sabato 30 settembre 2017

Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo muore quel 30 settembre 1897: "Mio Dio, Vi amo!"

“Io non sono che una bambina impotente e debole, 
tuttavia è la mia stessa debolezza che mi dà l’audacia 
di offrirmi vittima al tuo amore, o Gesù!”  
Santa Teresa di Gesù Bambino  

 L’infanzia: alternanza di gioia e dolore …..

Teresa Martin nasce ad Alençon (Francia) il 2 gennaio 1873, in una famiglia religiosissima, allietata dalla nascita di ben 9 figli, di cui 4 muoiono nei primissimi anni di vita, fra il 1867 e il 1870. 

La nascita di Teresa viene, pertanto, accolta con grande gioia. 

Non ha ancora due anni e Teresa recita già le preghiere, come scrive Zelia, nella lettera dell’8 novembre 1874 (2). 

A tre anni afferma: “Scelgo tutto…” (3) e s’industria a fare dei sacrifici con l’inseparabile sorella Celina di sei anni. 

A quattro anni manifesta il desiderio di seguire le sorelle attirate dalla vita claustrale. La sorella Paolina riporta in una lettera raccolta nella corrispondenza generale: “…sarò religiosa in un chiostro perché Celina vi vuole andare, e poi, Paolina mia, bisogna pure insegnare alla gente a leggere, non è vero? Ma non sarò io a fare scuola, ciò mi annoierebbe troppo, sarà Celina. Io sarò la madre, passeggerò tutto il giorno nel chiostro e poi andrò con Celina. Giocheremo con la sabbia e poi alle bambole.. - Dunque tu credi, mia povera Teresa, di poter parlare tutto il giorno? Ma non sai che bisognerà stare zitte? - E’ vero, … Beh, peggio per me, non dirò niente. - Che farai, allora? - Mi arrangerò, pregherò il buon Dio, ma come si fa a pregarlo senza dire niente? Io non lo so ….” (4). 

Teresa è una bambina vivacissima e molto intelligente. La Signora Martin, in una lettera alla figlia Paolina che si trova in collegio, annota: “… il Frugolino non si sa che cosa diventerà: è così piccolo e così sventato… E’ una bambina di intelligenza superiore a Celina, ma molto meno mite e soprattutto di una ostinazione quasi invincibile; quando ha detto “no” niente vale a farla cedere; la potremmo mettere per una giornata in cantina, vi pernotterebbe piuttosto che dire “sì”. Tuttavia ha un cuore d’oro, è molto affettuosa e molto franca ….” (5). 

E’ lo sguardo aperto, il cuore attento di una mamma che assiste, osservando, al risveglio e alle inclinazioni della sua ultima bambina. Da queste poche righe emerge il carattere di Teresa: espansivo, affettuoso, sincero; ma anche ostinato e incline ai capricci, di una natura fiera, non comune. E in un’altra lettera: “….. Celina e Teresa si vogliono molto bene e bastano a vicenda per divertirsi….. Sono inseparabili, è impossibile vedere due bambine volersi più bene di loro ….” (6). La santa stessa affermerà: “…. Ci intendevamo molto bene; soltanto io ero molto più vivace e molto meno ingenua di lei…..” (7). Celina è la compagna inseparabile dei giochi, con la quale Teresa instaura un forte rapporto d’amicizia in un clima di tenerezza, di affetto sincero. Il secondo periodo dell’infanzia di Teresa, definito da lei stessa il più “doloroso”, è caratterizzato da avvenimenti che la privano nel giro di poco tempo degli affetti più cari, di tutte le “madri”, della mamma Zelia che muore nel 1877 e successivamente delle sorelle Paolina e Maria che, alternatesi nell’educazione di Teresa, lasceranno la casa paterna per il Carmelo. La morte della mamma, sopportata con grande coraggio, ha un’incidenza profonda nel cuore di Teresa che confesserà più tardi: “… Dopo la morte di mamma il mio carattere felice cambiò completamente: io così espansiva, divenni timida e mite, sensibile all’eccesso; … Non potevo sopportare la compagnia di persone estranee e non ritrovavo la mia gaiezza che nella intimità della famiglia….” (8). 

 Il trauma del distacco viene parzialmente attutito dalla  amorosa cura che la sorella Paolina riserva alla piccola Teresa. Paolina intuisce le sue sofferenze, segue con attenzione materna e delicata lo sviluppo del carattere e trova una risposta a tutti gli interrogativi della piccola. Accanto a lei, Teresa ritrova la gaiezza, il sorriso dell’infanzia. Nel 1882 si rinnova per Teresa il dolore del distacco, della separazione: Paolina decide di entrare nel Carmelo. A Teresa sembrerà di vivere per la seconda volta l’incubo della perdita della mamma. Nel manoscritto afferma di aver appreso l’intenzione di Paolina con sorpresa e che la vita in quel momento le si era rivelata come una realtà di sofferenza continua. 

“Il tu a tu” con la Madonna ….. 

 Nello steso anno la salute di Teresa, già precaria e instabile, peggiora sensibilmente, manifestando dolorose e fastidiose emicranie. L’anno successivo in primavera la crisi si aggrava e Teresa è costretta alla assoluta immobilità. Il 13 maggio, giorno di Pentecoste, si teme per la sua vita: la perplessità dei medici ne lascia intravedere la preoccupazione disperata. Sarà il sorriso “incantevole” della Madonna, di cui tiene l’immagine in camera, a guarirla miracolosamente. La scossa della guarigione è comprensibilmente profonda, incisiva e Teresa riuscirà a superarla gradatamente, per tappe successive. Verrà persino afferrata dal dubbio di aver mentito; dubbio di cui sarà liberata quattro anni più tardi, in occasione del suo pellegrinaggio a Notre Dame delle Vittorie. “…. 

Tre mesi dopo la mia guarigione Papà ci fece fare un viaggio di piacere ad Alençon….” (dopo la morte della mamma, la famiglia si era trasferita a Lisieux), “... Era la prima volta che vi ritornavo e grande fu la mia gioia nel rivedere i luoghi ove era trascorsa la mia infanzia e soprattutto di poter pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di proteggermi sempre. Il buon Dio mi ha fatto la grazia di conoscere il mondo quel tanto che bastava per disprezzarlo ed allontanarmene. Potrei dire che proprio durante quel soggiorno ad Alençon io feci la mia prima entrata in società. Tutto era gioia e felicità intorno a me, ero festeggiata, accarezzata, ammirata; la vita durante quei quindici giorni non fu per me cosparsa che di fiori e confesso che quella vita aveva un incanto ai miei occhi. 

La Sapienza ha ben ragione di dire 'che il fascino delle futilità mondane seduce anche lo spirito lontano dal male'. A dieci anni il cuore si lascia abbagliare facilmente, perciò considero come una grande grazia il non essere rimasta ad Alençon…”. “Gli amici che vi contavamo erano troppo mondani, sapevano conciliare troppo le gioie della terra con il servizio di Dio; non pensavano abbastanza alla morte e tuttavia la morte è venuta a visitare un gran numero di persone che ho conosciuto giovani, ricche, felici!.... Mi piace di ritornar con il pensiero ai luoghi incantevoli ove vissero, domandandomi dove sono ora, che profitto hanno avuto dai castelli e dai parchi ove li vidi godere le comodità della vita …E vedo che sotto il sole tutto è vanità e afflizione di spirito, che l’unico bene è amar Dio con tutto il cuore ed essere poveri di spirito, quaggiù… Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo prima di farmi la sua prima visita, onde io scegliessi più liberamente la via che dovevo promettergli di seguire…”.(9). La morte della mamma, la guarigione “miracolosa” ed infine l’impatto col mondo frivolo e banale della società di Alençon si rivelano esperienze positive nel cammino di Teresa, ancora incerto, ancora comprensibilmente confuso, ma già sostenuto da una Luce interiore particolare. 

 La prima Comunione 

 Una seconda scossa nella vita di Teresa dopo quella della guarigione è la prima Comunione, con la percezione delle prime grazie mistiche (8 maggio 1884). Dalla lettura del racconto si riceve l’impressione che Teresa ritrovi in Dio la sua mamma strappatale prematuramente e la sorella Paolina, con la quale si identifica: nello stesso giorno infatti Paolina fa la sua professione religiosa. Le lacrime di Teresa sono piene di gioia e di commozione. 

La dolce intimità della prima Comunione perdura nel cuore della piccola. Scrive nei suoi ricordi: “…. L’indomani della prima Comunione fu ancora un bel giorno, ma velato di malinconia. Il bel vestito comperatomi da Maria, tutti i regali che avevo ricevuto non potevano appagarmi, soltanto Gesù poteva farmi contenta e sospiravo il momento di riceverlo una seconda volta. Circa un mese dopo...andai a confessarmi per l’Ascensione ed ebbi la felicità di inginocchiarmi alla sacra mensa tra Papà e Maria. Che soave ricordo ho conservato di questa seconda visita di Gesù! Le lacrime scorsero ancora con dolcezza ineffabile, mi ripetevo continuamente queste parole di San Paolo: 'Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me!'. Ricordo che una volta (Maria) mi parlò della sofferenza...L’indomani le (sue) parole mi ritornarono al pensiero dopo la Comunione; sentii nascermi in cuore un gran desiderio della sofferenza ed insieme l’intima persuasione che Gesù mi riservasse un gran numero di croci. Fino a quel momento avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno in poi sentii un vero amore per il patire. Sentivo anche il desiderio di amare Dio solo, di trovare in Lui solo la mia gioia e spesso, dopo le mie Comunioni, ripetevo queste parole dell’Imitazione: 'Gesù, dolcezza ineffabile, converti per me in amarezza tutto il fascino delle cose terrene!'…” (10). Il 14 giugno dello stesso anno Teresa riceve la Santa Cresima. “Con la discesa dello Spirito Santo – dirà – ricevetti la forza per soffrire…” (11). 

Crisi d’infanzia: la malattia degli scrupoli …. 

 La psiche di Teresa è turbata dalla paura del peccato e in questo periodo estremamente delicato viene assalita dalla tremenda malattia degli scrupoli. Nella sua sofferenza trova conforto e sostegno presso la “terza madre”, la sorella Maria, che colma il vuoto lasciato da Paolina e diventa per Teresa l’amica confidente, disposta ad ascoltare, a risolvere i suoi piccoli problemi quotidiani, a rispondere ai suoi innumerevoli quesiti; ma anche Maria, nell’ottobre 1886, - Teresa ha tredici anni – lascia la famiglia per il Carmelo. Teresa soffre indicibilmente per il nuovo, ulteriore distacco, reso ancor più insopportabile dalla ingenua convinzione che le sorelle religiose non possano “più comprendere le cose di questa terra…”. (12). La sua sensibilità subisce nuovamente la dura prova dell’abbandono, del distacco e dovrà vivere una fase di transizione prima del passaggio al terzo periodo della sua infanzia, l’ultimo da lei individuato nel manoscritto A. 
Viene “bloccata” per qualche tempo da una fragilità emotiva eccessiva, dalla ipersensibilità, dalla suscettibilità, che favoriscono lacrime copiose, per motivi insignificanti, a volte banali o del tutto infantili. E’una tappa necessaria, indispensabile prima del salto di qualità…. “…. Essendo la più piccola non ero abituata a servirmi da me; Celina faceva la camera ove dormivamo insieme, ed io non facevo nessun lavoro di casa. Per far piacere al Signore mi accadeva qualche volta di tentar di rifare il letto: era per il Signore soltanto che facevo queste cose, ma, ahimè, se Celina aveva la sventura di non mostrarsi felice e sorpresa dei miei piccoli servigi, io non ero contenta e glielo provavo con le mie lacrime. Per la mia eccessiva sensibilità ero davvero insopportabile; così se mi accadeva di dare involontariamente un minimo dispiacere a qualcuno cui volevo bene, piangevo come una Maddalena; e quando incominciavo a consolarmi della cosa in se stessa, piangevo di aver pianto...Ogni ragionamento era inutile e non arrivavo a correggermi di quel brutto difetto” (13). 

Dalle tenebre alla luce….. 

 A Natale (siamo ancora nell’anno 1886) Teresa vive il momento di grazia, di conversione: “Fu il 24 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall’infanzia, in una parola, la grazia della mia completa conversione. Eravamo di ritorno dalla Messa di mezzanotte, ove avo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente; arrivando a casa mi rallegravo di trovar nel camino le scarpe e i doni. 

Ma Gesù volle mostrarmi che dovevo liberarmi dai difetti dell’infanzia, me ne ritirò anche le gioie innocenti e permise che Papà, stanco per la Messa di mezzanotte, provasse fastidio nel veder le mie scarpe sul camino e dicesse queste parole che mi trapassarono il cuore: 'Fortuna che è l’ultimo anno!'... Ricacciando le lacrime presi le scarpette, le posai davanti a Papà e allegramente ne trassi tutti gli oggetti, con l’espressione di felicità di una regina. Papà rideva, ritornato allegro, e Celina credeva di sognare ….: la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduto a quattro anni e mezzo e doveva conservarla per sempre! In quella notte luminosa incominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello, il più colmo di grazie celesti. Gesù misericordioso fece di 21 me un pescatore d’anime. Infatti provai un gran desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio (che non avevo) mai sentito così vivamente ….. Sentii il bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!...” (14). Affiora da questa confessione autobiografica il dono di “fortezza” che il Signore elargisce alla piccola Teresa. 

Per la prima volta davanti alla delusione, Teresa reagisce positivamente, senza lacrime, anzi col sorriso e con la gioia. Le parole di papà Martin non l’hanno lasciata indifferente, tutt’altro! Sono penetrate nel suo cuore, lacerandolo; tuttavia, Teresa non ne viene più travolta, non subisce i condizionamenti dell’ipersensibilità, dell’emotività, ma scopre dentro di sé il distacco, un coraggio, una padronanza inusitati. E’ il momento della “fortezza” che, non subita passivamente, la libera dall’interno: dai traumi, dai capricci, dalle crisi d’infanzia. Il passaggio dall’egocentrismo, da un mondo interiore solipsistico, ripiegato, chiuso su se stesso, all’apertura verso gli altri, al dono di sé, diventa obbligato, inevitabile e anche meraviglioso. Teresa ne constata lucidamente le sfumature graduali e ne sente, ne avverte la dolcezza. Da questo momento inizia la sua “corsa”. 

La scoperta degli altri, dell’amore, del desiderio di “lavorare per la conversione dei peccatori”, spezzano il cerchio limitato del suo piccolo mondo e suscitano immediatamente in lei un nuovo atteggiamento, spirituale, uno stile diverso. Teresa intuisce che questo afflato, questa nuova dimensione interiore devono collocarsi in uno spazio e in una realtà concrete, personali e la sete di apostolato si fa ardente, inestinguibile. “…Una domenica, guardando un’immagine di Nostro Signore crocifisso, fui colpita alla vista del sangue che cadeva da una delle sue mani divine e provai una gran pena nel pensare che quel sangue cadeva in terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo. Allora risolvetti di rimanere in spirito ai piedi della Croce per ricevere la divina rugiada e compresi che avrei dovuto poi spargerla sulle anime…

Il Grido di Gesù sulla Croce: “Ho sete!” mi risuonava continuamente in cuore; questa parola accendeva in me un ardore vivissimo e misterioso…mi sentivo io stessa divorata dalla sete delle anime...” (15). Teresa matura a tutti i livelli: la sua preghiera per i peccatori si intensifica, in particolare, per la conversione di un grande criminale, Pranzini, la cui storia penetra misteriosamente nel suo cuore, pur non osando confessarlo apertamente in famiglia, a causa della convenzione e del legalismo che dominavano l’ambiente. Si apre così una nuova e avvincente esperienza, prendendone coscienza, della maternità spirituale; più tardi negli anni evocherà il criminale giustiziato come il “suo primo figlio”. Scopre i valori essenziali dell’esistenza e confronta le proprie scelte sui parametri degli stessi. Intensifica l’interesse per lo studio e l’attività culturale, che tuttavia non la distolgono dall’attenzione principale, dall’epicentro: Dio. La scala dei valori verticizzata nel Signore, dilata il suo cuore ad una comprensione della realtà arricchita di sfumature, di tensioni soprannaturali. Significativo e pregnante il richiamo autobiografico di questo periodo: richiamo all’amore, alla tenerezza che sente nascere dentro di sé verso i bambini: “… 

Prima di lasciare il mondo il buon Dio mi dette la consolazione di contemplare da vicino delle anime di bambini. Essendo la più piccola della famiglia non aveva mai avuto questa felicità. Una povera donna parente della nostra domestica morì nel fiore degli anni lasciando tre bambini tutti piccoli. Durante la sua malattia noi prendemmo in casa le due bambine, la maggiore delle quali era al di sotto dei sei anni. Io mi occupavo di loro per tutto il giorno ed era un vero piacere per me vedere con quale candore esse credevano tutto quello che dicevo loro. Quando volevo vedere le due bambine molto concilianti l’una verso l’altra, invece di promettere giocattoli e caramelle, parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato in paradiso ai bambini buoni. La maggiore, la cui intelligenza cominciava a svilupparsi, mi guardava con occhi splendenti di gioia e mi rivolgeva mille domande incantevoli su Gesù Bambino e il suo bel Paradiso; mi prometteva anche con entusiasmo di cedere sempre alla sua sorellina e diceva che non avrebbe mai dimenticato ciò che le aveva detto la 'signorina grande', perché è così che mi chiamava …” (16). Nelle anime dei piccoli Teresa trova il Cielo, la semplicità, l’innocenza, il candore. Si occupa di loro, protesa verso di loro, dimentica di se stessa. 

Il Carmelo: la sua risposta d’amore all’Amore … 

 Su questo terreno, col cuore trasformato dalla Grazia, in un atteggiamento di conversione, di metanoia, Teresa si incammina verso la conquista del Carmelo. Gli ostacoli che si frappongono sono numerosi e nel ginepraio delle difficoltà sollevate sia dallo zio Guerin, sia dai superiori ecclesiastici, Teresa ha modo di maturare la sua decisione. Non ha dubbi sulla vocazione: sarà questa chiarezza interiore ad impedirle di rassegnarsi di fronte ai ripetuti rifiuti e allo stesso tempo a prevenirla da reazioni impulsive. Teresa intuisce che vincerà la “sua battaglia”, dando prova di maturità e lottando con le uniche armi efficaci: la fede e la preghiera. E vince! Ottiene il permesso dalle autorità ecclesiastiche e il 9 aprile 1888 entra finalmente al Carmelo di Lisieux. 
 Simpatiche e non prive di umorismo le pennellate che Teresa tratteggia nel suo manoscritto ricordando questo periodo di prova “del fuoco”. “… Monsignor Vescovo li accompagnò fino al giardino. Papà lo divertì molto raccontandogli che, per sembrare grande, quella mattina stessa si era fatta rialzare i capelli. E ciò non fu perduto, perché poi Monsignor Vescovo non parlò mai della “sua bambina” senza raccontare la storia dei capelli tirati su. Il Vicario Generale disse che non si era mai visto un padre altrettanto sollecito di offrire la figlia a Dio, quanto la figlia stessa di offrirsi! ..” (17). La pesante porta della clausura si chiude alle spalle di Teresa, che scopre in sé una calma interiore profonda e gioiosa: avverte sensibilmente la motivazione del suo ingresso e fin dall’inizio percepisce la sua missione. “…. Quello che venivo a fare al Carmelo lo dichiarai ai piedi di Gesù Ostia: sono venuta per salvare anime e soprattutto, per pregare per i sacerdoti. Gesù mi fece comprendere che mi avrebbe dato anime per mezzo della croce e la mia attrattiva per la sofferenza crebbe man mano che il patimento aumentava…..” (18). 

 Capisce che la realizzazione della sua vocazione è direttamente proporzionale all’accettazione della croce, della sofferenza come dono di amore. Approfondisce questa intuizione nel momento del buio, della prova dell’aridità e si getta a capofitto in un’offerta carica di tensione, di dinamismo spirituale. In occasione della professione Teresa si ricorderà del suo desiderio iniziale di pregare “specialmente” per i sacerdoti e nella scia di questo orientamento acquisterà sempre più coscienza della sua missione di “servizio”. L’impatto di Teresa con l’ambiente monastico non è privo di difficoltà. Il pericolo maggiore è quello di ritrovarsi nel ruolo della bambina più piccola, della beniamina, amata da tutti, vezzeggiata, circondata dall’affetto di diverse “mamme”: Paolina e la stessa Priora… 

 La severità della Priora, Madre Maria di Gonzaga, acquista agli occhi di Teresa un valore purificante, necessario alla sua crescita spirituale. Il suo cuore abituato agli affetti umani, alla tenerezza si purifica gradualmente e conosce una sola preoccupazione: l’amore puro, verginale, disinteressato e distaccato da tutto, per essere unicamente orientato verso il Signore. Teresa si impone un’amicizia aperta, generosa verso tutti, ma soprattutto interiormente libera da schemi prestabiliti; sdrammatizza la realtà dei rapporti interpersonali, delle correlazioni, per arrivare, e quindi vivere, all’essenziale. Certamente questo passaggio “qualitativo” richiede a Teresa un grande coraggio e una forza d’animo senza confronti: non ha forse scelto la strada dell’amore, nella sofferenza? “… Due mesi dopo il mio ingresso al Carmelo…. Feci una confessione generale ed alla fine il Padre mi disse queste parole: 'Alla presenza di Dio, della Vergine Santissima e di tutti i Santi, dichiaro che lei non ha mai commesso un solo peccato mortale'. Mi disse ancora: 'Nostro Signore sia sempre il Suo Superiore e il Suo Maestro di noviziato', Egli lo fu infatti e fu anche il mio 'Direttore'. Nostra Madre essendo spesso malata aveva poco tempo per occuparsi di me. Il buon Dio permetteva che a sua stessa insaputa ella fosse molto severa. Non potevo incontrarla senza aver da baciar terra e lo stesso avveniva nei rari colloqui che avevo con lei…. Quale preziosissima grazia!... Che sarei divenuta se fossi stata trattata come il trastullo della comunità? Forse invece di veder Nostro Signore nelle Superiore, non avrei considerato che le persone umane ed il mio cuore si sarebbe affezionato umanamente….” (19). 

La grande prova: la malattia e la morte del padre… 

 Le prove non le derivano solo dalle relazioni all’interno della comunità monastica o dal contatto con una realtà ambientale qualche volta assurda e paradossale; non si limitano agli scontri di mentalità, inevitabili….; la grande prova, che Teresa chiama enigmaticamente la “nostra grande ricchezza”, nasce da un avvenimento esterno: la malattia del padre. Un mese dopo la vestizione, avvenuta il 10 gennaio 1889, il Signor Martin “avrebbe bevuto il più amaro, il più umiliante di tutti i calici” (20). In seguito ad una paralisi per arterio-sclerosi cerebrale, viene ricoverato in una casa di salute, finchè la totale immobilità degli arti inferiori costringe a ricondurlo in famiglia, dove Celina e Leonia si alterneranno nel prodigargli la più tenera assistenza. Teresa riporta nel suo scritto autobiografico: “…. I tre anni del martirio di papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, non li cederei per tutte le estasi e le rivelazioni dei santi; pensando a questo tesoro inestimabile il mio cuore trabocca di riconoscenza ….Eppure la mia attrazione per il soffrire non diminuiva, perciò ben presto anche l’anima, come già il cuore, ebbe la sua parte di sofferenza. L’aridità divenne il mio pane quotidiano, ma benché priva di ogni conforto, ero la più felice delle creature, perché tutti i miei desideri erano stati appagati…” (21). 

 In questi tre lunghi anni, Teresa intesse una fitta corrispondenza col padre, il suo “re”: lettere appassionate, ricche di carica affettiva, scritte allo scopo di essergli vicina, di consolarlo, di confortarlo, di aiutarlo ad accettare la malattia, avvilente, deprimente e soprattutto di infondergli la sicurezza di essere ancora amato, stimato da tutti: Teresa desidera che il padre, attraverso gli altri, possa ritrovare la fiducia in se stesso. L’aridità a cui Teresa accenna non è momentanea, circoscritta in uno spazio limitato di tempo, ma coinvolge la sua esistenza a lungo e intensamente; diventa l’elemento primario, insostituibile del processo di maturazione che la condurrà “silenziosamente” alla santità. In questo periodo non avrà più illuminazioni particolari o grazie sensibili; ne aveva ricevute abbondantemente durante la prima e la seconda Comunione e come abbiamo già avuto modo di constatare nell’episodio mirabile della guarigione. Ora il suo stato spirituale abituale è il buio, il deserto, l’aridità. 

L’anno successivo alla professione, avvenuta l’8 settembre 1890, Teresa viene confermata dal Padre Alessio Prou, durante la predicazione degli esercizi spirituali alla comunità (ottobre 1891), nella via della fiducia in Dio. Gli scrupoli, i timori l’abbandonano definitivamente e le si apre in una prospettiva nuova, armoniosa, la strada della certezza, dell’amore. 

“…….. Soffrivo in quel momento grandi prove interiori… fino a domandarmi talvolta se esiste un Paradiso.. ma appena entrata nel confessionale, l’anima mia si sentì dilatata; dopo aver detto poche parole, mi vidi compresa in modo meraviglioso ed anche indovinata…. La mia anima era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio di me stessa … egli mi lanciò a vele spiegate nel mare della fiducia e dell’amore che mi attirava così fortemente, ma sul quale non osavo avanzare e mi disse che le mie colpe non facevano dispiacere al Signore, e che rappresentandolo in quel momento egli poteva dirmi di Lui, che il buon Do era contentissimo di me…” (22). 

Il carattere e la personalità si irrobustiscono e la sua presenza in comunità acquista progressivamente un vero e proprio ascendente. Teresa mostra quanto vale umanamente, nel dicembre 1891: la sua preoccupazione è di essere tutto per tutte e vi riesce. 

“Una epidemia di febbre spagnola scoppiò in comunità. La morte regnava ovunque, le malate più gravi venivano curate da quelle che a malapena si trascinavano; appena una sorella aveva reso l’ultimo respiro si era obbligate a lasciarla sola. E’ impossibile immaginare il triste stato della comunità, ma in mezzo a quell’abbandono sentivo che Dio vegliava su di noi. Le moribonde passavano senza sforzo a una vita migliore e subito dopo la morte, sui loro lineamenti si stendeva un’espressione di pace e di gioia…..” (23). L’esperienza dolorosa della morte “fisica” di diverse consorelle la prepara gradatamente ad accettare la morte del Signor Martin, il padre adorato, il suo “re”, nel luglio del 1894. 

Teresa alla prova della comunità…. 

 Il periodo che precede la tappa finale, quella più importante, rivela le doti umane di Teresa, le sue qualità interiori, il suo atteggiamento di “fondo” nei confronti della comunità, sul concreto terreno della coesistenza. Fin dall’inizio, dall’età di 15 anni, Teresa aveva suscitato la meraviglia di tutti per la sua maturità spirituale: il suo ascendente ora trova le radici in un comportamento improntato ad una grande dignità, ad un profondo equilibrio, umano e psicologico. Teresa ha una dote singola e non comune: l’obbedienza! La comunità di Lisieux, divisa in fazioni per il governo un po’ eccentrico di Madre Maria di Gonzaga non si rivela l’ambiente più adatto per la fioritura di vocazioni.  Teresa intuisce l’essenziale, subito: vive di fede, nell’obbedienza rigorosa, senza esitazioni, senza compromessi o tensioni di sorta, superando le storture inevitabili create dalla situazione comunitaria difficile (secondo la testimonianza di Paolina, la comunità per Teresa sembrava camminare su una corda tesa!...). 

 L’intelligenza di cui è dotata e la volontà ferrea, ferma, non ostacolano in Teresa lo sviluppo della grazia della vocazione, anzi vi collaborano, uscendone potenziate: la prima dallo spirito di fede, che la rende umile; la seconda dalla disponibilità che ne dilata la capacità di accogliere l’amore. Nella fase oblativa Teresa è sostenuta dalla retta intenzione, dalla certezza di compiere la volontà di Dio; certezza che sfocia in una pace “interiore” senza limiti. L’obbedienza, sostenuta dal buon senso, le rende possibile, le facilita l’interpretazione degli ordini, anche i più bizzarri e favorisce, reprimendo i naturali e comprensibili moti d’insubordinazione, lo sviluppo della padronanza di sé, dell’autocontrollo, della volontà, del distacco. 

 Teresa è obbediente, umile, libera interiormente, distaccata da tutto, innamorata del “suo” Signore. L’ascendente sulla comunità è, perciò, inevitabile. Si occupa, in questa fase di transazione, delle novizie (tra le quali la sorella Celina, entrata al Carmelo dopo la morte del padre). Per ordine della sorella Paolina (Madre Agnese) divenuta priora, comincia la redazione della sua autobiografia. Scopre i fondamenti scritturistici del Vecchio Testamento, di quella che più tardi chiamerà la sua “piccola via”, in un quadernetto di appunti di Celina. Scopre l’amore di Dio nei profeti, rilevandolo in tutti gli aspetti: lirici, poetici, umani. Vive la storia della salvezza in chiave personale, saldamente “arroccata” al Signore, che la costruisce, giorno per giorno, servendosi del cemento e dei mattoni della comunità. 

La tappa finale ….. 

 Teresa raggiunge la soglia della tappa più importate, quella finale della sofferenza e della morte, da persona adulta, pienamente matura. Vola sulla strada dell’Amore: per lei conta solo l’Amore e l’Amore misericordioso. Poco tempo prima di offrirsi all’Amore (9 giugno 1895, festa della SS. Trinità) Teresa scrive: “… Adesso non ho più nessun desiderio se non quello di amare Gesù alla follia. Non desidero neppure la sofferenza né la morte, eppure le amo entrambe, non sono capace di domandare più niente con ardore, se non l’adempimento perfetto della volontà di Dio sull’anima mia…” (24). 

 Teresa ribalta la mentalità corrente e si offre “vittima”, “martire”, al Dio della Misericordia, all’Amore misericordioso. Ci sono delle verità su cui abbiamo delle intuizioni esistenziali: il processo di verbalizzazione è quasi impossibile. Teresa stessa trovandosi di fronte al grande mistero della sofferenza, ne percepisce il significato più profondo, più vero, quello intraducibile e l’intuizione non si esprime in forme masochistiche, virtuose, ma in un’accettazione solidale, attiva, dinamica. All’Amore misericordioso di Dio, Teresa risponde con l’Amore. La sua offerta spontanea, intima, viene accolta dal Signore. Nella notte tra il giovedì e il venerdì santo (2-3 aprile 1896) ha la prima emottisi: Riferisce: “…. Avevo avuto appena il tempo di posare la testa sul cuscino che sentii come un fiotto che saliva gorgogliando fino alle labbra. Siccome avevo già soffiato sulla lampada, mi dissi che bisognava aspettare la mattina per assicurarmi della mia felicità. Svegliandomi pensai subito che 31 avevo qualcosa di lieto da apprendere e, avvicinandomi alla finestra (vedendo il fazzoletto pieno di sangue) potei constatare che non mi ero ingannata. L’anima mia si sentì colma di una grande consolazione. Era come un dolce e lontano mormorio annunziantemi la venuta dello Sposo...” (25). 

 Ha inizio in questo modo la malattia e con essa la passione che durerà 187 giorni. Comincia come santa Bernardetta, la sua “professione di malata” (26). 
 Appare la notte più lunga, quella del buio della fede, dell’incredulità: Teresa si sente vicina, come mai le è capitato, ai peccatori, agli atei, agli increduli. Vive con loro, misteriosamente legata da una solidarietà spirituale. Il Signore, “…. Permise che l’anima mia venisse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del cielo, già per me così dolce, non fosse più che una ragione di lotta e di tormento. Questa prova non doveva durare qualche giorno, o qualche settimana, doveva prolungarsi….” (27) e prolungarsi fino alla sua morte. Quando vuole riposare il suo cuore nel ricordo del paradiso che l’attende, ha come l’impressione che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, si burlino di lei: “… Tu sogni la luce, una patria olezzante dei più soavi profumi, tu sogni il possesso eterno del Creatore, tu credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano…avanza, avanza! Rallegrati della morte la quale ti darà non ciò che speri, ma una notte ancor più profonda: la notte del nulla….” (28). Tutto è compiuto: “Padre ti affido il mio spirito….” Nel buio della fede Teresa si impegna con tutte le energie che le rimangono, nel campo affascinante e ricchissimo della speranza e dell’amore. 

 Ama per coloro che non amano. 

Spera per chi vive senza speranza e spera al di là, contro ogni speranza; soprattutto crede, anche se il Cielo le sembra terribilmente lontano, se non è più favorita sensibilmente dalla Presenza del Signore, se l’oggetto della sua speranza e del suo amore le sfugge irrimediabilmente. E’ nel deserto arido, nella terra bruciata del silenzio, dell’abbattimento, dell’abbandono. E’ con Gesù nell’orto del Getzemani, debole, sola e come il Signore, avendo scelto la via stretta, impervia dell’obbedienza nella sofferenza, non rifiuta il calice amaro dell’agonia e della morte. L’esperienza del buio della fede le permette di vivere di fede, quella pura, quella che vede oltre le tenebre della notte, in attesa della rugiada dell’aurora; è la fede che nasce dalla volontà di fede. La sofferenza fisica è indescrivibile: i medici ne sottolineano l’atrocità, la tragedia: eppure Teresa edifica tutti con la sua mitezza, la sua pazienza, la sua dolcezza e soprattutto con la piena, consapevole accettazione della sofferenza. 

 La mattina del 30 settembre 1897 esce in un lamento appena percepito: “E’ l’agonia, senza nessuna consolazione!” Non cessa di scongiurare che preghino per lei e sussurra: “…. Abbiate pietà di me, voi che siete così buono….”; e ancora alle tre pomeridiane: “...il calice è colmo fino all’orlo…. Non posso spiegarmi quello che soffro se non con il mio estremo desiderio di salvare anime”. Alle ore sette circa, Teresa pronuncia distintamente il suo ultimo atto d’amore: “Mio Dio, Vi amo!” “Credemmo che tutto fosse finito – si legge nelle testimonianze – quando subitamente alzò gli occhi, degli occhi pieni di vita e di fiamma nei quali si rifletteva una felicità  'al di sopra di tutte le sue speranze'. Era un’estasi che durò per lo spazio di un Credo. Subito dopo chiuse gli occhi e divenne di una bellezza incantevole, il capo piegato a destra con un sorriso accentuato che sembrava dire: 'Il Buon Dio non è che amore e misericordia…' ” (29). L’agonia è finita. Teresa muore. La sofferenza le ha permesso di portare avanti “una delle Rivoluzioni più commoventi e più grandiose che lo Spirito Santo abbia suscitato nell’evoluzione spirituale dell’umanità…” (30). La sofferenza è la sintesi della sua vita ed è la chiave per “leggere” e per comprendere il messaggio essenziale: l’Amore. 
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Bibliografia
 Santa Teresa di Gesù Bambino 1) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 239 2)Correspondance familiare – Lettres de Zélie Martin (1863 – 1877) 3)S. Teresa di Gesù Bambino - Gli Scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi 4)Therese de l'Enfant Jesus – Correspondance Générale, Paris 1972-1973, p. 96 5) S. Teresa di Gesù Bambino,Manoscritti Autobiografici, Ed. Ancora, Milano, 1973, pp. 32-33   6)ibd. pp. 36-37 7)ibd. pp. 32 8)ibd. pp. 47 9)ibd. pp. 89-90 10) ibd. pp. 98-99 11) ibd. pp. 100 12) ibd. pp. 111-112 13) ibd. pp. 118-119 14) ibd. pp. 121-122 15) ibd. pp. 122-123 16) ibd. pp. 142-143 17) ibd. pp. 149 18) ibd. pp. 186 19) ibd. pp. 186-188 20) ibd. pp. 194 21) ibd. pp. 194-195 22) ibd. pp. 213 23) ibd. pp. 210-211 24) ibd. pp. 219 25) ibd. pp. 259 26) Renè Laurentin, Iniziazione alla vera Teresa, Ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 177 27) S. Teresa di Gesù Bambino, Manoscritti Autobiografici Ed. Ancora, Milano, 1973, p. 260 28) ibd. pp. 262 29) ibd. pp. 333-337 30) Combes, Introduction Ed. 1946, p. 146  

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