangerò, pregherò il buon Dio, ma come si fa a
pregarlo senza dire niente? Io non lo so ….” (4).
Teresa è una bambina vivacissima e molto intelligente.
La Signora Martin, in una lettera alla figlia Paolina che si
trova in collegio, annota:
“… il Frugolino non si sa che cosa diventerà: è così piccolo
e così sventato… E’ una bambina di intelligenza superiore
a Celina, ma molto meno mite e soprattutto di una ostinazione
quasi invincibile; quando ha detto “no” niente
vale a farla cedere; la potremmo mettere per una giornata in cantina, vi pernotterebbe piuttosto che dire “sì”. Tuttavia
ha un cuore d’oro, è molto affettuosa e molto franca
….” (5).
E’ lo sguardo aperto, il cuore attento di una mamma che
assiste, osservando, al risveglio e alle inclinazioni della sua
ultima bambina. Da queste poche righe emerge il carattere
di Teresa: espansivo, affettuoso, sincero; ma anche ostinato
e incline ai capricci, di una natura fiera, non comune.
E in un’altra lettera:
“….. Celina e Teresa si vogliono molto bene e bastano a
vicenda per divertirsi….. Sono inseparabili, è impossibile
vedere due bambine volersi più bene di loro ….” (6).
La santa stessa affermerà:
“…. Ci intendevamo molto bene; soltanto io ero molto più
vivace e molto meno ingenua di lei…..” (7).
Celina è la compagna inseparabile dei giochi, con la
quale Teresa instaura un forte rapporto d’amicizia in un
clima di tenerezza, di affetto sincero.
Il secondo periodo dell’infanzia di Teresa, definito da lei
stessa il più “doloroso”, è caratterizzato da avvenimenti
che la privano nel giro di poco tempo degli affetti più cari,
di tutte le “madri”, della mamma Zelia che muore nel
1877 e successivamente delle sorelle Paolina e Maria che,
alternatesi nell’educazione di Teresa, lasceranno la casa
paterna per il Carmelo.
La morte della mamma, sopportata con grande coraggio,
ha un’incidenza profonda nel cuore di Teresa che confesserà
più tardi:
“… Dopo la morte di mamma il mio carattere felice cambiò
completamente: io così espansiva, divenni timida e mite,
sensibile all’eccesso; … Non potevo sopportare la
compagnia di persone estranee e non ritrovavo la mia
gaiezza che nella intimità della famiglia….” (8).
Il trauma del distacco viene parzialmente attutito dalla amorosa cura che la sorella Paolina riserva alla piccola Teresa.
Paolina intuisce le sue sofferenze, segue con attenzione
materna e delicata lo sviluppo del carattere e trova
una risposta a tutti gli interrogativi della piccola. Accanto
a lei, Teresa ritrova la gaiezza, il sorriso dell’infanzia.
Nel 1882 si rinnova per Teresa il dolore del distacco,
della separazione: Paolina decide di entrare nel Carmelo.
A Teresa sembrerà di vivere per la seconda volta
l’incubo della perdita della mamma. Nel manoscritto afferma
di aver appreso l’intenzione di Paolina con sorpresa
e che la vita in quel momento le si era rivelata come una
realtà di sofferenza continua.
“Il tu a tu” con la Madonna …..
Nello steso anno la salute di Teresa, già precaria e instabile,
peggiora sensibilmente, manifestando dolorose e fastidiose
emicranie. L’anno successivo in primavera la crisi
si aggrava e Teresa è costretta alla assoluta immobilità.
Il 13 maggio, giorno di Pentecoste, si teme per la sua vita:
la perplessità dei medici ne lascia intravedere la preoccupazione
disperata.
Sarà il sorriso “incantevole” della Madonna, di cui tiene
l’immagine in camera, a guarirla miracolosamente.
La scossa della guarigione è comprensibilmente profonda,
incisiva e Teresa riuscirà a superarla gradatamente, per
tappe successive.
Verrà persino afferrata dal dubbio di aver mentito; dubbio
di cui sarà liberata quattro anni più tardi, in occasione
del suo pellegrinaggio a Notre Dame delle Vittorie.
“….
Tre mesi dopo la mia guarigione Papà ci fece fare
un viaggio di piacere ad Alençon….” (dopo la morte della
mamma, la famiglia si era trasferita a Lisieux), “... Era la
prima volta che vi ritornavo e grande fu la mia gioia nel rivedere i luoghi ove era trascorsa la mia infanzia e soprattutto
di poter pregare sulla tomba di Mamma e chiederle
di proteggermi sempre.
Il buon Dio mi ha fatto la grazia di conoscere il mondo
quel tanto che bastava per disprezzarlo ed allontanarmene.
Potrei dire che proprio durante quel soggiorno ad Alençon
io feci la mia prima entrata in società. Tutto era
gioia e felicità intorno a me, ero festeggiata, accarezzata,
ammirata; la vita durante quei quindici giorni non fu per
me cosparsa che di fiori e confesso che quella vita aveva
un incanto ai miei occhi.
La Sapienza ha ben ragione di
dire 'che il fascino delle futilità mondane seduce anche lo
spirito lontano dal male'. A dieci anni il cuore si lascia
abbagliare facilmente, perciò considero come una grande
grazia il non essere rimasta ad Alençon…”.
“Gli amici che vi contavamo erano troppo mondani, sapevano
conciliare troppo le gioie della terra con il servizio
di Dio; non pensavano abbastanza alla morte e tuttavia
la morte è venuta a visitare un gran numero di persone
che ho conosciuto giovani, ricche, felici!.... Mi piace di ritornar
con il pensiero ai luoghi incantevoli ove vissero,
domandandomi dove sono ora, che profitto hanno avuto
dai castelli e dai parchi ove li vidi godere le comodità della
vita …E vedo che sotto il sole tutto è vanità e afflizione
di spirito, che l’unico bene è amar Dio con tutto il cuore
ed essere poveri di spirito, quaggiù… Forse Gesù ha voluto
mostrarmi il mondo prima di farmi la sua prima visita,
onde io scegliessi più liberamente la via che dovevo promettergli
di seguire…”.(9).
La morte della mamma, la guarigione “miracolosa” ed
infine l’impatto col mondo frivolo e banale della società di
Alençon si rivelano esperienze positive nel cammino di
Teresa, ancora incerto, ancora comprensibilmente confuso,
ma già sostenuto da una Luce interiore particolare.
La prima Comunione
Una seconda scossa nella vita di Teresa dopo quella della
guarigione è la prima Comunione, con la percezione
delle prime grazie mistiche (8 maggio 1884). Dalla lettura
del racconto si riceve l’impressione che Teresa ritrovi in
Dio la sua mamma strappatale prematuramente e la sorella
Paolina, con la quale si identifica: nello stesso giorno infatti
Paolina fa la sua professione religiosa.
Le lacrime di Teresa sono piene di gioia e di commozione.
La dolce intimità della prima Comunione perdura nel
cuore della piccola.
Scrive nei suoi ricordi:
“…. L’indomani della prima Comunione fu ancora un bel
giorno, ma velato di malinconia. Il bel vestito comperatomi
da Maria, tutti i regali che avevo ricevuto non potevano
appagarmi, soltanto Gesù poteva farmi contenta e sospiravo
il momento di riceverlo una seconda volta. Circa
un mese dopo...andai a confessarmi per l’Ascensione ed
ebbi la felicità di inginocchiarmi alla sacra mensa tra Papà
e Maria. Che soave ricordo ho conservato di questa
seconda visita di Gesù! Le lacrime scorsero ancora con
dolcezza ineffabile, mi ripetevo continuamente queste parole
di San Paolo: 'Non sono più io che vivo, è Gesù che
vive in me!'. Ricordo che una volta (Maria) mi parlò della
sofferenza...L’indomani le (sue) parole mi ritornarono al
pensiero dopo la Comunione; sentii nascermi in cuore un
gran desiderio della sofferenza ed insieme l’intima persuasione
che Gesù mi riservasse un gran numero di croci.
Fino a quel momento avevo sofferto senza amare la sofferenza,
da quel giorno in poi sentii un vero amore per il
patire. Sentivo anche il desiderio di amare Dio solo, di
trovare in Lui solo la mia gioia e spesso, dopo le mie Comunioni,
ripetevo queste parole dell’Imitazione: 'Gesù, dolcezza ineffabile, converti per me in amarezza tutto il
fascino delle cose terrene!'…” (10).
Il 14 giugno dello stesso anno Teresa riceve la Santa
Cresima.
“Con la discesa dello Spirito Santo – dirà – ricevetti la
forza per soffrire…” (11).
Crisi d’infanzia: la malattia degli scrupoli ….
La psiche di Teresa è turbata dalla paura del peccato e in
questo periodo estremamente delicato viene assalita dalla
tremenda malattia degli scrupoli. Nella sua sofferenza trova
conforto e sostegno presso la “terza madre”, la sorella
Maria, che colma il vuoto lasciato da Paolina e diventa per
Teresa l’amica confidente, disposta ad ascoltare, a risolvere
i suoi piccoli problemi quotidiani, a rispondere ai suoi
innumerevoli quesiti; ma anche Maria, nell’ottobre 1886, -
Teresa ha tredici anni – lascia la famiglia per il Carmelo.
Teresa soffre indicibilmente per il nuovo, ulteriore distacco,
reso ancor più insopportabile dalla ingenua convinzione
che le sorelle religiose non possano “più comprendere
le cose di questa terra…”. (12).
La sua sensibilità subisce nuovamente la dura prova
dell’abbandono, del distacco e dovrà vivere una fase di
transizione prima del passaggio al terzo periodo della sua
infanzia, l’ultimo da lei individuato nel manoscritto A.
Viene “bloccata” per qualche tempo da una fragilità emotiva
eccessiva, dalla ipersensibilità, dalla suscettibilità, che
favoriscono lacrime copiose, per motivi insignificanti, a
volte banali o del tutto infantili. E’una tappa necessaria,
indispensabile prima del salto di qualità….
“…. Essendo la più piccola non ero abituata a servirmi
da me; Celina faceva la camera ove dormivamo insieme,
ed io non facevo nessun lavoro di casa. Per far piacere al
Signore mi accadeva qualche volta di tentar di rifare il letto: era per il Signore soltanto che facevo queste cose,
ma, ahimè, se Celina aveva la sventura di non mostrarsi felice
e sorpresa dei miei piccoli servigi, io non ero contenta
e glielo provavo con le mie lacrime. Per la mia eccessiva
sensibilità ero davvero insopportabile; così se mi accadeva
di dare involontariamente un minimo dispiacere a qualcuno
cui volevo bene, piangevo come una Maddalena; e quando
incominciavo a consolarmi della cosa in se stessa, piangevo
di aver pianto...Ogni ragionamento era inutile e non arrivavo
a correggermi di quel brutto difetto” (13).
Dalle tenebre alla luce…..
A Natale (siamo ancora nell’anno 1886) Teresa vive il
momento di grazia, di conversione:
“Fu il 24 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire
dall’infanzia, in una parola, la grazia della mia completa
conversione. Eravamo di ritorno dalla Messa di mezzanotte,
ove avo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente;
arrivando a casa mi rallegravo di trovar nel camino le
scarpe e i doni.
Ma Gesù volle mostrarmi che dovevo liberarmi
dai difetti dell’infanzia, me ne ritirò anche le gioie
innocenti e permise che Papà, stanco per la Messa di mezzanotte,
provasse fastidio nel veder le mie scarpe sul camino
e dicesse queste parole che mi trapassarono il cuore:
'Fortuna che è l’ultimo anno!'... Ricacciando le lacrime
presi le scarpette, le posai davanti a Papà e allegramente
ne trassi tutti gli oggetti, con l’espressione di felicità
di una regina. Papà rideva, ritornato allegro, e Celina
credeva di sognare ….: la piccola Teresa aveva ritrovato
la forza d’animo che aveva perduto a quattro anni e mezzo
e doveva conservarla per sempre! In quella notte luminosa
incominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello, il
più colmo di grazie celesti. Gesù misericordioso fece di
21
me un pescatore d’anime. Infatti provai un gran desiderio
di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio (che
non avevo) mai sentito così vivamente ….. Sentii il bisogno
di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e
da allora fui felice!...” (14).
Affiora da questa confessione autobiografica il dono di
“fortezza” che il Signore elargisce alla piccola Teresa.
Per
la prima volta davanti alla delusione, Teresa reagisce positivamente,
senza lacrime, anzi col sorriso e con la gioia.
Le parole di papà Martin non l’hanno lasciata indifferente,
tutt’altro! Sono penetrate nel suo cuore, lacerandolo; tuttavia,
Teresa non ne viene più travolta, non subisce i condizionamenti
dell’ipersensibilità, dell’emotività, ma scopre
dentro di sé il distacco, un coraggio, una padronanza inusitati.
E’ il momento della “fortezza” che, non subita passivamente,
la libera dall’interno: dai traumi, dai capricci, dalle
crisi d’infanzia.
Il passaggio dall’egocentrismo, da un mondo interiore
solipsistico, ripiegato, chiuso su se stesso, all’apertura verso
gli altri, al dono di sé, diventa obbligato, inevitabile e
anche meraviglioso.
Teresa ne constata lucidamente le sfumature graduali e
ne sente, ne avverte la dolcezza.
Da questo momento inizia la sua “corsa”.
La scoperta degli altri, dell’amore, del desiderio di “lavorare
per la conversione dei peccatori”, spezzano il cerchio
limitato del suo piccolo mondo e suscitano immediatamente
in lei un nuovo atteggiamento, spirituale, uno stile
diverso.
Teresa intuisce che questo afflato, questa nuova dimensione
interiore devono collocarsi in uno spazio e in una realtà
concrete, personali e la sete di apostolato si fa ardente,
inestinguibile. “…Una domenica, guardando un’immagine di Nostro Signore
crocifisso, fui colpita alla vista del sangue che cadeva
da una delle sue mani divine e provai una gran pena
nel pensare che quel sangue cadeva in terra senza che
nessuno si desse premura di raccoglierlo. Allora risolvetti
di rimanere in spirito ai piedi della Croce per ricevere la
divina rugiada e compresi che avrei dovuto poi spargerla
sulle anime…
Il Grido di Gesù sulla Croce: “Ho sete!” mi
risuonava continuamente in cuore; questa parola accendeva
in me un ardore vivissimo e misterioso…mi sentivo
io stessa divorata dalla sete delle anime...” (15).
Teresa matura a tutti i livelli: la sua preghiera per i peccatori
si intensifica, in particolare, per la conversione di un
grande criminale, Pranzini, la cui storia penetra misteriosamente
nel suo cuore, pur non osando confessarlo apertamente
in famiglia, a causa della convenzione e del legalismo
che dominavano l’ambiente.
Si apre così una nuova e avvincente esperienza, prendendone
coscienza, della maternità spirituale; più tardi negli
anni evocherà il criminale giustiziato come il “suo primo
figlio”.
Scopre i valori essenziali dell’esistenza e confronta le
proprie scelte sui parametri degli stessi. Intensifica l’interesse
per lo studio e l’attività culturale, che tuttavia non la
distolgono dall’attenzione principale, dall’epicentro: Dio.
La scala dei valori verticizzata nel Signore, dilata il suo
cuore ad una comprensione della realtà arricchita di sfumature,
di tensioni soprannaturali.
Significativo e pregnante il richiamo autobiografico di
questo periodo: richiamo all’amore, alla tenerezza che sente
nascere dentro di sé verso i bambini:
“…
Prima di lasciare il mondo il buon Dio mi dette la
consolazione di contemplare da vicino delle anime di
bambini. Essendo la più piccola della famiglia non aveva
mai avuto questa felicità. Una povera donna parente della nostra domestica morì nel fiore degli anni lasciando tre
bambini tutti piccoli. Durante la sua malattia noi prendemmo
in casa le due bambine, la maggiore delle quali
era al di sotto dei sei anni. Io mi occupavo di loro per tutto
il giorno ed era un vero piacere per me vedere con quale
candore esse credevano tutto quello che dicevo loro.
Quando volevo vedere le due bambine molto concilianti
l’una verso l’altra, invece di promettere giocattoli e caramelle,
parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù
Bambino avrebbe dato in paradiso ai bambini buoni. La
maggiore, la cui intelligenza cominciava a svilupparsi, mi
guardava con occhi splendenti di gioia e mi rivolgeva mille
domande incantevoli su Gesù Bambino e il suo bel Paradiso;
mi prometteva anche con entusiasmo di cedere
sempre alla sua sorellina e diceva che non avrebbe mai
dimenticato ciò che le aveva detto la 'signorina grande',
perché è così che mi chiamava …” (16).
Nelle anime dei piccoli Teresa trova il Cielo, la semplicità,
l’innocenza, il candore. Si occupa di loro, protesa
verso di loro, dimentica di se stessa.
Il Carmelo: la sua risposta d’amore all’Amore …
Su questo terreno, col cuore trasformato dalla Grazia, in
un atteggiamento di conversione, di metanoia, Teresa si
incammina verso la conquista del Carmelo.
Gli ostacoli che si frappongono sono numerosi e nel ginepraio
delle difficoltà sollevate sia dallo zio Guerin, sia
dai superiori ecclesiastici, Teresa ha modo di maturare la
sua decisione.
Non ha dubbi sulla vocazione: sarà questa chiarezza interiore
ad impedirle di rassegnarsi di fronte ai ripetuti rifiuti
e allo stesso tempo a prevenirla da reazioni impulsive.
Teresa intuisce che vincerà la “sua battaglia”, dando
prova di maturità e lottando con le uniche armi efficaci: la fede e la preghiera. E vince! Ottiene il permesso dalle autorità
ecclesiastiche e il 9 aprile 1888 entra finalmente al
Carmelo di Lisieux.
Simpatiche e non prive di umorismo le pennellate che
Teresa tratteggia nel suo manoscritto ricordando questo
periodo di prova “del fuoco”.
“… Monsignor Vescovo li accompagnò fino al giardino.
Papà lo divertì molto raccontandogli che, per sembrare
grande, quella mattina stessa si era fatta rialzare i capelli.
E ciò non fu perduto, perché poi Monsignor Vescovo non
parlò mai della “sua bambina” senza raccontare la storia
dei capelli tirati su.
Il Vicario Generale disse che non si era mai visto un padre
altrettanto sollecito di offrire la figlia a Dio, quanto la
figlia stessa di offrirsi! ..” (17).
La pesante porta della clausura si chiude alle spalle di
Teresa, che scopre in sé una calma interiore profonda e
gioiosa: avverte sensibilmente la motivazione del suo ingresso
e fin dall’inizio percepisce la sua missione.
“…. Quello che venivo a fare al Carmelo lo dichiarai ai
piedi di Gesù Ostia: sono venuta per salvare anime e soprattutto,
per pregare per i sacerdoti. Gesù mi fece comprendere
che mi avrebbe dato anime per mezzo della croce
e la mia attrattiva per la sofferenza crebbe man mano
che il patimento aumentava…..” (18).
Capisce che la realizzazione della sua vocazione è direttamente
proporzionale all’accettazione della croce, della
sofferenza come dono di amore. Approfondisce questa intuizione
nel momento del buio, della prova dell’aridità e si
getta a capofitto in un’offerta carica di tensione, di dinamismo
spirituale.
In occasione della professione Teresa si ricorderà del
suo desiderio iniziale di pregare “specialmente” per i sacerdoti
e nella scia di questo orientamento acquisterà sempre
più coscienza della sua missione di “servizio”. L’impatto di Teresa con l’ambiente monastico non è privo
di difficoltà. Il pericolo maggiore è quello di ritrovarsi
nel ruolo della bambina più piccola, della beniamina, amata
da tutti, vezzeggiata, circondata dall’affetto di diverse
“mamme”: Paolina e la stessa Priora…
La severità della Priora, Madre Maria di Gonzaga, acquista
agli occhi di Teresa un valore purificante, necessario
alla sua crescita spirituale. Il suo cuore abituato agli affetti
umani, alla tenerezza si purifica gradualmente e conosce
una sola preoccupazione: l’amore puro, verginale, disinteressato
e distaccato da tutto, per essere unicamente
orientato verso il Signore.
Teresa si impone un’amicizia aperta, generosa verso tutti,
ma soprattutto interiormente libera da schemi prestabiliti;
sdrammatizza la realtà dei rapporti interpersonali, delle
correlazioni, per arrivare, e quindi vivere, all’essenziale.
Certamente questo passaggio “qualitativo” richiede a
Teresa un grande coraggio e una forza d’animo senza confronti:
non ha forse scelto la strada dell’amore, nella sofferenza?
“… Due mesi dopo il mio ingresso al Carmelo…. Feci
una confessione generale ed alla fine il Padre mi disse
queste parole: 'Alla presenza di Dio, della Vergine Santissima
e di tutti i Santi, dichiaro che lei non ha mai commesso
un solo peccato mortale'. Mi disse ancora: 'Nostro
Signore sia sempre il Suo Superiore e il Suo Maestro di
noviziato', Egli lo fu infatti e fu anche il mio 'Direttore'.
Nostra Madre essendo spesso malata aveva poco tempo
per occuparsi di me. Il buon Dio permetteva che a sua
stessa insaputa ella fosse molto severa. Non potevo incontrarla
senza aver da baciar terra e lo stesso avveniva nei
rari colloqui che avevo con lei…. Quale preziosissima
grazia!... Che sarei divenuta se fossi stata trattata come il
trastullo della comunità? Forse invece di veder Nostro Signore
nelle Superiore, non avrei considerato che le persone umane ed il mio cuore si sarebbe affezionato umanamente….” (19).
La grande prova: la malattia e la morte del padre…
Le prove non le derivano solo dalle relazioni all’interno
della comunità monastica o dal contatto con una realtà
ambientale qualche volta assurda e paradossale; non si limitano
agli scontri di mentalità, inevitabili….; la grande
prova, che Teresa chiama enigmaticamente la “nostra
grande ricchezza”, nasce da un avvenimento esterno: la
malattia del padre.
Un mese dopo la vestizione, avvenuta il 10 gennaio
1889, il Signor Martin “avrebbe bevuto il più amaro, il
più umiliante di tutti i calici” (20).
In seguito ad una paralisi per arterio-sclerosi cerebrale,
viene ricoverato in una casa di salute, finchè la totale immobilità
degli arti inferiori costringe a ricondurlo in famiglia,
dove Celina e Leonia si alterneranno nel prodigargli
la più tenera assistenza.
Teresa riporta nel suo scritto autobiografico:
“…. I tre anni del martirio di papà mi sembrano i più
amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, non li cederei
per tutte le estasi e le rivelazioni dei santi; pensando a
questo tesoro inestimabile il mio cuore trabocca di riconoscenza
….Eppure la mia attrazione per il soffrire non
diminuiva, perciò ben presto anche l’anima, come già il
cuore, ebbe la sua parte di sofferenza. L’aridità divenne il
mio pane quotidiano, ma benché priva di ogni conforto,
ero la più felice delle creature, perché tutti i miei desideri
erano stati appagati…” (21).
In questi tre lunghi anni, Teresa intesse una fitta corrispondenza
col padre, il suo “re”: lettere appassionate, ricche
di carica affettiva, scritte allo scopo di essergli vicina,
di consolarlo, di confortarlo, di aiutarlo ad accettare la malattia, avvilente, deprimente e soprattutto di infondergli la
sicurezza di essere ancora amato, stimato da tutti: Teresa
desidera che il padre, attraverso gli altri, possa ritrovare la
fiducia in se stesso.
L’aridità a cui Teresa accenna non è momentanea, circoscritta
in uno spazio limitato di tempo, ma coinvolge la
sua esistenza a lungo e intensamente; diventa l’elemento
primario, insostituibile del processo di maturazione che la
condurrà “silenziosamente” alla santità.
In questo periodo non avrà più illuminazioni particolari
o grazie sensibili; ne aveva ricevute abbondantemente durante
la prima e la seconda Comunione e come abbiamo
già avuto modo di constatare nell’episodio mirabile della
guarigione.
Ora il suo stato spirituale abituale è il buio, il deserto,
l’aridità.
L’anno successivo alla professione, avvenuta l’8
settembre 1890, Teresa viene confermata dal Padre Alessio
Prou, durante la predicazione degli esercizi spirituali
alla comunità (ottobre 1891), nella via della fiducia in Dio.
Gli scrupoli, i timori l’abbandonano definitivamente e le
si apre in una prospettiva nuova, armoniosa, la strada della
certezza, dell’amore.
“…….. Soffrivo in quel momento grandi prove interiori… fino a domandarmi talvolta se esiste un Paradiso.. ma appena entrata nel confessionale, l’anima mia si sentì dilatata; dopo aver detto poche parole, mi vidi compresa in modo meraviglioso ed anche indovinata…. La mia anima era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio di me stessa … egli mi lanciò a vele spiegate nel mare della fiducia e dell’amore che mi attirava così fortemente, ma sul quale non osavo avanzare e mi disse che le mie colpe non facevano dispiacere al Signore, e che rappresentandolo in quel momento egli poteva dirmi di Lui, che il buon Do era contentissimo di me…” (22).
“…….. Soffrivo in quel momento grandi prove interiori… fino a domandarmi talvolta se esiste un Paradiso.. ma appena entrata nel confessionale, l’anima mia si sentì dilatata; dopo aver detto poche parole, mi vidi compresa in modo meraviglioso ed anche indovinata…. La mia anima era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio di me stessa … egli mi lanciò a vele spiegate nel mare della fiducia e dell’amore che mi attirava così fortemente, ma sul quale non osavo avanzare e mi disse che le mie colpe non facevano dispiacere al Signore, e che rappresentandolo in quel momento egli poteva dirmi di Lui, che il buon Do era contentissimo di me…” (22).
Il carattere e la personalità si irrobustiscono e la sua presenza
in comunità acquista progressivamente un vero e
proprio ascendente. Teresa mostra quanto vale umanamente,
nel dicembre 1891: la sua preoccupazione è di essere
tutto per tutte e vi riesce.
“Una epidemia di febbre spagnola scoppiò in comunità. La morte regnava ovunque, le malate più gravi venivano curate da quelle che a malapena si trascinavano; appena una sorella aveva reso l’ultimo respiro si era obbligate a lasciarla sola. E’ impossibile immaginare il triste stato della comunità, ma in mezzo a quell’abbandono sentivo che Dio vegliava su di noi. Le moribonde passavano senza sforzo a una vita migliore e subito dopo la morte, sui loro lineamenti si stendeva un’espressione di pace e di gioia…..” (23). L’esperienza dolorosa della morte “fisica” di diverse consorelle la prepara gradatamente ad accettare la morte del Signor Martin, il padre adorato, il suo “re”, nel luglio del 1894.
“Una epidemia di febbre spagnola scoppiò in comunità. La morte regnava ovunque, le malate più gravi venivano curate da quelle che a malapena si trascinavano; appena una sorella aveva reso l’ultimo respiro si era obbligate a lasciarla sola. E’ impossibile immaginare il triste stato della comunità, ma in mezzo a quell’abbandono sentivo che Dio vegliava su di noi. Le moribonde passavano senza sforzo a una vita migliore e subito dopo la morte, sui loro lineamenti si stendeva un’espressione di pace e di gioia…..” (23). L’esperienza dolorosa della morte “fisica” di diverse consorelle la prepara gradatamente ad accettare la morte del Signor Martin, il padre adorato, il suo “re”, nel luglio del 1894.
Teresa alla prova della comunità….
Il periodo che precede la tappa finale, quella più importante,
rivela le doti umane di Teresa, le sue qualità interiori,
il suo atteggiamento di “fondo” nei confronti della comunità,
sul concreto terreno della coesistenza.
Fin dall’inizio, dall’età di 15 anni, Teresa aveva suscitato
la meraviglia di tutti per la sua maturità spirituale: il suo
ascendente ora trova le radici in un comportamento improntato
ad una grande dignità, ad un profondo equilibrio,
umano e psicologico. Teresa ha una dote singola e non
comune: l’obbedienza! La comunità di Lisieux, divisa in
fazioni per il governo un po’ eccentrico di Madre Maria di
Gonzaga non si rivela l’ambiente più adatto per la fioritura
di vocazioni. Teresa intuisce l’essenziale, subito: vive di fede,
nell’obbedienza rigorosa, senza esitazioni, senza compromessi
o tensioni di sorta, superando le storture inevitabili
create dalla situazione comunitaria difficile (secondo la testimonianza
di Paolina, la comunità per Teresa sembrava
camminare su una corda tesa!...).
L’intelligenza di cui è dotata e la volontà ferrea, ferma,
non ostacolano in Teresa lo sviluppo della grazia della vocazione,
anzi vi collaborano, uscendone potenziate: la prima
dallo spirito di fede, che la rende umile; la seconda dalla
disponibilità che ne dilata la capacità di accogliere l’amore.
Nella fase oblativa Teresa è sostenuta dalla retta intenzione,
dalla certezza di compiere la volontà di Dio; certezza
che sfocia in una pace “interiore” senza limiti.
L’obbedienza, sostenuta dal buon senso, le rende possibile,
le facilita l’interpretazione degli ordini, anche i più
bizzarri e favorisce, reprimendo i naturali e comprensibili
moti d’insubordinazione, lo sviluppo della padronanza di
sé, dell’autocontrollo, della volontà, del distacco.
Teresa è obbediente, umile, libera interiormente, distaccata
da tutto, innamorata del “suo” Signore.
L’ascendente sulla comunità è, perciò, inevitabile. Si occupa,
in questa fase di transazione, delle novizie (tra le
quali la sorella Celina, entrata al Carmelo dopo la morte
del padre).
Per ordine della sorella Paolina (Madre Agnese) divenuta
priora, comincia la redazione della sua autobiografia.
Scopre i fondamenti scritturistici del Vecchio Testamento,
di quella che più tardi chiamerà la sua “piccola via”, in
un quadernetto di appunti di Celina.
Scopre l’amore di Dio nei profeti, rilevandolo in tutti gli
aspetti: lirici, poetici, umani.
Vive la storia della salvezza in chiave personale, saldamente
“arroccata” al Signore, che la costruisce, giorno per
giorno, servendosi del cemento e dei mattoni della comunità.
La tappa finale …..
Teresa raggiunge la soglia della tappa più importate,
quella finale della sofferenza e della morte, da persona adulta,
pienamente matura. Vola sulla strada dell’Amore:
per lei conta solo l’Amore e l’Amore misericordioso. Poco
tempo prima di offrirsi all’Amore (9 giugno 1895, festa
della SS. Trinità) Teresa scrive:
“… Adesso non ho più nessun desiderio se non quello di
amare Gesù alla follia. Non desidero neppure la sofferenza
né la morte, eppure le amo entrambe, non sono capace
di domandare più niente con ardore, se non l’adempimento
perfetto della volontà di Dio sull’anima mia…” (24).
Teresa ribalta la mentalità corrente e si offre “vittima”,
“martire”, al Dio della Misericordia, all’Amore misericordioso.
Ci sono delle verità su cui abbiamo delle intuizioni
esistenziali: il processo di verbalizzazione è quasi impossibile.
Teresa stessa trovandosi di fronte al grande mistero della
sofferenza, ne percepisce il significato più profondo, più
vero, quello intraducibile e l’intuizione non si esprime in
forme masochistiche, virtuose, ma in un’accettazione solidale,
attiva, dinamica.
All’Amore misericordioso di Dio, Teresa risponde con
l’Amore.
La sua offerta spontanea, intima, viene accolta dal Signore.
Nella notte tra il giovedì e il venerdì santo (2-3 aprile
1896) ha la prima emottisi:
Riferisce:
“…. Avevo avuto appena il tempo di posare la testa sul
cuscino che sentii come un fiotto che saliva gorgogliando
fino alle labbra. Siccome avevo già soffiato sulla lampada,
mi dissi che bisognava aspettare la mattina per assicurarmi
della mia felicità. Svegliandomi pensai subito che
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avevo qualcosa di lieto da apprendere e, avvicinandomi alla
finestra (vedendo il fazzoletto pieno di sangue) potei constatare
che non mi ero ingannata. L’anima mia si sentì colma di
una grande consolazione. Era come un dolce e lontano
mormorio annunziantemi la venuta dello Sposo...” (25).
Ha inizio in questo modo la malattia e con essa la passione
che durerà 187 giorni. Comincia come santa Bernardetta,
la sua “professione di malata” (26).
Appare la notte più lunga, quella del buio della fede, dell’incredulità: Teresa si sente vicina, come mai le è capitato, ai peccatori, agli atei, agli increduli. Vive con loro, misteriosamente legata da una solidarietà spirituale. Il Signore, “…. Permise che l’anima mia venisse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del cielo, già per me così dolce, non fosse più che una ragione di lotta e di tormento. Questa prova non doveva durare qualche giorno, o qualche settimana, doveva prolungarsi….” (27) e prolungarsi fino alla sua morte. Quando vuole riposare il suo cuore nel ricordo del paradiso che l’attende, ha come l’impressione che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, si burlino di lei: “… Tu sogni la luce, una patria olezzante dei più soavi profumi, tu sogni il possesso eterno del Creatore, tu credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano…avanza, avanza! Rallegrati della morte la quale ti darà non ciò che speri, ma una notte ancor più profonda: la notte del nulla….” (28). Tutto è compiuto: “Padre ti affido il mio spirito….” Nel buio della fede Teresa si impegna con tutte le energie che le rimangono, nel campo affascinante e ricchissimo della speranza e dell’amore.
Appare la notte più lunga, quella del buio della fede, dell’incredulità: Teresa si sente vicina, come mai le è capitato, ai peccatori, agli atei, agli increduli. Vive con loro, misteriosamente legata da una solidarietà spirituale. Il Signore, “…. Permise che l’anima mia venisse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del cielo, già per me così dolce, non fosse più che una ragione di lotta e di tormento. Questa prova non doveva durare qualche giorno, o qualche settimana, doveva prolungarsi….” (27) e prolungarsi fino alla sua morte. Quando vuole riposare il suo cuore nel ricordo del paradiso che l’attende, ha come l’impressione che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, si burlino di lei: “… Tu sogni la luce, una patria olezzante dei più soavi profumi, tu sogni il possesso eterno del Creatore, tu credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano…avanza, avanza! Rallegrati della morte la quale ti darà non ciò che speri, ma una notte ancor più profonda: la notte del nulla….” (28). Tutto è compiuto: “Padre ti affido il mio spirito….” Nel buio della fede Teresa si impegna con tutte le energie che le rimangono, nel campo affascinante e ricchissimo della speranza e dell’amore.
Ama per coloro che non amano.
Spera per chi vive senza speranza e spera al di là, contro
ogni speranza; soprattutto crede, anche se il Cielo le sembra
terribilmente lontano, se non è più favorita sensibilmente
dalla Presenza del Signore, se l’oggetto della sua
speranza e del suo amore le sfugge irrimediabilmente.
E’ nel deserto arido, nella terra bruciata del silenzio,
dell’abbattimento, dell’abbandono.
E’ con Gesù nell’orto del Getzemani, debole, sola e come
il Signore, avendo scelto la via stretta, impervia
dell’obbedienza nella sofferenza, non rifiuta il calice amaro
dell’agonia e della morte.
L’esperienza del buio della fede le permette di vivere di
fede, quella pura, quella che vede oltre le tenebre della
notte, in attesa della rugiada dell’aurora; è la fede che nasce
dalla volontà di fede.
La sofferenza fisica è indescrivibile: i medici ne sottolineano
l’atrocità, la tragedia: eppure Teresa edifica tutti
con la sua mitezza, la sua pazienza, la sua dolcezza e soprattutto
con la piena, consapevole accettazione della sofferenza.
La mattina del 30 settembre 1897 esce in un lamento appena
percepito:
“E’ l’agonia, senza nessuna consolazione!”
Non cessa di scongiurare che preghino per lei e sussurra:
“…. Abbiate pietà di me, voi che siete così buono….”; e
ancora alle tre pomeridiane:
“...il calice è colmo fino all’orlo…. Non posso spiegarmi
quello che soffro se non con il mio estremo desiderio di
salvare anime”.
Alle ore sette circa, Teresa pronuncia distintamente il
suo ultimo atto d’amore:
“Mio Dio, Vi amo!”
“Credemmo che tutto fosse finito – si legge nelle testimonianze
– quando subitamente alzò gli occhi, degli occhi
pieni di vita e di fiamma nei quali si rifletteva una felicità 'al di sopra di tutte le sue speranze'. Era un’estasi che durò
per lo spazio di un Credo. Subito dopo chiuse gli occhi
e divenne di una bellezza incantevole, il capo piegato a
destra con un sorriso accentuato che sembrava dire: 'Il
Buon Dio non è che amore e misericordia…' ” (29).
L’agonia è finita. Teresa muore.
La sofferenza le ha permesso di portare avanti “una delle
Rivoluzioni più commoventi e più grandiose che lo Spirito
Santo abbia suscitato nell’evoluzione spirituale
dell’umanità…” (30).
La sofferenza è la sintesi della sua vita ed è la chiave per
“leggere” e per comprendere il messaggio essenziale:
l’Amore.
Santa Teresa di Gesù Bambino 1) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 239 2)Correspondance familiare – Lettres de Zélie Martin (1863 – 1877) 3)S. Teresa di Gesù Bambino - Gli Scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi 4)Therese de l'Enfant Jesus – Correspondance Générale, Paris 1972-1973, p. 96 5) S. Teresa di Gesù Bambino,Manoscritti Autobiografici, Ed. Ancora, Milano, 1973, pp. 32-33 6)ibd. pp. 36-37 7)ibd. pp. 32 8)ibd. pp. 47 9)ibd. pp. 89-90 10) ibd. pp. 98-99 11) ibd. pp. 100 12) ibd. pp. 111-112 13) ibd. pp. 118-119 14) ibd. pp. 121-122 15) ibd. pp. 122-123 16) ibd. pp. 142-143 17) ibd. pp. 149 18) ibd. pp. 186 19) ibd. pp. 186-188 20) ibd. pp. 194 21) ibd. pp. 194-195 22) ibd. pp. 213 23) ibd. pp. 210-211 24) ibd. pp. 219 25) ibd. pp. 259 26) Renè Laurentin, Iniziazione alla vera Teresa, Ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 177 27) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 260 28) ibd. pp. 262 29) ibd. pp. 333-337 30) Combes, Introduction Ed. 1946, p. 146
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Bibliografia: Santa Teresa di Gesù Bambino 1) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 239 2)Correspondance familiare – Lettres de Zélie Martin (1863 – 1877) 3)S. Teresa di Gesù Bambino - Gli Scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi 4)Therese de l'Enfant Jesus – Correspondance Générale, Paris 1972-1973, p. 96 5) S. Teresa di Gesù Bambino,Manoscritti Autobiografici, Ed. Ancora, Milano, 1973, pp. 32-33 6)ibd. pp. 36-37 7)ibd. pp. 32 8)ibd. pp. 47 9)ibd. pp. 89-90 10) ibd. pp. 98-99 11) ibd. pp. 100 12) ibd. pp. 111-112 13) ibd. pp. 118-119 14) ibd. pp. 121-122 15) ibd. pp. 122-123 16) ibd. pp. 142-143 17) ibd. pp. 149 18) ibd. pp. 186 19) ibd. pp. 186-188 20) ibd. pp. 194 21) ibd. pp. 194-195 22) ibd. pp. 213 23) ibd. pp. 210-211 24) ibd. pp. 219 25) ibd. pp. 259 26) Renè Laurentin, Iniziazione alla vera Teresa, Ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 177 27) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 260 28) ibd. pp. 262 29) ibd. pp. 333-337 30) Combes, Introduction Ed. 1946, p. 146
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