S.
ALFONSO M. DE’ LIGUORI
Per
conseguire la salute eterna e tutte le grazie che desideriamo
Al Verbo Incarnato
Gesù Cristo
diletto dall’eterno
Padre benedetto del Signore, autore della vita, re della gloria, Salvatore del
mondo, aspettato dalle genti, desiderio dei colli eterni, Padre celeste,
giudice universale, mediatore tra Dio e gli uomini, maestro delle virtù,
agnello senza macchia, uomo dei dolori, sacerdote eterno e vittima d’amore,
speranza dei peccatori, fonte delle grazie, pastore buono, innamorato delle
anime,
ALFONSO peccatore
quest’opera consacra
Dedica a Gesù ed a
Maria
O Verbo
Incarnato, voi avete dato il sangue e la vita per ottenere alle nostre
preghiere (come già avete promesso) tanto di valore, che impetrano quanto
chiedono; e noi, oh Dio! siamo così negligenti della nostra salute che neppure
vogliamo domandare le grazie che ci abbisognano per salvarci! Voi, con tal
mezzo di pregare, ci avete data la chiave di tutti i vostri divini tesori, e
noi per non pregare vogliamo restare miseri quali siamo! Deh, Signore,
illuminateci e fateci conoscere quanto valgono appresso il vostro Eterno Padre
le suppliche fatte in nome di Voi e per i vostri meriti. Io vi consacro questo
mio libretto, beneditelo Voi, e fate che tutti quelli che l’avranno nelle mani
s’invoglino a sempre pregare, e si adoprino ad infiammare anche gli altri
affinché si valgano di questo gran mezzo della loro salute.
A Voi anche
raccomando questa mia operetta, o gran madre di Dio Maria: Voi proteggetela con
ottenere a tutti coloro, che la leggeranno, lo spirito di pregare con ricorrere
sempre in tutti i loro bisogni al vostro Figlio, ed a Voi, che siete la
dispensatrice delle grazie, e siete la Madre della misericordia, che non sapete
lasciare scontento alcuno che a Voi si raccomanda, e siete all’incontro la
Vergine potente, che ottenete da Dio ai vostri servi, quanto chiedete.
Io ho dato alla luce
diverse operette spirituali, ma stimo di non aver fatta opera più utile di
questo libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo
necessario e sicuro, al fine di ottenere la salute, e tutte le grazie che per
quella ci bisognano. Io non ho questa possibilità, ma se potessi, vorrei di
questo libretto stamparne molte copie, quanti sono tutti i fedeli che vivono
sulla terra, e dispensarle ad ognuno, affinché ognuno intendesse la necessità,
che abbiamo tutti di pregare per salvarci.
Dico ciò, perché vedo
da una parte quest’assoluta necessità della preghiera, tanto per altro
inculcata da tutte le Sacre Scritture, e da tutti i Santi Padri; ed al
contrario vedo, che i cristiani poco attendono a praticare questo gran mezzo
della loro salute. E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e
confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti; e vedo che
anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano
abbastanza. Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non
dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del
pregare. Essi infatti inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in
grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza dei Sacramenti, la
resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditare le Massime
eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma a che servono, io
dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri
spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol
concedere le grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv
16,24).Senza la preghiera (parlando secondo la Provvidenza ordinaria)
resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e
tutte le nostre promesse. Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i
lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione sta qui:
che a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le
virtù, insomma ad osservare i divini precetti non bastano i lumi da noi
ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi fatti, ma vi è bisogno di
una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale (come appresso
vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni
ed i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e
nelle tentazioni per ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal
peccato. Ma se allora non preghiamo, saremo perduti.
Ho voluto, lettore
mio, premettere questo mio sentimento a tutto quello che appresso scriverò,
affinché ringraziate il Signore, che, per mezzo di questo mio libretto, vi dona
la grazia di riflettere maggiormente sull’importanza di questo gran mezzo della
preghiera; poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli adulti),
ordinariamente per questo unico mezzo si salvano. E perciò dico, ringraziatene
Dio; perché è una misericordia troppo grande quella che Egli fa a coloro ai
quali dà la luce e la grazia di pregare. Io spero che voi, amato mio fratello,
dopo aver letta questa breve operetta, non sarete più trascurato d’ora innanzi
a ricorrere sempre a Dio coll’orazione, quando sarete tentato ad offenderlo. Se
mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza di molti peccati,
intendiate che questa n’è stata la cagione: la trascuratezza di pregare e di cercare
a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni, che vi hanno assalito. Vi prego
intanto di leggerlo e rileggerlo e con tutta l’attenzione, non già perché è
frutto del mio ingegno, ma perché egli è mezzo che il Signore vi porge per bene
della vostra eterna salute: dandovi con ciò ad intendere in modo particolare,
che vi vuol salvo. E dopo averlo letto; vi prego di farlo leggere ad altri
(come potrete) amici o paesani, con cui converserete. Or cominciamo in nome del
Signore.
Scrisse l’Apostolo a
Timoteo: Raccomando adunque prima di tutto, che si facciano suppliche,
orazioni, voti, ringraziamenti (1 Tm 2,1). Spiega
l’Angelico san Tommaso (2, 2.ae, q. 83, art. 17), che l’orazione è
propriamente il sollevare la mente a Dio. La postulazione poi
è propriamente la preghiera; la quale, quando la domanda contiene cose
determinate, come quando diciamo: Muoviti, o Dio, in mio
soccorso... si chiama supplica. La obsecrazione è una
pia adiurazione, ossia contestazione, per impetrare la grazia, come quando
diciamo: Per la tua croce e passione, liberaci, o Signore. Finalmente l’azione
di grazie è il ringraziamento per i benefici ricevuti, col quale, dice
san Tommaso, che noi meritiamo di ricevere benefici maggiori: Rendendo
grazie meritiamo beni maggiori. L’orazione presa in particolare, dice
il santo Dottore, significa il ricorso a Dio; ma presa in generale, contiene
tutte le altre parti di sopra nominate; e tale noi l’intenderemo nominandola da
qui in avanti col nome di orazione o di preghiera.
Per affezionarci poi
a questo gran mezzo della nostra salute quale è la preghiera, bisogna
considerare, quanto sia ella a noi necessaria, e quanto valga ad ottenerci
tutte le grazie che da Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si deve.
Quindi parleremo prima della necessità e del valore della
preghiera, e poi delle condizioni della medesima, affinché
ella riesca efficace appresso Dio.
DELLA NECESSITA’
DELLA PREGHIERA
I. - LA PREGHIERA E’
NECESSARIA ALLA SALUTE,
DI NECESSITA’ DI
MEZZO.
Fu già errore dei pelagiani
il dire, che l’orazione non è necessaria a conseguire la salute. Diceva l’empio
loro maestro Pelagio, che l’uomo in tanto solamente si perde, in quanto
trascura di riconoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa! diceva
Santo Agostino: Pelagio d’ogni altra cosa voleva trattare, fuorché
dell’orazione (De natura et orat. c. XVII), ch’è l’unico mezzo,
come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza dei santi, secondo
quel che scrisse già S. Giacomo: Se alcuno di voi è bisognoso di
sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera,
e gli sarà concesso (Gc 1,5).
Sono troppo chiare le
Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo
salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi (Lc 18,1).Vegliate
ed orate per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Chiedete ed
otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole bisogna, chiedete,
orate, come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano
precetto e necessità. Vicleffo diceva, che questi testi s’intendevano non già
dell’orazione, ma solamente della necessità delle buone opere, sicché il
pregare in suo senso non era altro che il bene operare: ma questo fu suo errore
e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo
Lessio, non potersi negare senza errare nella fede, che la preghiera
agli adulti è necessaria per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture,
essere l’orazione l’unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute (De
Iust. 1, 2, c. 37, dub. 3, n. 9).
La ragione è chiara.
Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare alcun bene. Senza
di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino su
queste parole, che Gesù Cristo non disse: niente potete compire, ma
niente potete fare. Per darci con ciò ad intendere il nostro
Salvatore, che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene.
Anzi scrisse l’Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di
farlo (2 Cr 3,5). Se dunque non possiamo neanche pensare
al bene, tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre
Scritture. Lo stesso Dio è quegli che fa in tutti tutte le cose (1
Cr 12,6). Farò che camminiate nei miei precetti, ed osserviate le mie leggi,
e le pratichiate (Ez 36,27). In modo che, siccome scrisse
san Leone I: Noi non facciamo alcun bene, fuori di quello che Dio con
la sua grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6, can.
3, disse: Se alcuno avrà detto, che senza una preventiva ispirazione,
ed aiuto dello Spirito Santo, l’uomo può credere, sperare, amare o pentirsi,
come bisogna, per ottenere la grazia della giustificazione, sia scomunicato (Sess.
6, can. 3).
L’autore
dell’Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore
altri ha provveduto di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano
così conservare il loro essere; ma l’uomo poi l’ha formato in tal stato, che
esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18). Sicché l’uomo è
affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che
quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua grazia.
Ma questo aiuto della
grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede se non a chi
prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: Crediamo che niuno giunga
a salute, se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non è da Dio
aiutato; niuno meriti aiuto, se non per mezzo della preghiera (De
Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una parte, che senza il soccorso
della grazia niente noi possiamo; e posto dall’altra che tale soccorso
ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per
conseguenza, che la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? E’
vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra
cooperazione, come sono la vocazione alla fede, alla penitenza, dice S.
Agostino, che Dio le concede anche a coloro che non pregano; tuttavia il santo
tiene poi per certo che le altre grazie (e specialmente il dono della
perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De Dono pers. c. 16).
Ond’è che i teologi
comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo, Clemente Alessandrino, ed
altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera agli adulti è
necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo veduto, ma anche di
mezzo. Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza raccomandarsi
a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si
salvi. Lo stesso insegna san Tommaso dicendo: Dopo il battesimo poi è
necessaria all’uomo una continua orazione, affine di entrare in cielo; poiché
quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, ciò nondimeno rimane
il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il mondo e i demoni, che
ci guerreggiano esternamente (3 p. q. 39, art. 5). La ragione dunque,
che ci fa certi, secondo l’Angelico, della necessità che abbiamo della
preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e
vincere: Colui che combatte nell’agone non è coronato, se non ha
combattuto secondo le leggi (1 Tm 2,5). All’incontro senza l’aiuto
divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo
aiuto divino solo per l’orazione si concede; dunque senza orazione non v’è
salute.
Che poi l’orazione
sia l’unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più
distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che ilSignore
tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi,
vuol donarcele non per altro mezzo che per l’orazione (2, 2.ae, q. 83,
2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: Gli uomini pregando
meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare (Lib.
i. Dial. cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di
pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la
necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni
per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad
1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di
pane col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che
riceviamo le grazie necessarie i alla salute per mezzo della preghiera,
dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete" (Matth.
7,7).
Noi insomma, altro
non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci dona Dio per
elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il
Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma
non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si
protesta con dire: Chiedete ed otterrete. Cercate, e vi sarà
dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l’umore è
necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria
a noi l’orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo,
che: siccome il corpo senza dell’anima non può vivere, così l’anima
senza l’orazione è morta, e manda cattivo odore (De or. D. l. i.).
Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito
comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l’orazione cibo dell’anima
perché senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l’orazione,
dice S. Agostino, non può conservarsi in vita l’anima (De sal. doc.
c. 28). Tutte queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano
l’assoluta necessità, ch’essi insegnano d’esservi in pregare per conseguire la
salute.
L’orazione inoltre è
l’arma più necessaria per difenderci dai nemici: chi di questa non s’avvale,
dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo di ritenere che Adamo cadde
perché non si raccomandò a Dio allora che fu tentato (P. I. q. 94, a. 4).
E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli angeli ribelli: Che cioè
ricevendo invano la grazia di Dio, senza pregare non seppero rimanere fedeli (Epist.
adversus Pelag. haeret.). San Carlo Borromeo in una lettera Pastorale
(Litt. pastor. De or. in com.) avverte, che tra tutti i mezzi che
Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla
preghiera: ed in ciò ha voluto che si distinguesse la sua Chiesa e Religione
dalle altre sette, volendo che ella si chiamasse specialmente casa d’orazione. La
casa mia sarà chiamata casa d’orazione (Mt 21,13).
Conclude S. Carlo
nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio, il progresso e il
complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre, nelle miserie e nei
pericoli, in cui ci troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo in che altro
fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio e dalla sua
misericordia impetrare colle preghiere la nostra salvezza (2 Cron 20,12).
E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non esser preda dei
nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro
insidie: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli
trarrà dal laccio i miei piedi (Sal 24,15). Sicché altro
egli non faceva che pregare dicendo: A me volgi il tuo sguardo, e abbi
pietà di me, perché io son solo e son povero (Ibid. 24,16).
Gridai a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti (Sal
118,146). Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e
salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa
aiutarmi.
Ed infatti come
potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini
precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed
infermi, se non avessimo il mezzo dell’orazione, per cui possiamo già dal
Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia
quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia assolutamente
impossibile agli uomini l’osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse
che alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che
hanno. E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma
ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse,
dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli possibili. E’ vero, dice
S. Agostino, che l’uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni
precetti con le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti;
ma ben può con la preghiera ottenere l’aiuto maggiore, che vi bisogna per
osservarli: Iddio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ti
avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché
tu lo possa (De nat. et grat. cap. XLIII). E’ celebre
questo testo del Santo, che poi fu adottato e fatto dogma di fede dal Concilio
di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi immediatamente soggiunse il santo
Dottore: Vediamo in che modo... (cioè, come l’uomo può fare
quel che non può). Per mezzo della medicina potrà quello che non può
per la sua infermità (Ibid. cap. LXIX). E vuol dire che con la
preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza; poiché pregando noi,
Iddio ci dona la forza a far quel che noi non possiamo.
Non possiamo già
credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci
l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e
perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare
tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con l’aiuto maggiore
che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma
perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze?
Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con
l’orazione l’aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb.
c. 16). E in altro luogo: La legge fu data affinché
domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge (De
sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a
questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci la
grazia per osservarla. In altro luogo dice: La legge è buona per chi ne
usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge? (Serm.
156).
E risponde: riconoscere
per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto onde
conseguire la salute (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che
noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della
legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, affinché poi
impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S.
Bernardo, dicendo: Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo
resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo
noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo
con tutta umiltà alla sua misericordia (Serm. v. De Quadrag.).
Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per
conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci
assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera
otteniamo dalla sua misericordia l’aiuto a resistere.
Specialmente, si
avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si
raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci
combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e
buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi
perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con
l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali.
Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa
tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: L’orazione è il
presidio della pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima
Salomone: ‘Tosto ch’io seppi come non poteva essere continente se Dio
non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap
8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non
ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi
la domanda certamente l’otterrà.
Pertanto dice S.
Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il
precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze, lo
possiamo nondimeno con l’aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né
dicasi, che sembra un’ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini
diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il
modo di trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la
colpa è sua (De perfect. iust. c. III).
Insomma, dice lo
stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare (S.
55. in app.). Ed all’incontro, dice S. Francesco d’Assisi, che senza
orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un’anima. A torto dunque si
scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere alla
tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché
non la domandate? Voi non l’avete, perché non la cercate (Gc
4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli
assalti dei nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice
l’Apostolo, e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma
fedele è Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro
potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate
sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta
Primasio: Con l’aiuto della grazia farà provenire questo, che possiate
sopportare la tentazione. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi
gli domandiamo l’aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo
tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte
le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto" (Fil
4,13). Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade
perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe restato vinto
dai nemici (Serm. De Moyse).
E’ utile ricorrere
alla intercessione dei Santi?
Qui cade poi il
dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all’intercessione dei Santi, per
ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile
l’invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù
Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è
dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (In
Decr. de invoc. Ss.).
Tale invocazione era
condannata dall’empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è lecito e
profittevole l’invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci
assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E
per noi pure pregate il Dio nostro... (Bar 1,13). E S. Paolo:
‘"Fratelli, pregate per noi"(1 Ts 1,25). E Dio
medesimo volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui
orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe egli li favorisse: Andate a
trovare Giobbe mio servo... e Giobbe mio servo farà orazioni per voi, e in
grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza (Gb
42,8). Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da
esser lecito l’invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono Dio? Ciò non
è derogare all’onore che a Dio si deve, ma duplicarlo, com’è l’onorare il re
non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi. Che perciò dice S.
Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi,perché con le orazioni di
molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l’orazione di un solo.
Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino
per noi, quando essi già pregano per tutti coloro che ne sono degni? Risponde
lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe già degno che i Santi preghino
per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché ricorre con devozione al Santo
medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S.).
Si controverte poi,
se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni dicono che le anime
purganti non possono pregare per noi, indotti dell’autorità di S. Tommaso, il
quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi
inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che si preghi per
esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri Dottori, come il
Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l’affermano,
dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché
quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo
bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né
osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l’Angelico, di non essere
le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non essere in stato di
pregare, altro il non poter pregare. E’ vero, che quelle anime sante non sono
in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando a patire sono
inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni; nulladimeno in
tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio. Se mai un
padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di
qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma
perché egli non può pregare per gli altri? E non sperare di ottenere ciò che
chiede, sapendo l’affetto che gli porta il padre? Così essendo le anime del
Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia, non v’è impedimento che
possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro non suole
invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non
conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come si è detto, che il
Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di
carità, non lasciano certamente di pregare per noi. Santa Caterina di Bologna,
quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben
presto si vedeva esaudita. Anzi attestava, che molte grazie che non aveva
ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo delle
anime del Purgatorio.
Ma qui mi si permetta
di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime! Se vogliamo noi il
soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle
con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere
questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo
il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi
possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or è certo che i nostri prossimi sono
ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita,
nulladimeno non lasciano d’essere nella comunione dei Santi, dice S. Agostino.
E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la
carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all’altra vita in grazia, è
un’estensione di quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi
viventi (In Ps. 37). Ond’è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle
sante anime come nostri prossimi. Ed essendo le loro necessità maggiori di
quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il
nostro dovere di sovvenirle.
Ora in quali
necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? E’ certo, che le loro pene
sono immense. Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è
più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l’uomo in questa vita (In 4
Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo
essere quello il medesimo fuoco dell’inferno. E ciò è in quanto alla pena del
senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio,
che affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal
naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono
tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi poi impedite dalle
loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero capaci di morte,
morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo dice il Crisostomo, questa pena
della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso. Ond’è
che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser
private d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il
maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi
in questa vita. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi
risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano,
che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della
minor pena, che v’è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse provato
quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che
hanno patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno
solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che
quelle pene, in quanto all’asprezza, sono le stesse che quelle dell’Inferno; in
questo solo differiscono, che non sono eterne.
Le pene dunque di
quelle anime sono troppo grandi; dall’altra parte non possono aiutarsi da sé;
esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai
lacci di povertà (Gb 36,8). Sono già destinate al regno
quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine
della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se
vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano
anche con le loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da
quelle catene, finché non soddisfano interamente la divina giustizia. Così
appunto disse dal Purgatorio un monaco Cistercense al sacrestano del suo
monastero: Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni, perché io da
per me niente posso ottenere. E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura,
cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare.
All’incontro essendo
certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e principalmente con
le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante
anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere
loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle,
se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi
ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco
in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l’acquisto dei gran meriti che possiamo
fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante anime, le
quali all’incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che noi
loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni
l’anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle
saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua
misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i
misericordiosi, perché questi troveranno misericordia (Mt 5,7), con
molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante
anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute
degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da
Saul suo padre per essersi cibato del miele, contro l’ordine da lui dato. Ma il
popolo si presentò al re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il
quale ha salvato Israele (1 Re 14,45). Or così appunto dobbiamo
sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che un’anima esca
dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell’anima dirà a Dio: Signore, non
permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene. E se Saul concesse
la vita a Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute
eterna a quel fedele per le preghiere di un’anima che gli è sposa. Inoltre,
dice S. Agostino, che coloro che in questa vita avranno più soccorso quelle
sante anime, nell’altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi
degli altri.
Si avverta che il più
gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in
quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo
così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù
Cristo, con tutti i dolori ch’egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti
della sua Passione vi raccomando le anime del Purgatorio e specialmente... ecc.
Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche le anime di
tutti gli agonizzanti.
Quanto si è detto
delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi, e se
pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre
certamente a rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi
essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi già
canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere
fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come vogliono S.
Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all’eresia, come
tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel
canonizzare i Santi, principalmente come insegna l’Angelico (Quodlib.
9, art. 16, ad. l), è guidato dall’istinto
infallibile dello Spirito Santo.
Ma ritorniamo al dubbio
di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all’intercessione dei
Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di
esporre una dottrina dell’Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati
di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser
tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce,
ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano (in 4
sent. d. 15, q. 4, a. l). In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo
propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino
per noi (in 4 sent. dist. q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire il
sentimento del santo bisogna riferire l’intero suo testo): E’ l’ordine
divinamente istituito nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi
ultimi si riconducano a Dio.
E però i Santi che
sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l’ordine della divina legge
richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal
Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi. Il che appunto
avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi. E
perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al procedimento della bontà
di lui verso di noi; (Siccome i benefici di Dio ci provengono
mediante i suffragi dei Santi), così fa d’uopo che noi siamo ricondotti a
Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi.
E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi
mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi.
Si notino quelle
parole: l’ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si
notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i
benefici del Signore; così fa d’uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì
nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi.
Sicché secondo S.
Tommaso, l’ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo dei
Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute.
Ed all’opposizione che si fa l’Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai
Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad
esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della
sua clemenza, ma per conservare l’ordine retto, ed universalmente stabilito di
operare per mezzo delle cause seconde.
E secondo
quest’autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio,
che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi
siamo tenuti di ricorrere anche all’intercessione dei Santi, per osservare
l’ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che
gl’inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.
E se così corre
parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell’intercessione della divina
Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto
il Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con
cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e
Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini (Expos.
in salut. Ang.). E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: Per
te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché
per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi (In
adv. Dom. 1, 2). Col che volle dire: siccome noi non
abbiamo l’accesso al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di
giustizia; così non abbiamo l’accesso al Figlio se non per mezzo della Madre,
ch’è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che
Gesù Cristo ci ha meritati.
E in conseguenza di
ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto da Dio
due pienezze di grazia. La prima è stata l’Incarnazione nel suo seno del Verbo
eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo
delle preghiere d’essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunse il
Santo: Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in
noi è qualche speranza, qualche grazia’ qualche salute, riconosciamo ridondare
da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie. Orto di delizie, affinché
d’ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè, delle
grazie (Serm. De Aquaed.).
Sicché quanto noi
abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell’intercessione di
Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole
Dio. Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli
scrisse, che Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato
con la sua carità, affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come
membri del nostro capo Gesù Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond’è
che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla nascita spirituale dei
fedeli, così vuole Dio, ch’ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro
conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria
nell’altro. E perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini
assoluti: la vita, la dolcezza, e la speranza nostra.
Quindi S. Bernardo ci
esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue preghiere sono
certamente esaudite dal Figlio: Fa’ ricorso a Maria; lo dico
francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre. E poi soggiunse: Questa,
o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima fiducia, questa
tutta la ragione di mia speranza (Serm. De Aquaed.). La
chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si
ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si
giunge al secondo, se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che
per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria.
La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la
ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie
che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria. E conclude finalmente
dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di
Maria, perché ella ottiene quando cerca, e le sue preghiere non possono essere
respinte.
E con sentimento
conforme a san Bernardo parlano anche sant’Efrem: Noi non abbiamo altra
fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima (De Laud.
B. M. V.). San Ildefonso: Tutti i beni che la divina Maestà decretò
di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani. Perciocché a te sono
affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie (De Cor. Virg. c. 15).
S. Germano: Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei Cristiani? (De
Zon. B. V.). S. Pier Damiani: Nelle tue mani sono tutti i tesori
delle divine commiserazioni (De Nat. S. I.). S. Antonio: Chi
domanda senza di essa tenta di volare senza ali (P. 4 tit. 15. c.
22). San Bernardino da Siena in un luogo dice: Tu sei la
dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano. In altro
luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le
grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio,
acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano
(Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi conchiude: Perciò si è
che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima
a chi vuole, e come vuole. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Tutta
la divina natura essendo stata nell’utero della Vergine, ardisco dire, che
questa Vergine dal cui seno come da un oceano della divinità derivano i fiumi
di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione sopra tutte le
effusioni delle grazie.
Onde poi molti
teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno
difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo
dell’intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il
Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di
Alessandro, il quale scrisse: Dio vuole che tutti i beni aspettiamo da
Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la
invochiamo come conviene (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.).
E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: Questo è il
volere di Colui che il tutto volle darci per Maria (Serm. De
Aquaed.). E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù
in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così
soggiunse:Quasi dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per
intercessione di mia madre. Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno
deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di Maria. O Giovanni discepolo,
tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei (Theol. ment. et cord.
t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi
ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell’intercessione
di Maria, acciocché ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo
parla S. Anselmo. Parlando poi S. Tommaso della dignità di Maria, la chiama
quasi infinita (1 part. q. 25. a. 6. ad 4.). Onde a ragione dicesi, che le
preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere di tutto
il Paradiso insieme.
Terminiamo questo
primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che chi prega,
certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati,
eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono
perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e
sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con
tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non
essere i miseri più a tempo di domandarle.
CAPO II
DEL VALORE DELLA
PREGHIERA
I. - DELL’ECCELLENZA
DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO
Sono sì care a Dio le
nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito quelle
che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario,soprintendono
alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in
Matth.). Questo appunto è quel sacro fumo d’incenso, cioè le orazioni dei
Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per mano degli
Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo Apostolo,
che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d’oro pieni di odori soavi,
e molto graditi a Dio.
Ma per meglio
intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine
scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell’antico
come nel nuovo Testamento: Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger
33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed
otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7).
Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché
chi chiede riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa
domanderanno, sarà loro concessa dal Padre mio (Mt 18,19). Qualunque
cosa domandiate nell’orazione, abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr
11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14).
Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà conceduta (Gv 15,7). In
verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio,
ve la concederà (Gv 16,23). E vi sono mille altri testi consimili, che
per brevità si tralasciano.
Iddio ci vuol salvi,
ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando adunque in questa
vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da
combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà
essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). Noi siamo molto
deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo loro far
fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva l’Apostolo: Tutte
le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Tutto
potremo con l’orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza
che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l’orazione è onnipotente; ella è
una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la
preghiera si ottiene l’acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni male (In
Luc. 2). Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della
preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da
tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). Sono
forti le potenze dell’inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni,
dice san Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con
l’orazione l’anima acquista l’aiuto divino, che supera ogni potenza creata.
Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò
il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). Insomma,
dice S. Giovanni Crisostomo, l’orazione è un’arma valevole a vincere ogni
assalto dei demoni, è una difesa, che ci conserva in qualunque pericolo; è un
porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro insieme, che ci provvede
d’ogni bene (In Ps. 145).
II. - DELLA FORZA
DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.
Dio, conoscendo il
gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come si
dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli
domandiamo l’aiuto che egli ci offre, e ci promette. Ma quanto si compiace
allorché noi ricorriamo a Lui nei pericoli, altrettanto gli dispiace vederci
trascurati nel pregare. Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele
quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso;
così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle
tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta
aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente. Ben lo dichiarò
Isaia, allorché da parte di Dio disse al re Achaz, che gli avesse domandato
qualche segno affine di accertarsi del soccorso, che il Signore voleva
dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is
7). L’empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio
tentare Dio (Ibid. 12). E ciò disse perché confidava nelle sue forze
di vincere i nemici senza l’aiuto divino. Ma il profeta indi lo rimproverò con
dire: Udite dunque, casa di Davide: E’ egli adunque poco per voi il far
torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci
con ciò, che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le
grazie che il Signore gli offre.
Poveri figli miei,
dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso
dei vostri peccati, non vi perdete d’animo, ricorrete a me con l’orazione, ed
io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt
11,28). In altro luogo dice per bocca d’Isaia: "Uomini, ricorrete a
me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi
do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me
ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve"
(Is 1,18).
Che cos’è la
preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un’ancora
sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a
chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia
certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont.
Anon.). Che fa la preghiera? La preghiera, dice S. Lorenzo
Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega;
ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei
nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da
peccatori in santi (De Perfect., c. 12). Chi ha bisogno di
luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch’io sono ricorso a
Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap
7,7). Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà
donata: subito ch’io ho aperta bocca a pregare, disse
Davide, ho ricevuto da Dio l’aiuto (Sal 118,131). E come mai i
santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con
l’orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte?
Chi si serve insomma
di questa grande arma dell’orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in
peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin
da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). Che serve
dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della
vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? Non
vi affannate per niente, dice l’Apostolo, ma in ogni cosa
siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell’orazione e delle
suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). Che serve,
dice l’Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da
voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la
confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della
salute. Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e
ringraziatelo sempre delle promesse che v’ha fatte, di concedervi i doni che
bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la
salute e tutto quello che desiderate.
Il Signore ci ha
posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle
sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a
resistere (1 Cr 10,13). E’ fedele perché subito soccorre chi l’invoca. Scrive
il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per
altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato,
quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci per mezzo della
grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante con cui
possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5,
par. 3). Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che
umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere
dalla tentazione. Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo.
Con l’orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze
dei nemici (De sal. doc. c, 28).
III. - DIO E’ SEMPRE
PRONTO AD ESAUDIRCI.
Dice S. Bernardino da
Siena, che la preghiera è un’ambasciatrice fedele, ben nota al Re del Cielo, e
solita d’entrare fin dentro al suo cuore, e di piegare con la sua importunità
l’animo pietoso del Re a concedere ogni soccorso a noi miserabili, che gemiamo
fra tanti combattimenti e miserie in questa valle di lacrime (I. 4 in Dom. 5 p.
Pasc.). Ci assicura ben anche Isaia, che quando il Signore sente le nostre
preghiere, subito si muove a compassione di noi e non ci lascia molto piangere,
ma nello stesso punto ci risponde e concede quanto domandiamo (Is 30,19). Ed in
altro luogo parla il Signore per bocca di Geremia, e di noi lagnandosi, dice:
Perché voi dite che non volete più ricorrere a me, forse la mia misericordia è
terra sterile per voi, che non sappia darvi alcun frutto di grazie? o terra
tardiva che renda il frutto molto tardi? (Ger 2,31). Con ciò il nostro amoroso
Signore volle darci ad intendere ch’egli non lascia mai d’esaudire, e subito,
le nostre preghiere; e con ciò vuol anche rimproverare coloro che lasciano di
pregarlo per diffidenza di non essere esauditi.
Se Dio ci ammettesse
ad esporgli le nostre suppliche una volta al mese, sarebbe pur un gran favore.
I re della terra danno udienza poche volte all’anno, ma Dio dà sempre udienza.
Scrive il Crisostomo, che sta continuamente apparecchiato a sentire le nostre
orazioni né si dà mai caso, che egli essendo pregato come si deve, non
esaudisca chi lo prega (Hom. 52 in Matth.). E altrove dice, che quando noi
preghiamo Dio, prima che terminiamo di esporgli le nostre suppliche, egli già
n’esaudisce. Anzi di ciò ne abbiamo la promessa da Dio medesimo. Prima
che abbiano finito di dire, li avrò uditi (Is 65,24). Il
Signore, dice Davide, sta dappresso a tutti coloro che lo
invocano con cuor verace. Egli farà la volontà di coloro che lo temono, ed
esaudirà la loro preghiera, e li salverà (Sal 144,18). Ciò
era quello di cui si gloriava Mosé dicendo: Non v’ha certo altra
nazione, per grande che ella sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei,
come il Dio nostro è presente a tutte le nostre preghiere (Dt 4,7).
Gli dei dei Gentili erano sordi a chi li invocava, perché erano misere creature
che niente potevano; ma il nostro Dio, che può tutto non è già sordo alle
nostre preghiere, ma sta sempre vicino a chi lo prega, e pronto a concedere
tutte le grazie che gli si domandano. Signore (diceva il Salmista), ho
conosciuto che Voi siete il mio Dio tutto bontà e misericordia, perché ogni
volta che a Voi ricorro, subito mi soccorrete (Sal 55,10).
E’ meglio pregare che
meditare
Noi siamo poveri di
tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco,
e Dio è tutto liberale, dice l’Apostolo, con chi lo
chiama in aiuto (Rm 12). Giacché dunque, ci esorta S. Agostino,
abbiamo a che fare con un Signore d’infinita potenza, e d’infinita ricchezza;
non gli cerchiamo cose piccole e vili, ma domandiamogli qualche cosa di grande
(In Ps. 62). Se uno cercasse al re una vile moneta, un quattrino, mi
pare che costui farebbe al re un disonore. All’incontro noi onoriamo Dio,
onoriamo la sua misericordia e la sua liberalità, allorché vedendoci miseri
come siamo, ed indegni di ogni beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie
grandi, affidati alla bontà di Dio, ed alla sua fedeltà per la promessa fatta
di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli domanda: qualunque
cosa vorrete, la chiederete e vi sarà concessa (Gv 15,7).
Diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che il Signore si sente così onorato, e
tanto si consola quando gli cerchiamo le grazie, che in certo modo egli ci
ringrazia, poiché così allora par che noi gli apriamo la via a beneficarci ed a
contentare il suo genio, ch’è di fare bene a tutti. E persuadiamoci, che quando
noi cerchiamo le grazie a Dio, egli ci dà sempre più dì quello che
domandiamo: Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a
Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera (Gc 1,5).
Così dice S. Giacomo, per dimostrarci che Dio non è come gli uomini, avaro dei
suoi beni. Gli uomini ancorché ricchi, ancorché pii e liberali, quando
dispensano elemosine, sono sempre stretti di mano, e per lo più donano meno di
ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto sia grande, è
sempre ricchezza finita, onde quanto più danno, tanto più loro viene a mancare.
Ma Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè,
con la mano larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua
ricchezza è infinita; quanto più dà, più gli resta da dare. Perché
soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta misericordia per quei che
t’invocano (Sal 85,4). Voi, mio Dio, diceva Davide,
siete troppo liberale e cortese con chi v’invoca. Le misericordie che voi gli
usate sono tanto abbondanti, che superano le sue domande.
In questo adunque,
dice il Crisostomo, ha da consistere tutta la nostra attenzione, in pregare con
confidenza, sicuri che pregando si apriranno a nostro favore tutti i tesori del
Cielo. L’orazione è un tesoro: chi più prega, più ne riceve. Dice S.
Bonaventura, che ogni volta che l’uomo ricorre devotamente a Dio con la
preghiera, guadagna beni che valgono più che tutto il mondo (De perf. vitae,
c. S). Alcune anime devote impiegano gran tempo nel leggere e in meditare,
ma poco attendono a pregare. Non v’ha dubbio, che la lettura spirituale, e la
meditazione delle verità eterne siano cose molto utili, ma assai più utile,
dice S. Agostino, è il pregare. Nel leggere e meditare noi intendiamo i nostri
obblighi, ma con l’orazione otteniamo la grazia di adempirli (In Ps. 75).
Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non
renderci più rei innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo quanto vogliamo, non
soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per
adempirle.
E perciò, riflette S.
Isidoro, che in nessun altro tempo il demonio più s’affatica a distoglierci col
pensiero delle cure temporali, che quando si accorge, che noi stiamo pregando,
e cercando le grazie a Dio (Lib. 3, Sent. e. 7). E perché? perché
vede il nemico che in nessun altro tempo noi guadagniamo più tesori di beni
celesti che quando preghiamo. Il frutto più grande dell’orazione mentale è
questo: il domandare a Dio le grazie che ci abbisognano per la perseveranza, e
per la salute eterna. Per questo principalmente l’orazione mentale è moralmente
necessaria all’anima per conservarsi in grazia di Dio, se la persona non si
raccoglie in tempo della meditazione a domandare gli aiuti che gli sono
necessari per la perseveranza, non lo farà in altro tempo. Infatti senza meditare,
non penserà al bisogno che ha di chiederli. All’incontro chi ogni giorno fa la
sua meditazione ben vedrà i bisogni dell’anima, i pericoli in cui si trova, la
necessità che ha di pregare; e così pregherà ed otterrà le grazie che lo
faranno poi perseverare e salvarsi. Diceva parlando di sé Padre Segneri, che a
principio della meditazione egli più si tratteneva in fare affetti, che in
preghiere; ma conoscendo poi la necessità, e l’immenso utile della preghiera,
d’indi in poi per lo più, nella molta orazione mentale ch’egli faceva, si
applicava a pregare.
Io strideva come un
tenero rondinino, diceva il devoto re Ezechia (Is 38,14).
I pulcini delle rondini non fanno altro che gridare, cercando con ciò l’aiuto e
l’alimento alle loro madri. Così dobbiamo sempre gridare, chiedendo a Dio
soccorso per evitare la morte del peccato, e per avanzarci nel suo santo amore.
Riferisce il padre Rodriguez, che i padri antichi, i quali furono i nostri
primi maestri di spirito, fecero consiglio fra di loro, per vedere qual fosse
l’esercizio più utile e più necessario per la salute eterna, e risolsero esser
il replicare spesso la breve orazione di Davide: Muoviti, o Dio, in mio
soccorso (Sal 69,1). Lo stesso (scrive Cassiano) deve fare
chi vuol salvarsi, dicendo sempre: Dio mio, aiutatemi, Dio mio,
aiutatemi. Questo dobbiamo fare dal principio che ci svegliamo la
mattina, poi seguitarlo a fare in tutti i nostri bisogni e in tutte le
applicazioni in cui ci troviamo, così spirituali, come temporali; e più
specialmente poi quando ci vediamo molestati da qualche tentazione o passione.
Dice S. Bonaventura, che alle volte più presto si ottiene la grazia con una
breve preghiera, che con molte altre opere buone (De prof. rel.1. 2.
c. 65).
Soggiunge S.
Ambrogio, che chi prega, già ottiene, poiché lo stesso pregare è ricevere.
Quindi scrisse S. Crisostomo che non vi è uomo più potente di un uomo che
prega; perché costui si rende partecipe della potenza di Dio. Per salire alla
perfezione, diceva S. Bernardo, vi bisogna la meditazione e la preghiera; con
la meditazione vediamo quel che ci manca, con la preghiera riceviamo quel che
ci bisogna (De S. Andr. Serm. I).
Conclusione
Il salvarsi insomma
senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile, come abbiamo veduto, secondo
la divina Provvidenza ordinaria, ma pregando, il salvarsi è cosa sicura e
facilissima. Non è necessario per salvarsi andare tra gli infedeli e dar la
vita; non è necessario ritirarsi nei deserti a cibarsi di erbe. Che ci vuole a
dire: Dio mio, aiutami, assistimi, abbi pietà di me? Vi è cosa più
facile di questa? e questo poco basterà a salvarci, se saremo attenti a farlo.
Specialmente esorta S. Lorenzo Giustiniani, a sforzarci di fare orazione almeno
in principio di qualunque azione (Lig. vit. de or. e. 16). Attesta
Cassiano, che i Padri esortavano sommamente a ricorrere a Dio con brevi ma
frequenti preghiere. "Niuno faccia, diceva S. Bernardo, poco
conto della sua orazione, giacché ne fa conto Iddio il quale, o ci dona allora
ciò che cerchiamo, o ciò che è più utile per noi" (Serm. v, De
Quadrag.). Ed intendiamo, che se non preghiamo, per noi non v’è scusa,
perché la grazia di pregare è data a ognuno: in mano nostra sta l’orare, sempre
che vogliamo, come di sé parlando, diceva Davide: Meco avrò l’orazione
a Dio, che è mia vita; dirò a Dio: tu sei mio aiuto (Sal 41,9-10).
Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere
tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina Legge, e perseverare
sino alla morte; se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non
avremo pregato.
DELLE CONDIZIONI
DELLA PREGHIERA
I. - PREGARE PER SE
STESSO
In verità, in verità
vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la
concederà (Gv 16,23). E’ promessa adunque
di Gesù Cristo, che, quando, in nome suo, domanderemo al Padre, tutto il Padre
ci concederà; ma sempre si intende quando domanderemo con le dovute condizioni.
Molti, dice S. Giacomo, cercano e non ottengono, perché malamente cercano (Gc
4,3). Onde S. Basilio, seguendo il detto dell’Apostolo, dice: "Appunto
talvolta chiedi, e non ottieni, perché malamente hai domandato, o infedelmente,
o con leggerezza, o chiedesti cose non convenienti, o hai desistito" (Const.
mon. e. i, vers. fin.).Infedelmente, cioè con poca fede,
ossia poca confidenza: con leggerezza; con poco desiderio di
avere la grazia: cose non convenienti, cercando beni non
giovevoli alla salute: hai desistito, senza perseveranza.
Pertanto S. Tommaso riduce a quattro le condizioni richieste nella preghiera,
acciocché si ottenga il suo effetto; cioè che l’uomo domandi: per se
stesso, le cose necessarie alla salute, devotamente e con perseveranza (Qu.
83, a. 7, ad 2).
La prima condizione
dunque della preghiera è che si faccia per sé; poiché l’Angelico tiene che un
uomo non può impetrare agli altri ex condigno (a titolo di
giustizia) la vita eterna, e per conseguenza neppure quelle grazie che
appartengono alla loro salute; mentre la promessa, come dice, sta fatta non per
gli altri ma solamente a coloro che pregano: Ve la concederà (Gv
16,23). Ma ciò nonostante, vi sono molti dottori (CORN. A LAPID., Sylvest.,
Tolet., Habert et alii) che tengono l’opposto, appoggiati all’autorità di
san Basilio, il quale insegna che l’orazione in virtù della divina promessa, ha
infallibilmente il suo effetto, anche per gli altri per cui si prega, purché
gli altri non vi mettano positivo impedimento. E si fondano sulle
Scritture: Orate l’un per l’altro per essere salvati; imperciocché
molto può l’assidua preghiera del giusto (Gc 5,16). Orate per coloro che
vi perseguitano e vi calunniano (Mt 5,44). E meglio sul testo di S.
Giovanni: Chi sa che il proprio fratello pecca di peccato, che non mena
a morte, chieda, e sarà data la vita a quello che pecca non a morte (Gv
5,16). Spiegano quel che pecca non a morte, S. Agostino, Beda,
sant’Ambrogio ed altri, purché quel peccatore non sia tale che intenda di
vivere ostinato sino alla morte; poiché per costui si richiederebbe una grazia
molto straordinaria. Del resto per gli altri peccatori non rei di tanta
malizia, l’apostolo promette a chi per essi prega, la loro conversione:chieda,
sarà data la vita a quello che pecca (Mt 5,44).
Per altro non si
mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e sono
molto gradite a Dio; e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i
peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de’ Pazzi; onde le disse
un giorno: "Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del
demonio; se i miei diletti con le loro orazioni non li liberassero,
resterebbero divorati". Ma specialmente ciò lo desidera il Signore dai
sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle,
Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora
perché noi lo plachiamo a favore dei peccatori". E il Signore stesso
un giorno disse alla medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la
città di rifugio, cioè la Passione di Gesù Cristo, acciocché abbiate dove
ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad essa, ed ivi porgete
aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse".
Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a
Dio il Sangue del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della
loro conversione, dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di
poter giovare alle tue creature, con mettere la vita per esse, e non poterlo
fare!". Del resto ella in ogni esercizio raccomandava i peccatori a
Dio, e si scrive nella sua vita, che quasi non passava ora del giorno, che la
Santa non pregasse per essi; frequentemente anche si levava di notte, e andava
al SS. Sacramento a pregare per i peccatori: e con tutto ciò una volta fu
ritrovata a piangere dirottamente, ed interrogata perché, rispose: "Perché
mi pare di non far niente per la salute dei peccatori". Giungeva ad
offrirsi per la loro conversione patire anche le pene dell’inferno, purché ivi
non avesse a odiare Dio; e più volte fu compiaciuta da Dio d’esser afflitta con
gravi dolori ed infermità per la salute dei peccatori. Specialmente pregava per
i sacerdoti, vedendo che la loro buona vita era cagione della salute degli
altri, e la mala vita cagione della rovina di molti; e perciò pregava il
Signore, che punisse le colpe sopra di lei, dicendo: "Signore, fammi
tante volte morire, e tornare a vivere, sino ch’io soddisfaccia per essi alla
tua giustizia". E narrasi nella sua Vita, che la Santa con le sue
orazioni liberò molte anime dalle mani di Lucifero.
Ho voluto dire
qualche cosa più particolare dello zelo di questa santa. Del resto tutte le
anime, che sono veramente innamorate di Dio, non cessano di pregare per i
poveri peccatori. E com’è possìbile, che una persona che ama
Dio, vedendo l’amore che porta alle anime, e quel che ha fatto e patito Gesù
Cristo per la loro salute, e il desiderio che ha questo Salvatore, che noi
preghiamo per i peccatori; com’è possibile, dico, che possa poi vedere con
indifferenza tante povere anime, che, vivono senza Dio, schiave dell’inferno, e
non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e
forza a quelle infelici per uscire dallo stato miserabile in cui dormono, e
vivono perdute? E’ vero, che Dio non ha promesso di esaudirci, quando coloro,
per cui preghiamo, mettono positivo impedimento alla loro conversione; ma molte
volte il Signore per sua bontà, a riguardo delle orazioni dei suoi servi, con
grazie straordinarie si è compiaciuto di ridurre a stato di salute i peccatori
più accecati e ostinati. Pertanto non lasciamo mai, nel dire o sentir la Messa,
nel far la Comunione, la Meditazione, o la visita del Santissimo Sacramento, di
raccomandare sempre a Dio i poveri peccatori. E dice un dotto autore, che chi
prega per gli altri, tanto più presto vedrà esaudite le preghiere che per se
stesso. Sia detto ciò di passaggio, ma ritorniamo a vedere le altre condizioni
che richiede S. Tommaso, affinché la preghiera abbia effetto.
L’altra condizione
che il Santo assegna è che si domandino quelle grazie, che bisognano alla
salute: cose necessarie alla salute; poiché la promessa alla
preghiera non è fatta per le grazie temporali, che non sono necessarie alla
salute dell’anima. Dice S. Agostino spiegando le parole del Vangelo, nel
nome mio, riferite di sopra, che "non si chiede nel nome del
Salvatore, tutto ciò che si chiede contro l’affare della salute" (Tract.,
102 in Joan.). Alle volte noi cerchiamo alcune grazie temporali, e Dio
non ci esaudisce; ma non ci esaudisce, dice lo stesso S. Dottore, perché ci
ama, e vuole usarci misericordia (Ap. S. Prosp. Sent.212).
Il medico che ama l’infermo, non gli concede quelle cose, le quali vede che gli
farebbero nocumento. Oh quanti se fossero infermi o poveri, non cadrebbero nei
peccati, in cui cadono essendo sani o ricchi! E perciò il Signore taluni che
gli cercano la sanità del corpo, o i beni di fortuna, glieli nega, perché li
ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perdere la sua grazia, o
almeno d’intiepidirsi nella vita spirituale. Del resto con ciò non intendo
dire, essere difetto il chiedere a Dio le cose necessarie alla vita presente,
per quanto convengono alla salute eterna, come lo chiedeva il Savio,
dicendo: Concedimi quel che è necessario al mio vivere (Pro
30,8). Né è -difetto, dice S. Tommaso (2.a, 2.ae, q. 83. a. XVI)
l’avere per tali beni una sollecitudine ordinata. Il difetto sta nel desiderare
e cercare questi beni temporali, e l’aver per essi una sollecitudine
disordinata; come in essi consistesse tutto il nostro bene. Perciò quando noi
domandiamo a Dio queste grazie temporali, dobbiamo domandarle sempre con
rassegnazione, e colla condizione se sono per giovarci all’anima. E quando
vediamo che il Signore non ce le concede, teniamo per certo ch’egli ce le nega
per l’amore che ci porta, e perché vede che ci sarebbero dannose alla salute
spirituale.
Molte volte noi
chiediamo a Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio neppure
ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che
allora Dio ciò permette anche per nostro maggior bene. Non sono le tentazioni
ed i mali pensieri, che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi. Quando
l’anima nella tentazione si raccomanda a Dio, e col suo aiuto resiste, oh, come
avanza allora nella perfezione, e viene a stringersi di più con Dio! e perciò
il Signore non l’esaudisce. Pregava san Paolo istantemente per essere liberato
dalle tentazioni d’impurità: Mi è stato dato lo stimolo della carne, un
angelo di Satana che mi schiaffeggia. Sopra di che tre volte pregai il Signore,
che me ne fosse tolto (2Cr 12,7-8). Ma il Signore gli rispose: Basta
a te la mia grazia.Sicché anche nelle tentazioni dobbiamo pregare Dio con
rassegnazione, dicendo: Signore, liberatemi da questa molestia, se è espediente
il liberarmene: e se no, almeno datemi l’aiuto per resistere. E qui fa quel che
dice S. Bernardo, che quando noi cerchiamo a Dio qualche grazia, Egli o ci dona
quella, o qualche cosa più utile di quella. Dio molte volte ci lascia a patire
nella tempesta, al fine di provare la nostra fedeltà, e per nostro maggior
profitto. Sembra, che allora Egli sia sordo alle nostre preghiere; ma no,
stiamo sicuri, che Dio allora ben ci sente e ci aiuta di nascosto,
fortificandoci con la sua grazia a resistere ad ogni insulto dei nemici. Ecco
come Egli stesso ce ne assicura per bocca del Salmista: M’invocasti
nella tribolazione, ed io ti liberai: ti esaudii nella cupa tempesta: feci
prova di te alle acque di contraddizione (Sal 80,7).
Le altre condizioni
finalmente, che assegna S. Tommaso alla preghiera, sono che si preghi devotamente, e
con perseveranza. Devotamente, s’intende con umiltà e
confidenza; con perseveranza, senza lasciar di pregare sino al la
morte. Or di queste condizioni, cioè dell’umiltà, confidenza e perseveranza,
che sono le più necessarie alla preghiera, bisogna qui di ciascuna
distintamente parlare.
III. - PREGARE CON
UMILTÀ.
Il Signore ben guarda
le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal 101,18). Altrimenti
non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi, e agli umili dà
la grazia (Gc 6,6). Dio non sente le orazioni dei superbi, che confidano
nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro propria miseria; ed in tale
stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno. Ciò piangeva
Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato
umile (Sal 118,67). E lo stesso avvenne a S. Pietro, il quale
quantunque fosse stato avvisato da Gesù Cristo, che in quella notte tutti essi
discepoli dovevano abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per me in
questa notte (Mt 26,31), egli nondimeno invece di
conoscere la sua debolezza, e di domandare aiuto al Signore per non essergli
infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse, che se tutti l’avessero
abbandonato, egli non l’avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti
fossero per patire scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33).
E ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima di
cantare il gallo l’avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si
vantò dicendo:
Quand’anche dovessi
morire teco, non ti negherò (Ibid. 35). Ma
che avvenne? Appena il miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu
rimproverato per discepolo di Gesù Cristo, egli tre volte infatti lo negò con
giuramento, dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid. 72). Se Pietro
si fosse umiliato, e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non
lo avrebbe negato.
Dobbiamo tutti
persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi sull’abisso di
tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci
lascia, noi certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze
più orrende: Se Dio non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille
peccati, ed ora starei nell’inferno (Sal 93,17); così diceva il
Salmista, e così deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san Francesco
di Assisi, quando diceva, ch’esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma,
padre mio, gli disse il compagno, questo che dite, non è vero; vi
sono molti nel mondo che certamente sono peggiori di voi. Sì che è
troppo vero quel che dico, rispose il Santo, perché se Dio non mi tenesse
le mani sopra, io commetterei tutti i peccati.
E’ di fede che senza
l’aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera buona, e neppure avere
un buon pensiero. Gli uomini, dice S. Agostino, senza la
grazia, nulla possono fare di bene o col pensare, o con l’operare (De
correct. et grat. c. II). Come l’occhio non può vedere senza la luce, così
diceva il Santo, l’uomo non può fare alcun bene senza la grazia. E prima già lo
disse l’Apostolo: Non perché noi siamo idonei a pensare alcuna cosa da
noi come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio (2 Cr 3,5). E
prima dell’Apostolo lo disse già Davide: Se il Signore non edifica egli
la casa, invano si affaticano quelli che la edificano(Sal 126,1).
Indarno si affatica l’uomo a farsi santo, se Dio non vi mette la sua
mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno
vigila colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce
l’anima dai peccati, invano attenderà ella a custodirsi con le sue forze. E
perciò si protestava poi il santo Profeta:Dunque non voglio sperare nelle
mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7).
Onde chi ritrovasi
fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori peccati di quelli
che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore, sono
quel che sono (1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve
lasciar di tremare e temere di cadere in ogni occasione: Per la qual
cosa chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12).
E con ciò il santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di
caduta, chi si tiene sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro
luogo dove dice: Imperocché se alcuno si tiene di esser qualche cosa,
mentre non è nulla, questi seduce se stesso (Gal 6,3). Onde scrisse
saggiamente sant’Ambrogio che in molti la presunzione di esser fermi è
di ostacolo alla loro fermezza; nessuno certamente sarà fermo, se non chi si
crede infermo (Serm. 76, n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di
non aver timore, è segno che costui fida in se stesso, e nei suoi propositi fatti;
ma questi con tal confidenza perniciosa da sé medesimo viene sedotto, perché
fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di
raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà. E così parimenti bisogna che
ciascuno si guardi di ammirarsi con qualche vanagloria dei peccati degli altri;
deve allora più presto tenersi in quanto a sé, per peggiore degli altri e dire:
Signore, se voi non mi aveste aiutato avrei fatto peggio. Altrimenti permetterà
il Signore, in castigo della sua superbia, che cada in colpe maggiori e più
orrende. Pertanto ci avvisa l’Apostolo a procurarci l’eterna salute; ma come?
sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì, perché quegli che
molto teme di cadere, diffida delle sue forze, perciò riponendo la sua
confidenza in Dio, a Lui ricorrerà nei pericoli; Dio lo soccorrerà, e così
vincerà le tentazioni, e si salverà.
S. Filippo Neri,
camminando un giorno per Roma, andava dicendo: Sono disperato. Un
certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: Padre mio, sono
disperato di me, ma confido in Dio. Così bisogna che facciamo noi, se
vogliamo salvarci; bisogna che viviamo sempre disperati delle nostre forze;
poiché così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal primo momento in cui
si svegliava la mattina, diceva a Dio: Signore, tenete oggi le mani
sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce.
Questa dunque per
concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice sant’Agostino, il
conoscere che niente egli è, niente può (In Ps. 70). Perciò così non
cesserà di procurarsi da Dio con le preghiere quella forza che non ha, e che
gli bisogna per resistere alle tentazioni e per fare il bene, ed allora farà
tutto col soccorso di quel Signore, che non sa negare niente a chi lo prega con
umiltà. La preghiera di un’anima umile penetra i cieli, e presentandosi
al trono divino, di là non parte senza che Dio la guardi e l’esaudisca (Ecli
35). E siasi quest’anima resa rea di quanti peccati si voglia, Dio
non sa disprezzare il cuore che si umilia(Sal 50,19). Quando il
Signore è severo con i superbi e resiste alle loro domande, altrettanto è
benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto disse un
giorno Gesù a S. Caterina da Siena: Sappi o figlia, che chi umilmente
persevera a chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù" (Ap.
Blos in concl. c. 3).
Dobbiamo preferire la
via comune alla via straordinaria
Giova qui addurre un
bell’avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano di farsi sante,
il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d’Osma, nell’annotazione che fa sulla
lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e gli dà
conto di tutti i gradi d’orazione soprannaturale, con cui il Signore l’aveva
favorita. All’incontro il citato prelato scrive che queste grazie soprannaturali,
che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad altri santi, non sono
necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse vi sono
giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto
dice di esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali
doni soprannaturali, mentre la vera ed unica strada per diventare un’anima
santa è l’esercitarsi nelle virtù, nell’amare Dio; al che si arriva per mezzo
dell’orazione, e col corrispondere ai lumi ed aiuti di Dio, il quale altro non
vuole che vederci santi (1 Ts 4,3).
Quindi il suddetto
pio scrittore, parlando dei gradi dell’orazione soprannaturale, di cui scriveva
la Santa, cioè dell’orazione di quiete, del sonno e sospensione delle potenze,
dell’estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita
spirituale; saggiamente scrive e dice, che in quanto all’orazione di quiete,
ciò che noi dobbiamo desiderare e domandare a Dio è, che ci liberi dall’attacco
e dal desiderio dei beni mondani, che non danno pace, ma apportano inquietudine
ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben li chiamò
Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore
dell’uomo non troverà mai vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è
Dio, per lasciare luogo al di Lui santo amore, affinché egli solo tutto lo
possieda. Ma ciò l’anima da sé non può farlo; bisogna che l’ottenga dal Signore
con replicate preghiere.
In quanto al sonno
e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la grazia di
tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare la
divina bontà e per ambire l’amor divino, ed i beni eterni.
In quanto all’unione
delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non pensare, di non
cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché tutta la santità
e la perfezione dell’amore consiste nell’unire la nostra volontà con la volontà
del Signore.
In quanto all’estasi
e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall’amor disordinato di noi stessi
e delle creature per tirarci tutti a sé.
In quanto al volo di
spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati da questo
mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano
sulla terra, ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo
di questi beni temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre
volando, senza fermarci sulla terra a cercare i gusti mondani.
In quanto all’impeto
di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e la fortezza di farci violenza
quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici, per superare le passioni,
per abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni e tedii spirituali.
In quanto finalmente
alla ferita d’amore, siccome la ferita con il suo dolore
rinnova sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci
talmente il cuore col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della
sua bontà, e dell’affetto che ci ha portato; e con ciò viviamo continuamente
amandolo e compiacendolo con le nostre opere ed affetti.
Ma tutte queste
grazie non si ottengono senza l’orazione; e con l’orazione, purché ella sia
umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.
IV. - PREGARE CON
FIDUCIA.
Eccellenza e
necessità della fiducia
L’avvertimento principale
che ci fa l’Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera ottenere da Dio
le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se
preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente
esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l’orazione, siccome prende
la forza di meritare dalla carità, così all’incontro ha efficacia di impetrare
dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna S.
Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le
divine misericordie (Serm. III, De annunt.).
Troppo si compiace il
Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora noi
veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci
ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice
il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché essi saranno
eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio
protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7).
Oh, le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano
in Dio! Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22).
Sì, perché dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a
tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo
aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice
il medesimo Dio: Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo
proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e lo glorificherò (Sal
90,14-15). Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo
proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente
gli darò la gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro
speranza in Dio dice: Questi lasceranno di esser deboli come sono, ed
acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno, anzi neppure
proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e voleranno
come aquile (Is 40,31). Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo stesso
Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere,
cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle
nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15).
E dove mai s’è dato
il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11).
Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a
perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso
giammai (Sal 30,1). E che forse, dice sant’Agostino, Iddio può essere
ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci
appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David
chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo
stesso profeta, chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina
misericordia (Sal 31,10). Sicché costui sarà talmente d’ogni intorno cinto e
guardato da Dio, che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi.
Perciò l’Apostolo
tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci avvisa)
certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). Quale sarà la
nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la
fiducia, grandi saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo, che la divina
misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più grande di
confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De
annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di
noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal
32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando
la sua confidenza: Va’, e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt
8,13). E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza,
gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto
ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa violenza a Dio,
ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).
Accostiamoci adunque,
ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di ottenere
misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16).
Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del
Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci
ritroviamo in peccato, e l’aiuto a perseverare, se godiamo la sua amicizia. A
questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con quella
confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso
di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura.
Chi all’incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi
di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare
mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa
alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché la sua
ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di
esaudire le sue domande. Non hai ricevuto la grazia, dice S.
Basilio, perché l’hai domandata senza confidenza (Const. Monac.
c. 2). Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev’essere ferma come
un monte, che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che
confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno
chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci
ammonì il Redentore, se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia
grazia che domandiate, state sicuri di averla e così l’otterrete (Mr
11,24).
Ma dove, dirà taluno,
io miserabile debbo fondare questa confidenza certa di ottenere quel che
domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate ed
avrete (Gv 16,24). Come possiamo dubitare, dice sant’Agostino,
di non essere esauditi, quando Iddio che è la stessa verità promette di
concederci ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il Signore non ci
esorterebbe a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm.
105). Ma questo è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo
replica nelle sacre Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed
otterrete quanto desiderate. E perché noi lo preghiamo con la
confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato nell’orazione del Pater
noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie necessarie
alla nostra salute (che già nel Pater noster tutte si
contengono), lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster. Mentre
vuole, che noi chiediamo a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il
figlio povero o infermo cerca il sostentamento o la medicina al suo proprio
padre. Se un figlio sta per morire di fame, basta che lo palesi al padre, e
questi subito lo provvederà di cibo. E se ha ricevuto qualche morso di serpe
velenoso, basterà che presenti al padre la ferita ricevuta, perché il padre
applichi il rimedio che già tiene.
Fidati dunque alle
divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti, ma stabili e
fermi, come dice l’Apostolo (Eb 10,23). Come è certo intanto, che
Dio è fedele nelle sue promesse, così deve essere certa ancora la nostra confidenza,
che egli ci esaudisca quando lo preghiamo. E se qualche volta, ritrovandoci
forse noi in stato di aridità, o disturbati da qualche difetto commesso, non
proviamo nel pregare quella confidenza sensibile che vorremmo sentire,
sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà di esaudirci. Anzi
allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più diffidati da noi, e
solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire
chi lo prega. Oh, come piace al Signore in tempo di tribolazioni, di timori e
di tentazioni il nostro sperare, anche contro la speranza, cioè contro quel
sentimento di diffidenza che proviamo allora per causa della nostra
desolazione. Di ciò l’Apostolo loda il patriarca Abramo: il quale
contro alla speranza credette (Rm 4,18).
Dice S. Giovanni,
che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica
come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare le
grazie in tutti coloro che in lui confidano. Con questa confidenza tanti
martiri, tante verginelle, tanti fanciulli, nonostante lo spavento dei tormenti
che loro preparavano i tiranni, hanno superato i tormenti e le sofferenze.
Talvolta, dico, noi
preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non lasciamo allora
di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe: Quand’anche
mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi dicesse:
Dio mio, ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò di
pregarvi, e di sperare nella vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo
quel che vorremo dal Signore. Così fece la donna Cananea, ed essa ottenne tutto
ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo la sua figlia invasata dal
demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà di me, Signore,
figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio (Mt
15,22). Il Signore le rispose ch’egli non era stato mandato per i Gentili,
come ella era, ma per i Giudei. Ma quella non si perdette d’animo, e ritornò a
pregare con confidenza: Signore, voi potete consolarmi, mi avete da consolare.
Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è bene darlo ai cani. Ma,
Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano
le briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo
la grande confidenza di questa donna, la lodò, e le fece la grazia,
dicendo: O donna, grande è la tua fede: ti sia fatto, come desideri. E
chi mai, dice l’Ecclesiastico, ha chiamato Dio in suo aiuto, e
Dio l’ha disprezzato e non l’ha soccorso? (Ecli 2,12).
Dice S. Agostino, che
la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo a nostro bene: nello stesso
punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende a noi la grazia che
domandiamo (Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che vanno unite
insieme le nostre suppliche con la misericordia di Dio: Benedetto Dio,
il quale non ha allontanato da me né la mia orazione, né la sua misericordia
(Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci
troviamo pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci
esaudisce (In Ps. 45).
Ed io, dico la
verità, non mai mi sento più consolato nello spirito, e con maggior confidenza
di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui mi raccomando. E lo
stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché gli altri segni
della nostra salvezza sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi
lo prega con confidenza, è verità certa ed infallibile, com’è infallibile, che
Dio non può mancare alle sue promesse.
Quando ci vediamo
deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà, per
eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con
l’Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto
(Fil 4,13). Non diciamo, come dicono alcuni: Non posso, non mi
fido. Con le forze nostre non possiamo certamente niente, ma col
divino aiuto possiamo tutto. Se Dio dicesse ad uno: prendi questo monte sulle
tue spalle, e portalo, perché io ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un
infedele, se rispondesse: io non lo voglio prendere, perché non ho forza di
portarlo? E così, quando noi ci conosciamo miseri ed infermi quali siamo, e ci
troviamo più combattuti dalle tentazioni, non ci perdiamo d’animo, alziamo gli
occhi a Dio, e diciamo con David: Con l’aiuto del mio Signore io
vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei nemici (Sal 117,7). E
quando ci troviamo in qualche pericolo di offendere Dio, o in altro affare di
conseguenza, e confusi non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio
dicendo: Il Signore è la mia luce e mia salute: che ho io da temere?
(Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci illuminerà, e ci
salverà da ogni danno.
Ma io sono peccatore,
dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce i
peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant’Agostino che ciò fu
detto dal cieco, il quale parlava allorché non era stato illuminato ancora
perfettamente, e perciò non fa autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16. ad
1). Per altro, soggiunge l’Angelico, che ciò sta ben detto, parlando
della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè
quando egli domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si
chiedesse aiuto per vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava
intenzione. E lo stesso dicesi di quel peccatore che prega Dio a salvarlo,
senza avere alcun desiderio di uscire dallo stato di peccato... Vi sono alcuni
infelici che amano le catene, con le quali il demonio li tiene legati da
schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché sono
preghiere temerarie e abominevoli. E qual maggior temerità di colui che domanda
grazia ad un principe, che non solo ha più volte offeso, ma che pensa di
seguitare ad offendere? E così s’intende quel che dice lo Spirito Santo, esser
detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di colui che volta le orecchie per non
ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9). A questi tali dice il Signore:
Non occorre che voi mi preghiate, perché io volterò gli occhi da voi, e non vi
esaudirò (Is 1,15). Tale era appunto l’orazione dell’empio re Antioco,
che pregava Dio, e prometteva grandi cose, ma fintamente, e col cuore ostinato
nella colpa, pregando solo per sfuggire il castigo che lo sovrastava: perciò il
Signore non diede orecchio alle sue preghiere, ma lo fece morire roso dai vermi
(2 Mc 9,13).
Altri poi che peccano
per fragilità, o per impeto di qualche gran passione, o gemono sotto il giogo
del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella
misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio; l’orazione di costoro, se
ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore il quale dice, che ognuno che
domanda, riceve, e chi cerca la grazia, la ritrova (Mt 7,8). Ognuno, spiega
l’autore dell’opera imperfetta, o giusto sia o peccatore (Homil.
XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui che chiede tutti i pani
che aveva all’amico, non tanto per l’amicizia, quanto per la di lui importunità
disse: Vi dico che quando anche non si levasse a darglieli per la
ragione che quegli è un suo amico, si leverà almeno a motivo della sua
importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Sicché
la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia anche a coloro che non
sono suoi amici. Quel che non si ottiene per l’amicizia, dice il
Crisostomo, si ottiene per la preghiera. Anzi dice lo stesso Santo
che vale più appresso a Dio l’orazione, che l’amicizia; e che
l’orazione compie ciò che l’amicizia non aveva compiuta (Hom. Non
esse desp.). E S. Basilio non dubita, che anche i peccatori
ottengono quel che chiedono, se sono perseveranti in pregare (Const.
Monast. c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: Alzi le
grida anche il peccatore, e la sua orazione giungerà a Dio (In Ps. 6,
Paenitent.). Lo stesso scrive san Girolamo, dicendo che anche il
peccatore può chiamare Iddio suo Padre, se lo prega ad accettarlo di nuovo per
figlio, con l’esempio del figlio prodigo, che lo chiamava padre. Padre,
ho peccato, ancorché non fosse stato ancora perdonato (Epist.
ad Damas. De filio prod.). Se Dio non esaudisse i peccatori, disse
sant’Agostino, invano il Pubblicano avrebbe domandato il perdono (In
Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano col pregare, ben
ottenne il perdono (Lc 18,15).
Ma sopra tutti
esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae, q. 83, c. 16),
e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito, se prega; dicendo,
che sebbene la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno la forza d’impetrare;
poiché l’impetrazione non si appoggia alla giustizia, ma alla divina bontà.
Così appunto pregava Daniele: Porgi, Dìo mio, il tuo orecchio e ascolta...
poiché sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle molte tue
misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn 9,18). Allorché
dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario l’essere amici di Dio, per
impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera ci rende suoi amici
(Comp. Theol. p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella ragione,
dicendo che tal preghiera del peccatore di uscire dal peccato, nasce dal
desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo desiderio è un dono che,
certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A che dunque, dice
poi il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse
esaudirlo? E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture,
di peccatori che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il
re Acab (1 Re 21). Così il re Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6).
Così il buon ladrone. Gran cosa e gran valore della preghiera! Due peccatori
muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno perché prega (ricordati di me)
(Lc 23,42), si salva; l’altro perché non prega, si danna!
Insomma dice il
Crisostomo (Hom. De Moyse): Nessun peccatore pentito ha
pregato il Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato. Ma che servono
più autorità e ragioni a ciò dimostrare, mentre Gesù medesimo dice: Venite a me
tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò’? (Mt 11,28). Per
aggravati, s’intendono comunemente, secondo S. Gìrolamo, S. Agostino ed altri,
i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i quali ricorrendo a Dio
ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla sua grazia.
Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d’esser
perdonati, quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36).
Non vi è grazia, soggiunge il Santo, che non si ottenga colla preghiera,
ancorché questa si faccia da un peccatore il più perduto che sia, se ella è
perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San
Giacomo: Se alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a
tutti abbondantemente, e nol rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro
adunque che ricorrono coll’orazione a Dio, egli non lascia d’esaudirli e di
colmarli di grazie: dà a tutti abbondantemente. Ma si faccia
special riflessione alla parola che segue: e nol rimprovera. Ciò
significa che non fa Iddio come fanno gli uomini, che quando viene a domandare
loro qualche favore, taluno, che prima in qualche occasione li ha offesi,
subito gli rimproverano l’oltraggio da lui ricevuto. Non fa così il Signore con
chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli domanda
qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già i disgusti
che ha dati, ma come se non l’avesse mai offeso, subito l’accoglie, lo consola,
l’esaudisce, e abbondantemente l’arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto per
animarci a pregare, il Redentore dice: In verità, in verità vi dico,
che qualunque cosa voi domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv
16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi disanimate, non fate che i
vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di sperare da esso
la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di ottenere le
grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate così,
andate al Padre in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che volete,
ed io vi prometto e vi giuro, in verità, in verità vi dico (dice
sant’Agostino esser questa una specie di giuramento), che quanto
domanderete, il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione
può avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto
chiederà a Dio in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà?
Dico, tutto, circa
la salute eterna, perché intorno ai beni temporali già abbiamo detto di sopra
che il Signore, anche pregato, alle volte non ce li concede, vedendo che tali
beni ci nuocerebbero all’anima. Ma in quanto ai beni spirituali la sua promessa
di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e perciò esorta S. Agostino che
quelle cose che Dio assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con
sicurezza di riceverle (Serm. 354, E. B.). E come mai, scrive il Santo, può negarci
qualcosa il Signore, allorché noi lo preghiamo con confidenza, quando desidera
più esso di dispensarci le sue grazie, che noi di averle? (Serm. 105).
Dice il Crisostomo
che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di cercargli i suoi
doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere che Iddio non
voglia esaudire un’anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando l’anima
gli dice: Signore, io non vi cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri,
onori; ma solo vi domando la grazia vostra, liberatemi dal peccato, datemi una
buona morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor vostro (ch’è quella
grazia, come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra tutte
le altre), datemi rassegnazione nella vostra volontà; com’è possibile che Dio
non voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant’Agostino, esaudirete voi,
mio Dio, se non esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De
Civ. Dei, LXXII. c. 8). Ma sopra tutto deve ravvivarsi la nostra
confidenza, allorché chiediamo a Dio le grazie spirituali, ciò che disse Gesù
Cristo. Se voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che
siete così cattivi, così attaccati ai vostri interessi, perché pieni d’amor
proprio, non sapete negare ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il
vostro Padre celeste, che vi ama più d’ogni padre terreno, vi concederà i beni
spirituali, allorché voi lo pregherete?
V. - PREGARE CON
PERSEVERANZA
Necessità della
perseveranza
E’ necessario dunque
che le nostre preghiere siano umili e confidenti; ma ciò non basta per
conseguire la perseveranza finale e con quella la salute eterna. Le preghiere
particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno, ma
se non sono perseveranti, non otterranno la perseveranza finale, la quale,
perché contiene il cumulo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate
preghiere, e continuate sino alla morte. La grazia della salute non è una sola
grazia, ma una catena di grazie, le quali tutte poi si uniscono con la grazia
della perseveranza finale. Ora a questa catena di grazie deve corrispondere
un’altra catena, per così dire, delle nostre preghiere. Se noi trascurando di
pregare spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la
catena delle grazie che ci devono ottenere la salute e non ci salveremo.
E’ vero che la
perseveranza finale non si può da noi meritare, come insegna il Concilio di
Trento, dicendo: Non può ottenersi da nessun altro, se non da Colui che
ha la potenza di rendere stabile quello che sta, acciocché perseverantemente
stia (Sess. VI. c. 13). Nulladimeno, dice S. Agostino, che
questo gran dono della perseveranza in qualche modo ben può meritarsi con le
preghiere, cioè pregando impetrarsi (De dono persev. e. 6). E soggiunge
il P. Suarez, che chi prega infallibilmente l’ottiene. Ma per ottenerlo e
salvarsi, dice san Tommaso, è necessaria una perseverante e continua preghiera
(P. 3. q. 39, a. 5). E prima lo disse più volte il nostro medesimo
Salvatore: Bisogna sempre orare, né mai stancarsi (Lc 18,1).
Vegliate adunque in ogni tempo, pregando di essere fatti degni di schivare
tutte queste cose che debbono avvenire; e di star con fiducia dinanzi al
Figliolo dell’Uomo (Lc 21,36). Lo stesso sta detto prima nel
Vecchio Testamento: Nessuna cosa ti ritenga dal sempre orare (Ecli
18,22). Benedici Dio in ogni tempo e pregalo, che regga i tuoi
andamenti (Tb 4,20). Quindi l’Apostolo inculcava ai suoi
discepoli, che non lasciassero mai di pregare: Orate senza
interruzione (1 Ts 5,17). Siate perseveranti nell’orazione,
vegliando in essa (Col 4,2).Bramo adunque che gli uomini preghino
in ogni luogo (1 Tm 2,8). Il Signore certamente vuole dare la
perseveranza, e la vita eterna. Ma dice S. Nilo, non vuol concederla se non a
chi perseverantemente gliela domanda (De orat., c. XXXII). Molti
peccatori con l’aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio, ed a ricevere
il perdono; ma poi perché lasciano di cercare la perseveranza, tornano a cadere
e perdono tutto.
Né basta, dice il Bellarmino,
chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte; dobbiamo cercarla
sempre, in ogni giorno sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca in
un giorno, per quel giorno l’otterrà; ma se non la cerca nel domani, domani
cadrà.
E ciò è quel che
vuole darci ad intendere il Signore nella parabola di quell’amico, che non
volle dare i pani a colui che glieli domandava, se non dopo molte ed importune
richieste, dicendo: Quando anche non si levasse a darglieli per la
ragione, che quegli è suo amico, si leverà almeno a motivo della sua
importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Ora se un
tale amico, dice S. Agostino, solo per liberarsi dell’importunità di lui, gli
darebbe anche contro sua voglia i pani che chiede; quanto più Dio, ch’essendo
bontà infinita ha tanto desiderio di comunicarci i suoi beni, ci donerà le sue
grazie, quando gliene cerchiamo? (Serm. 61). Tanto più che Egli stesso
ci esorta a chiederle, e gli dispiace se non le domandiamo. Ben vuole dunque il
Signore concederci la salute e tutte le grazie per quella, ma vuole che noi non
lasciamo di continuamente domandargliele sino all’importunità. Dice Cornelio a
Lapide sul citato Evangelo: Dio vuole che perseveriamo nell’orazione sino a
renderci importuni. Gli uomini della terra non possono sopportare gli
importuni, ma Dio non solo ci sopporta, ma ci desidera importuni in cercargli
le grazie, e specialmente la santa perseveranza. Dice S. Gregorio, che Dio
vuole che gli si faccia violenza con le preghiere, poiché una tal violenza non
già lo sdegna, ma lo placa (In Ps. 6, Poenit.).
Sicché per ottenere
la perseveranza, bisogna che ci raccomandiamo sempre a Dio, la mattina, la
sera, nella Meditazione, nella Messa e nella Comunione. E specialmente in tempo
di tentazione, con dire, e replicare: Signore, aiutami, tienimi le mani sopra,
non mi abbandonare, abbi pietà di me. Vi è cosa più facile di questa, che dire:
Signore, aiutami, assistimi? Sulle parole del Salmista: Meco avrò
l’orazione a Dio, che è mia vita (Sal 41,8), dice la Glossa: Taluno
dirà: non posso digiunare. fare elemosina. Ove gli si dica, prega; non può
similmente rispondere; perché non v’è cosa più facile che il pregare. Ma
bisogna che non lasciamo mai di pregare, bisogna che continuamente facciamo,
per così dire, forza a Dio, affinché ci soccorra, ma forza che gli è cara e
gradita. Questa violenza è grata a Dio (Apol. c. 29), scrisse
Tertulliano. E S. Girolamo disse, che le nostre preghiere, quanto sono più
perseveranti ed importune tanto più sono accette a Dio (Hom. in Matth.).
Beato
quell’uomo, dice Dio, che mi ascolta, e
vigila continuamente alle porte della mia misericordia (Pro 7,34). Ed
Isaia dice: Beati coloro che sino alla fine aspettano pregando, la loro salute
dal Signore (Is 30, 18). Perciò nel Vangelo ci esorta Gesù Cristo a
pregare, ma in qual modo? Chiedete, e vi sarà dato: cercate, e
troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Lc 11,9). Bastava aver
detto chiedete: che serviva aggiungere quel cercate, e
picchiate? Ma no, che non fu superfluo l’aggiungerli; con ciò ha
voluto il Redentore insinuarci, che noi dobbiamo fare, come fanno i poveri che
vanno mendicando: questi se non ricevono l’elemosina che chiedono e sono
licenziati, non lasciano di domandarla, e di tornarla a chiedere, e se più non
comparisse il padrone della casa, si mettono a bussare le porte, sino a
rendersi molto importuni e molesti. Ciò vuole Dio che facciamo ancor noi: che
preghiamo, e torniamo a pregare, e non lasciamo mai di pregare che ci assista,
che ci soccorra, che ci dia luce, ci dia forza, e non permetta che mai abbiamo
a perdere la sua grazia.
Dice il dotto Lessio
che non può esser scusato da colpa grave chi non prega stando in peccato, o in
pericolo di morte; o pure chi per notabile tempo trascura di pregare, cioè
(come dice) per uno o due mesi. Ma ciò s’intende fuori del tempo di tentazioni;
poiché chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione egli senza dubbio
pecca, gravemente, se non ricorre per resistere a quella, vedendo che
altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere.
Ma dirà taluno:
giacché il Signore può e vuole darmi la santa perseveranza, perché non me la
concede tutta in una volta, quando gliela domando? Sono molte le ragioni che ne
assegnano i santi Padri. Iddio non la concede in una volta, e la differisce:
primieramente per meglio provare la nostra confidenza; inoltre, dice S.
Agostino, acciocché maggiormente noi la sospiriamo. Scrive il Santo che i doni
grandi richiedono gran desiderio giacché i beni presto ricevuti non si tengono
poi in quel pregio, che si tengono quelli che per lungo tempo sono stati
desiderati (Serm. 61). Inoltre lo fa, acciocché noi non ci scordiamo di
Lui: se noi stessimo sicuri già della perseveranza e della nostra salute, e non
avessimo continuo bisogno dell’aiuto di Dio, per conservarci nella sua grazia e
salvarci, facilmente ci scorderemmo di Dio. Il bisogno fa che i poveri
frequentino le case dei ricchi. Onde il Signore per tirarci a sé, come dice S.
Giovanni Crisostomo, per vederci spesso ai piedi suoi, affinché possa così
maggiormente beneficarci, a questo fine si trattiene di darci la grazia compita
della salute sino al tempo della nostra morte (Hom. XXX in Gen.).
Inoltre lo fa, secondo lo stesso Crisostomo, affinché noi col proseguire nella
preghiera ci stringiamo maggiormente a Lui con dolci legami d’amore (In Ps. 4).
Quel continuo nostro ricorrere a Dio con le preghiere, e quell’aspettare con
confidenza da Lui le grazie che desideriamo, oh, che grande incentivo e vincolo
d’amore egli è, per infiammarci e legarci più strettamente con Dio!
Ma sino a quando si
ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo, sino che riceviamo la
sentenza favorevole della salute eterna, vale a dire sino alla morte: Non
cessare (di pregare), finché non ottieni (Hom. XXIV in
Matth.). E soggiunge che colui il quale dice: Io non lascerò di pregare
fintanto che non mi salvo, quegli certamente si salverà. Se dirai: se non
otterrò, non cesserò (dal pregare), certamente otterrai. Scrive l’Apostolo, che
molti corrono al pallio, ma quell’uomo solamente lo riceve, che giunge a
prenderlo: Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono
veramente tutti, ma uno solo riporta la palma? Correte in guisa da far vostro
il premio (1 Cr 9,24). Non basta dunque il pregare per salvarci,
bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio
promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a pregarlo sino alla
fine.
Conclusione: che non
dobbiamo mai cessare di pregare
Sicché se vogliamo
salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre gli occhi rivolti
al Signore, per implorare il suo soccorso, e non restare vinto dai suoi
nemici: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore: perché egli
trarrà dai lacci i miei piedi (Sal 24,15). Siccome il demonio, non
lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo quel che scrive san
Pietro (1 Pt 5,8), così dobbiamo noi continuamente star con le armi alla
mano, per difenderci da un tal nemico, e dire col Profeta regale: Io non
lascerò mai di combattere, sino a tanto che non vedrò sconfitti i miei
avversari (Sal 17,37). Ma come potremo noi ottenere questa
vittoria, così per noi importante e così difficile? Solo con le preghiere, ci
risponde sant’Agostino, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando? Sino
che durerà il combattimento. Siccome di continuo dobbiamo combattere, così,
dice S. Bonaventura, di continuo dobbiamo chiedere a Dio l’aiuto per non essere
vinti (De uno conf. Serm. 5). Guai, dice il Savio, a chi in questa
battaglia lascia di pregare! (Ecli 2,16). Noi ci salveremo, ci avvisa
l’Apostolo, ma con questa condizione: se saremo costanti a pregare sempre con
confidenza sino alla morte (Eb 3,6).
Diciamo dunque con lo
stesso Apostolo, animati dalla misericordia di Dio, e dalle sue promesse: chi
avrà da dividerci dall’amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo
di perdere i beni di questa terra? le persecuzioni dei demoni o degli uomini? i
tormenti dei tiranni? (Rm 8,35). No, egli diceva, niuna tribolazione,
niuna angustia, pericolo, persecuzione o tormento potrà mai separarci
dall’amore di Cristo: perché vinceremo tutto col divino aiuto, e combattendo
per amore di quel Signore che ha data la vita per noi (Rm 8,37).
Il P. Ippolito
Denazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la prelatura di Roma, e di
darsi tutto a Dio, con l’entrare nella Compagnia di Gesù, temendo della sua
infedeltà per causa della debolezza, diceva a Dio: Signore, or che mi
sono dato tutto a voi, per pietà non mi abbandonate. Ma sentì dirsi da Dio
nel suo cuore: Tu non mi abbandonare. Più presto, gli diceva Iddio,
io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il servo di Dio, confidato
nella divina bontà e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque, mio Dio, voi non
lascerete me, ed io non lascerò voi.
Se vogliamo in
conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo sempre a
non abbandonarci. Facendo così certamente egli sempre ci assisterà, e non
permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo amore. Ed a questo fine
non solamente procuriamo di chiedere sempre la perseveranza finale, e le grazie
necessarie per ottenerla, ma cerchiamo nello stesso tempo la grazia di seguire
a pregare. Questo fu appunto quel gran dono che egli promise ai suoi eletti per
bocca del Profeta: E spanderò sopra la casa di Davide, sopra
Gerusalemme lo spirito di grazia e di orazione (Zc 12,10). Oh che
grazia grande è lo spirito delle preci, cioè la grazia che Dio concede ad
un’anima di sempre pregare! Non lasciamo adunque di chiedere sempre a Dio
questa grazia, e questo spirito di preghiera, perché se pregheremo sempre,
otterremo certamente dal Signore la perseveranza, ed ogni altro dono che
desideriamo, poiché non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega.
Con questa speranza di sempre pregare, possiamo tenerci per salvi (Rm 8,24). Questa
speranza, diceva il Venerabile Beda, ci darà l’entrata sicura nella
Città del Paradiso (In Solemn. omn. Ss. Hom. 2).
Dal
Regolamento di
vita d’un cristiano
e
La vera sposa
dì Cristo
di sant’Alfonso
Sarà molto bene che i
genitori, maestri e maestre facciano imparare a memoria questi Atti ai figlioli
e alle figliole, acciocché li facciano poi in tutta la vita.
In alzarsi la mattina
faccia il segno della croce, e poi dica:
Mio Dio, vi adoro e
v’amo con tutto il mio cuore.
Vi ringrazio di tutti
i benefici, e specialmente di avermi conservato in questa notte.
Vi offro quanto farò
e patirò in questo giorno, in unione delle azioni e patimenti di Gesù e di
Maria, con intenzioni di acquistare tutte le indulgenze che posso.
Propongo di fuggire
ogni peccato, e specialmente il tale... (è bene si faccia il proposito
particolare su quel difetto, dove si suole più spesso cadere), e vi
prego per l’amore di Gesù a darmi la perseveranza. Propongo, particolarmente
nelle cose contrarie di uniformarmi alla vostra santa volontà, con dir sempre:
Signore, sia fatto quel che volete voi.
Gesù, mio tenetemi la
vostra santa mano sul capo. Maria SS., custoditemi voi sotto il vostro manto. E
voi, Eterno Padre, aiutatemi per amore di Gesù e di Maria. Angelo mio Custode,
Santi miei avvocati, assistetemi.
Un Pater,
Ave e Credo, con tre Ave alla purità
di Maria.
Andando a
mensa: Dio mio,
benedite questo cibo e me, acciocché io non vi commetta difetto, e tutto sia a
gloria vostra.
Dopo il pranzo: Vi
ringrazio, Signore, di aver fatto bene a chi vi è stato nemico.
Quando suona
l’ora: Gesù mio, vi amo; non permettete che io vi
offenda, né ch’io mai m’abbia a separare da voi.
Nelle cose
avverse: Signore, così avete voluto voi; così voglio.
In tempo di
tentazioni replichi spesso: Gesù e Maria.
Quando conosce o
dubita di qualche difetto o peccato commesso dica subito: Dio
mio, me ne pento, per aver offeso voi, bontà infinita; non voglio farlo più.E
se è stato peccato grave subito se ne confessi.
Prima di porvi a
riposare, fate l’esame della coscienza in questo modo:
1. ringraziare
primieramente Dio di tutti i benefici ricevuti;
2, indi dare
un’occhiata a tutte le azioni fatte e alle parole dette nella giornata,
pentendovi di tutti i difetti commessi;
3 poi fate gli atti
cristiani: di fede, di speranza, di carità, dì dolore. E terminate il tutto con
il dire il Rosario e le Litanie della SS. Vergine.
Per sentire con
devozione la Messa bisogna intendere che il Sacrificio dell’altare è lo stesso
che si fece un giorno sul Calvario, con questa differenza che ivi si sparse
realmente il Sangue di Gesù Cristo, e qui si sparge solo misticamente. Se voi
vi foste trovato allora sul Calvario, con qual devozione e tenerezza avreste
assistito a quel grande Sacrificio! Ravvivate dunque la fede e pensate che la
stessa azione di allora si fa sull’altare, e che tal sacrificio non solo si
offre dal sacerdote, ma da tutti gli assistenti: sicché in certo modo tutti
fanno l’ufficio di sacerdoti nel dirsi la Messa, nella quale si applicano a noi
in particolare i meriti della Passione del Salvatore.
Inoltre bisogna
sapere che per quattro fini è stato istituito il Sacrificio
della Messa:
1. per onorare Dio;
2. per soddisfare ai
nostri peccati;
3. per ringraziarlo
dei benefici;
4. per ottenere le
grazie.
E’ bene dunque
dividere la Messa in quattro parti.
l. Dal principio sino
alla fine del Vangelo.
Offrite quel
Sacrificio a Dio per onorarlo, dicendo così:
Mio Dio, adoro la
vostra maestà infinita; vorrei onorarvi come voi meritate; ma quale onore posso
darvi io, misero peccatore? vi offro l’onore che vi rende Gesù su questo
altare.
2. Dal Vangelo sino
all’Elevazione.
Offrite il Sacrificio
in soddisfazione dei vostri peccati, dicendo: Signore, io detesto e mi pento
sopra ogni male di tutti i disgusti che vi ho dati. In soddisfazione di essi
offro il vostro Figlio che di nuovo si sacrifica per noi su quest’altare; e per
i meriti suoi vi prego a perdonarmi e a darmi la santa perseveranza.
3. Dall’Elevazione
sino alla Comunione.
Offrite Gesù
all’Eterno Padre in ringraziamento di tutte le grazie che v’ha fatte, dicendo:
Signore, io non ho
come ringraziarvi; vi offro il Sangue di Gesù Cristo in questa Messa e in tutte
le Messe che attualmente si celebrano sulla terra.
4. Dalla Comunione
sino alla fine.
Domanderete con
confidenza le grazie che vi bisognano, e specialmente il dolore dei peccati, la
perseveranza e l’amor divino; e raccomanderete a Dio specialmente i vostri
parenti, i peccatori e le anime del purgatorio.
Io già non riprovo
che nella Messa diciate anche le vostre orazioni vocali; ma nello stesso tempo
vorrei che non lasciate di rendere a Dio i mentovati quattro debiti, di onore,
di soddisfazione, di ringraziamento e di preghiera. E vi prego di sentir quante
Messe potete. Ogni Messa, intesa nel modo che vi ho presentato, vi frutterà un
tesoro di meriti.
Prima di confessarsi
il penitente domandi lume a Dio, acciocché gli faccia conoscere i peccati
commessi, e gli dia grazia di averne un vero dolore e proposito di emendarsi. E
in modo particolare si raccomandi a Maria Addolorata, affinché gli impetri tal
dolore. Indi farà i seguenti atti:
O Dio d’infinita maestà,
ecco ai piedi vostri il traditore che vi ha tornato ad offendere, ma ora
umiliato vi cerca il perdono. Signore, non mi discacciate. Voi non
disprezzerete un cuore che s’umilia. Vi ringrazio che mi avete aspettato sino a
questo punto e non mi avete fatto morire in peccato, mandandomi all’inferno
come io meritavo. Spero, Dio mio, mentre mi avete aspettato, che per i meriti
di Gesù Cristo mi perdoniate in questa confessione tutte le offese che vi ho
fatte, delle quali, perché mi ho meritato l’inferno e perduto il Paradiso, me
ne pento e mi addoloro. Ma sopra tutto, non tanto per l’inferno meritato,
quanto perché ho offeso voi, bontà infinita, me ne dispiace con tutta l’anima
mia. Io vi amo, o Sommo bene; e perché vi amo, mi dolgo di tutte le ingiurie che
vi ho fatte. Io vi ho voltate le spalle, vi ho perduto il rispetto, disprezzata
la vostra grazia, la vostra amicizia; insomma, Signore, volontariamente, vi ho
perduto. Perdonatemi, per amor di Gesù Cristo, tutti i peccati miei mentre io
me ne pento con tutto il cuore, li odio, li detesto e li abbomino sopra ogni
male. E mi pento non solo dei peccati mortali, ma anche de’ veniali, perché
ancora questi sono stati di vostro disgusto. Propongo per l’avvenire con la
grazia vostra, di non offendervi più volontariamente. Sì, mio Dio, prima
morire, che mai più peccare!
Se si è confessato di
qualche peccato in cui è recidivo è bene che faccia proposito particolare di
non cadervi più, con promettere di fuggire l’occasione e di pigliare i mezzi
dati dal confessore, o che egli da se stesso giudica più efficaci per
emendarsi.
Caro mio Gesù, quanto
sono obbligato! Per i meriti del vostro sangue spero oggi di essere già
perdonato: Ve ne ringrazio sommamente. Spero di venire in cielo a lodare per
sempre le vostre misericordie. Dio mio, se finora tante volte vi ho perduto, io
non vi voglio perdere più. Dio, oggi avanti voglio cambiare vita veramente. Voi
meritate tutto il mio amore; io vi voglio amare davvero; non voglio vedermi più
separato da voi. Io già vi ho promesso, ora vi torno a promettere di voler
prima morire che offendervi. Vi prometto ancora di fuggirne l’occasione e di
prendere il tal mezzo (determinate quale) per non più cadere.
Ma, Gesù mio, voi sapete la mia debolezza; datemi la grazia d’esservi fedele
sino alla morte e di ricorrere a voi quando sarò tentato.
Maria SS., aiutatemi;
voi siete la Madre della perseveranza, in voi stanno le speranze mie.
Non vi è mezzo più
efficace per liberarsi dai peccati, per avanzarsi nel divino amore che la S.
Comunione. Ma perché dunque alcune anime con tante Comunioni si trovano sempre
con la stessa tiepidezza, con gli stessi difetti? Ciò avviene per la poca
disposizione e poco apparecchio che vi portano. Due cose per questo apparecchio
sono necessarie. La prima è togliere dal cuore quegli affetti che sono di
impedimento all’amor divino. La seconda è avere un gran desiderio di amare
Iddio. E questa, dice S. Francesco di Sales, ha da essere la principale intenzione
nel comunicarsi, di crescere cioè nel divino amore. Solo per amore, dice il
Santo, deve riceversi un Dio che per solo amore a noi si dona. Perciò si
facciano i seguenti atti.
Amato mio Gesù, vero
figlio di Dio, che per me un giorno moriste in croce in un mare di dolori e di
disprezzi, io fermamente credo che state nel SS. Sacramento e per questa fede
sono pronto a dar la vita.
Caro mio Redentore,
io spero nella vostra bontà e nei meriti del vostro sangue, che venendo a me questa
mattina mi accendiate tutto del vostro santo amore e mi doniate tutte quelle
grazie che mi bisognano per essere ubbidiente e fedele sino alla morte.
Ah! mio Dio, vero e
unico amante dell’anima mia; che più potevate voi fare per obbligarmi ad
amarvi? Non vi è bastato, amor mio, di morire per me; avete voluto di più
istituire il SS. Sacramento e farvi cibo mio per donarvi tutto a me, e così
stringervi ed unirvi tutto con una creatura così ingrata come sono io. E voi
stesso mi invitate a ricevervi e tanto desiderate che io vi riceva.
O amore immenso! - un
Dio darsi tutto a me! - O Dio mio, o amabile infinito, degno d’amore infinito,
io vi amo sopra ogni cosa, vi amo con tutto il cuore, vi amo più di me stesso,
più della vita mia; vi amo perché ve lo meritate, e vi amo ancora per
compiacervi, giacché tanto desiderate l’amor mio. Uscite dall’anima mia,
affetti terreni; solo a voi, Gesù mio, mio tesoro, mio tutto, vi voglio dare
tutto il mio amore. Voi in questa mattina vi date tutto a me; io mi do a voi. Accettatemi
ad amarvi, mentre io non voglio altro che voi. Vi amo, o mio Redentore, ed
unisco il mio misero amore all’amore che vi portano gli Angeli ed i Santi e che
vi porta Maria vostra Madre e il vostro Eterno Padre. O potessi io farvi amare
quanto voi meritate! Ecco, o Gesù mio, che già mi accosto a cibarmi delle
vostre sacrosante carni. Ah Dio mio, e chi sono io? e chi siete voi? Voi siete
un Signore d’infinita bontà ed io sono un verme schifoso, lordo di tanti
peccati, che tante volte vi ho discacciato dall’anima mia. Signore, io non sono
degno neppure di stare alla vostra presenza. Ma voi per vostra bontà mi
chiamate a ricevervi; ecco già vengo, umiliato e confuso per tanti disgusti che
vi ho dati, ma tutto confidato nella vostra pietà e nell’amore che mi portate.
Quanto mi dispiace, o amabile mio Redentore, d’avervi tanto oltraggiato per il
passato! Voi siete giunto a dar la vita per me, ed io tante volte ho
disprezzato la vostra grazia e il vostro amore e vi ho cambiato per niente. Mi
pento e mi dispiace con tutto il cuore più d’ogni male, ogni offesa che vi ho
fatto, grave o leggera, perché è stata offesa di voi, bontà infinita. Io spero
che mi avete già perdonato; ma se non mi avete perdonato ancora, perdonatemi,
Gesù mio, prima che vi riceva. Deh, ricevetemi presto nella vostra grazia,
giacché volete venire tra breve ad alloggiare dentro di me.
Venite dunque, Gesù
mio, venite nell’anima mia che vi desidera, unico ed infinito mio bene, mia
vita, mio amore, mio tutto; io vorrei ricevervi questa mattina con quell’amore
con cui vi hanno ricevuto le anime più innamorate di voi, e con quel fervore
con cui vi riceveva la vostra SS. Madre.
O Vergine beata e
madre mia Maria, datemi voi il vostro Figlio, dalle vostre mani intendo di
riceverlo. Ditegli che io sono il vostro servo, che così egli con più amore mi
stringerà al suo cuore ora che viene a me.
Il tempo dopo la
Comunione è tempo prezioso da guadagnare tesori di grazie, poiché gli atti e le
preghiere allora, stando l’anima unita con Gesù Cristo, hanno altro merito e
valore che fatti in altro tempo. Scrive S. Teresa che il Signore sta allora
nell’anima come in trono di misericordia e le dice: Figlia, cercami quel che
vuoi: a questo fine io sono venuto in te per farti bene. Oh, quali favori
speciali ricevono quelli che si trattengono a parlare con Gesù Cristo, dopo la
Comunione! Il P. Giovanni d’Avila dopo la Comunione non lasciava mai di
trattenersi due ore in orazione. E S. Luigi Gonzaga se ne stava tre giorni a
ringraziare Gesù Cristo. Faccia dunque la persona i seguenti atti e procuri in
tutto il resto del giorno di seguire con affetti e preghiere di mantenersi
unita con Gesù che la mattina ha ricevuto.
Ecco, Gesù mio, già
siete venuto! Ora state dentro di me e già siete fatto tutto mio. Siate il
benvenuto, amato mio Redentore! lo vi adoro e mi butto ai piedi vostri, ed
ancora vi abbraccio, vi stringo al mio cuore e vi ringrazio d’esservi degnato
di entrare nel petto mio. O Maria, o Santi avvocati, o Angelo mio custode ringraziatelo
voi per me. Giacché dunque, o divino mio Re, siete venuto a visitarmi con tanto
amore, io vi dono la mia volontà, la mia libertà e tutto me stesso. Voi tutto a
me vi siete donato; io tutto a voi mi dono. Io non voglio più esser mio; da
oggi innanzi voglio esser vostro e tutto vostro. Tutta vostra voglio che sia
l’anima mia, il corpo mio, le mie potenze, i sensi miei, acciocché tutti
s’impieghino in servirvi e darvi gusto. A voi consacro tutti i miei pensieri, i
miei desideri, gli affetti miei, tutta la mia vita. Basta Gesù mio, quanto vi
ho offeso; la vita che mi resta, io voglio spenderla tutta in amare voi che mi
avete tanto amato.
Accettate, o Dio
dell’anima, il sacrificio che vi fa questo misero peccatore che altro non
desidera che amarvi e compiacervi. Fate voi in me e disponete di me e di tutte
le cose mie come vi piace. Distrugga in me il vostro amore tutti gli affetti
che a voi non piacciono, acciocché io sia tutto vostro, e viva solo per darvi
gusto.
Io non vi cerco beni
di terra, non piaceri, non onori; datemi, vi prego, per i meriti della vostra
Passione, o Gesù mio, un continuo dolore dei miei peccati; datemi la vostra
luce, che mi faccia conoscere la vanità de’ beni mondani e il merito che voi
avete d’essere amato. Distaccatemi dagli attacchi alla terra e legatemi tutto
al vostro santo amore, affinché la mia volontà altro non voglia se non quello
che volete voi. Datemi pazienza e rassegnazione nelle infermità, nella povertà
e in tutte le cose contrarie al mio amor proprio. Datemi mansuetudine verso chi
mi disprezza. Datemi una santa morte. Datemi il vostro santo amore. E sopra
tutto vi prego di donarmi la perseveranza nella grazia vostra fino alla morte.
O Eterno Padre, Gesù vostro figlio mi ha promesso che voi mi darete tutto ciò
che vi domando in suo nome. In nome dunque e per i meriti di questo Figlio vi
domando il vostro amore e la santa perseveranza, acciocché un giorno venga ad
amarvi con tutte le vostre misericordie, sicuro di non avere più a separarmi da
voi.
O Maria Santissima,
Madre e speranza mia, impetratemi voi quelle grazie che desidero; ed ottenetemi
voi stessa che io vi ami assai, Regina mia, e sempre mi raccomandi a voi in
tutti i miei bisogni.
Viva Gesù nostro Amore e Maria nostra
Speranza.
Nessun commento:
Posta un commento