2. Padre nostro.
3. Che sei nei cieli.
4. Prima domanda.
5. Seconda domanda.
6. Terza domanda.
7. Quarta domanda.
8. Quinta domanda.
9. Sesta domanda.
10. Settima domanda.
11. Conclusione.
12. Il Pater del Serafico Padre S. Francesco d'Assisi.
1. ECCELLENZA DEL «PATER» E SUE DOMANDE.
- Il Pater, o Padre
nostro, è la più perfetta, la più sublime, la più santa, la più utile
delle preghiere, anzitutto perché è una preghiera composta da un Dio; poi
perché contiene tutto ciò che Dio domanda da noi, e tutto ciò che noi abbiamo
da chiedere a Dio per i nostri bisogni.
Questo noi facciamo in sette domande, di
cui le tre prime, cioè Sia santificato il nome tuo - Venga il
regno tuo - Sia fatta la volontà tua come in cielo così in terra - si
riferiscono all'onore, al servizio, all'amore, all'adorazione dovuti a Dio.
Le quattro ultime: - Dacci oggi il nostro pane
quotidiano - Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori - Non c'indurre in tentazione - Ma liberaci dal male - si
riferiscono alla nostra utilità, e comprendono ogni nostro bisogno...
2. PADRE NOSTRO. -
La parola Padre si rivolge particolarmente alla prima persona
della Santissima Trinità, che è il Padre; tuttavia si intende dire anche al
Figlio e allo Spirito Santo, come componenti, in una indivisibile Unità,
l'Augustissima Trinità, il Dio uno e trino il quale per molti rispetti è nostro
Padre; 1° perché ci ha creati...; 2° ci ha riscattati...; 3° ci ha rigenerati
nelle acque del santo battesimo...; 4° ci ha adottati in figli...; 5° perché la
sua provvidenza veglia sopra di noi...; 6° perché ci ha chiamati all'eredità
celeste, avendoci costituiti coeredi con Gesù Cristo.
«Che cosa non darà ai suoi figli, esclama S. Agostino,
Quegli che ha dato loro di essere suoi figli?» (Serm. III). Che dignità, che
gloria, che felicità è la nostra di poter chiamare Iddio nostro padre! e voglia
il cielo che lo sia difatti!
«Che onore è per noi, esclama S. Cipriano, il
chiamare Dio nostro padre e, come Gesù Cristo è Figlio di Dio, essere anche
chiamati figli di Dio, ai quali sta promessa l'eternità! Non dimentichiamo mai
che il chiamare Dio nostro padre, c'importa il dovere di regolarci da figli di
Dio; affinché se noi siamo felici di avere per padre un Dio, egli sia contento
di averci per figli. Diportiamoci come templi vivi di Dio, acciocché ognuno
veda che Dio abita in noi (De Orat. domin.)».
Pater noster. Padre nostro... padre di tutti gli uomini che
per conseguenza sono fratelli... Ne viene perciò a noi il debito di pregare per
gli altri, di amarci come fratelli, di soccorrerci a vicenda... S.
Ambrogio dice: «Ciascuno prega per tutti, e tutti pregano per
ciascuno; di qui deriva il gran vantaggio, che ciascuna preghiera di ogni fedele
è sorretta dal concorso di tutto il popolo (De Caino C. IX)». S.
Cipriano dice: «Vuole Gesù che ciascuno preghi per tutti, come egli ci
ha tutti portati in se medesimo (De Oratione)»... Pregando per tutti,
partecipiamo alle orazioni di tutti.. .
«Voi mi chiamerete padre», disse il Signore per bocca di
Geremia (III, 19). Dio vuol essere chiamato padre, commenta S. Tommaso (1.a
1.ae q. V, a. 7), 1° perché è il creatore dell'universo,
secondo quelle parole di Gesù Cristo: «Io ti rendo grazie, o padre mio, Signore
del Cielo e della terra» (MATTH. XI, 25); 2° perché ci ha
adottati, secondo quelle parole di S. Paolo ai Romani: «Voi avete ricevuto lo
spirito di adozione dei figli di Dio, spirito in cui gridiamo: Abba, Padre»
(Rom. VIII, 15); 3° perché ci ha fatto da maestro e pedagogo,
come dice Isaia: «Il padre farà conoscere ai suoi figli la verità» (XXXIII,
19); 4° perché ci corregge, dicendo il Savio: «Il Signore
castiga coloro che ama, e pone in loro il suo affetto come padre nel figlio»
(Prov. III, 12).
3. CHE SEI NEI CIELI. -
Padre nostro che sei nei cieli: Pater noster qui
es in coelis. Queste parole accennano: 1° l'onnipotenza di
Dio; 2° che Dio nostro padre abita nel più alto dei cieli e che il
cielo è nostra patria, eredità nostra; 3° la necessità d'innalzare
l'anima nostra al di sopra delle cose terrene; 4° che non bisogna né
desiderare né domandare altro se non ciò che mette al cielo; 5° che
dobbiamo riguardarci come stranieri su la terra, e disprezzare il mondo con i
suoi beni e piaceri e onori e incentivi; 6° che dobbiamo schivare l'inferno, e
per conseguenza il peccato che vi conduce, e resistere al demonio che vorrebbe
divenire nostro padre, per ucciderci per l'eternità...
4. PRIMA DOMANDA. -
Sanctifìcetur nomen tuum. Sia santificato il Nome tuo. Con
queste parole noi chiediamo: 1° la conservazione delle grazie
ricevute nel santo battesimo...; 2° la nostra santificazione
quotidiana; 3° che tutti gli uomini giungano alla santità...; 4° che
Dio sia adorato, servito, amato da tutte le creature; 5° che tutti
gli attributi di Dio siano celebrati e la sua gloria sia esaltata in tutto il
mondo.
Sia santificato il nome tuo: con ciò vogliamo dire: la vostra
maestà, o Signore, la vostra grandezza, la potenza, la bontà, la misericordia,
la giustizia, la provvidenza vostra, ecc., siano conosciute, proclamate,
benedette, encomiate, in ogni tempo e luogo, e per sempre... Ogni uomo vi lodi,
vi ami, vi tema, vi ringrazi...
5. SECONDA DOMANDA. -
Adveniat regnum tuum. Venga il regno tuo. Nella prima
domanda, manifestiamo il nostro desiderio di vedere Dio conosciuto, amato,
servito, adorato da tutte le creature, e di arrivare noi medesimi alla santità;
in questa seconda esprimiamo il voto di vedere ristabilito il regno di Dio nel
suo quadruplice senso.
1° Vi è il regno di Dio su tutte le creature. Di esso
dice il Salmista: «Il vostro regno, o Signore, è un regno che abbraccia tutti i
secoli; e il vostro impero si estende di generazione in generazione» (Psalm.
CXLIV, 13).
2° Il regno mistico, cioè il regno di Dio su le anime,
per la grazia e per la fede. Ci sottrae alla tirannia del peccato, del mondo,
del demonio, della carne, e fa nascere in noi ogni sorta di virtù...
3° Il regno di Dio nel cielo. Perciò quando diciamo: Venga
il regno tuo, chiediamo che si apra per noi il regno di Dio, rimuneratore dei
Santi...
4° Il regno di Dio quale si avrà nel giorno del giudizio
universale, e che sarà il preludio del regno eterno...
6. TERZA DOMANDA. -
Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra. Sia fatta la tua: volontà, come
in cielo, così in terra. Possiamo considerare in Dio due volontà: la volontà
assoluta e la volontà di desiderio. Con quella Dio vuole definitivamente una
cosa, per esempio, la Creazione, e a tale volontà nulla può resistere. Con
questa Dio ci ammaestra di
quello che vuole che noi osserviamo. Ora, a quest'ultima
volontà si riferisce la domanda del Pater: Sia fatta la tua volontà. Con queste
parole noi auguriamo a noi medesimi tutti i beni; poiché gli eletti i quali
adempiono perfettamente la volontà di Dio, sono pienamente felici e colmi dei
tesori della divinità, come indicano quelle parole di Gesù Cristo, in S. Matteo
(XII, 50): «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio
fratello, mia sorella, mia madre».
Sia fatta la tua volontà. Ma qual è la volontà del Padre? La
volontà di Dio, risponde S. Paolo, è che voi vi facciate santi (I Thess, IV,
3). E il Salvatore medesimo dopo di aver detto, che egli non era venuto su la
terra per compiere la sua volontà, ma la volontà del Padre, soggiunse che la
volontà del Padre il quale lo aveva mandato, è che non si perda nessuno di
quelli che gli ha dati, ma che li risusciti nell'ultimo giorno. La volontà del
Padre è questa, che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia la vita
eterna (IOANN. VI, 40).
La volontà di Dio, che Gesù Cristo ha fatto e insegnato, è,
dice S. Cipriano (De Oratio dom.), l'umiltà nel conversare, la stabilità nella
fede, la modestia nel tratto, la giustizia nelle azioni, la misericordia nelle
opere, la disciplina e l'assennatezza nei costumi. Fare la volontà di Dio, vuol
dire non saper fare ingiurie, ma saperle tollerare; aver pace con tutti e amare
Dio di tutto cuore; amarlo come padre, temerlo come Dio; preporre Gesù Cristo a
tutto, perché egli medesimo ha preferito noi ad ogni creatura; tenerci
inseparabilmente uniti al suo amore; abbracciarci fortemente e con confidenza
alla croce e quando si tratta del suo nome e dell'onor suo, spiegare fermezza
nel rendergli testimonianza con le parole, costanza nel combattere per lui, e
pazienza fino alla morte, per essere coronati. Così operando, diventiamo eredi
di Gesù Cristo; adempiamo l'ordine del Signore; facciamo perfettamente la
volontà di Dio.
Dobbiamo conformare la nostra volontà a quella di Dio, 1°
nella nostra condotta, cioè dobbiamo volere quello che egli vuole, obbedire
alla sua legge; 2° nei nostri pensieri, intenzioni e desideri. Qui, come nei
fatti, la nostra volontà deve avere quella di Dio per oggetto, cioè deve mirare
a lei e non guardare altro; per conseguenza essa deve non volere che cose
buone, conformi alla retta ragione, alla coscienza illuminata, ed anche in
questo caso non volerle se non in quanto esse possono essere gradite a Dio.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Gli
eletti in cielo faranno e fanno eternamente la volontà di Dio in modo
ammirabile e perfetto; questo forma la loro fèlicità. Bisogna, per quanto è in
noi, prendere modello dai Santi. Oh quanto sarebbero felici gli uomini, se non
cercassero che la volontà di Dio! Dio farebbe la volontà degli uomini che
sarebbero tutti santi, e la terra si cambierebbe in paradiso.
Per terra s'intende anche il corpo, e per cielo, lo spirito.
In questo senso, recitando le citate parole del Pater, l'uomo domanda che il
suo corpo faccia la volontà di Dio, non meno che lo spirito; ovvero, come
spiega S. Cipriano, che il corpo stia soggetto allo spirito, come lo spirito
sta sottomesso a Dio (De Orat. dom.).
Altri, sotto il nome di terra, intendono i peccatori, e sotto
quello di cielo, i giusti. Secondo questa interpretazione, la domanda del Pater
esprimerebbe l'augurio che i peccatori facciano la volontà di Dio, come la
fanno i giusti... Per il cielo S. Agostino intende Gesù Cristo; e per la terra,
la Chiesa sposa di Gesù Cristo; il che equivarrebbe a dire: Compia la Chiesa la
vostra volontà, o mio Dio, come l'ha compiuta Gesù Cristo (De Orat. dom.).
Il riposo, la pace, la gioia, la santità, la perfezione del
cristiano consistono nel rinnegare la propria volontà, per uniformarla a quella
di Dio, sia nell'avversa che nella prospera fortuna, e nella sanità e nelle
malattie, e nella vita, e nella morte. «Che altro abomina e punisce Dio, se non
la propria volontà dell'uomo?», dice S. Bernardo, e conchiude: «Cessi adunque
questa volontà e non vi sarà più inferno (De Resurrect.)». Un'intera conformità
alla volontà divina, scrive il medesimo Padre, unisce l'anima al Verbo, come la
sposa è unita allo sposo (Serm. XXVIII, in Cantic.). E come vera sposa altro
non cerca né desidera se non ciò che piace allo sposo, e per parte sua lo sposo
non fa nulla che possa dispiacere alla sposa; così l'anima che ambisce di
essere la sposa di Gesù Cristo non vuole altro se non ciò che piace a Gesù
Cristo il quale poi non fa nulla che a lei dispiaccia. O preziosa e felice
unione!
Essendo la volontà di Dio eccellente e perfetta, non vi è
cosa tanto utile, quanto il sottomettervisi interamente: chi segue questa via,
arriverà ad alta perfezione; anzi l'ha già raggiunta, perché tutta la
perfezione consiste in ciò... Dio sa benissimo quello che ci conviene, quello
che ci occorre per renderci felici, sia nel tempo, sia nell'eternità, mentre
noi lo ignoriamo. Non siamo dunque noi ciechi e nemici di noi medesimi, quando
mettiamo la nostra volontà invece di quella di Dio? Che cosa avviene allora?
Non facciamo più né la volontà di Dio né la nostra... Faraone si ostina nel
voler fare il proprio volere, rifiutando di fare quello di Dio; e sapete come è
finito... Mosè fa in tutto la volontà di Dio, e considerate come Dio a sua
volta, fa quella di Mosè in Egitto, in riva al Mar Rosso e nel deserto. Gli
angeli ribelli non vogliono piegarsi al volere di Dio; cosa ne è di loro?...
Adamo si mette per la medesima strada, e dove va a finire?
7. QUARTA DOMANDA. -
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Dacci oggi il
nostro pane quotidiano. Con questa quarta domanda preghiamo Dio che ci dia il
necessario per la vita dell'anima e del corpo... Dimandiamo quello che
appartiene a noi, non quello che appartiene agli altri...
I re sono, al pari del più misero dei loro sudditi, i
mendichi di Dio. «Il mendicante vi domanda l'elemosina, dice S. Agostino, e
anche voi siete i mendicanti di Dio. Che cosa vi domanda l'accattone? del pane,
e voi che altro domandate a Dio, se non Gesù Cristo che dice: «Io sono il pane
vivo disceso dal cielo? (Serm. XV, de Verb. Domini secund. Matth.)». La parola
pane, panem, comprende la sanità, il vitto, il vestito, l'alloggio e simili...
Noi domandiamo il pane materiale; ma domandiamo ancora principalmente il pane
spirituale dell'anima: la grazia..., l'eucaristia..., la salute..., la gloria
eterna...
Dacci il pane, panem: non chiediamo altra cosa, perché il
pane ci basta; lo chiediamo per noi e per gli altri, da nobis: chiediamo il
pane di ciascun giorno, panem nostrum quotidianum, non il pane per il domani
perché il domani non è in nostro potere. Con ciò Dio c'insegna a non accumulare
per spirito di avarizia e a non affannarci dell'avvenire. Chiediamo poi che ce
lo dia oggi, da nobis hodie, perché ci è necessario, e necessario al presente.
8. QUINTA DOMANDA. -
Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus
debitoribus nostris. Perdona a noi i nostri debiti, come noi li perdoniamo agli
altri... Nelle prime quattro domande imploriamo dei beni, nelle tre ultime
supplichiamo perché ci siano risparmiati dei mali.
Perdona a noi, dimitte nobis, perché noi siamo tutti, qual
più qual meno, colpevoli... «Perché nessuno, dice S. Cipriano, si compiaccia di
se stesso, e si creda innocente e s'insuperbisca, la voce divina gli insegna
ch'egli pecca ogni giorno, poiché gli è fatto comando d'implorare ogni giorno
il perdono dei propri peccati (De orat. Domin.)».
Perdona a noi i nostri debiti, debita nostra. Il peccato è il
più grave debito che l'uomo possa contrarre con Dio, a cagione della ingiuria
infinita che col peccato egli fa a Dio... Quest'ingiuria è così enorme, che né
l'uomo, né l'angelo, né alcuna creatura poté ripararla... Bisognò per questo
che il Verbo si facesse uomo e spargesse il sangue su la croce.
Perdona a noi come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offeso:
Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Ecco la condizione alla quale Dio
lega il nostro perdono. Se vogliamo ch'egli ci perdoni, perdoniamo... Per
conseguenza chi pronunzia queste parole del Pater, mentre nutre in cuore
pensieri di odio, o desideri di vendetta, e non delibera di scacciarli,
pronunzia la sua sentenza di condanna. Se voi, dice Gesù Cristo, perdonate agli
altri le offese, il vostro Padre celeste vi perdonerà le vostre; ma se voi
ricusate il perdono agli uomini, il Padre vostro celeste lo ricuserà anche a
voi (MATTH. VI, 14-15). «Perdonate e vi sarà perdonato; poiché si userà con voi
quella misura medesima che voi avrete usato con gli altri» (Luc. VI, 37-38).
9. SESTA DOMANDA. -
Et ne nos inducas in tentationem. E non c'indurre in tentazione.
Notiamo che non si dice: Liberaci dalla tentazione; infatti la tentazione, di
per se stessa, non è peccato; altrimenti Gesù Cristo non avrebbe permesso al
demonio di suggerirla a lui medesimo. L'unico male che si può trovare nella
tentazione è di consentirvi. Il male viene dalla volontà dell'uomo che si
abbandona alle sollecitudini della carne e del demonio. La tentazione è un
bene, in quanto che mette alla prova l'uomo, ne eccita la vigilanza, lo porta a
diffidare di se medesimo ed a fuggire il pericolo; si fa occasione e causa di
grandi meriti per coloro che la combattono. Perciò i grandi Santi furono
ordinariamente i più tentati. Soccombere alla tentazione è un perdersi;
resisterle è un piacere a Dio che ci aiuta a vincere; è un ornare di brillanti
la propria corona, accrescere la propria ricompensa, accertare la propria
salvezza, andare al cielo... Gli Apostoli insegnano che in mezzo alle spine di
molte tentazioni, serpeggia la via che conduce al regno di Dio (Act. XIV, 21).
Non c'indurre in tentazione vuoi dire: Signore, io non vi
domando di essere liberato dalla tentazione, se tale non è il vostro volere, ma
datemi grazia di resisterle, di vincerla, di uscir trionfante dalla lotta...
Queste parole c'insegnano che dobbiamo temere e non fidarci delle proprie
forze... Ci ammoniscono del continuo bisogno in cui siamo della preghiera e
della grazia di Dio, per non dare orecchio alla tentazione e soccombere...
«Senza di me, dice Gesù Cristo, non potete fare nulla» (IOANN. XV, 5). «Io
tutto posso, dice l'Apostolo, in colui che mi sorregge» (Philipp. IV, 13). Se
Dio è con noi, dice ancora il medesimo Apostolo, chi ci starà contro? (Rom.
VIII, 31). Oh Dio! non lasciateci vincere dalle tentazioni del demonio, del
mondo, della carne, delle miserie di questa vita, del peccato!...
10. SETTIMA DOMANDA. -
Sed libera nos a malo. Ma liberaci dal male, cioè dal
peccato... Qui Dio ci ordina di chiedere la nostra intera liberazione dal
peccato, perché il peccato è di natura sua cattivo, mentre la tentazione non lo
è... Con queste parole noi domandiamo ancora di essere difesi contro i mali del
corpo, le malattie, ecc.; ma queste cose le chiediamo sotto condizione, che
tale sia il beneplacito di Dio; perché i mali corporali non sono peccati. Non
così è dei mali dell'anima, i quali si riducono al peccato, perché solo il
peccato può nuocere e macchiare l'anima; quindi chiediamo in modo assoluto al
Signore che ce ne scampi.
11. CONCLUSIONE. -
Amen. Così sia. Questo augurio che chiude il
Pater, è una breve ed infiammata orazione che domanda l'adempimento di tutto
ciò che si contiene nel Pater; di modo che si può considerare come conclusione
di ciascuna delle sette domande.
Si noti che nel pater non si fa specifica menzione né di
ingegno, né di sanità, né di ricchezze, né di forza, né di sapienza umana, né
di sposo, né di sposa, né di famiglia, né di gloria, né di altro
bene qualunque o corporale o spirituale o materiale, perché tutto questo è
indifferente e non si devono domandare né tutte, né alcune di queste cose se
non in quanto possono giovare alla gloria di Dio, alla nostra salute, alla
salute ed alla santificazione del prossimo.
Il Pater detto con fervore è un atto di tutte le
virtù.
Infatti si fa un atto di fede con quelle parole: - Padre
nostro che sei nei cieli; -
un atto di speranza, dicendo: - Venga il tuo regno; -
un atto di amore, esclamando: - Sia santificato il tuo nome; -
un atto di obbedienza e di umiltà, chiedendo: - Che sia fatta
la tua volontà come in cielo, così in terra; -
un atto di ringraziamento e di sommissione, dicendo: - Dacci oggi il
nostro pane quotidiano; un atto di carità fraterna, dicendo: - Perdona
a noi come noi perdoniamo agli altri; -
un atto di timor di Dio e di diffidenza di noi medesimi, supplicando: - Che non
c'induca in tentazione; -
finalmente un atto di contrizione e di detestazione
del peccato, dicendo: - Liberaci dal male.
- Felice pertanto colui che dice sovente, con
divozione e fervore, quest'ammirabile e preziosa preghiera...
12. IL « PATER » DEL SERAFICO PADRE S. FRANCESCO D'ASSISI. -
Ecco il pater che S. Francesco d'Assisi aveva
costume di recitare in ciascun'ora del giorno:
«Santissimo nostro Padre, nostro creatore, nostro
redentore, nostro salvatore, nostro consolatore;
che sei nei cieli, negli Angeli, nei Santi; illuminandoli affinché ti
conoscano, perché, o Signore, sei luce; infiammandoli del tuo divino amore,
perché tu, o Signore, sei amore; abitando in loro e riempiendoli di felicità,
perché tu, o Signore, sei il bene sommo ed eterno, dal quale vengono tutti i
beni, e fuori del quale non vi è sorta di vero e solido bene.
Sia santificato il tuo nome; fatti conoscere a noi, affinché noi non ignoriamo la
larghezza dei tuoi benefizi, la lunghezza delle tue promesse, l'altezza della
tua maestà, la profondità dei tuoi giudizi.
Venga il tuo regno, affinché tu regni in noi con la tua grazia, e ci faccia
arrivare al tuo regno, dove si trovano la chiara visione e il perfetto amore,
la beata società e l'eterno possesso di te medesimo.
Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo, affinché ti amiamo con tutto il
cuore, pensando continuamente a te; con tutta l'anima, sospirando a te con
incessante desiderio; con tutto lo spirito, a te volgendo le nostre intenzioni,
e cercando il tuo onore in ogni cosa; con tutte le nostre forze, applicando
ogni facoltà ed energia, sì dell'anima che del corpo, all'esercizio del tuo
amore; ed ancora affinché amiamo il nostro prossimo come noi medesimi,
eccitandolo con tutto il nostro potere ad amarti, rallegrandoci dell'altrui
bene come proprio, compatendo ai suoi mali e non offendendo nessuno.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano; dacci oggi dì il Signor nostro Gesù
Cristo tuo Figlio, facendo sì che ricordiamo, comprendiamo, onoriamo, e l'amore
che ci ha manifestato, e tutto quello che ha fatto, detto e sofferto per
noi.
Perdona a noi le nostre colpe, per tua misericordia, per
l'ineffabile virtù della passione del tuo diletto Figlio, il Signor nostro Gesù
Cristo, per i meriti e l'intercessione della Beata Vergine Maria e di tutti i
Santi. Perdonaci come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi.
E perché noi non perdoniamo mai abbastanza, fa', o Signore, che perdoniamo
interamente, che amiamo i nostri nemici per amor tuo, e intercediamo
divotamente per loro; fa' che non rendiamo a nessuno male per male, e che col
tuo aiuto possiamo. essere utili a loro in ogni cosa.
Non lasciarci soccombere alla tentazione, sia nascosta, sia patente, sia
impreveduta e passeggera, sia importuna e persistente;
ma liberaci dal male passato, presente e futuro. Così sia, secondo la tua
volontà, o Signore, e come a te parrà meglio (Biblioth. Ss. Patr., t. V)
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