FIORETTI DI DON
BOSCO
GLI ANNI DEL FOCOLARE
Giuanìn testa rotta
Giovannino Bosco (per la mamma e per tutti solo e sempre
Giuanìn) fin da bambino andava matto per i divertimenti. Fra tutti però
preferiva il gioco della lippa, che consisteva nel ricacciare con un'asta di
legno una specie di cilindro, anch'esso di legno, gettato da un compagno.
Accadeva spesso, ahimè! che la lippa, lanciata da un inesperto,
lo colpisse in pieno volto o in testa e allora tutto malconcio e sanguinante
correva dalla mamma a farsi medicare.
Mamma Margherita lo rimproverava:
- Perché vai sempre con quei compagni? Non vedi che sono
cattivi e ti fanno del male?
- Appunto perché sono cattivi vado con loro. Se ci sono io,
stanno più buoni e non dicono parolacce.
- E intanto, vieni a casa con la testa rotta! - È stata una
disgrazia...
- Sta bene... ma non andare più in loro compagnia. -
Mamma!...
- Mi hai inteso?
- Se è per farvi piacere, non ci andrò più; ma pensate che, se
mi trovo in mezzo a loro, fanno come voglio io, e si astengono dalle risse e
dalle parole cattive.
La mamma era alquanto perplessa, ma, temendo di impedire un
bene, dopo un po' di esitazione lo lasciava andare.
Giovanníno, presago fin d'allora della sua missione fra i
ragazzi, correva, con la testa fasciata, al gioco interrotto, atteso ed
acclamato da tutti per la sua ingenua allegria e per i suoi tratti spiritosi, e
gridava ai compagni in tono di scherzo:
- Mi raccomando la testa! ... almeno la testa!
« Volete accarezzarmi le spalle! »
Giovannino è orfano dall'età di due anni. Margherita, la mamma,
è donna dolce, ma energica e forte. Deve fare da madre e da padre. In un angolo
della cucina c'è un bastoncino flessibile, la « verga ». I ragazzi sanno a cosa
serve. Margherita non l'usò mai, ma non la tolse mai dal suo posto.
Un giorno Giovannino, per la fretta di correre alla « lippa »,
dimenticò di chiuder la porta della gabbia dei conigli, dopo avergli dato da
mangiare. A sera fu una fatica nera ripescare tutte le bestiole disperse nei
prati. Appena Giovannino rientra in casa si sente chiamare: - Giovannino,
portami la « verga ».
- Perché? Cosa ne volete fare? - chiede peritoso. - Portamela e
vedrai!
Giovannino va nell'angolo, prende la verga e la porta alla
madre, con aria da martire.
- Voi volete accarezzarmi le spalle, lo so! - E perché no, se
mi fai di queste scappate? - Mamma, non lo farò più, mai più!
Giovannino abbraccia la mamma e la verga ritorna al suo
posto.
« Perdono, mamma! »
Giovannino e il fratello Giuseppe tornano dal campo, ove si
miete. L'afa spacca le pietre e i ragazzi hanno una sete da svenire. Mamma
Margherita trae dal pozzo una secchia d'acqua fresca e porge la mestola prima a
Giuseppe, che è il più grande.
Giovannino fa il muso. È offeso per quella preferenza. Si
volta di scatto, pesta un piede e rifiuta di bere. Senza dir una parola mamma
Margherita ritira la mestola e ripone il secchio. Passano minuti gravidi di
tensione. Poi:
- Mamma, date anche a me da bere? - Credevo che tu non avessi
sete. - Perdono, mamma!
- Così va bene! - e Margherita porge anche a lui la mestola
gocciolante.
Così cresce Giovannino. Piccoletto, bruno, sano come un corno,
la risata squillante, la vitalità inesauribile.
Diplomazia di un ragazzo
Un giorno, nel gioco, la « lippa » si rompe. Giovannino e
Giuseppe ne tengono una di ricambio sull'armadio di cucina ove sono anche
riposte le olle, le bottiglie e i fiaschi di vino. Corre in casa, sale su una
sedia e cerca la lippa, ma nella fretta urta nella olla che cade a terra e si
spezza, versando tutto l'olio sul pavimento. Confuso, si dà da fare per spazzar
via tutto. Ma come farà a tener la cosa nascosta alla mamma? L'olio è così
caro!
Pensa e ripensa, va incontro alla madre che è andata al
mercato. D'un tratto la vede da lontano. Svelto, taglia un bel ramo da una
siepe, lo pota ben bene e corre verso la mamma.
- Come state, Mamma? Avete fatto buon viaggio? - Sì,
Giovannino, e tu sei stato buono? – Mamma Margherita intuisce la manovra del
piccolo mariuolo. - Oh, sentite, mamma, volevo dire... Prendete! - e le porge la
verga.
- Eh, tu me ne hai fatta qualcuna delle tue!
- Sì, mamma, questa volta l'ho fatta grossa e merito il
castigo.
- Che ti è successo?
- Ho rotto il vaso dell'olio - e narrò il fatto.
- Giovannino, mi dispiace per l'olio, ma sono contenta che non
dici bugie a tua madre. Un'altra volta sta' più attento, perché, lo sai, l'olio
è caro!
La mamma sorride e Giovannino l'abbraccia.
Disavventura di un cacciatore di nidi
Giovannino è abilissimo nell'arrampicarsi sugli alberi. Pare
uno scoiattolo. Un giorno scala una grossa quercia per prendere una nidiata di
uccellini.
In un batter d'occhio è alla cima; ma la nidiata si trova
all'estremità di un lungo ramo, che facilmente cede sotto i suoi piedi, e si
piega.
Giovanni non si perde d'animo. Adagio adagio raggiunge il nido
e, ad uno ad uno, si pone in seno gli uccellini.
Fin qui, la cosa è andata liscia; ma il guaio consisteva nel
ritornare verso il tronco! Difatti ecco che, ad un tratto, gli scivola un piede,
ed egli rimane sospeso per le mani.
La posizione è critica assai. Giovannino lo intuisce e, dopo
disperati tentativi per rimettersi sul tronco che sempre più cede, si lascia
andare, molleggiandosi con precauzione e s'industria di cader ritto, sulla punta
dei piedi e rimbalzando in avanti.
L'acrobazia riuscì a meraviglia; ma restò intontito dallo
stramazzone preso da ricordarsene per un bel pezzo.
Gli spiriti folletti
Giovannino è coraggioso ed intrepido. Trovandosi una volta in
casa dei nonni materni, sentì parlare di spiriti e dire che in quella casa
s'udivano dei rumori più o meno duraturi, ma sempre strani e spaventosi.
Una sera, nel più bello della veglia, si sente sul soffitto un
colpo, come di un cesto pieno di bocce; poi, un rumore sordo e lento, che va da
un angolo all'altro della stanza.
Tutti tremano.
- Che sarà mai?!
- Gli spiriti, gli spiriti!
Tutti fuggono; Giovannino solo grida: - Voglio andar a vedere
che cosa c'è. Prendete il lume.
Alcuni si fermano, prendono dei lumi e lo accompagnano per la
scaletta di legno che mette al soffitto. Giovanni spinge la porta, entra e,
alzando la lucerna, guarda attorno.
Non c'è nessuno; tutto è silenzio.
I presenti si affacciano anche loro; alcuni anzi entrano; ma
tosto dànno un grido e si precipitano fuori.
Un cesto da grano capovolto ondeggiava, si muoveva e avanzava
lentamente.
Alle grida il cesto si era fermato; ma poi riprese a muoversi e
venne ai piedi di Giovannino. Attento! È un cesto stregato!
Deposto il lume su una vecchia scranna, Giovannino si curva,
stende le mani e lo tira a sé.
- Lascia!... Lascia!... - gli gridano in coro; ma egli non dà
retta e coraggiosamente lo solleva.
Là sotto c'era una grossa gallina che la padrona aveva messo in
soffitta a covare e aveva dimenticata.
Siccome nel cesto appeso al muro erano impigliati dei granelli
di frumento, la gallina, affamata, aveva cercato di beccarli; ma il cesto,
rovesciandosi, l'aveva fatta prigioniera.
I discorsi che si facevano di spiriti, di magie e di streghe, e
specialmente la paura, avevano fatto credere che si trattasse di cose orribili e
diaboliche.
Piccolo giocoliere
Andando ai mercati e alle fiere con sua madre, Giovanni aveva
spesso osservato che la gente faceva mucchio intorno agli acrobati e ai
prestigiatori.
Ciò parve subito all'intelligente fanciullo un mezzo facile e
potente per guadagnare l'attenzione altrui. lncominciò pertanto a prestare la
massima attenzione alle loro prodezze; tanto da sorprenderne ogni gesto,
scoprirne i trucchi ed apprenderne la destrezza.
Tornato a casa si esercitava a ripetere quei giochi che aveva
veduti, finché non fosse riuscito a farli perfettamente.
È facile immaginare le scosse, gli urti, i capitomboli a cui
andava soggetto quando, per esempio, voleva imitare i ciarlatani a ballare sulla
corda, a fare salti mortali, a camminare con le mani per terra e i piedi in
alto; ma con la sua costanza e con la sua agilità, ben presto ci riuscì e
divenne abilissimo in ogni sorta di giochi.
Quando fu ben addestrato, cominciò a dare simili spettacoli,
specialmente alla domenica.
Attaccava una fune ad una pianta, la raccomandava per bene ad
un altro albero a una certa distanza; poi preparava un tavolino, vi collocava
sopra una sedia, e stendeva un tappeto per terra.
Quando ogni cosa era pronta e la gente radunata alla gran
novità, egli faceva recitare il Rosario, cantare una lode e poi saliva sulla
sedia e ripeteva la predica udita la mattina alla Messa, adornandola di
fatterelli istruttivi.
Se qualcuno faceva smorfie o brontolava, Giovanni, ritto sulla
sedia, come un re sul trono, lo zittiva severamente.
Poi dava inizio allo spettacolo. Fare la rondinella, il salto
mortale, camminare sulle mani coi piedi in alto, mangiare gli scudi e andarli a
ripigliare sul naso altrui, moltiplicare le pallottole e le uova, cambiare
l'acqua in vino, uccidere un pollo e farlo volar via erano le cose più
ordinarie.
Sulla corda camminava come per un sentiero; vi saltava e
danzava; vi si appendeva ora con un piede, ora con tutti e due, talora con ambe
le mani, talora con uria sola, e poi di nuovo si slanciava sopra, con una
agilità sorprendente, accompagnando ogni cosa con motti, sortite e amenità
piacevolissime.
Tutti ammiravano estatici, ridevano, gli battevano le mani, gli
gridavano evviva!...
Ed egli, trafelato e ansante, sospendeva alquanto, occupando
gli intermezzi col canto di qualche lode e con la morale di qualche favola.
Uno solo faceva lo gnorri; ed era il fratellastro Antonio, il
quale lo scherniva dicendo:
- Pagliaccio! Farai il ciarlatano per tutta la vita.
Piccole industrie
Ma per allestire quanto occorreva per siffatti divertimenti
occorrevano spese. Giovanni, che era intelligente e sveglio, si aggiustava.
Era bravissimo ad uccellare con la trappola, con la gabbia, col
vischio, col laccio. Praticissimo di nidiate, faceva buona raccolta di uccelli
di ogni specie, che sapeva vendere assai bene.
Fabbricava cappelli di paglia, canestri e cestelli che portava
al mercato.
Anche i funghi e le erbe aromatiche erano per lui fonte di
guadagno e perfino le serpi che portava in farmacia.
Aveva imparato a filare stoppa, cotone, lino, fiorone di
bozzoli da seta. Riusciva anche a fare calze e maglie sui ferri, e da tutto
traeva profitto.
La mamma, che osservava ogni cosa, lo lasciava fare, perché
intuiva lo scopo nobile del suo Giovannino, il quale fin da quell'età faceva
presagire di sé grandi cose.
Sfida per la prima volta un ciarlatano
Una domenica sera, in una cappella di un'altra borgata, vi
doveva essere la predica. La chiesa era ormai piena di gente, quando,
all'improvviso, si ode un suono di tromba: era quella di un ciarlatano.
Non fu possibile trattenere i ragazzi e i giovanotti, che si
precipitarono fuori; e le ragazze gli tennero dietro. Così fecero a poco a poco
gli uomini; e in chiesa non restarono che poche donnette.
Giovanni esce anche lui sulla piazzetta, si mette in prima
fila, e sfida il ciarlatano a dar saggi di destrezza. Questi guardò il piccolo
con aria di scherno; ma siccome tutti gridavano, accettò la sfida, e propose il
gioco della bacchetta magica. Tratta difatti una bacchetta, invitò il ragazzo a
provarvisi.
Giovanni, prese la bacchetta, vi infilò il suo cappello;
quindi, appoggiata l'altra estremità sulla palma della mano, la fece saltare
sulla punta del dito mignolo, dell'anulare, del medio, dell'indice, del
pollice, quindi sulle nocche della stessa mano, sul gomito, sulla spalla, sul
mento, sulle labbra, sul naso, sulla fronte; indi, rifacendo lo stesso cammino,
la bacchetta gli ritornò sulla palma della mano, e la presentò al ciarlatano
perché facesse altrettanto.
La gente, che mirava estatica, scoppiò in applausi e tutti
presero a gridare:
- A voi... a voi!
- Non temo di perdere - esclamò il ciarlatano. Ed afferrata la
bacchetta con sdegno, la fece camminare quasi con ugual destrezza fin sulle
labbra, ma qui, avendo il naso alquanto lungo, la bacchetta inciampò, perdette
l'equilibrio e scivolò a terra. Le risate divennero omeriche; le grida, le
urla, gli schiamazzi toccarono le stelle, e il poveretto, raccolte in fretta le
sue carabattole, si eclissò sdegnato.
Allora Giovanni, rivolto alla gente, gridò in tono
perentorio:
- E ora in chiesa alla predica! Neppure uno mancò.
Addio, piccolo merlo
Avendo un giorno preso un merlo, lo allevò con cura e lo
addestrò al canto, zufolandogli all'orecchio note e ariette, di modo che, dopo
un po' di tempo, quell'uccello era diventato il suo divertimento e la sua
delizia.
Ma... « Ogni cosa quaggiù passa e non dura! ».
Un brutto giorno, ritornando da scuola, trovò la gabbia vuota.
Un gatto l'aveva sfondata e il merlo era sparito. Rimaneva un ciuffo di piume
insanguinate. Giovanni si mise a piangere. Sua madre cercò di calmarlo,
dicendogli che di merli nei nidi ne avrebbe trovati ancora. Ma Giovanni
continuò a singhiozzare. Non gli importava niente degli altri merli. Era «
quello lì », il suo piccolo amico, che era stato ucciso, che non avrebbe mai più
visto.
Rimase triste alcuni giorni, e nessuno riusciva a farlo
ritornare allegro. « Finalmente - racconta il Lemoyne - si fermò a riflettere
sulla nullità delle cose mondane, e pigliò una risoluzione superiore all'età
sua: propose di non attaccare mai più il cuore a cosa terrena ».
Pane nero e buon cuore
Giovanni Bosco aveva per compagno di pascolo un certo Secondo
Matta, servitorello di una fattoria vicina. Questi di solito riceveva per la
colazione un pezzo di pane nero mentre Giovanni riceveva dalla mamma una bella
fetta di pane bianco.
Spesso Giovannino diceva a Secondo: - Mi fai un piacere?
- Volentieri. - Facciamo cambio del pane?
- Perché?
- Il tuo dev'essere più gustoso del mio, o almeno, mi piace di
più.
Matta, nella sua semplicità, pensando che Bosco trovasse il
suo pane realmente più gustoso, accettava subito. Così continuò per tre
primavere consecutive, quantunque il pane nero e duro di Matta non fosse
davvero una ghiottoneria. Solo quando fu adulto Secondo Matta si rese conto
della bontà di Giovannino Bosco.
L'anima dei divertimenti
Giovannino si rivela l'anima dei divertimenti. Il suo è un vero
complesso di leader. Sarà così anche in seguito. Il gioco sarà sempre per lui un
mezzo per conquistarsi il cuore dei ragazzi, a fine di bene.
Con la sua fine osservazione e perspicacia aveva imparato
molti giochi: carte, tarocchi, pallottole, stampelle, salti, corse; era celebre
in tutti, e dava spesso pubblici e privati spettacoli. E questo recava
meraviglia, perché in quei tempi tali giochi erano poco conosciuti.
Tutto ciò, senza parlare dei giochi di prestigio, di corse,
salti, ginnastiche, nelle quali cose era addirittura insuperabile.
Egli aveva fatto suo il detto: Laetare et bene facere...
Lasciar cantar le passere!
Ogni volta che vedeva crocchi di compagni amici o conoscenti e
poteva temere che uscissero in qualche discorso poco onesto, bellamente vi si
introduceva e cominciava a distrarli con parole cortesi, poi intraprendeva
qualche gioco gustoso.
Ora li sfidava a prendere un soldo da terra col dito mignolo e
coll'indice della stessa mano; ora a far arco della persona, rivoltandosi
totalmente indietro così da toccare il suolo col capo; ora a congiungere bene i
piedi ed a chinarsi a baciare la terra senza toccarla con le mani. Altre volte
li sfidava a prendere con la bocca un pomo galleggiante in un mastello ripieno
di acqua, o una moneta nascosta in un recipiente pieno di farina, oppure a
correre e saltare coi piedi legati insieme da una funicella.
Altre volte prendeva a declamare versi, parlare in latino e in
greco, improvvisava sermoni, dialoghi, commedie.
Così occupati, più nessuno pensava a discorsi pericolosi; e
partivano sempre con qualche salutare pensiero; nei quali Bosco era maestro
perfetto.
Sempre ridere e scherzare, ma senza mai peccare!
LO STILLICIDIO DELL'ADOLESCENZA
Ragazzo di stalla alla cascina Moglia
Quando mamma Margherita ventilò la proposta di far continuare
gli studi a Giovannino che aveva già 12 anni, esplose l'ostilità del fratello
Antonio.
- Lui vuole diventare prete? Ma i soldi chi li dà? Giovannino
si mise a studiare da solo la grammatica. Antonio non lo può soffrire, gli
strappa il libro di mano. - Adesso basta. Voglio farla finita con questa
grammatica. Io sono venuto su grande e grosso senza masticare sui libri.
- Anche il nostro asino non mastica libri ed è più grande di te
- risponde risentito Giovannino. Antonio si avventò sul fratello. Giovannino fu
pestato, nonostante le lacrime di mamma Margherita, la quale meditò a lungo
quella notte sulla situazione domestica. Così non poteva continuare. Da donna
energica, prese una decisione dolorosa.
Il mattino dopo disse tristemente a Giovannino: - È meglio che
tu vada via di casa. Tuo fratello non ti può soffrire. Vai a mio nome nelle
cascine qui intorno, se qualcuno ti può prendere come « servente » per un anno.
Poi si vedrà!
Giovannino con il suo fagottello sulla spalla uscì di casa e si
accasò presso i fratelli Moglia di Castelnuovo. Faceva il ragazzo di stalla.
Un giorno il giovane padrone Luigi Moglia condusse seco il
piccolo garzone perché l'aiutasse a piantar le nuove viti. Giovanni legava con
vimini, vicino a terra, le nuove viti ai rispettivi pali. A un certo punto,
stanco del faticoso ed incomodo lavoro, esclamò:
- Oh, che male di schiena!
- Avanti, avanti, - rispose il padrone. - Se non vuoi aver male
di schiena quando sarai vecchio, bisogna che ti avvezzi adesso che sei
giovane.
Giovanni continuò il lavoro e poco dopo, guardandolo con aria
sorridente, soggiunse:
- Ebbene, queste viti che ora lego, faranno l'uva più bella,
daranno il vino migliore e dureranno più delle altre.
- Va' là, boc! (che vuol dire minchione) - rispose il Moglia. -
Fosse vero!
E fu proprio vero. Quel filare produsse ogni anno il doppio
degli altri, che con l'andar del tempo perirono e più volte furono rinnovati,
mentre le viti del « filare di don Bosco » prosperarono con ammirazione di tutti
dal 1828 al 1890, cioè per oltre 60 anni.
Quando, dopo tanti anni, i nipoti dei Moglia si recavano
all'Oratorio in Torino, portavano al santo di quell'uva, ricordando il prodigio
continuo.
Un altro giorno il vecchio Giuseppe, zio di Luigi Moglia,
padrone della fattoria, arriva dalla campagna tutto sudato e con la zappa in
spalla. È mezzodì e sulla torre di Moncucco scocca il suono delle ore. Il
vecchio si siede a tirare il fiato e vede Giovannino in ginocchio sul fieno che
recita l'Angelus, come mamma Margherita gli ha insegnato.
- Ma bravo! Noi padroni ci logoriamo la vita sulla zappa - gli
dice in tono semiserio - e il garzone se la prende calma e se ne sta a pregare
in pace.
- Quando c'è da lavorare, barba Giuseppe, sapete che non mi
tiro indietro - ribatte pronto Giovannino -; ma mia madre mi ha insegnato che,
quando si prega, da due grani nascono quattro spighe. Se invece non si prega, da
quattro chicchi nascono due spighe sole. Sarà meglio che preghiate un po' anche
voi.
- Salute! - conclude il vecchio -. Adesso abbiamo anche il
prete in casa.
Nella bella stagione il garzone porta le mucche al pascolo e
mentre gli animali brucano l'erba intorno, Giovannino, all'ombra di un albero,
perde la testa sui suoi libri.
- Perché leggi tanto? - gli chiede Luigi Moglia. - Voglio
diventare prete.
- E dove li prendi i soldi che ci vogliono, oggi, per
studiare?
- Se Dio vuole, qualcuno ci penserà.
C'è in casa una bambinetta, Anna, che vedendo Giovannino
intento a leggere, invece di badare ai suoi giochi, si indispettisce: - Piantala
di leggere, Giovanni.
- Ma io diventerò prete e dovrò predicare e confessare.
- Sì, prete! - lo canzona la bimba; - un vaccaro tu
diventerai!
- No. Tu adesso mi prendi in giro, ma un giorno verrai a
confessarti da me. - E così fu.
La predica ben pagata
Nel novembre del 1829 ci fu una « missione » predicata a
Buttigliera d'Asti e v'accorreva anche la gente dei paesi d'intorno. Giovanni
Bosco vi andò assiduamente, tutto felice di poter ripetere la sera la predica a
mamma Margherita.
Una sera, tornando a casa, si trovò a camminare vicino a un
vecchio prete reduce anche lui dalla missione. - Ragazzo, - gli dice il vecchio
prete, con aria bonaria - ti do quattro soldi se mi sai dire quattro parole
della predica di oggi.
Giovanni attacca e recita l'intera predica, come se leggesse un
libro.
- Ohi, là, là! Bene! Che scuola hai fatto?
- Ho imparato a leggere e a scrivere. Mi piacerebbe studiare
ancora ma mio fratello più grande non ne vuole sapere.
- E perché vorresti studiare? - Per farmi prete.
- Ebbene, vieni a stare con me.
Il prete è don Giovanni Melchiorre Calosso, settant'anni, in
pensione, che fa il cappellano a Morialdo. Margherita fu lieta di sistemare
Gíovannino presso il vecchio prete che gli avrebbe fatto scuola. Giovannino è
alle stelle. Trovava di colpo quel che gli mancava: confidenza paterna, senso
di sicurezza, fiducia. Passò così un anno in un batter d'occhio.
Orfano un'altra volta
Racconta Giovanni: « Nessuno può immaginare la mia contentezza.
Amavo don Calosso come un padre. Quell'uomo di Dio mi portava tanto affetto che
mi disse più volte: - Non darti pena per l'avvenire, Giovannino. Finché vivrò
non ti lascerò mancare niente. E se muoio provvederò a te ugualmente ».
Un disastro fece crollare tutte le speranze.
Un mattino di novembre 1830 Giovanni era a casa da mamma
Margherita per farsi cambiare la biancheria, quando arriva una brutta notizia:
don Calosso è stato colto da infarto. Il ragazzo vola a Morialdo e trova don
Calosso morente che, non potendo più parlare, gli indica la chiave di un
cassetto, facendo segno di non consegnarla a nessuno. Per lui la morte del buon
prete fu uno schianto.
Vennero i nipoti di don Calosso, per i funerali. Giovanni,
scrupoloso e sincero come sempre, consegnò loro la chiave. Erano gente onesta
che capiva la situazione e gli dissero:
- Pare che lo zio volesse lasciare a te questo denaro... (Nel
cassetto c'erano seimila lire). Tu prendi pure quello che vuoi!
- Non voglio niente! - si sentì gridare Giovanni, con il pianto
in gola.
Non era il denaro che gli premeva. Era affranto per la sua
situazione. A 15 anni si ritrovava solo, senza maestro, senza padre, senza
mezzi, senza una prospettiva per il futuro. « Piangevo inconsolabile »
scrive.
Se riesco a farmi prete
Dio è grande. Con l'aiuto di barba (zio) Michele, Giovanni si
iscrive all'unica scuola di grammatica (oggi diremmo scuola media) che è aperta
a Castelnuovo, il capoluogo di comune.
Qui vede spesso molti preti e li osserva se, per caso, ne trova
qualcuno che somigli a don Calosso.
Ma sono diversi. Egli li saluta con deferenza e si aspetta un
sorriso, una buona parola. Niente.
A quei tempi si credeva che la gravità sostenuta fosse il vero
contegno delle persone di chiesa; e quindi restituivano appena il saluto
passando, senza curarsi di lui, che spesse volte se ne lamentava con la madre: -
Che cosa costerebbe loro una buona parola, un buon suggerimento? Oh quanto bene
farebbe alla mia anima!... Gesù non faceva così! Io, vedete, se riuscirò a farmi
prete, voglio consacrare tutta la mia vita ai ragazzi. Non mi vedranno mai
troppo serio; sarò sempre il primo a parlare e a tenerli allegri.
« Li farò giocare, li farò cantare, E con l'allegria tutti li
vorrò salvare! ».
E pareva che già pregustasse la sua futura nobilissima
missione.
A scuola, ma con i buoni
Nell'ambiente scolastico ci si ritrova tutti: buoni e cattivi.
I ragazzi impegnati di solito sono disciplinati e silenziosi. Gli scapestrati
sono spavaldi e fanno chiasso. Giovanni fu adescato da questi: - Vieni con noi,
facciamo sega (mariniamo la scuola), andiamo in giro a dar fastidio alle
ragazze...
- Lasciatemi perdere. Non ho denari da spendere. - Come! non
hai denari?!... Ah, mio caro, è tempo di svegliarsi! bisogna imparare a vivere
al mondo! Suvvia, cercati i soldi, prendine dove ce n'è, e godrai anche tu come
noi.
A tali suggerimenti, Giovanni rispondeva: - Come!... Voi dunque
vorreste che io imparassi a rubare?! Ma non sapete che chi ruba fa peccato, e
che i ladri e i giocatori fanno trista fine?! Se voi fate questo mestiere
andrete a finir male. Via da me, ché non sarò mai vostro amico!
Tanto bastò perché da quel giorno i pochi cattivi lo
lasciassero tranquillo, mentre i buoni si assiepavano attorno a lui.
Uno scolaro assai dotato
Giovanni aveva passione per lo studio, buona capacità di
apprendere, memoria prodigiosa. Ma il suo maestro s'era ficcato in testa che
Bosco, essendo della frazione dei Becchi e figlio di contadini, non poteva che
essere scarso di mente. La sua stessa età (16 anni ormai) lo dimostrava.
Un giorno c'era compito in classe. Bosco, che era in prima
grammatica, chiese al maestro che gli lasciasse svolgere il compito assegnato a
quelli di terza grammatica.
L'insegnate si offese: - Come?! E come pretendi, tu che sei dei
Becchi... Piuttosto, dimmi un po', ti pare che questo sia pane per i tuoi
denti?
Bosco educatamente insistette di poter fare l'uno e l'altro
compito.
- Fa' pure come ti piace! Ma non penserai che io legga le
bestialità che metterai in carta!
Il compito di terza era un passo di un autore classico assai
scabroso. Bosco si raccolse, lavorò di lena e in breve tempo consegnò la sua
traduzione.
L'insegnante prese il foglio e lo gettò sul tavolo, senza
guardarlo.
- La prego, professore, legga e mi dica gli errori che ho
fatto.
- Legga, legga, professore! Anche noi vogliamo sentire i suoi
spropositi! - fece coro la classe. L'insegnante lesse: era una traduzione
insolitamente fluida e corretta. Ma egli, deponendo il foglio, disse, in tono di
scherno: - Io lo pensavo. Bosco ha copiato tutto da capo a fondo.
- E da chi avrei copiato, professore? - obiettò serenamente
Giovanni, indicando i compagni intenti ai loro elaborati ancora
incompiuti.
L'albero della cuccagna è una provvidenza
Nelle vacanze, a Montafia, paese vicino a Castelnuovo, c'era
la sagra con le consuete attrazioni e giochi, tra i quali l'albero della
cuccagna, un abete ben liscio e insaponato, in cima al quale svettava una bella
corona di premi, tra i quali una borsa con venti belle lire.
- Mi farebbero comodo - pensò Giovanni.
Una folla stragrande assisteva allo spettacolo. I giovani del
paese, l'uno dopo l'altro, si avvicinavano e tentavano la scalata.
Uno giungeva a un terzo, l'altro a metà; ma poi, non potendone
più, scivolavano a terra.
Le grida della gente, che ora incoraggiava ora fischiava,
andavano alle stelle.
Giovanni che, intanto, osservava attentamente, notò che tutti i
contendenti davano la scalata con rapidità, e la continuavano senza prendere
fiato per cui, arrivati a un certo punto, si sentivano venir meno e trascinare a
terra dal proprio peso.
Venuto il suo turno, si presentò risoluto in mezzo allo spazio,
e prese ad arrampicarsi con calma, incrociando di quando in quando le gambe per
annodarle all'albero e sedersi sulle calcagna a riposare.
Gli spettatori che non intendevano il perché di quella manovra
si aspettavano di vedere anche lui, da un momento all'altro, ripiombare a
terra.
Ma Giovanni saliva, saliva; e allorché fu vicino alla cima che
dondolava perché molto sottile, si fece un silenzio generale, che poi scoppiò
in frenetico applauso quando, aggrappatosi al cerchio, egli prese ad intascare
gli oggetti di premio.
Giunto a terra, sgattaiolò fra la gente e corse giubilante a
casa.
Saggio di capacità
Dalla scuola di Castelnuovo, passò al Ginnasio di Chieri. Qui
gli toccò un professore molto severo, il quale, al vedersi dinanzi un allievo
alto e grosso come lui, scherzando disse in piena scuola: - Costui o è una
grossa talpa, o un gran talento. La scolaresca rise, e Bosco, sorridendo anche
lui, rispose: - Qualche cosa di mezzo!... Ho però buona volontà.
Erano passati appena due mesi, e un giorno Bosco aveva
dimenticato a casa il libro di testo.
Il professore, dopo avere spiegato e fatto i commenti,
accortosi che Bosco non teneva il libro dinanzi, lo chiamò a leggere il testo
latino che aveva spiegato.
Bosco non si scompose. Preso in mano un libro qualunque,
ripeté a memoria il testo, la costruzione, e tutti i commenti fatti dal
professore.
Appena finito, i compagni diedero in un battimani generale. Il
professore, andando sulle furie, volle sapere il perché di quel disordine.
Allora, presero a dire: - Bosco ha in mano un altro libro, e legge e spiega come
se avesse il testo.
Il professore volle accertarsi. Prese in mano il libro che
Bosco teneva, lo fece ancora proseguire per alcuni periodi, e passando dallo
sdegno all'ammirazione, gli disse: - Siete un prodigio di memoria; procurate di
servirvene in bene!
Prodigio di memoria
Nel leggere tutte queste cose di S. Giovanni Bosco studente,
qualcuno potrà pensare che trascurasse lo studio. Tutt'altro. Essendo stato
abituato fin da bambino a dormire assai poco, impiegava due terzi della notte
sui libri, e talvolta accadeva che l'ora della levata lo trovava ancora coi
libri in mano.
Messosi d'accordo con un libraio, si era associato alla lettura
dei classici latini ed italiani, e li leggeva non per solo divertimento, ma per
penetrarne il giusto senso e la bellezza. Li studiava, e riteneva non solo i
punti più salienti, ma spesso l'intero testo.
Non faceva distinzione fra leggere e studiare e con facilità
poteva ripetere il contenuto di qualsiasi libro di italiano, latino o greco,
letto o udito leggere.
Un giorno, un compagno col quale si preparava ad un esame, gli
disse: - Bosco, vuoi che scommettiamo chi impara per primo questa pagina?
- Proviamo pure.
Lettala appena, il compagno la recitò alla lettera. - E adesso
a te - soggiunse.
Bosco la ripeté tale quale, e poi continuò: - E ora sapresti
dirla dalla fine al principio? - Che stranezza! - esclamò il compagno.
- Ebbene, io te la dico. - E prese a recitarla dall'ultima
parola alla prima.
Altre doti sorprendenti e... più che naturali
Nella vita di don Bosco i « sogni » costituiscono un capitolo a
sé da studiare attentamente. Per ora tradiscono una capacità prodigiosa di «
preveggenza » che riesce molto utile al nostro Amico.
Eccone un saggio.
Una notte, sognò che il professore aveva dettato il compito in
classe, e che egli stava eseguendolo. Svegliatosi, balzò di letto e scrisse
quel compito che era un testo latino; poi prese a tradurlo con tutta
comodità.
Al mattino il professore detta davvero il compito, e
precisamente quello sognato da Giovanni. Questi, senza aiuto di vocabolario, e
in brevissimo tempo, consegnò il foglio con meraviglia di tutti. Ma la
meraviglia crebbe d'assai quando, interrogato dal professore, confessò
ingenuamente di aver sognato quel compito nella notte. Altra volta capitò la
stessa cosa.
Bosco aveva consegnato in pochi minuti il compito, eseguito a
perfezione. Il professore, grandemente ammirato, comandò che gli portasse la
brutta copia. Giovanni obbedì.
Il professore aveva preparato quel compito la sera precedente,
ma vedendo che era troppo lungo ne aveva dettato solo la metà. Ora, con suo
grande stupore, lo trovava tutto intero nel quaderno del ragazzo.
Quale arcano si nascondeva là sotto?! Che Bosco fosse
penetrato di notte nella camera del professore a copiarlo, era impossibile.
Dunque?!
Bosco candidamente confessò: « Ho sognato ». Cioè, aveva
sognato il dettato e la traduzione, e li aveva scritti interi sul quaderno,
mentre sul foglio da consegnare si era limitato a scriverne quanto aveva dettato
il professore.
Muscoli di ferro
A proposito della vigoria fisica di don Bosco l'autore di
queste pagine può attestare quanto segue. Nel dicembre 1884, recatosi don Bosco
a S. Benigno per la seconda vestizione clericale dei suoi novizi, passò con loro
tutta la giornata, raccontando amenità della sua gioventù. Ad un certo punto,
uno dei chierichetti che il santo teneva per mano, si fece a dirgli: - Don
Bosco, lei, quand'era giovane, vinceva nelle corse i saltimbanchi, ed ora può
appena trascinarsi! Peccato che le gambe non servano più!
- Veramente, le gambe non mi vogliono più servire, ma le mani
mi servono ancora, - rispose sempre sorridente il santo. E prese a stringere
così fortemente le mani di quanti le avevano fra le sue, che tutti, con grandi
stenti, poterono liberarsi, meno il poveretto di cui sopra che fu costretto a
chiedere pietà.
Tergendosi allora i sudori, e stropicciandosi le dita livide,
esclamò: - Davvero che le servono le mani! Ha dei muscoli di ferro... Io ho
provato!
ANNI VERDI E SERENI
La veste nera e il seminario
A diciannove anni Giovanni Bosco deve decidere il suo
avvenire.
Ha ancora voglia di farsi prete?
Anzi, pensa addirittura di farsi francescano. Inoltra regolare
domanda e viene accettato. Ma non è questa la volontà di Dio.
La madre, Margherita Bosco, gli fa questo discorsetto: -
Sentimi bene, Giovanni. Io voglio che tu ci pensi bene e con calma. Quando avrai
deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più
importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io
ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io
ti dico: in queste cose tua madre non c'entra. Dio è prima di tutto. Da te io
non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta
povera e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio dire subito: se ti facessi
prete e per disgrazia diventassi ricco, non metterò mai piede in casa tua.
Ricordalo bene.
Il suo amico, Luigi Comollo intanto ha deciso di entrare nel
Seminario di Chíeri. Bosco è ancora perplesso. L'amico Evasio Colli gli dice: -
Vai a Torino a consigliarti con don Cafasso. È il più bravo prete che io
conosca.
Bosco va a Torino e cerca di don Giuseppe Cafasso, un pretino
di 23 anni, che lo ascolta con calma e attenzione. Questi alla fine taglia
netto e gli dice: - Entrate in seminario. Per il denaro non ci pensate. Qualcuno
provvederà.
Il 25 ottobre di quell'anno (1834) Giovanni Bosco, nella chiesa
di Castelnuovo, prima della messa grande, riceve dal parroco « la veste da prete
». La talare nera è stata cucita da mamma Margherita, di notte. Bosco la riceve
tutto commosso alle solenni parole del rito.
« Mio Dio, che io cominci davvero una vita nuova! ». Il 30
ottobre successivo entra in seminario. Il colpo di timone alla sua vita ormai
l'ha dato per sempre.
Novello Sansone
Quand'era nel Ginnasio a Chieri un giorno, durante l'ingresso
nella scuola, alcuni discepoli si diedero a molestare Luigi Comollo, che era il
più intimo amico di Bosco, e che era anche il più virtuoso della
scolaresca.
Bosco ne prese la difesa; ma essi, indispettiti, passarono
alle busse con pugni e calci al povero Comollo. A quella vista, Bosco perde il
controllo di se stesso, e abbrancato uno di quei mascalzoni per le spalle,
novello Sansone, se ne serve come di un manganello, e sbatacchia per diritto e
per rovescio quegli scalmanati.
In quella, entra il professore che, vedendo braccia e gambe
rotear per l'aria, montò sulle furie, e volle sapere il perché di quella
scenata.
Bosco, per nulla turbato, disse la pura verità, ed il
professore apostrofò quei cattivi soggetti dicendo: - Vi meritereste un castigo
assai più grave, ma per questa volta vi basti quello ricevuto da Bosco. Attenti
però a non più molestar nessuno, specialmente chi è più saggio e più virtuoso di
voi.
Suonatore di violino
A Chieri, dal capo cantore del Duomo, aveva anche imparato a
suonare il violino, e con questo accompagnava le funzioni.
Invitato da un suo zio di 102 anni ad intervenire ad una festa
in una frazione di Buttigliera d'Asti per aiutare a cantare ed anche a suonare
il violino, vi si prestò; e ogni cosa andò benissimo fin dopo il pranzo fatto in
casa di quello stesso zio, che era il priore della festa.
Finito di desinare, i commensali, fra cui anche il Parroco, lo
invitarono a suonare qualche cosa a mo' di sollievo; ed egli, per compiacere
specialmente il vecchio zio che più di tutti insisteva, non seppe rifiutarsi, e
suonò per un buon tratto applauditissimo.
Quand'ecco ode un bisbigliare e un calpestio nel sottostante
cortile. Si fa alla finestra che era aperta, e vede una frotta di ragazzi e
ragazze che danzava al suono del suo violino.
Non si può esprimere lo sdegno da cui fu invaso in quel momento
il chierico Bosco.
- Come! - gridò ai commensali, - io che tanto protesto contro
il ballo, ne sono diventato il promotore?! Ciò non sarà mai più!...
E gettato a terra il violino, vi saltò sopra coi piedi, lo fece
in mille pezzi, e non ne volle più sapere di suonarlo per l'avvenire.
Più forte di un cavallo
Nelle vacanze pasquali del 1835 (Bosco aveva 20 anni) andò a
trovare un suo amico a Pinerolo, un certo Annibale Strambio, che fu poi uomo di
Stato, Console a Marsiglia e grande amico dei Salesiani.
In quei giorni, Bosco e l'amico stabilirono di fare una
passeggiata a Fenestrelle.
Si incamminarono con un calesse trainato da un cavallo. La
cosa andò bene sulle prime, ma a un certo punto si levò un vento così furioso,
che respingeva il cavallo e toglieva ogni forza. Anzi, sollevava un turbinio di
sabbia e pietruzze che sbatteva nei loro volti e negli occhi del povero
animale.
L'aria si faceva buia; la bestia ansante urtava qua e là
sbuffando, e non voleva più proseguire, mentre il vento impetuosissimo
minacciava di precipitarli fra i dirupi. A buon punto però scorsero poco
distante, accanto alla strada, un incavo nel monte che offriva sicuro rifugio;
ma come raggiungerlo? Il cavallo non voleva più saperne; le ruote erano
affondate, la strada deserta.
Bosco dice al compagno: - Annibale, prendi la bestia nel morso,
ed io andrò a spingere.
Così fecero, ma il cavallo, anziché avanzare,
indietreggiava.
- Ebbene, - ripigliò Bosco, - tu, Annibale, passa qua a
spingere, piglierò io il cavallo.
Passò innanzi, prese l'animale per la cavezza, e adoperando
tutta l'energia e la potenza dei suoi nervi, trascinò cavallo, calesse ed amico
sotto il provvidenziale rifugio.
Il numero con il cavallo
Nelle stesse vacanze andava a ripetizione presso il Parroco di
Castelnuovo, il quale gli diede l'incarico di tenergli pulito il cavallo.
Giovanni, ben lieto, ne aveva ogni cura, e nei giorni in cui il
Parroco non ne abbisognava, lo conduceva a passeggio, lo spingeva al galoppo e,
correndogli a fianco, gli saltava in groppa, e riusciva a stargli in piedi sul
dorso mentre il cavallo continuava la corsa.
Un bel giorno però gliene capitò brutta.
Mentre cavalcava allegramente, il cavallo si adombrò per uno
stormo di uccelli, sollevatisi all'improvviso da una siepe accanto alla via,
sbalzò di groppa il cavaliere, e si diede ad una corsa sfrenata per i
campi.
Coraggio alla prova
Don Bosco, studente di Teologia nel Seminario di Chieri, si era
fatto un amico buono e santo come lui, nella persona del chierico Luigi Comollo,
e con lui passava spesso i giorni delle vacanze.
Comollo si recò una volta ai Becchi, e la mamma, dopo i primi
convenevoli, disse ai due amici: - Vorrei farvi onore, ma, siccome debbo
attendere alla mietitura, vi lascio padroni di casa, con l'ordine di accopparvi
un pollo e mangiarvelo in santa allegria. - E se ne andò.
I due, dopo aver ragionato a lungo dei loro studi, e di molte
altre cose utili e buone, s'accorgono che punge l'appetito, e allora Bosco dice:
- Suvvia, è tempo, facciamo l'obbedienza della mamma.
- Ebbene - risponde Comollo - io accenderò il fuoco, e tu
metterai la pentola.
- Benissimo - continuò don Bosco - ma prima sarà meglio
acciuffare il pollo, che ci serva di brodo e di pietanza.
Il metter le mani addosso a un pollo non fu difficile cosa; il
più fu poi ucciderlo!... Né l'uno né l'altro si sentiva di farlo. Quindi
decisero di tirare la sorte, che toccò a Comollo.
Questi prese il pollo per la testa, lo roteò alquanto in giro
sopra il capo, e l'abbandonò alla ventura.
Il povero pollo andò a cadere stramazzoni in mezzo all'aia, ma
tosto si raddrizzò e, passato il momentaneo sbigottimento, prese allegramente a
cantare un delizioso chicchirichì, sbattendo le ali in segno di trionfo.
I due restarono con un palmo di naso; risero dell'amena
scenetta, e deliberarono di prenderne un secondo. Questa volta si provò il
Bosco. Lo agguantò per il collo e, dopo due tiratine coi fiocchi, lo scaraventò
per l'aia in modo che andò a cadere impigliato fra i rami di una pianta
addossata al muro di casa.
- Non la scappi più - gridano entrambi, e corrono a raccogliere
il morto. Avvicinano una scala alla pianta. Uno tiene e l'altro sale e allunga
la mano alla preda; ma ecco che il pollo, con uno strappo, si libera dalla
stretta e vola sul tetto.
La burla era bella, ma l'appetito pungeva; e allora? Decisero
di acchiapparne un terzo e di accopparlo addirittura col falcetto.
Eccoli all'opera. Comollo tiene il galletto per il collo sopra
un ceppo, e Bosco mena il colpo spietato.
La testa del povero galletto, spiccata dal busto, salta un
metro distante, ed essi, spaventati alla vista di quel collo sanguinante, si
dànno alla fuga piangendo.
- Sciocchi! - disse poco dopo Bosco. - Ce lo ha comandato la
mamma... dunque, coraggio!
Senza altra difficoltà raccolgono il pollo, lo spennano, lo
cuociono e pranzano in santa allegria.
Un'allegra scampagnata
Nelle vacanze del 1836, Bosco, cedendo ai ripetuti inviti
dell'amico Comollo, si era deciso a fare una scampagnata a Cinzano, paese
distante circa tre ore di viaggio da Castelnuovo, ove era Parroco lo zio di
Comollo; e vi si recò per l'ora del pranzo con tre dei suoi migliori amici.
Giunti con un appetito da cacciatori, si sentono dire dalla
persona di servizio, la signora Maddalena, che il Parroco non c'è perché,
insieme col nipote, era andato a Sciolze per una adunanza di sacerdoti.
- Torneranno presto?
- Certamente non prima di questa sera, ed io, capiranno, non
posso ricevere nessuno.
- E allora... - mormorarono tra loro i quattro amici. - Andare
a Sciolze a stomaco vuoto?... Chi se la sente? - Ritornare a Castelnuovo
digiuni?... Peggio che peggio!
- Dunque come si fa? - Bosco, facile a superare ogni ostacolo,
non si lascia abbattere per così poco. In un baleno, studia il piano e si
accinge all'attacco esclamando: - Oh, almeno ci fosse la signora Maddalena! So
che è come padrona, la mano destra del signor Prevosto, una vera benedizione per
questa casa. Vorrei almeno salutarla.
- Salutare chi? - risponde la serva.
- La signora Maddalena, e fare la sua conoscenza, giacché mi fu
parecchie volte decantata come persona a modo... gentilissima...
graziosissima.
A questi colpi di signora, ed a questi panegirici inattesi,
ella si sente cotta dalla gioia, e tutta raggiante dice: - La Maddalena sono io,
in persona; e lei chi è, che mi conosce così bene?
- Io sono Bosco dei Becchi, il compagno e l'amico del chierico
Comollo, nipote del signor Parroco.
- Il chierico Bosco!... Oh, l'ho sentito tante volte elogiare
dal signor Prevosto. Viene dunque da Castelnuovo?
- Precisamente, e questi sono tre miei amici, e anche amici di
Comollo, che ci ha ripetutamente invitati. Ma lei, dunque, è proprio la signora
Maddalena, la padrona di casa?
- Niente padrona; sono la povera serva; faccio quello che
posso nell'interesse di questa casa e del signor padrone, che da più di
trent'anni mi tiene in piena fiducia.
- Sappiamo tutto, sappiamo tutto, signora Maddalena; lo dice
sempre il signor Prevosto che, come la Maddalena, non ce n'è un'altra.
Economa... premurosa, attiva, che ha occhio a tutto, che arriva a tutto!
Maddalena, sotto questa pioggia di reiterati complimenti, è
cotta intieramente e, balbettando parole di scusa, soggiunge: - Oh, quanto mi
rincresce che il padrone non sia in casa!
- Rincresce anche a noi; ma pazienza! sarà per un'altra
volta.
- Un'altra volta?! Ma dove vogliono andare? - Andremo
all'osteria!
- Non sia mai detto! Passino, entrino, si accomodino; ci
aggiusteremo.
- Ma non c'è il Prevosto!...
- Se non c'è il Prevosto, ci sono io. Il Prevosto sarà ben
contento; avanti, avanti!
- Oh, quanto disturbo! - vanno esclamando uno dopo l'altro
entrando.
- Non vorremmo abusare della sua bontà!... - Lei ha tanto da
fare!...
- Non si diano pensiero, e lascino fare a me. S'accomodino, e
un boccone di pranzo sarà presto preparato. Va bene così?
- Va benissimo, ma!...
- Non c'è ma che tenga. Si troveranno contenti. Ho anche qui
(battendosi sul fianco) le chiavi della cantina. Ringiovanita di trent'anni, si
rimbocca le maniche, corre in cucina e ritorna, e va e viene, e apparecchia la
tavola, e racconta le sue gesta, e inneggia alla bontà del padrone e alla
santità del nipote.
In breve, il pranzo fu pronto, e che pranzo!...
Tutto andò a gonfie vele; tutto finì con gli evviva alla
cuoca.
Alla prima occasione, Bosco raccontò l'avventura al signor
Prevosto, che ne rise proprio di cuore.
Erano queste, fin d'allora, le sante astuzie di don Bosco, con
le quali otteneva indicibili effetti.
Un morto che parla
Giovanni Bosco e il suo intimo amico Luigi Comollo si erano
fatta reciproca promessa di pregare l'un per l'altro e con l'impegno che chi
fosse stato il primo a morire avrebbe recato notizia della propria salvezza al
compagno superstite, qualora Dio l'avesse permesso.
Il chierico Comollo mori in Seminario a Chieri, la notte del 2
aprile 1839, e nella notte della sepoltura, dal 3 al 4 aprile, mentre Bosco e
compagni dormivano, si ode un rumore cupo e prolungato, che dal fondo del
corridoio si avanza, facendosi sempre più tetro e spaventoso. I seminaristi si
svegliano, ma nessuno osa parlare. Il rumore si avanza sempre più; la porta del
dormitorio si spalanca; appare una luce che si fa sempre più viva in mezzo a
quel rumore di tuono, e s'accosta alla cella di Bosco.
Qui la luce diventa vivissima, cessa il fragore, e si ode
risuonare distinta la voce del chierico Comollo che dice per tre volte:
- Bosco... Bosco... Bosco... io sono salvo!
Il fragore riprende più rumoroso di prima, e si allontana. La
porta sbatte paurosamente; tutta la casa si scuote come di terremoto, e poi ogni
cosa tace.
I compagni di Bosco balzano dal letto e fuggono all'impazzata.
Bosco li chiama, li incoraggia, li calma, e racconta loro la vicendevole
promessa fatta col Comollo.
Predicatore improvvisato
In quelle stesse vacanze, fu invitato dal Parroco di Cinzano
Monferrato a prender parte come inserviente alla festa di S. Rocco.
Già si davano i segnali del vespro, ed il predicatore invitato
non compariva. Il povero Parroco ne era assai impensierito; e il chierico
Bosco, per toglierlo dall'impiccio, si rivolgeva or all'uno or all'altro dei
sacerdoti presenti, pregandoli con insistenza che facessero la predica.
- Ma come!... Volete dunque lasciar partire tanta gente senza
dire due parole?!
Uno di loro, seccato da quelle insistenze, rispose: - Ingenuo
che sei! Un discorso su S. Rocco lì su due piedi, non è come bere un bicchier
d'acqua. Fallo tu, se ti senti!
Bosco, alquanto ferito nel suo amor proprio, soggiunse: -
Ebbene, giacché ognuno si rifiuta, accetto. Cantati i vespri, egli salì sul
pulpito e fece un discorso che fu sempre detto il migliore di quanti se ne erano
uditi in quella circostanza.
Ciò si ripeté altre volte. La grazia della parola l'aveva
chiesta a Dio nella sua vestizione clericale; e gli fu abbondantemente
concessa.
Berretta nuova
Don Bosco, fin da giovanetto e da chierico, era d'una
squisitezza d'animo straordinaria.
In seminario a Chieri, vedendo che un suo compagno era messo in
burla perché portava una berretta di una forma alquanto strana, un bel giorno
gli si avvicinò e gli disse: - Giacomelli, mi lasci per un momento la tua
berretta?
- E perché no?... Prendila pure.
Egli la prese, e dopo qualche ora ritornò con una berretta
nuova fiammante, e gliela mise in capo dicendo: - Guarda un po' se ti va
bene.
- Mi va egregiamente!... E la mia?
- La tua la terrò per memoria, sei contento? - Contentissimo...
ma io!...
- Tu, con quella, sembravi un semplice cappellano; con questa,
sembri un parroco coi fiocchi!
« Camperete novant'anni! »
Nelle vacanze pasquali di quell'anno 1839, passando a far
visita al suo antico padrone Luigi Moglia, prima di allontanarsi, salì a
salutare la moglie di lui che era ammalata.
Sentendola lamentarsi ed esclamare che « la era finita per lei
», Giovanni sorridendo le disse: - Fatevi coraggio, padrona, e state di buon
umore. Voi non morrete, ma camperete fino ai 90 anni!
Difatti guarì, e pose tanta fiducia in quella promessa di
Giovanni Bosco, che quantunque colpita in seguito da malattie anche gravi, non
volle mai prendere medicine, perché diceva:
- Bosco mi ha assicurato che vivrò fino ai 90 anni; è inutile
quindi ogni rimedio.
Sopravvisse difatti a don Bosco medesimo, e moriva in età di
anni 91! Tutti la chiamavano « la vecchia di don Bosco ».
Qui c'è un mago!
Aveva creato tra i suoi compagni la « Società dell'allegria »,
e, come presidente, era solito dare saggi della sua abilità coi giochi di
prestigio.
Ora, siccome i più non sapevano darsi una spiegazione delle
meraviglie che operava, si venne a poco a poco, nella persuasione che egli fosse
un mago, e che operasse quei prodigi con l'intervento del diavolo.
Così la pensava anche un certo Cumino Tommaso, suo padrone di
casa.
Il giorno del suo onomastico, Cumino aveva preparato un pollo
in gelatina per i pensionati. Recato il piatto in tavola e scopertolo, con
meraviglia di tutti, ne saltò fuori un gallo, che svolazzando, si diede a
cantare allegramente.
Altra volta, dopo aver fatto bollire una pentola di maccheroni,
nell'atto di versarli nel piatto, trovò altrettanta crusca asciutta.
Spesso, dopo aver riempito le bottiglie di vino, versandone
nei bicchieri, vi trovava acqua limpida; altre volte invece, volendo bere
acqua, trovava il bicchiere pieno di vino.
Spesso ancora trovava le confetture convertite in fette di
pane; il denaro nella borsa convertito in pezzi di latta; il cappello cambiato
in una cuffia; noci e nocciole di un sacchetto in minuta ghiaia.
La gente esterrefatta si chiedeva: - Ma che sia un mago
costui?
O Dio o diavolo
A simili scherzi, che succedevano quasi ogni giorno, il buon
Cumino, suo padrone, andava pensando: « Costui o è un Dio o è un diavolo; ma un
Dio non può esserlo, quindi è un diavolo: io debbo denunziarlo ».
Pertanto, non osando parlarne con i suoi, pensò di consigliarsi
con un sacerdote vicino di casa sua. Andò a visitarlo, e quasi esterrefatto, gli
narrò una filastrocca di cose viste e non viste, dipinte con tale vivacità di
colori, che trasfuse la sua persuasione in quel buon sacerdote, il quale decise
di riferire la cosa all'Autorità Ecclesiastica.
Fu tosto incaricato un Canonico, che mandò a chiamare Bosco.
Questi si presentò mentre quel Canonico stava distribuendo l'elemosina a dei
poverelli. Fattolo entrare nel suo studio, prese a dirgli con tutta serietà: -
Caro Bosco, i superiori sono stati fin qui molto contenti del vostro studio e
della vostra condotta; ma ora si raccontano tante cose di voi! ... Si dice che
conoscete i pensieri degli altri, che indovinate i denari che altri tiene in
tasca, che fate vedere quello che è bianco nero, e quello che è nero bianco, che
conoscete le cose lontane, e simili. Insomma, fate parlare di voi, fate
sospettare che vi serviate della magia, e che nelle vostre opere vi sia
l'intervento del demonio. Ditemi dunque, in strettissima confidenza, in qual
modo fate queste cose. Delle vostre confidenze non me ne servirò che per farvi
del bene.
Bosco, senza scomporsi, gli chiese cinque minuti di tempo a
rispondere, e gli domandò l'ora.
Il canonico mise la mano in tasca, e non trovò più il suo
orologio.
- Se non ha l'orologio - soggiunse Bosco - mi dia una moneta da
quattro soldi.
Il canonico frugò in ogni tasca e non trovò più la sua
borsa.
- Oh, briccone! - prese allora a dirgli alzandosi incollerito.
- O voi servite il demonio, o il demonio serve voi! Voi mi avete rubato la borsa
e l'orologio! Non posso più tacere; sono obbligato a riferire al Vescovo, e non
so chi mi tenga dal darvi un sacco di legnate!
A queste invettive, Bosco, sorridente, rispose: - Stia
tranquillo, signor Canonico.
- Tranquillo un corno! Dove sono la mia borsa e il mio
orologio?
- Signor Canonico, si calmi: è tutta destrezza di mano.
- Bella destrezza di mano, rubare borse e orologi! - Le spiego
tutto in breve. Quando giunsi qui da lei, lei stava distribuendo l'elemosina a
dei poverelli, e lasciò la borsa su quell'inginocchiatoio. Andando poi
nell'altra camera, lasciò l'orologio su questo tavolo. Io ho preso e nascosto
l'una e l'altra sotto questo paralume.
Così dicendo, alzò il paralume, che stava sul tavolo, e
apparvero tutti e due gli oggetti.
Il buon canonico si fece dar saggi di altri giochi di
destrezza, fece un buon regalo a Bosco, e lo licenziò dicendogli: - Andate a
dire a tutti che l'ignoranza è maestra di ammirazione.
Una sfida memorabile
Nel 1832 - racconta don Bosco nei suoi quaderni di Memorie - i
Gesuiti tenevano tutte le feste nella loro chiesa di sant'Antonio uno stupendo
catechismo, in cui raccontavano esempi che ricordo ancora.
Bosco vi conduce regolarmente i suoi amici della « Società
dell'allegria ».
A guastar le feste, una domenica un saltimbanco viene proprio
a piantarsi davanti alla chiesa di sant'Antonio. Era un vero atleta. Correva e
saltava come una macchina. La gente correva a vederlo e addio catechismo!
Bosco aveva diciassette anni e si sentiva in grado di sfidarlo.
La « Società dell'allegria » fece le cose in regola. Fu inviata al giocoliere
regolare sfida: Studente contro atleta professionista. Stabiliti tempo, luogo,
regole del gioco e nominata una giurìa.
Il saltimbanco propose una corsa a piedi, percorrendo tutta la
città dall'una all'altra estremità, con la posta di venti lire.
Bosco non le possedeva, ma gli amici gli vennero in aiuto.
Bosco si tolse la giubba, si fece il segno della croce, e si iniziò la
corsa.
Il rivale all'inizio si avvantaggiò di una decina di metri; ma
Bosco riacquistò subito il terreno, e lo lasciò talmente indietro, che quegli
si fermò a metà strada, dandogli partita vinta.
Non contento, però, anzi avvilito per le risate della gente che
era accorsa numerosissima, sfidò Bosco al salto, raddoppiando la posta.
L'atleta scelse il punto contro il muricciolo che arginava una
larga gora (canale di acqua) e saltò per primo, ponendo il piede vicinissimo al
muro, di modo che più in là non si poteva andare. Dovette anzi attaccarsi ad un
alberello della ripa per non ricadere nel canale.
Tutti erano perplessi, e non sapevano che cosa avrebbe fatto
Bosco, giacché più oltre era impossibile spingersi.
Egli fece il medesimo salto, in modo però che, gettate le mani
sul muricciolo, slanciò il corpo al di là e vi rimase in piedi.
A questa inaspettata ed impensata acrobazia, gli applausi
furono generali, e il povero atleta, vedendosi sfumare tutto il suo patrimonio,
prese a gridare: - Piuttosto qualunque umiliazione, ma non quella di vedermi
vinto da un ragazzo!... Mi restano solo cento franchi, e li scommetto e
guadagnerà chi di noi due porterà i piedi più vicini alla cima di
quell'albero.
Era un grosso olmo che fiancheggiava il viale. Bosco,
incoraggiato dai compagni, accettò. L'atleta, abbracciatosi al tronco, salì per
primo, e, spinto dall'affanno e dal livore, in un attimo fu alla cima, e
tant'alto che il ramo minacciava di piegarsi e rompersi.
Tutti gli spettatori gli giudicano certa la vittoria, giacché
era impossibile salire più in alto. Bosco tenta la prova ugualmente. Sale e
sale, arrivando fin dove era arrivato l'avversario; poi, tenendosi con le mani
all'albero, si capovolge, ossia spinge in alto il corpo, e porta i piedi ad un
bel metro oltre l'altezza raggiunta dal suo contendente.
Chi può ridire le acclamazioni, i battimani, gli evviva al
vincitore e la rabbia dell'atleta sconfitto?
Bosco però ebbe compassione, e gli propose di restituirgli il
denaro guadagnato, a condizione che pagasse una merenda a lui e ai suoi amici.
Quegli accettò ben di cuore; ma da quel giorno il ciarlatano non si fece più
vedere a disturbare le funzioni.
Salvato dal fulmine
Sul finire di quell'anno scolastico, e proprio l'ultimo giorno,
nel quale si doveva partire per le vacanze, essendo il tempo piovoso, Bosco se
ne stava alla finestra del dormitorio guardando il cielo minaccioso, mentre i
compagni s'affaccendavano a fare i bauli.
Quand'ecco, all'improvviso, cade il fulmine sul parapetto
della finestra alla quale era affacciato Bosco. I mattoni divelti dal fulmine
lo colpiscono in pieno petto ed egli cade svenuto in mezzo alla camerata.
I compagni accorrono, lo portano sul letto, gli spruzzano
acqua in faccia, lo piangono morto; ma alla frescura di quell'acqua, Bosco
rinviene, apre gli occhi e balzando dal letto esclama: - A che tanta paura? La
Madonna mi ha salvato!
Una birbonata del diavolo
Poco prima dell'Ordinazione sacerdotale di don Bosco, mamma
Margherita era salita sopra un gelso a raccogliere la foglia per i bachi da
seta. D'un tratto si ruppe il grosso tronco sul quale poggiava, ed ella cadde,
battendo pesantemente al suolo.
Né bastò: il ramo spezzato le piombò sopra, cadendole sulla
fronte e lasciandole una impronta che portò finché visse.
Ma ella s'alzò prontamente e, come se nulla fosse accaduto,
corse a sfamare i bachi che attendevano. Saputasi poi la cosa, don Bosco le
andava ripetendo: - Vedete, madre mia, quant'è buona la Madonna!...
Il demonio ha attentato alla vita vostra per privarvi della
gioia di baciare la mano al vostro figlio prete, ma non ci è riuscito. Ha però
voluto lasciarvi il ricordo di questa sua birbonata.
IL VOLTO DI UN GIOVANE PRETE
Sacerdote per sempre
Il 5 giugno 1841, nella cappella dell'arcivescovado di Torino,
Giovanni Bosco è ordinato sacerdote dal suo arcivescovo, mons. Luigi Fransoni. È
diventato don Bosco, per sempre.
Ecco come egli narra nelle Memorie gli esordi del suo
sacerdozio.
« La mia prima Messa - scrive con semplicità - l'ho celebrata
nella chiesa di san Francesco d'Assisi, assistito da don Giuseppe Cafasso, mio
insigne benefattore e direttore. Mi aspettavano ansiosamente al mio paese (era
la festa della SS. Trinità), dove da molti anni non si era avuta una prima
Messa. Ma ho preferito celebrarla a Torino senza rumore, all'altare dell'Angelo
Custode. Quello posso chiamarlo il più bel giorno della mia vita. Nel momento in
cui si ricordano i defunti, ho ricordato i miei cari, i miei benefattori,
specialmente don Calosso, che ho sempre considerato grande ».
Il giovedì seguente, festa del Corpus Domini (allora festa di
precetto), don Bosco dice la Messa al suo paese. Le campane hanno suonato e
squillato a lungo. Tutta la gente è ammucchiata nella grande chiesa. « Mi
volevano bene - ricorderà don Bosco - e ognuno era contento insieme con me
».
Quella sera mamma Margherita trova un momento per parlargli da
solo a solo, e gli dice: « Ora sei prete, sei più vicino a Gesù. Io non ho letto
i tuoi libri, ma ricordati che cominciare a dir Messa vuol dire cominciare a
soffrire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti
ha detto la verità. D'ora innanzi pensa soltanto alla salvezza delle anime, e
non prenderti nessuna preoccupazione di me ».
Come san Filippo Neri
Pochi mesi dopo essere stato ordinato, don Bosco partì a piedi
per Torino, onde seguire il corso di preparazione al ministero delle
confessioni.
Quali fossero i suoi pensieri e le sue splendide fantasie
quando, dal Colle di Superga, vide apparire la città di Torino, le espresse lui
stesso nel tesser il panegirico di S. Filippo Neri nella città di Alba.
Quel giorno entrò in argomento in modo poetico: immaginò di
trovarsi sopra uno dei colli di Roma, di aver la città distesa innanzi a sé, e
di vedere un giovane il quale, stanco dal lungo cammino, si era arrestato,
assorto in gravi pensieri, con lo sguardo fisso allo splendido panorama. Quindi
proseguì: - Avviciniamoci ed interroghiamolo.
- Giovanotto, chi siete voi? Che cosa mirate con tanta
ansietà?
- Io sono un povero forestiero; rimiro questa grande città, e
un pensiero mi occupa la mente; ma temo che sia follia o temerità.
- Quale pensiero?
- Consacrarmi al bene di tante povere anime, di tanti poveri
fanciulli che, per mancanza di istruzione religiosa, camminano per la strada
della perdizione.
- Avete scienza?
- Ho fatto poche scuole, e non sono annoverato tra i dotti.
- Avete mezzi materiali?
- Niente!... non ho un tozzo di pane oltre quel che ogni giorno
mi dà il mio padrone.
- Avete chiese... avete case?
- Non ho altro che un misero alloggio, con più misere
suppellettili.
- Dunque, come volete, senza nome, senza scienza, senza
sostanze e senza casa intraprendere una impresa così gigantesca?
- È vero, ed è appunto la mancanza di mezzi che mi tiene
sospeso.
- Amate la Madonna?
- Oh, questo sì!... Tanto!
A questo punto, don Bosco sospese il dialogo, descrisse le
sembianze di quel giovane, il lampo degli occhi, il suo sorriso, e proseguì ad
interrogarlo.
- Come vi chiamate?
Qui don Bosco voleva rispondere: « Filippo Neri ». Ma dagli
uditori si suscitò un bisbiglio, anzi un grido: Giovanni Bosco.
Soffocato il grido, ed acquetatosi il bisbiglio, continuò la
predica, veramente bella e smagliante; ma poi, all'uscire di chiesa, fu un
applauso generale e tutti gridavano, con gran festa: « Giovanni Bosco, Giovanni
Bosco! ».
Astuzie sante
Fin da principio della permanenza di don Bosco a Torino si
diffuse la fama della sua virtù, e non poche famiglie andavano a gara per
stringere relazioni con lui.
Ora accadde che un giorno un'intera famiglia era venuta a
fargli visita, avidissima di ascoltare la sua parola. Don Bosco, al vedere la
poca modestia nel vestire della signora e delle figliole, e pur volendo toccarle
al vivo, rivolse tosto il discorso alla più piccina dicendole: - Vorrei che tu
mi dessi una spiegazione.
- Sì, sì, dica pure, reverendo - rispose la bambina fuori di sé
per la contentezza.
- Dimmi, perché disprezzi così le tue braccine? - Io?!... non
le disprezzo!
- Eppure, sembra che sia così!
- Oh, tutt'altro! - prese a dire la madre. - Se sapesse, debbo
sgridarla per la sua vanità. Oltre a lavarle, le profuma con acque odorose.
- Appunto per questo - continuava il santo sempre rivolto alla
ragazza - io ti dico che tu disprezzi le tue braccia.
- E perché?
- Perché, quando morrai, le tue braccia saranno gettate a
bruciare nell'inferno.
- Ma io non faccio nulla di male! Io all'inferno non ci voglio
andare!
- Eppure, sarà così... o per lo meno, al purgatorio, e chissà
per quanto tempo!
- Dunque, questo avviso fa anche per me! - esclamò una delle
più grandi arrossendo.
- Sì... e le fiamme saliranno dalle braccia al collo e lo
bruceranno.
- Ho capito - concluse la mamma - ho capito! Tocca a me mettere
rimedio, e lo farò!
Da quel giorno, molte altre volte quella famiglia fu a far
visita a don Bosco, ma sempre con vestiti compitissimi.
Pillole di pane
Nel 1844, a Montafia d'Asti, cadeva ammalato di febbri ostinate
un certo signor Turco, e nessuna prescrizione medica valeva a guarirlo.
La famiglia ricorse a don Bosco il quale, consigliata al malato
la Confessione e la Comunione, gli consegnò una scatola di pillole da prendersi
ogni giorno, in un dato numero, recitando tre Salve Regina alla Madonna.
Prese le prime pillole, il malato, che effettivamente si era
confessato e comunicato, guarì completamente. Tutti ne furono meravigliati. Il
farmacista del paese volle fare l'analisi di quelle pillole miracolose, e non
trovò altro che pane.
Ripeté l'analisi più accurata presso un altro farmacista, e
insieme conclusero:
- È pane! Nient'altro che pane, non c'è dubbio! Allora il
signor Turco si recò a Torino a trovare don Bosco per ringraziarlo; e gli narrò
l'analisi delle pillole, ed il gran dire che se ne faceva in paese. Don Bosco
ridendo rispose: - Sì, quello era pane, e le tre Salve Regina che voi avete
recitato in stato di grazia furono il companatico prodigioso!
O la borsa o la vita
« Un prete è sempre prete - soleva dire don Bosco - e tale deve
dimostrarsi in ogni circostanza ed in ogni sua parola. Un sacerdote deve sempre
avere di mira la salvezza delle anime, e non deve mai permettere che chi si
avvicina a lui, ne parta senza aver udito una buona parola ».
Alle parole corrispondevano i fatti.
In quei tempi, ossia nei tempi delle « Pillole di pane » di cui
sopra, egli si portava spesso ai Becchi a trovare i suoi fratelli.
Una sera, andandosene solo per una strada di campagna,
s'imbatté in uno sconosciuto, il quale gli intimò: - O la borsa o la vita!
Don Bosco si fermò di botto, lo fissò un istante negli occhi, e
poi gli disse:
- Abbi pazienza!...
- Che pazienza!... o i denari, o vi uccido!
- Denari per te non ne ho. In quanto alla vita, me l'ha data
Dio, ed egli solo me la può riprendere. Quantunque quell'individuo avesse il
cappello sugli occhi, don Bosco riconobbe in lui Antonio Cortese, un giovane che
aveva incontrato nelle carceri di Torino, dalle quali era uscito da pochi
giorni per sua raccomandazione. Lo chiamò quindi per nome e continuò sottovoce:
- Come! Tu, Antonio, fai questo brutto mestiere?! Così mantieni le promesse che
mi hai fatte là a Torino? E disgraziato, che aveva riconosciuto don Bosco,
prese a balbettare: - Oh! don Bosco, mi perdoni! Non l'avevo riconosciuto...
le chiedo perdono!
- Non basta, mio caro Antonio; bisogna mutar vita. - Glielo
prometto!
- Non basta ancora; bisogna incominciare subito, e
confessarsi.
- Ebbene sì... mi confesserò! - Quando?
- Anche subito, se vuole... solo non sono preparato. - Ti
preparerò io; ma tu prometti al Signore di farla finita per sempre con questa
vitaccia.
- Sì, lo prometto!
Don Bosco, presolo per una mano, si ritirò sul margine della
via, e lo fece inginocchiare.
Quel poveretto si confessò con tutti i segni di un vero
pentimento.
E santo gli regalò una medaglia e quel poco denaro che aveva in
tasca. E giorno seguente lo condusse a Torino, e gli procurò un impiego che
disimpegnò onoratamente, divenendo un buon cristiano e virtuoso padre di
famiglia.
Predicazione fruttuosa
Nell'anno 1850, il papa Pio IX aveva indetto un Giubileo
straordinario per riparare ai danni spirituali cagionati dalle ribellioni e
guerre di quei tempi.
In Milano, però, nessuno osava intraprendere una qualsiasi
predicazione, perché, dopo le famose « Cinque giornate », sembrava che la città
sedesse su un vulcano ancora acceso, e la Polizia teneva l'occhio specialmente
sul clero, temendo che dal pulpito facesse allusioni alla insurrezione appena
domata.
In queste condizioni, don Bosco si presentò al Parroco di S.
Simpliciano, dicendosi pronto a predicare il Giubileo in quella sua
parrocchia.
Il Parroco tentennava, e lo mandò dall'Arcivescovo. Ma anche
l'Arcivescovo era titubante; e solo quando vide che don Bosco era risoluto ed
insisteva si limitò a dirgli: - Signor Abate, io non ho nulla in contrario; ma
se vi accadranno disgrazie, io non c'entro! Sapete in che tempi ci troviamo...
la vostra prudenza non sarà mai troppa!
- Grazie, Eccellenza - rispose don Bosco. - Io predicherò come
si predicava 500 anni fa. Mi dia la sua benedizione.
Incominciò le sue prediche sulla necessità della conversione,
sul ritorno dei peccatori a Dio, sui novissimi, senza mai il più piccolo accenno
alle vicende politiche.
La folla accorreva con curiosità ed ansietà sempre maggiori, e
i frutti furono straordinari.
Dalla parrocchia di S. Simpliciano passò a Santa Maria Nuova,
a San Carlo, e a Sant'Eustorgio, e contemporaneamente predicava anche a Monza
dai Barnabiti.
Per questa coincidenza di predicazione s'ingenerò nel popolo la
persuasione che don Bosco predicasse a Milano e a Monza nello stesso tempo.
Tale notizia volò a Torino, ove, al suo ritorno, tutti lo
andavano interrogando, ed egli ridendo rispondeva:
- Già, già, a Milano mi hanno tenuto per una masca
(folletto).
Gesù in fuga
I moti del 1848 avevano acceso in tutti una tal febbre di
novità, che pareva che i più avessero perduto il senno. Don Bosco ne era
grandemente preoccupato per il timore non infondato di gravi mali alla
Chiesa.
Celebrando un giorno nell'Istituto del Buon Pastore, era
all'Elevazione, quando una suora mandò all'improvviso un grido altissimo che
turbò tutta la comunità.
Finita la Messa, don Bosco fece chiamare a sé quella suora, e
le chiese: - Che cosa avete visto?
- Gesù nell'Ostia!... - rispose la suora. - Gesù vivo in forma
di bambino, tutto grondante sangue!
- E ciò che vuol dire? - Non lo so.
- Ve lo dirò io: vuol dire grandissima persecuzione che si
prepara contro la Chiesa. Tenetelo a mente e pregate.
Quando don Bosco ritornò a celebrare la Messa colà, quelle
buone suore lo interrogarono ancora sul come e perché di quell'apparizione; egli
sorridendo si limitò a rispondere:
- Forse Gesù me l'avrebbe meglio spiegato, se quella suora,
con quel grido, non l'avesse messo in fuga!
« Avete una veste troppo sottile »
Da poche settimane si trovava a Torino, e già molti giovani si
accalcavano intorno a lui, lo attendevano all'uscita, lo accompagnavano per
via.
Una sera si incontrò col Canonico Cottolengo, il quale,
fissatolo in viso, gli disse:
- Voi mi avete la faccia da galantuomo; venite a lavorare con
me nella Piccola Casa della Provvidenza: il lavoro non vi mancherà.
Don Bosco tenne quell'invito provvidenziale, e dopo pochi
giorni si recò a Valdocco ove era l'Opera del Cottolengo.
Il Canonico lo accolse con amorevolezza, e gli fece visitare
tutti i locali ove giacevano ammalati d'ogni genere: storpi, paralitici, ebeti,
ulcerosi, invalidi; tutto insomma il rifiuto degli altri ospedali.
Finita la visita, don Bosco si aspettava un nuovo invito di
fermarsi a lavorare in quella casa; ma il Cottolengo, fissandolo di nuovo bene
in viso, soggiunse: - Ben altro è il vostro campo! Una messe più vasta, una vita
più movimentata vi attende!
E stringendo fra le sue dita le maniche della veste del giovane
sacerdote, soggiunse: - Però, voi avete una veste di panno troppo sottile e
leggero; procuratevene un'altra di panno molto più forte e più consistente,
perché i giovani possano attaccarvisi senza strapparla. Verrà un tempo in cui vi
sarà strappata da tanta gente!
Don Bosco intravvide in quelle parole una vera profezia, una
vera conferma dei suoi sogni, che ben presto presero ad avverarsi.
I GIOVANI, LA GRANDE PASSIONE
Confessore dei piccoli delinquenti
A Torino, insieme con don Cafasso - che è chiamato « il prete
della forca » - don Bosco comincia il suo ministero in qualità di confessore
alle carceri nuove; là « vedere un gran numero di giovinetti dai 12 ai 18 anni,
tutti sani, robusti, d'ingegno sveglio; vederli inoperosi, rosicchiati dagli
insetti, stentare di pane spirituale e materiale, fu cosa che mi fece inorridire
». Parlò con loro. Venne a conoscere le loro povere storie. L'avvilimento e la
rabbia li rendevano spesso feroci. Il delitto più comune era quello di furto.
Avevano rubato per fame, per desiderio di qualche altra cosa oltre il pane, o
anche per invidia della gente ricca che li sfruttava e li lasciava nella
miseria. Erano nutriti di pane nero e acqua. Dormivano in cameroni collettivi e
i più spavaldi la facevano da caporioni.
Cercò di capire. « Erano abbandonati a se stessi ». Non avevano
famiglia e i parenti li respingevano perché essi « li avevano disonorati ».
« Dicevo a me stesso: Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori
di qui un amico che si prenda cura di loro, che li assista, li istruisca, li
conduca in chiesa nei giorni festivi... ». Cerca di farli riflettere;
promettono di farsi più buoni. Ma quando ritorna da loro tutto è tornato come
prima. Don Bosco piange.
- Perché piange quel prete?
- Perché ci vuol bene. Anche mia madre piangerebbe se mi
vedesse qua dentro.
L'esperienza delle carceri è traumatizzante per don Bosco.
Ormai l'Oratorio è il suo chiodo fisso. Vuol realizzare un centro, una famiglia
in cui i ragazzi abbandonati trovino un focolare, un amico; i giovani
ex-carcerati abbiano un punto di riferimento, un sostegno. Un Oratorio che non
funzioni solo la domenica, per il catechismo, ma si prolunghi lungo la
settimana, mediante l'amicizia, l'assistenza, l'interessamento a procurare
un'occupazione, gli incontri sul lavoro.
Don Bosco ha ormai compreso la sua vera missione. I suoi «
sogni » appaiono chiari. Si dedicherà tutto ai ragazzi. A educarli, a
redimerli, a salvarli.
Fra alcuni mesi, guarito da una grave malattia per le preghiere
dei suoi monelli, dirà loro: « La mia vita la devo a voi. E vi do la mia parola:
la spenderò tutta. per voi ».
Parole gravi. Parole definitive, cui fanno eco le ultime che
don Bosco pronunciò prima di morire: « Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti
in Paradiso ».
L'incontro provvidenziale
La mattina dell'8 dicembre 1841 don Bosco si trovava nella
sacrestia di S. Francesco d'Assisi, ove era vicecurato, e stava vestendosi per
celebrare la Messa.
Il sacrestano, vedendo un giovanetto in un canto, lo invitò a
servire.
- Non so! - rispose il ragazzo tutto mortificato. - Bestione
che sei! - esclamò il sacrestano... - Se non sai servire Messa, perché vieni in
sacrestia?...
Prende la pertica dello spolverino e giù colpi sulle spalle e
sulla testa del malcapitato.
L'altro, intanto, se la dà a gambe, gridando; e don Bosco,
prendendo le difese, apostrofa il sacrestano dicendo:
- Che fate?! Perché battete così quel poveretto? - Non sa
servire la Messa e viene in sacrestia.
- Chiamatelo: ho bisogno di parlargli; è mio amico. Il
sacrestano gli corre dietro, lo chiama, lo persuade a ritornare in sacrestia, e
lo presenta a don Bosco che, con amorevolezza, gli dice:
- Hai già udita la Messa? - No.
- Vieni dunque ad ascoltarla; dopo, ho da parlarti di una cosa
che ti farà piacere.
Celebrata la Messa, prese ad interrogarlo.
- Mio buon amico, come ti chiami?
- Bartolomeo Garelli. - Di che paese sei?
- Di Asti.
- Quanti anni hai?
- Sedici.
- Sai leggere e scrivere?
- Non so niente.
- Che mestiere fai?
- Faccio il furic (garzone di muratore).
- E tuo padre e tua madre?
- Sono morti tutti e due da un pezzo.
- Sei già promosso alla Comunione?
- Non l'ho mai fatta.
- Ti sei già confessato?
- Sì, ma quando ero piccolo.
- Vai al catechismo?
- Non oso più, perché i miei compagni mi burlano.
- Se ti facessi il catechismo qui a parte, verresti?
- Ci verrei molto volentieri, purché non mi diano delle
bastonate!
- Sta' tranquillo; d'ora innanzi sarai mio amico; quando vuoi
che incominciamo?
- Quando le piace.
- Anche adesso?
- Sì, anche adesso, con molto piacere.
Si diede così principio. A lui si unirono ben presto altri
compagni; e Bartolomeo Garelli restò la pietra fondamentale degli ora ori
festivi di don Bosco e di tutta l'opera salesiana.
Ricordando il fatto il Garelli andava ripetendo: - Le busse del
sacrestano mi fecero felice.
Potenza dell'entusiasmo
Se i poeti narrano di Orfeo che traeva dietro il suo canto le
piante e i sassi, ben si può dire che don Bosco traeva dietro di sé, col suo
fascino irresistibile, i ragazzi, che al solo vederlo ne restavano elettrizzati
e gli correvano incontro.
Un giorno si imbatté presso Porta Palazzo in uno dei suoi
giovanetti che tornava dal fare la spesa, con due bottiglie in mano, una d'olio,
l'altra di aceto.
Il piccino, appeno lo vide, si mise a saltare per l'allegrezza
e gridare: - Viva don Bosco!...
Il santo, sorridendo, gli risponde: Evviva!...
Poi, appressatosi al ragazzo, gli disse per scherzo: - Sei
capace fare come faccio io?
- E si mise a battere le palme delle mani.
Il fanciullo, fuori di sé per l'entusiasmo, mette le bottiglie
sotto il braccio e fa per battere anche lui le mani. Le bottiglie cadono a terra
e vanno in frantumi.
Al rumore dei vetri rotti e alla vista dei liquidi sparsi,
restò come sbalordito, e si mise a piangere a dirotto dicendo:
- Oh!... quante busse mi darà la mamma mia!
- Allegro, allegro!
- gli disse don Bosco.
- È un male al quale si rimedia subito. Vieni con me.
Lo condusse in una vicina bottega, dove, narrato l'episodio
alla padrona, la pregò di provvedere il ragazzo di quanto aveva perduto.
- Ecco fatto!
- esclamò la donna, piena d'ammirazione per il giovane
sacerdote, e soggiunse: - Chi è lei?
- Sono don Bosco... il padre dei birichini. Qual somma le
debbo?
- Sarebbero 23 soldi; ma tutto è saldato!
Don Bosco ringraziò della generosità ed uscì col
fanciullo.
Un altro di questi ragazzi era addetto come garzone in una
bottega di stoffa, la quale, per mezzo d'una grossa porta a vetri, immetteva su
una delle vie principali di Torino. Un giorno, mentre stava accudendo alla
pulizia, vide passare don Bosco. Nel primo slancio del cuore corre per andarlo a
riverire, ma, non riflettendo di aprire la porta, vi batte col capo e la manda
in frantumi.
Al rumore dei cristalli accorre tutto il personale del negozio.
Il padrone alza la voce e grida; la gente si ferma e fa crocchio; e il povero
fanciullo si fa d'appresso a don Bosco tutto tremante.
- Che cosa hai fatto? - prese a dirgli sorridendo il Santo.
- Ho veduto lei passare, e non ho badato che la porta era
chiusa.
- Ebbene, pagherò io il danno; sei contento?
Ma il padrone, che aveva capito che si trattava di una svista,
soggiunse: - Non sia mai che il buon cuore di questo ragazzo e la carità di don
Bosco abbiano a soffrire. Spero che un'altra volta il nostro Carluccio non
pretenderà più di passare attraverso i vetri come lo spirito folletto.
La cuffia di una impertinente
Don Bosco, vedendo che i locali ove teneva il catechismo non
bastavano più ad accogliere tutti i suoi giovani, andò in cerca di un sito più
spazioso, e lo trovò presso la cappella dell'antico Cimitero, detto di San
Pietro in Vincoli.
Accordatosi col cappellano, la domenica 25 maggio 1844 condusse
il suo piccolo mondo a San Pietro. Il luogo ampio e libero eccitò nei giovani il
più vivo entusiasmo e li rese frenetici di gioia.
Ma ahimè! avevano appena incominciato a gustarla, che si mutava
tosto in grande amarezza per opera d'una donna. Era la domestica del Cappellano,
la quale all'udire i canti, le voci, gli schiamazzi dei 400 giovanetti, uscì di
casa su tutte le furie, e con le mani sui fianchi e la cuffia per traverso, si
diede ad apostrofarli, come sa fare la lingua di una donna inviperita.
Insieme con lei, inveiva anche una ragazza, abbaiava un cane,
miagolava un gatto, chiocciavano le galline. Si sarebbe detta imminente una
guerra europea.
Don Bosco tentò dapprima di sedare quella tempesta, ma si sentì
scaricare addosso un nugolo d'insulti da quella poveretta, che, urlando come
un'ossessa e stringendo i pugni, finiva gridando: - Via!... Via!... E lei, don
Bosco, si guardi bene dal tornare domenica ventura in questo luogo, perché
altrimenti saranno guai!
Il santo, per troncar quella scena disgustosa, rispose
semplicemente e pacatamente: - Mia buona signora, neppur lei è sicura di essere
qui domenica ventura.
Radunati quindi i suoi giovani, se ne andò dicendo loro: -
Poveretta! ci intima di non portare più i piedi qui, e domenica ella sarà già al
cimitero!
E così avvenne realmente.
Come crescono i cavoli
Don Bosco, obbligato a sloggiare da San Pietro in Vincoli,
ottenne dal Municipio di riunire i suoi ragazzi nella chiesa dei Molazzi, ossia
dei mulini della città.
Anche qui però, al primo giungere di quella schiera di ragazzi
allegri e schiamazzanti, tutta la popolazione dei dintorni, insieme coi padroni
e coi mugnai, presero a protestare. Il più feroce di tutti fu il segretario dei
mulini, il quale, raccogliendo qua e là false voci contro quei poveri ragazzi e
contro chi li radunava, scrisse al Municipio una lunga lettera di accuse, in
seguito alla quale il Consiglio municipale decretò lo sfratto a don Bosco anche
di là.
Quando il Santo annunziò la cosa ai suoi giovani, li incoraggiò
dicendo: - Dobbiamo fare un'altra volta San Martino, ma niente paura! I cavoli
trapiantati diventano più belli, e noi diventeremo dei gran cavoloni! - Ma
soggiungeva in tono profetico: - La Provvidenza prenderà la difesa della vostra
innocenza!
Una colazione al monte
Sloggiato anche dai Molini, don Bosco si vide costretto ad
affittare un prato per i suoi giovani.
Là faceva il catechismo e le prediche. In quanto alla Messa, li
conduceva or di qua or di là nelle chiese della periferia.
Una domenica si portarono al monte dei Cappuccini, ove tutti
fecero la santa Comunione, dopo di che, usciti sul largo piazzale, don Bosco
distribuì loro la colazione. E, mentre tutti allegramente mangiavano, ne vide
uno che, in disparte, stava mestamente osservando.
Si avvicinò e gli chiese: - Come ti chiami?
- Paolino.
- Hai preso la colazione?
- No, signore.
- Perché?
- Perché non mi sono né confessato né comunicato.
- Non occorre né confessarsi né comunicarsi per avere la
colazione.
- Che cosa ci vuole?
- Nient'altro che l'appetito.
- Oh!... quello ce l'ho... e come!
- Vieni dunque con me.
Lo condusse al cesto, gli diede in abbondanza pane e frutta, e
soggiunse sorridendo:
- D'ora in poi non avrai più paura di don Bosco, ma gli sarai
amico.
- Oh, sì, sì!... tanto, tanto.
Fu di parola; si unì ai giovani dell'oratorio e lo frequentò
assiduamente.
Scorta d'onore
Ma anche in quel prato, non mancarono a don Bosco le molestie.
Un giorno vi si recò in persona niente meno che il marchese Michele Cavour,
sindaco di Torino, il quale, vedendo don Bosco seduto per terra fra un circolo
di giovani, domandò: - Ma chi è quel prete?
- È don Bosco!
- Don Bosco!... - esclamò stupito il Marchese.
- O egli è un pazzo, oppure un illuso. - E, fattolo chiamare a
sé, gli disse: - Mio buon prete, prendete il mio consiglio: lasciate perdere
quei mascalzoni; essi non daranno che dispiaceri a voi e fastidi alle autorità.
Io vedo che queste adunanze sono pericolose, e perciò, non posso più
tollerarle.
Alle calme ed umili osservazioni del Santo, il Marchese finì
col soggiungere: - Ma che importa a voi di questi monelli? Lasciateli nelle loro
case. Non prendetevi delle responsabilità!
- M'importa la loro istruzione religiosa, la loro salvezza -
rispose don Bosco.
- Intanto, vi farò sorvegliare!
E da quel giorno la questura, ogni domenica, continuò per un
bel pezzo a mandare carabinieri e guardie a passeggiare nei dintorni di quel
prato e dovunque egli conducesse i suoi giovani.
Don Bosco sorrideva nel vedersi accompagnato, come un sovrano,
da quella scorta d'onore, e usava chiamare quei tempi i più romantici del suo
Oratorio.
Cantori in barca
Don Bosco si serviva del canto e della musica come di mezzo
potente per attirare e trattenere i suoi giovani; e questi canti accrescevano
potentemente l'entusiasmo nei fanciulli e l'ammirazione nelle popolazioni.
Un giorno condusse i suoi birichini ad una passeggiata in
barca sul Po fino alla Madonna del Pilone. Quando le tre barche furono in mezzo
al fiume, intonarono una lode. A quel canto, la gente che si trovava sulle
sponde si mise a seguire il corso delle barche. Una compagnia di trombettieri,
che a caso si trovavano là di passaggio, diedero fiato alle trombe e presero ad
accompagnare quel motivo facilissimo con mirabile effetto. Man mano che le
barche ed il canto avanzavano, la gente s'accresceva; e quando si giunse alla
Madonna del Pilone, tutti gli abitanti uscirono fuori dalle case per portarsi a
fare festa ai giovani cantori, e regalar loro frutta e dolci.
L'allarme dei parroci
Tra le molteplici opposizioni che trovò don Bosco nei primi
tempi della sua Opera, vi fu anche quella dei Parroci della città.
Parecchi di questi Parroci, vedendo accorrere all'Oratorio
tanti giovani, presero ad allarmarsi, e, forti dei loro diritti di istruire e
promuovere ai sacramenti i propri parrocchiani, pregarono l'Arcivescovo che
comandasse a don Bosco di desistere dalla sua impresa, e lo destinasse
viceparroco in qualche paese di montagna.
Allora l'Arcivescovo, dietro invito di don Bosco, mandò alcuni
di questi Parroci all'Oratorio perché vedessero quanti erano i giovani
appartenenti alle loro parrocchie.
Radunata quella moltitudine irrequieta, presero ad interrogarli
a quale parrocchia appartenessero.
- Io sono di S. Biagio.
- E dov'è questa parrocchia?
- A Biella.
- Io sono di Santa Filomena.
- Ma dov'è?
- Sul Lago di Como.
- Io sono di Santa Zita presso Genova. Io sono di Sant'Eufemia
sul Ticino. Io sono di S. Eusebio di Vercelli. Io di S. Zeno di Milano. Ed io
sono di S. Martino nel Cadore.
- Basta! Basta! Non mi stordite! Ma qui a Torino, dove abitate?
A quale parrocchia appartenete?
Silenzio generale.
Alcuni sapevano il nome della via e non quello della
parrocchia; altri in pochi mesi avevano cambiato domicilio più volte; altri
dormivano alla ventura, cercando un rifugio notte per notte; chi non stava più
con i parenti, chi li aveva perduti, chi non li aveva mai conosciuti.
Perduta la pazienza, quel primo Parroco passò le armi ad altro
collega, ol quale incominciò: - Oh, bravi! ... sentite. A te: di dove sei? - Io
sono di Valsesía, provincia di Novara. - E tu?
- Io di Valtellina, provincia di Sondrio. - Io di Val
Lomellina, Pavia.
- Io di Val Policella, Verona.
- Io di Val Negra, Bergamo.
- Basta! Ho capito.... Tutti forestieri, a quanto pare.
Indi, volgendosi all'altra parte: - E voi di dove siete?
- Noi siamo di Val Vasone, presso Udine. - E noi di Valtrompia,
in quel di Brescia. - Noi di Valsugana nel Trentino.
- Alt! Ancora un poco, e andremo a finire nella valle di
Giosafat. Nessuno dunque delle parrocchie di Torino?
- Nessuno!
Anche costui, perduta la pazienza, voleva rimettere le armi ad
un terzo, ma tutti si persuasero che non avevano nulla a fare, e se ne
andarono.
Uno però ve ne fu che volle ostinarsi ad accampare delle
pretese; e don Bosco gli mandò tutti i ragazzi che dovevano essere ammessi alla
prima Comunione.
Al vedersi arrivare quella turba schiamazzante, questo Parroco
allibì, e domandò seccamente: - Che cosa volete da me?
- L'esame di catechismo per la prima Comunione. - Tornate
un'altra volta: ora sono occupatissimo. I giovani tornarono all'Oratorio
vociando: - L'esame non ce l'ha voluto dare.
- Ma glielo avete detto che vi mandavo io? - Questo no!
- Bene, ritornate, e pregatelo in nome mio che abbia la bontà
di esaminarvi.
I ragazzi obbedirono, e invece del Parroco, trovarono due
vicecurati i quali, vedendo che la maggior parte erano adulti, presero a
canzonarli: - Ma bravi!... alla vostra età... ancora da fare la prima
Comunione?... questa è una vergogna! Si vede che non avete fretta, e potete
ancora aspettare. Per ora non abbiamo tempo da perdere con voi. Ritornerete
domani o fra otto giorni.
Quei poveri giovani rifecero una seconda volta la strada,
confusi e umiliati, protestando che non sarebbero ritornati mai più.
Don Bosco allora riferì all'Arcivescovo e ne ebbe i più ampi
permessi e larghe concessioni.
Piange e ride con i suoi figlioli
Nel mese di luglio del 1846, Don Bosco fu assalito da una
potentissima bronchite che lo ridusse in fin di vita. Tutti pregavano per lui.
Una notte pareva che dovesse essere l'ultima di sua vita. Il Teologo Borel che
lo assisteva si sentì ispirato a suggerirgli che facesse anche lui una
preghiera per la sua guarigione. Don Bosco taceva, ed il Teologo replicò: - Don
Bosco, lei sa che lo Spirito Santo ci consiglia di pregare nelle nostre
infermità. Dunque, preghi a questo fine.
- Lasciamo che faccia Iddio la sua volontà.
- Ebbene, dica almeno con me: Signore... se così vi piace...
fatemi guarire.
E don Bosco taceva ancora.
- Mi faccia il piacere, caro don Bosco; glielo domando a nome
dei suoi figli piangenti: dica con me, e lo dica di cuore: Signore...
Il malato, per consolarlo, prese a ripetere: - Signore...
- Se a voi piace... - Se a voi piace...
- Fatemi guarire... - Fatemi guarire...
Appena fatta quella preghiera, il buon Teologo s'alzò, ed
asciugandosi le lacrime, esclamò:
- Basta così! Lei guarirà certamente... ne sono sicuro.
Né si sbagliò: don Bosco prese sonno, e quando si svegliò, era
ritornato a vita novella. I medici, recatisi a fargli visita col timore di
trovarlo morto, toccandogli il polso, gli dissero:
- Caro don Bosco, si alzi, e vada a ringraziare la sua Madonna,
ché ne ha ben ragione.
La notizia di quella improvvisa guarigione inondò di
consolazione il cuore di tutti.
La domenica lo adagiarono su un seggiolone e lo portarono in
giro, come in trionfo.
La marchesa di Barolo
Godeva d'una gran fama in Torino e in tutto il Piemonte la
Marchesa di Barolo, signora ricchissima e di grande pietà, tutta dedita ad opere
di beneficenza.
Costei, piena di venerazione per don Bosco, vedendolo ridotto
in fin di vita, ritenne necessario un suo energico intervento perché
abbandonasse l'Oratorio.
Un bel giorno, chiamatolo a sé, prese a dirgli: - Don Bosco,
intendo farle una proposta per lei assai vantaggiosa. Lasci i suoi ragazzi, e
passi alla direzione dei miei Istituti.
Don Bosco senza esitare, rispose: - Che dice, signora?...
Lasciare i miei fanciulli?... Oh no! Io non posso, non debbo abbandonarli.
Vostra signoria ha denari e mezzi molti, troverà facilmente chi la possa e la
voglia coadiuvare. Chi invece si prenderà cura di questi miei giovani?
- Dunque, lei preferisce i suoi piccoli vagabondi ai miei
Istituti? E che cosa potrà fare, così povero, senza un soldo e senza aiuti?
- Signora Marchesa - continuò don Bosco - io sono povero, non
ho un soldo, ma non ho bisogno di lei! - Ecco il superbo! - esclama la Marchesa,
- si trova nella miseria e non ha bisogno di me!
- No, signora, non ho bisogno di lei, ma qualora la Provvidenza
volesse servirsi di lei per aiutarmi, ne approfitterei ben volentieri, e gliene
sarei riconoscente.
- No! No! A don Bosco niente. Non mi venga più innanzi, perché
gli chiuderei la porta in faccia.
Don Bosco se ne partì inchinandola profondamente. La Marchesa
che, dopo tutto, era donna di insígne pietà e fine criterio, ritornò poco dopo a
più miti consigli, e tratto tratto mandava a don Bosco le sue generose
offerte.
Incredibile affetto
Tutti i giovani che, anche per una volta sola, si incontravano
con don Bosco e lo sentivano parlare, erano presi per lui da un incredibile
affetto.
Nel 1846, per consiglio dei medici, si era recato a Sassi,
borgata nei pressi di Torino, per un poco di riposo. In quel tempo, gli allievi
delle Scuole Cristiane avevano atteso ad un corso di Esercizi Spirituali,
durante il quale quasi nessuno si era confessato, in attesa della venuta di don
Bosco.
Giunto il mattino della chiusura, quei buoni ragazzi, vedendo
che don Bosco non arrivava, corsero a cercarlo a Valdocco e di là a Sassi, ove
arrivarono a gruppi di 50 o 60, in numero di oltre 300, molli di sudore, coperti
di zacchere perché il tempo era piovoso, e così stanchi e sfiniti da fare
pietà.
Don Bosco, al vedere quella turba e al sentirne il motivo, ne
fu teneramente commosso. Siccome poi quei poveri giovani erano digiuni e
sprovvisti di tutto, il buon Parroco mise fuori pane, polenta, riso, patate,
cacio, frutta. A lui si unirono i borghigiani, e la cosa finì in una festa
campagnola delle più amene.
Fiori e fiori
La sua bontà e squisitezza d'animo lo rendeva caro a tutti, di
modo che era da tutti grandemente amato. Una splendida prova di questo grande
amore la ebbe quando, dopo una lunga e terribile malattia che lo portò sull'orlo
della tomba, poté ritornare in mezzo ai suoi giovani. Fu una giornata di festa
straordinaria.
In quella mattina, furono comperati quanti più fiori si poté, e
si sparsero per tutta la via dal Rifugio all'Oratorio. Le rivendugliole di Porta
Palazzo, meravigliate di tanti giovani che venivano a comperare fiori,
domandarono: - Per chi sono tanti fiori?
- Che festa fate? - Che santo è oggi?
- Che santo! Che santo! Sono per don Bosco. Egli è guarito da
una grave malattia; oggi ritorna fra noi!
E correvano affannosi a sfogliarli lungo il percorso e
adornarne le siepi e il recinto dell'Oratorio.
Quando poi don Bosco comparve appoggiato a un bastoncino, fu un
evviva formidabile; anzi i più grandicelli gli si fecero attorno, e tolta da
una casa una sedia lo obbligarono ad adagiarsi e lo portarono fino all'Oratorio,
mentre gli altri gli marciavano avanti, accanto, appresso, sempre ripetendo:
Evviva!... Evviva!
È creduto pazzo
Né solo le Autorità civili molestavano il povero don Bosco e
tentavano d'impedire lo sviluppo della sua Opera, ma anche i suoi colleghi
sacerdoti.
Anzi costoro si erano messi in testa che don Bosco stesse dando
i numeri, e che tutto questo affaccendarsi appresso ai ragazzi fosse una vera
mania.
Alcuni, infatti, andarono a trovarlo e, con tutta carità,
presero a dirgli: - Caro don Bosco, tu, capiscilo, comprometti il carattere
sacerdotale! Con le tue stravaganze, con l'abbassarti a prendere parte ai
giochi di quei monelli, con l'accompagnarti con loro per le vie e per le piazze,
perdi il tuo decoro, desti ammirazione, ti fai ridere appresso!
E siccome don Bosco, sicuro dell'Opera sua, dava segno di non
essere persuaso della logica di quegli avvisi, essi andavano continuando: - Ma
tu hai perso la testa! Non ragioni più! Povero e caro don Bosco, non bisogna
ostinarsi... Tu non puoi fare l'impossibile! Non vedi che anche la Provvidenza è
contraria alla tua opera e che non trovi nessuno che ti voglia affittare un
locale?
- Oh la Provvidenza! - esclamò a questo punto don Bosco alzando
le mani al cielo, - la Provvidenza mi aiuterà! Lei mi ha inviati questi ragazzi
ed io non ne respingerò neppur uno, ritenetelo bene! Voi siete in errore. La
Provvidenza farà tutto ciò che è necessario. E poiché non mi si vuole affittare
un locale, ne fabbricherò uno io con l'aiuto di Maria Santissima. Vi saranno
vasti edifizi, con scuole, laboratori, officine di ogni specie, spaziosi cortili
e porticati... una magnifica chiesa. E poi, anche chierici, catechisti,
assistenti, professori, capi d'arte, e numerosi sacerdoti. Vedrete,
vedrete...
All'udire tali parole, quei suoi amici si sentirono
profondamente commossi. Essi vi vedevano una prova certa della pazzia del loro
amato collega, e se ne andarono crollando il capo e ripetendo fra loro: -
Poveretto! Davvero gli ha dato di volta il cervello! Occorre subito provvedere.
Don Bosco attendeva gli eventi, pronto ad ogni più dura lotta.
Al manicomio
Quei tali, presi gli accordi con la Curia Vescovile, andarono a
parlare col Direttore del Manicomio. Ottenuto un posto al creduto pazzo, due di
loro, i più svelti e coraggiosi, accettarono di eseguire il pietoso disegno.
Presero a nolo una vettura chiusa, si recarono all'abitazione
di don Bosco, e, fatti i primi convenevoli, lo invitarono a una passeggiata
dicendogli: - Un po' d'aria ti farà bene, caro don Bosco; vieni, abbiamo qui una
carrozza che ci aspetta.
Il Santo si avvide subito del gioco che gli volevano fare, ma
accolse l'invito esclamando:
- Corbezzoli!... una carrozza!... Evviva la carrozza!...
Veramente non ci sono assuefatto, ma via!... andiamo.
Giunti alla vettura, lo invitarono ad entrare per primo; ma
egli si scusò dicendo: - No! sarebbe una mancanza di rispetto per parte mia.
Favoriscano loro per primi.
Quelli salirono senza alcun sospetto, persuasi che don Bosco li
avrebbe seguiti; ma egli, appena li vide dentro, chiuse con fragore lo
sportello, gridando al cocchiere: - Presto!... al Manicomio!!!
Il vetturino sferza il cavallo, e più veloce che non si dica,
giunge alla mèta ove, trovato il portone spalancato e gli infermieri pronti in
attesa, entra di corsa.
Il custode chiude prontamente il portone; gli infermieri
circondano la carrozza, aprono gli sportelli e invece di un pazzo ne vedono
due.
Quantunque entrambi protestassero energicamente, furono
condotti al piano superiore; ed essendo assenti medici e Direttore, perché era
l'ora del mezzogiorno, dovettero adattarsi a pranzare coi ricoverati. Solo verso
sera, chiarito l'equivoco, poterono essere messi in libertà. La cosa fece in un
baleno il giro della città, e da quel giorno si corressero le idee nei riguardi
del Santo, e l'ammirazione verso di lui s'accrebbe assai.
Campane che suonano da sé
Ad applaudire al fatto del manicomio, e a ridere coi cittadini,
si unirono anche le campane della Madonna di Campagna, quasi volessero attestare
la grande bontà della Provvidenza che proteggeva il nostro Santo.
La Domenica delle Palme, ultimo giorno in cui era permesso a
don Bosco di fermarsi in quel prato, egli annunziò ai suoi giovani che si
sarebbe andati ad ascoltare la Messa alla Madonna di Campagna, ufficiata dai
Cappuccini.
La proposta fu accettata con giubilo. Per via si recitò il
Rosario, e si cantarono le Litanie e lodi sacre. Quando la lunga schiera di quei
400 ragazzi mise piede nel viale che dà al Convento ecco che le campane del
Santuario presero a suonare a festa.
La cosa destò ammirazione. La gente del rione accorse alla
chiesa; accorsero anche i frati tutti, chiedendo il perché di quei suoni, chi ne
fosse l'autore, chi li avesse ordinati.
Ma nessuno aveva dato ordini, nessuno aveva toccato le campane,
e si dovette constatare che veramente le campane avevano suonato da sé!
Don Bosco era confuso per la protezione così palese della
Provvidenza.
L'ORATORIO DI VALDOCCO
L'anno 1846 è il tempo di grazia della grande realizzazione.
Don Bosco riesce ad acquistare una fatiscente tettoia da Francesco Pinardi e vi
inaugura un Oratorio stabile nella regione Valdocco.
Don Bosco trasforma la tettoia in cappella. Nel giorno di
Pasqua la benedice. Centinaia di ragazzi la stipano all'inverosimile. Poi,
afferrando al volo la pagnotta che don Bosco va pescando da un'immensa cesta,
sciamano sui prati intorno, esplodendo per la gioia di avere, finalmente, « una
casa tutta per loro ».
Minacce e castigo
Ma che! Il demonio che mai lascia tranquilli i santi, suscitò
ben presto altri nemici, i quali fecero di tutto per disperdere don Bosco e
l'Opera sua.
Ed ecco che il sindaco, Marchese Michele di Cavour, lo fa
chiamare e senza preamboli gli dice: - È tempo di finirla, mio caro Abate, e
poiché volete ostinarvi nella vostra Opera, io sono costretto a farvi chiudere
l'Oratorio.
- Mi perdoni, sig. Marchese - rispose don Bosco - ma se io
chiudessi il mio Oratorio, avrei timore delle maledizioni di Dio su me e su
lei.
- Meno ciance! Io sono obbligato a tutelare la tranquíllità
pubblica; manderò quindi a sorvegliare la vostra persona e le vostre adunanze;
al primo atto compromettente, farò disperdere i vostri monelli e voi sarete
responsabile di quanto starà per accadere.
Quelle furono le ultime parole pronunziate dal Marchese in
Municipio. Tornato a casa, fu assalito da una ostinata podagra la quale, dopo
molte sofferenze, lo condusse alla tomba.
Quella morte produsse impressione in tutta Torino, e per
diversi anni, specialmente nella sfera dei magnati, non vi fu più alcuno del
Municipio o del Governo che recasse molestia a don Bosco.
Scherzo della Provvidenza
Quando don Bosco ebbe improvvisata la prima cappella sotto la
tettoia Pinardi, s'accorse che gli mancava il calice per la prima Messa. Come
fare a provvederlo? Rivoltosi a mamma Margherita, esclamò quasi ispirato: -
Madre, cercate, frugate per ogni dove; manca il calice, e voi dovete trovare i
denari per comprarlo.
Si mette tuttavia all'opera. Cerca, fruga, e alla fin fine
trova, in fondo ad un vecchio cassettone fuori uso, un rotolo contenente otto
scudi d'oro quanti appunto erano necessari per la compera del calice.
- Oh bella! Chi ve li avrà messi? - chiedeva di poi la
mamma.
- Oh bella - ribatteva don Bosco - li ha messi colà la
Provvidenza, che ci ha voluto fare uno scherzo.
Altro scherzo della Provvidenza
Un giorno entrò da don Bosco un forestiero, che lo salutò con
la solita formula:
- Oh! Don Bosco, come sta?
- Senza un quattrino! - rispose don Bosco.
- Cosa singolare! - replicò il forestiero. - E se in questo
momento ella avesse bisogno urgente d'una somma, come farebbe?
- Mi rivolgerei alla Provvidenza.
- Sì, Provvidenza... Provvidenza... è una bella parola; ma se
ne abbisognasse in questo momento?
- In tal caso, direi a lei, mio buon signore: Vada in
anticamera, e troverà una persona che, in questo momento, reca appunto
un'offerta a don Bosco!
- Come?! Dice davvero?! Ma non c'era nessuno quando io entrai!
Chi glielo ha detto?
- Nessuno me lo ha detto, ma io lo so, e lo sa la
Provvidenza.
Quel signore, fuori di sé per la meraviglia, va
nell'anticamera, ove trova davvero un altro signore a cui chiede: - Viene da
don Bosco?
- Sì, vengo a portare un'offerta.
Il Santo si presenta sulla porta ed esclama: - Vede se io avevo
ragione di confidare nella Provvidenza?
Carnevale che non guasta
Un giorno, mamma Margherita gli corre incontro tutta ansante
gridando: - Oh Giovanni, Giovanni, se sapessi!
- Che cosa!? Hai guadagnato un terno al lotto? - Altro che
guadagno! perdita, mio caro, perdita! Ti hanno rubato la veste nuova, la sola
buona che hai. Era stata stesa al sole, e te l'hanno rubata.
- Se l'hanno rubata, pazienza! che vuoi farci? - Bisogna
cercare il ladro! dev'essere vicino. - Vuoi che faccia il poliziotto?!
- Ecco, sempre lo stesso! Non t'importa niente! Ed ora come
farai ad uscire?
- Oh bella! Prenderò uno di quei cappotti regalati dal
Municipio, ed uscirò vestito da militare.
- Bella figura! sarà un carnevale!!!
- Un po' di carnevale non guasterà niente! Poi, cambiando tono,
soggiunse: - Guardate, madre: il ladro ne aveva forse più bisogno di me...
forse è già pentito... e se venisse a confessarsi, io mi contenterei del fermo
proposito di non farlo più, e gli regalerei la veste o l'equivalente, gli darei
l'assoluzione in lungo e in largo. Pregate intanto la Madonna che me ne mandi
un'altra.
La coda del diavolo
E « Grappino », al quale evidentemente non garbava che tutti
quei ragazzi corressero appresso a don Bosco, cercò in tutti i modi di
rovinargli l'opera. Nei primi tempi un uragano travolse ben due volte i ponti
della nuova costruzione. Una terza volta un fulmine cadde così vicino da metter
in serio pericolo la vita di don Bosco e dei suoi ragazzi.
Appena la prima costruzione fu ultimata accaddero cose strane e
singolari.
Appena andava a letto, ecco che con rumori strani cercava di
disturbarlo. Erano terribili colpi di pietra, rumori assordanti di ogni genere
su tutto il soffitto della stanza; e quasi non bastasse, una volta gli sollevò
il letto e lo sbatté ripetutamente a terra con veemenza inaudita. Don Bosco, non
potendo più dormire da molto tempo, era dimagrito, e minacciava un'altra
malattia; per cui si decise di farla finita.
Si armò di un quadretto della Madonna, salì con quello sul
solaio, e fece un giro tutto attorno tenendo sollevato il quadro e gridando: -
Diavolo, diavolo, via di qua! Diavolo, diavolo, via di qua!
Poi appese il quadretto al muro e pregò la Madonna di liberarlo
da quei disturbi e scherzi diabolici.
Da quel momento, tutto finì come per incanto, né si udirono più
rumori né voci. Il quadretto stette colà appeso per ben sei anni fino a che
quella casa venne demolita per farne un'altra.
Eppure caleranno...
La casa era divenuta stretta e da tempo don Bosco stava
meditando di comprare la casa vicina di Francesco Pinardi, per poter ampliare
l'Oratorio; ma questi pretendeva una somma assai rilevante.
Caso volle che la sera del 19 febbraio 1851, nell'osteria di
fronte a detta casa, succedesse una rissa violentissima con feriti e
contusi.
Il Pinardi, stanco di assistere a tali scene, si portò tosto da
don Bosco, e gli disse: - Don Bosco! È una cosa che non va più! È una continua
disperazione! Risse e sempre risse!... Se dunque vuol comperare la mia casa,
eccomi disposto a cedergliela.
- E per quanto?
- Per quello che le ho detto: ottanta mila!
- Non posso fare offerte.
- Perché?
- Perché il prezzo è esagerato. - Mi rimetto a lei.
- Me la date per il suo valore? - Parola d'onore!
- Sentite, signore, io l'ho fatta stimare, e mi si assicurò
che, nello stato attuale, vale dalle 26 alle 28 mila. lo ve ne offro 30 mila, va
bene?
- Sia pure! ma pagherà in contanti? - Pagherò in contanti!
- Quando faremo il contratto?
- Quando vi piacerà. - Un'altra settimana? - Come volete.
Si strinsero la mano e si lasciarono.
Ma dove prendere i denari per pagarla?! Ecco il pensiero
assillante di don Bosco in quei giorni. Ricordò in buon punto che il ven.
Antonio Rosminí gli aveva promesso 20 mila lire; ma 20 non erano 30; e le altre
10?
A quelle pensò ancora la stessa Provvidenza.
Ecco d'improvviso capitare all'Oratorio il suo amico e
consigliere don Cafasso, il quale, facendoglisi incontro con festante sorriso,
quasi che i santi si leggessero in cuore, gli disse:
- Sono venuto a portarti una generosa offerta. Sono 10 mila
lire che la contessa Casazza ti manda per le tue opere.
- Deo Gratias! - esclamò don Bosco. - Sono proprio il cacio sui
maccheroni.
Gli raccontò il contratto della casa Pinardi, poi si recò
difilato da questi a dirgli: - Quando volete che facciamo l'istrumento? I
denari sono pronti, e tutti in oro.
La parola stuzzicò il sig. Pinardi, che accettò di andare
subito dal notaio Giuseppe Cotta.
Al momento di firmare, don Bosco tirò fuori il suo sacchettino
e spiattellò, l'una sull'altra, le 30 mila lire d'oro.
Ma... le spese per il contratto? e il regalo promesso alla
signora del Pinardi? Restavano 3500 lire da sborsare. Don Bosco, che non vi
aveva pensato, restò un istante perplesso, ma il suo buon umorismo cambiò subito
la momentanea confusione in amenità. Prese a scuotere il sacchetto che ancora
teneva in mano dicendo: - Spero che caleranno... Devono calare!
Notaio e testimone scoppiarono in una risata, ed il sig. Cotta,
grande benefattore di don Bosco, esclamò: - Vuol dire che le 3500 lire le
aggiungerò io; va bene così?
- Vedete un po' se sono calate! - continuò don Bosco. - Oh! lo
sapevo che la Provvidenza non m'avrebbe lasciato negli imbrogli!
L'ospizio fallito
Una sera dell'aprile 1847, rincasando a tarda ora dalla visita
a un malato, mentre appunto pensava a tanti poveri giovani che, privi di tetto,
vagavano tutta la notte in cattive compagnie, venne ad imbattersi in un
crocchio di ragazzetti i quali, al vedere un prete, incominciarono a lanciar
frizzi poco gentili.
Don Bosco avrebbe voluto evítarli; ma, accortosi che non era
più in tempo, pensò di fare buon viso a cattiva sorte, e avvicinatosi, li salutò
dicendo: - Buona sera, miei cari amici, come state?
- Poco bene, signor Teologo. Abbiamo sete, e non abbiamo
quattrini - rispose uno.
- Non ci offrirebbe una pinta (doppio litro)? - soggiunse un
altro.
- Sì, sì, una pinta! - presero a gridare gli altri in coro; ci
paghi una pinta. - E lo accerchiarono in modo da impedirgli il passo.
- Ben volentieri! ma voglio bere anch'io in vostra
compagnia.
- Sicuro! Oh che buon prete! Se tutti i preti fossero così!
- Andiamo dunque alla trattoria delle Alpi qui presso.
Don Bosco fa portare una, poi un'altra bottiglia, e quando li
vede mansueti e benevoli, dice: - Ora mi dovete fare un piacere.
- Dica, dica; non uno, ma due, ma tre!... D'ora in avanti
vogliamo essere suoi amici.
- Ebbene, ora tornate alle vostre case. Domenica poi, vi
attendo tutti all'Oratorio.
- Ma noi non abbiamo casa. Dormiamo qua e là nelle stalle, sul
fieno.
- Allora, facciamo così: venite con me, e per questa sera ci
aggiusteremo alla meglio.
Seguito da quel gruppo che si sarebbe detto di malandrini,
arrivò a casa, e li consegnò a mamma Margherita dicendo: - Madre, ecco i primi
ospiti, pensate a ricoverarli. Fatto recitar loro il Pater Noster e l'Ave Maria
che avevano dimenticato, per una scala a piuoli li condusse sul fienile, diede a
ciascuno una coperta ed un lenzuolo, e raccomandando loro il silenzio e il buon
ordine, scese soddisfatto e contento, credendo di aver così dato principio
all'ideato ospizio.
Così però non la pensava il Signore, né di tal gente voleva
servirsi la Provvidenza.
Fattosi appena giorno, don Bosco esce di camera per destare i
suoi amici e dir loro una buona parola. Con meraviglia, non ode rumore; li crede
addormentati; li chiama, poi sale per svegliarli; ma che?!
I mariuoli se l'erano svignata, portandosi via coperte e
lenzuola. Il suo tentativo era andato fallito!
Fulmine provvidenziale
Altri giovani vennero a bussare alla porta di don Bosco in
cerca di pane e d'alloggio, e don Bosco e la mamma si ingegnarono in tutti i
modi per ricoverarli. Ma ben presto ogni posto fu occupato; perfino la cucina si
tramutava di notte in dormitorio.
Come fare? Adocchiò una casa li presso, e la domandò in
affitto.
La padrona, signora Vaglienti, gli chiese un prezzo
esorbitante, e dopo lungo disputare, si stava per rompere le trattative, quando
un caso affatto singolare tolse di mezzo ogni difficoltà.
Il cielo, che si era improvvisamente rannuvolato, divenne
scuro scuro, ed ecco che si vede all'improvviso un guizzo di lampo vivissimo, e
poi si sente un colpo di fulmine così gagliardo da far tremare la casa dalle
fondamenta al tetto. La signora, sbalordita, si volge tremante a don Bosco ed
esclama: - Se Dio mi salva dal fulmine, le concederò la casa per la somma che
lei mi offre!
Aveva appena finito di parlare che il cielo si rischiara e
appare un bel sole.
Don Bosco non pone tempo in mezzo. Acquista la casa e subito «
è uno spettacolo vedere alla sera le stanze illuminate, piene di ragazzi e di
giovani. In piedi dinanzi ai cartelloni, con un libro in mano, nei banchi
intenti a scrivere, seduti per terra a scarabocchiare sui quaderni le lettere
grandi ».
Alcuni confratelli sacerdoti sono venuti ad aiutarlo. La
faccenda della sua « fissazione » si è spenta da tempo. Quando don Bosco ha
un'idea fissa - dicono i ragazzi - è capace di sputar sangue per
realizzarla.
Anche la Marchesa di Barolo ha cambiato idea e gli manda
generose offerte « per i suoi monellacci ».
Vino del santo nome di Dio
L'appetito viene mangiando, dice il proverbio. Ebbene, questo
è appunto il caso di don Bosco. Comperata la casa, sente tosto il bisogno di
dare principio ad una chiesa, ove radunare comodamente in preghiera tutti i suoi
ragazzi, e dice a mamma Margherita: - Madre, ora voglio innalzare una bella
chiesa in onore di san Francesco di Sales nostro protettore.
- Ma dove prenderai i soldi?... Lo sai che non abbiamo più
nulla... tutto ci divorano questi poveri figlioli! Pensaci bene prima; intenditi
con il Signore. - È appunto quello che faccio. Il Signore è tanto buono... del
denaro Egli ne ha per tutto il mondo. Niente paura!
Chiamato pertanto l'architetto Blanchier lo pregò di fargli il
disegno. Chiamato poi l'impresario Federico Bocca gli affidò i lavori e tosto
una trentina di muratori e manovali si accinsero all'opera.
Tra questi muratori, ve n'erano alcuni che, tratto tratto, si
lasciavano sfuggire qualche bestemmia che feriva l'orecchio di don Bosco e di
sua madre, i quali li pregavano di non bestemmiare. Ma essi si scusavano
dicendo: - Che volete!... è l'abitudine... ci sfuggono contro la nostra
volontà... è impossibile vincersi.
- Ebbene, faremo così - disse loro don Bosco - se non
bestemmierete, ogni sabato vi regalerò un bicchiere o due di vino.
Questo linguaggio fu più potente e persuasivo d'ogni predica, e
per l'amore del vino, promisero e mantennero la parola. Per più di un anno,
mamma Margherita, ogni sabato, recava loro un barilotto di vino, e quando
chiedevano: - Mamma Margherita, che vino è questo? Essa rispondeva: - È vino
del santo nome di Dio!
Mangerò un cane
Quando don Bosco lanciò l'idea di costruire la chiesa, un suo
collega, don Cogliotti, gli lanciò questa sfida: - Povero don Bosco, se tu
riuscirai a costruire una chiesa, come dici, io mangerò un cane!
Di chiese, don Bosco ne costruì non una ma decine in diverse
parti d'Italia; ma don Cogliotti di cani non ne mangiò neppure uno.
Il Santo, incontrandolo altre volte, gli diceva ridendo: -
Eh!... Cogliotti, e il cane?...
La chiesa di san Francesco di Sales fu consacrata il 22 giugno
1852. Fu la chiesa-madre, la « Porziuncola » della Famiglia salesiana, il cuore
pulsante di Valdocco fino al 1868, quando fu consacrato il sontuoso santuario
dedicato a Maria Ausiliatrice.
Un caffè dal boia
Dopo la morte di san Giuseppe Cafasso (23-6-1860) era divenuto
confessore delle carceri, e vi si recava ogni settimana per tale ufficio.
Un giorno, dopo aver atteso per più ore alle confessioni, uscì
nei corridoi talmente spossato, che quasi più non ci vedeva; ed invece della
porta di uscita, infilò la porta dell'alloggio del boia, e si trovò davanti ad
un uomo, una donna ed una loro ragazza che stavano cenando.
Accortosi dello sbaglio, fece buon viso a cattiva sorte, e
disse disinvolto: - Sono molto stanco e ho bisogno di una tazza di caffè:
avreste la bontà di favorirmelo?
- Ma sì! Venga pure avanti, reverendo, si accomodi.
L'uomo porge una sedia, e la donna e la figlia s'accingono a
preparare una tazza di caffè.
Il carnefice intanto continuò: - Ma lei, reverendo, sa in casa
di chi è venuto? - Certo in casa di un brav'uomo.
- Eppure, lei si trova in casa del boia!
- Che importa? so che siete un bravo cristiano, e questo mi
basta. Voglio che siamo amici.
Quel povero uomo, che non si era mai sentito trattare così bene
da persona distinta, cadeva dalle nuvole e si sprofondava in mille gentilezze.
Venne intanto il caffè, e siccome fu recata una tazza sola, don Bosco s'affrettò
a chiederne una seconda, dicendo: - Oh!... bisogna che lo prendiamo insieme.
- Questo poi no! - rispose il carnefice. - Io che mando la
gente all'altro mondo, prendere il caffè con lei, che la manda in
Paradiso?...
- Appunto, appunto! fra tutt'e due, compiamo un'opera salutare;
voi riguardo alla società ed io riguardo a Dio.
La seconda tazza fu portata; il Santo la porse al boia, ed
entrambi lo sorbirono allegramente. Né sarà stata l'ultima, giacché da quel
giorno anche il carnefice s'univa ai carcerati a confessarsi e fare la
comunione, fino a che lasciò di praticare quel poco glorioso mestiere.
Il Santo si compiaceva di raccontare l'episodio toccatogli, e
finiva col dire: - Dunque, io e il boia siamo due buoni amici.
Con i discoli della « Generala »
Nel 1855, don Bosco aveva predicato gli esercizi spirituali ai
ragazzi rinchiusi nella « Generala » di Torino, l'istituto correzionale per i
discoli.
La mattina della Comunione generale chiese ed ottenne dal
Ministro dell'Interno, Urbano Rattazzi, il permesso di condurli tutti in numero
di 350 ad una passeggiata fino a Stupinigi, distante sei chilometri da Torino.
La più schietta allegria durò per tutta quella giornata di libertà; e quando,
alla sera, li ricondusse a casa, nessuno mancò all'appello.
Impossibile immaginare le meraviglie di tutti, del personale,
del Direttore e dello stesso Ministro, ed il chiedersi come mai un povero prete
solo, senza guardie e carabinieri, avesse potuto tener a bada un sì grande
numero di corrigendi.
Il Santo prese occasione per spiegare i vantaggi del suo
sistema di educazione; e quei signori ne furono talmente persuasi che, pochi
giorni dopo, gli fecero la proposta di accettare la Direzione dell'istituto.
Don Bosco, però, si scusò col dire: - Miei cari signori, non posso perché, col
mio sistema, farei di questi giovani altrettanti preti e frati, e voi non ne
sareste contenti.
O religione o bastone
Un ministro inglese, desideroso di far conoscenza con don Bosco
del quale sentiva tanto parlare, e anche desideroso di apprenderne il metodo di
educazione, si recò nel 1855 a Torino, e chiese di visitare l'Oratorio
Salesiano.
Lo ricevette don Bosco stesso, che lo accompagnò in giro per
quella grande casa.
La meraviglia del ministro cresceva di mano in mano che
attraversava laboratori e reparti. Ma quando fu introdotto nel gran salone ove
attendevano allo studio, con la massima serietà e nel più perfetto silenzio,
oltre cinquecento giovani con la sola assistenza di due chierichetti, la
meraviglia si cambiò in stupore, e rivolto al Santo esclamò: - Reverendo, non sa
che questo è uno spettacolo magnifico? Mi dica di grazia, quale è il segreto per
ottenere tanto silenzio e tanta disciplina? Me lo dica, perché io voglio
prenderne nota, e riportarlo in Inghilterra.
- Signor ministro - rispose don Bosco - il mio segreto non
serve per loro.
- E perché?
- Perché è un segreto dei cattolici, mentre voi siete
protestanti. Il mio segreto è la Confessione frequente e settimanale.
- Se è così, noi manchiamo davvero di questo potente mezzo di
educazione. Ma non si potrebbe supplire altrimenti?
- Eh no! Se non si usa questo elemento di religione, è
necessario ricorrere al bastone.
- Dunque, Padre: o religione o bastone?
- Sì, o religione o bastone! - rispose don Bosco ridendo.
- Bene, bene. O religione o bastone! Ho capito; voglio
raccontarlo a Londra.
Addio, mamma Margherita
Da qualche tempo era morta mamma Margherita (25 novembre 1856),
ma don Bosco sempre la ricordava con viva commozione. Un giorno del 1860 la
rivide in una visione fugace, ma consolantissima: era tutta agile e sorridente,
ed egli le disse: - O madre, voi qui? Ma non siete dunque morta? - Sì, sono
morta - rispose la madre - ma vivo! - Siete felice?
- Felicissima! - In Paradiso?
- In Paradiso, quantunque sia passata per le fiamme del
Purgatorio.
- Vi sono dei nostri giovani in Paradiso? - S?, tanti. - E ne
nominò parecchi. - E che cosa si gode lassù?
- Tu mi chiedi l'impossibile, perché ciò che si gode quassù
nessuno mai lo potrà né dire né esprimere. Improvvisamente fu avviluppata da una
luce di inesplicabile bellezza, ed esclamando « Giovanni, ti aspetto per
restare sempre uniti » disparve nell'armonia di un canto di voci angeliche. Don
Bosco, raccontando ai suoi figlioli questa visione, diventava come ispirato, e
finiva sempre col ripetere: - Oh! la rivedrò sì, la madre mia, e la vedrete
anche voi se saremo perseveranti nel servizio del Signore. Coraggio, adunque;
allegri, e mai peccati!
La grande chiesa sognata
Nel 1863 don Bosco volle dare principio alla magnifica chiesa
di Maria Ausiliatrice, e le maggiori difficoltà gli vennero dal Municipio.
Portato il disegno per l'approvazione, il Capo Ingegnere non
volle approvarlo dicendo: - Ma questo titolo di « Ausiliatrice » è
impopolare... inopportuno! Sa troppo di bigottismo. Insomma non è adatto ai
tempi!
- Ebbene - rispose don Bosco - eliminiamo il titolo.
- E quale altro titolo metterà al posto? - Questo sta a me
trovarlo.
- Ci pensi, dunque.
- Per ora, non ne ho nessuno, e così sarò in libertà di darle,
a suo tempo, il titolo che mi parrà meglio.
- Ma lei trama un inganno!
- Qui non c'è inganno. Lei non vuole approvare il titolo e non
l'approva; io glielo voglio dare e glielo darò; così saremo contenti tutti e
due, perché tutti e due avremo compiuto i nostri desideri.
L'ingegnere sorrise e sebbene a malincuore approvò. « Di qui la
mia gloria! »
Don Bosco affidò il progetto del nuovo santuario
all'architetto Antonio Spezia che lo sviluppò in forma di croce latina sopra
una superficie di 1200 mq, con una lunghezza di m 48. Era prevista la cupola,
con intorno la scritta da lui veduta in sogno: « Di qui la mia gloria! ».
Bisognava sentire le meraviglie della gente che accorreva a
vedere la grandiosità dell'impresa.
- Come farà don Bosco ad andare avanti? - Dove prenderà i
denari?
- Si caricherà di debiti! - Avrà trovato un tesoro! - Finirà
con una bancarotta! - È una pazzia!... Una temerità!!! Il Santo sentiva, taceva
e continuava.
Compiuto lo sterro, si pose la prima pietra con una grandiosa
funzione; e appena finita, rivolto al capo mastro Carlo Buzzetti disse: - Bravo
Buzzetti: ti voglio subito dare un acconto per i grandi lavori. Non so se sarà
molto, ma è tutto quello che ho.
Così dicendo, tirò fuori il borsellino, l'aprì e lo versò
capovolto nelle mani del capo mastro,. che credeva di averle piene di
marenghi.
Ma quale non fu la sorpresa sua e di tutti, al vedere la somma
di otto poveri soldi!
E don Bosco, soggiunse: - Sta' tranquillo: la Madonna ci
penserà e provvederà Lei il denaro per la sua chiesa.
Così avvenne difatti. La chiesa di Maria Ausiliatrice costò
oltre un milione, ma la Madonna aiutò a pagar tutto con grandi e continui
miracoli. Don Bosco soleva dire: - Ogni mattone di questa chiesa è una grazia
della Madonna.
Grazie ottenute con la medaglia
Don Bosco confidava molto in Maria Ausiliatrice e ne diffondeva
la medaglia.
Un giorno si presentano a lui cinque dei suoi primi chierici,
assai sconsolati per essere richiamati al servizio militare. Don Bosco li guardò
sorridendo, ed esclamò: « O soldati di polenta! Che cosa ne farà di voi il
governo? ». Poi, tirato fuori il suo portamonete, ne trasse 5 medaglie benedette
e le distribuì loro dicendo: « Prendete, tenetele preziose, riportatemele fra
pochi giorni ».
Il giorno fissato, si presentarono al distretto, e si
sentirono dire che si trattava di uno sbaglio. Ritornassero pure ai loro
studi.
Corsero giubilanti a portare la medaglia a don Bosco, che
sorridendo esclamò: « L'avete provata la potenza e la bontà di Maria
Ausiliatrice?! ».
Un altro giorno ricevette una lettera da una signora d'America
che diceva: « Reverendo don Bosco, è la terza volta che tento l'impianto di una
vigna in queste regioni, ma sempre senza esito.
Senza esito. Chiedo a lei una benedizione speciale per riuscire
nell'intento ».
Don Bosco le spedì tosto un pacco di medaglie di Maria
Ausiliatrice, con accluso un biglietto che diceva: « Ecco la benedizione
speciale che vossignoria mi chiede per l'impianto della sua vigna.
Ritenti la prova mettendo in capo ad ogni filare una delle qui
unite medaglie, ed abbia fiducia in Maria Ausiliatrice ».
La buona signora seguì il consiglio di don Bosco. Ritentò la
prova, e vide il miracolo.
La vigna attecchì ottimamente, ed a suo tempo diede frutti mai
veduti in quei paesi.
LA VITA NELL'ORATORIO
Si moltiplicano le ostie
Il giorno della Natività di Maria Santissima del 1847, circa
650 giovani erano stati confessati ed erano pronti per la Comunione.
Don Bosco incominciò la Messa e la continuò, credendo che nel
tabernacolo vi fossero le Ostie consacrate. La pisside invece era quasi vuota,
ed il sacrestano si era dimenticato di mettere sull'altare l'altra pisside da
consacrare.
Giunto alla Comunione, don Bosco s'accorse della dimenticanza
del sacrista; ma come fare? Non c'era rimedio! Alzò gli occhi al cielo, trasse
un gran sospiro, poi cominciò e continuò la Comunione a tutti, come se nulla
fosse; e le particole si moltiplicarono nelle sue mani, in modo che poté
comunicare tutti, senza spezzare neppure una particola.
Interrogato poi dai suoi giovani come avesse fatto,
tranquillamente rispose: - Oh bella! Per la dimenticanza del sacrestano, aveva
forse da restarne disgustato Gesù, che desiderava tanto venire nei vostri
cuori?
... e le castagne
La domenica dopo la festa dei Santi del 1849, si era fatto
nell'Oratorio l'esercizio della buona morte, ossia la confessione e la comunione
da tutti i giovani interni ed esterni. E alla sera, don Bosco li condusse a
visitare il camposanto, con la promessa di regalare loro le castagne quando
fossero ritornati.
Mamma Margherita ne aveva comperati tre sacchi; ma poi,
pensando che mezzo sacco sarebbe bastato per far divertire quei giovani, si
limitò a far cuocere quelle.
Ritornati i giovani, e schieratisi come soldati in attesa, don
Bosco si accinse alla distribuzione, riempiendo ad ognuno il berretto.
- Che fai! - gli gridò allora la madre. - Non ne abbiamo
abbastanza!
- Ma sì!... - soggiunse don Bosco; - ne abbiamo tre sacchi!
- Ma le altre non sono cotte!
- O cotte o non cotte, continuiamo come abbiamo cominciato!
E continuò realmente a dare ad ognuno pieno il berretto.
Intanto il cesto si vuotava; non ve ne erano più che poche manate, e i giovani
erano ancora molti.
Alle grida di gioia, successe a poco a poco un silenzio
d'ansietà: tutti temevano di restar senza.
Ma don Bosco, che non si sgomentava mai, li incoraggiava
dicendo: - Le migliori stanno in fondo. Niente paura!
E rimboccatesi le maniche, continuò a cacciare le mani nella
cesta e riempire i berretti. Per quante ne cavasse, non diminuivano mai; di
modo che tutti furono serviti, e quando si portò il cesto in cucina, ne rimaneva
ancora la porzione di don Bosco e quella della mamma.
In quella sera, nel cortile e sulle vie, fu un grido solo: -
Don Bosco ha moltiplicato le castagne.
In memoria di questo fatto, in tutte le case di don Bosco, si
distribuiscono, la sera dei Santi, le castagne lessate.
Placido sonno
Era la viglia di una solennità, don Bosco era sempre pronto ad
ascoltare, con ammirabile pazienza, quanti giovani gli si presentassero per
confessarsi, aprirgli il loro cuore, o togliersi qualche inquietudine
dall'animo. Quella sera confessava nella sacrestia, e quantunque s'appressasse
la mezzanotte, molti dei suoi ragazzi aspettavano ancora il loro turno.
Affaticato per il duro lavoro della giornata e spossato per la
veglia della notte antecedente, fu a poco a poco vinto dal sonno, e la sua testa
venne piano piano a posarsi sulla spalla del piccolo penitente che si stava
confessando.
Il fanciullo fu dapprima meravigliato; ma poi, contento di
fare come da sostegno a un tanto padre, si guardò bene dal fare il più piccolo
movimento, e anzi, prese a dormire anche lui placidamente.
Gli altri giovani schierati intorno, vedendo prolungarsi
soverchiamente l'attesa, s'addormentarono a loro volta: e così, confessore e
penitenti facevano, senza saperlo, a chi dormiva meglio.
Sono le due del mattino ed il povero don Bosco si risveglia di
soprassalto. Con stupore, misto a meraviglia ed umiliazione, guarda di
intorno... Il piccolo penitente ha il capo reclinato sull'inginocchiatoio e
riposa saporitamente. Don Bosco si alza leggero leggero e va a dare uno sguardo
al posto dove attendevano gli altri. Sono ancora là, ma anche loro dormono. Che
fare? Rientra in confessionale. Sveglia il piccolo penitente e lo manda a
dormire. Ripete la stessa cosa ad uno ad uno e li manda a letto, rimettendo le
confessioni a giorno fatto.
Ho perduto i peccati
Un giorno fu condotto dinanzi a don Bosco un suo giovanetto
tutto piangente.
Costui, desideroso di fare la sua confessione generale con la
maggior precisione possibile, aveva scritto i suoi peccati e ne aveva riempito
un quadernetto. Ma, non si sa come, aveva perduto il volumetto delle ingloriose
sue gesta, e per quanto frugasse in ogni tasca, il manoscritto più non lo
trovava, ed a nessuno voleva palesare il motivo della sua desolazione.
Don Bosco, fattolo appressare a sé, prese ad interrogarlo: -
Che hai, caro Giacomino? Ti senti male? Hai dispiaceri?... Ti hanno
picchiato?...
Il ragazzo, preso un po' di coraggio, rispose: - Ho perduto i
peccati!
A queste parole, i compagni, ed anche don Bosco, diedero in uno
scroscio di risa; ma poi il Santo soggiunse: - Te felice, se hai perduto i
peccati! e felicissimo se non li troverai mai più, perché, senza peccati, andrai
sicuro in Paradiso!
Giacomino, credendo di non essere stato inteso, alza gli occhi
rigonfi a guardare il buon padre, e grida: - Ho smarrito il quaderno dove li
avevo scritti! Allora don Bosco che aveva trovato il quadernetto, trattolo di
tasca, esclama: - Sta' tranquillo, mio caro; i tuoi peccati sono caduti in
buone mani. Eccoli qui!
A quella vista il poveretto si rasserenò, e sorridendo
concluse: - Se avessi saputo che li aveva trovati lei, invece di piangere, mi
sarei messo a ridere; e questa sera, venendo a confessarmi, avrei detto: «
Padre, io mi accuso di tutti i peccati che lei ha trovato e che tiene in tasca
».
Battaglia nell'orto
Si era al tempo delle prime guerre dell'Indipendenza Italiana
(1848-49), ed anche nei giovani si era infuso un fermento bellico da non
dirsi.
Don Bosco, che sapeva servirsi di tutto per attirare
maggiormente i fanciulli, permetteva che si facessero anche nell'Oratorio delle
guerricciole innocenti con bastoni, fucili e sciabole di legno.
Un giorno, essendo molti ragazzi schierati in ordine di guerra,
datosi l'ordine dell'attacco, l'impeto fu così veemente che la mischia si
spinse, senz'avvedersene, fin oltre il cortile, giù giù nell'orto di mamma
Margherita.
Smantellata la siepe, tutti pesti i seminati e sciupati i
raccolti, quell'orto divenne una desolazione. Mamma Margherita, accorsa tutta
affannata, ne faceva le lagnanze con quei guerrieri in erba, senza potersi dar
pace di tanto sciupío. E don Bosco a lei:
- O madre, che volete farci; sono giovani! Chiamato poi il
generale, il quale se ne stava tutto confuso in tanta gloria, gli fece animo con
le più dolci parole, e tratto fuori un grosso cartoccio di caramelle glielo
diede dicendogli: - Prendi, distribuisci ai vincitori e ai vinti, ma non dite
nulla alla mamma perché non mi bastoni.
E se morissi stanotte?
Da qualche tempo don Bosco usava le più delicate cure per un
ragazzo dell'Oratorio che, a dispetto di tutto, si manteneva chiuso e si
dimostrava ritroso ed ostinato.
Il Santo ricorse allora ad uno stratagemma. Preso un foglietto
di carta, vi scrisse sopra queste parole: « E se morissi stanotte? », e andò a
deporlo tra il lenzuolo e il guanciale di quel poveretto.
Venuta la sera, tutti vanno a dormire, ed anche il nostro
giovane si sveste e fa per mettersi a letto. Ma gli salta agli occhi quel
foglio.
- Oh! Che sarà mai?
Lo prende, lo legge e lo rilegge: « E se morissi stanotte? Don
Bosco ».
- Ma don Bosco è un Santo... conosce l'avvenire... chissà che
non debba essere così?! E se morissi davvero?!... Ma io non voglio morire...
no!...
Intanto si corica, si copre per bene, e tenta di
addormentarsi. Ma che!... addormentarsi in quello stato? Con quelle parole che
lo pungono come acuta spina? È impossibile!
Si volta e rivolta, e chiude stretti gli occhi: tutto inutile.
Sente più vivo il suono di quelle parole; gli par di vedere realmente lì,
dinanzi a sé, la morte, il Divin Giudice, l'inferno. Un brivido l'assale, e,
tutto in un sudore, esclama: - Povero me! ma io non voglio andare all'inferno;
voglio confessarmi.
Si raccomanda alla Madonna, si alza, si veste pian piano,
discende le scale, attraversa i corridoi, sale alla stanza di don Bosco, e
picchia.
Il Santo, che l'attendeva, apre e lo introduce dicendogli: -
Oh, se sapessi quanto di cuore ti ho atteso! Fatta la sua confessione dolorosa e
sincera, se ne ritornò tranquillo e felice a letto.
Non gli ho firmato il passaporto
Uno dei migliori giovani dell'Oratorio era caduto gravemente
ammalato.
Don Bosco era assente. Al suo arrivo, superiore e giovani gli
vanno incontro, pregandolo di correre subito al letto del moribondo.
Don Bosco, per nulla allarmato a quella notizia, non s'affrettò
punto. Anzi, disse sorridendo: - Eh, no! Davico non muore: non gli ho ancora
firmato il passaporto.
Giunto poi presso il malato che era in delirio, si chinò e gli
disse una parola all'orecchio; poi fece inginocchiare i presenti perché
pregassero Savio Domenico, di cui Davico portava il nome. Appena finita quella
breve preghiera, il malato s'alza a sedere sul letto ed esclama: - Sono
guarito!... sono guarito!
- Ebbene, vieni a cena con me - soggiunse don Bosco fra le
meraviglie di tutti.
Pareva una follia far alzare uno ed invitarlo a cena, mentre
poco prima era moribondo...
Il giovane si alzò, andò a cena con lui, e quella sera vi fu
grande allegria, perché tutti vedevano che Davico stava benissimo.
Risuscita un morto
Nel 1849 cadeva gravemente ammalato un giovane sui 15 anni di
nome Carlo, che frequentava l'Oratorio come esterno.
Era figlio dell'albergatore di una vicina trattoria e, quando
il medico lo diede spacciato, si pensò di chiamargli un sacerdote. Carlo voleva
don Bosco, suo confessore solito, e don Bosco era fuori Torino. Nella notte il
ragazzo morì, sempre chiamando don Bosco.
Quando questi giunse e seppe di Carlo si affrettò a quella
casa. Quando vi giunse, il cameriere gli si fece incontro, singhiozzando.
- Troppo tardi, don Bosco, troppo tardi! Carlo è morto
stanotte.
- Ma che?!... Egli dorme.
E siccome il cameriere lo guardava con aria ironica, soggiunse:
- Volete scommettere una pinta, che Carlo non è morto?
In quel mentre, sopraggiunsero gli altri di casa, che piangendo
gridarono: - Sì, sì! è proprio morto! Ah!... il povero Carlo non è più!
- Andiamo a vedere - continuò il Santo. E subito fu condotto
nella camera dove il cadavere, già vestito dei suoi abiti, era ricoperto di un
velo bianco.
Don Bosco si appressò, fece una fervida preghiera, poi disse ai
presenti: - Ritiratevi un momento; lasciatemi solo con lui. Dopo quella
preghiera, in tono di comando lo chiamò:
- Carlo... Carlo... alzati!
A quella voce, il giovane si muove, e come svegliandosi da un
profondo sonno, apre gli occhi, li volge attorno, e dice: - Dove sono? Oh don
Bosco!... è proprio lei?... Se sapesse quanto l'ho sospirato!... Ho bisogno di
lei; ha fatto bene a svegliarmi.
Intanto la madre, che origliava, udita la voce del figlio, si
precipitò nella stanza. Don Bosco gridò: - Aspettate, non è ancora tempo. Andate
a richiamare la famiglia; vi avvertirò io.
Rivolto di nuovo a Carlo, continuò: - Sono qui per te; di' pure
tutto quello che vuoi. - Oh, don Bosco! Io dovevo essere all'inferno! L'ultima
volta che mi confessai, non osai palesare un peccato. Ora, ho fatto un sogno
spaventoso. Ho sognato di essere sull'orlo di un'immensa caverna... molti demoni
mi spingevano, volevano precipitarmi dentro, quando ho sentito la sua voce.
Voglio confessarmi!
E cominciò subito la sua confessione coi segni del più grande
pentimento. Appena finito, ad un cenno di don Bosco, rientra la madre con tutti
quei di casa, e Carlo, volgendosi a loro, grida: - Don Bosco mi ha salvato! Mi
ero confessato male. Don Bosco mi ha salvato dall'inferno!
Stette circa due ore, pienamente padrone della sua mente,
rispondendo a tutte le interrogazioni. Ma intanto, per quanto si muovesse e
parlasse, il suo corpo era sempre freddo, la sua faccia cerea, i suoi occhi
smorti e smarriti.
Finalmente, don Bosco gli disse: - Ora sei in grazia di Dio. Il
Paradiso è aperto per te... vuoi andare lassù, o rimanere con noi?
E Carlo rispose risoluto e festante: - Desidero andare in
Paradiso! Arrivederci in Paradiso!!!
E si lasciò cadere sul guanciale, immobile, ríaddormentato nel
Signore.
La fama di questo fatto durò viva per molti anni; tutti ne
parlavano, e da tutti si conosceva il posto, l'insegna di quella locanda, il
nome e il cognome del giovane e della famiglia.
Guai a Torino!...
Tra i giovani dell'Oratorio v'era un certo Gabriele Fassio
tredicenne, di illibati costumi e di grande pietà. Don Bosco ne aveva grande
stima, e spesso esclamava: - Oh quanto è buono!... Ma presto morrà! E fu
profeta.
Caduto ammalato e ridotto agli estremi, dopo aver ricevuto
tutti i conforti religiosi, come ispirato dall'alto, si pose a gridare: - Guai a
Torino!... Guai a Torino!
Ai compagni che l'assistevano e che domandarono il perché di
quel guai, rispose: - Un orribile terremoto! - Quando sarà?
- Il 26 aprile... Guai a Torino!
- Che cosa dobbiamo fare?
- Pregare san Luigi che protegga l'Oratorio e quelli che lo
abitano.
Poco dopo moriva santamente, e i giovani dell'Oratorio presero
ad aggiungere alle orazioni del mattino e della sera un Pater, Ave, Gloria ad
onore di san Luigi, con la invocazione: « Ab omni malo libera nos, Domine ».
Venne il 26 aprile 1852. Sul mezzogiorno, un rombo tremendo,
udito a quindici miglia all'intorno, faceva traballare la città, sgangherando
usci e porte e finestre, e non lasciando un vetro intatto.
Era scoppiata la polveriera, e poco mancò che riducesse Torino
in un cumulo di rovine.
La casa dell'Oratorio, che distava appena 500 metri dalla
polveriera, restò intatta, ed i giovani, fuggiti nelle vie e nei prati vicini,
furono tutti salvi. Don Bosco fece stampare un'immagine ricordo, nel cui sfondo
si vedevano la città di Torino e la polveriera in fiamme, in alto la Vergine
della Consolata, e sul davanti giovani inginocchiati, rivolti a Maria. Sotto,
si leggeva questa strofa: Noi dalle accese polveri
Per tua mercé scampati Ai piedi tuoi, gran Vergine, Grazie
rendiam prostrati.
Il Santo e i suoi giovani, cantando sovente questa lode,
finivano con un grido di Evviva alla Vergine Ausiliatrice che li aveva scampati
da un tanto pericolo.
Il colera del 1854
Sul principio dell'agosto 1854 scoppiò in Torino il colera. Don
Bosco l'aveva preannunziato, e già fin dal mese di maggio aveva detto ai suoi
giovani: - Quest'anno ci sarà il colera a Torino, e vi farà grande strage; ma se
voi farete ciò che vi dico, sarete salvi.
- E che cosa dobbiamo fare?
- Prima di tutto, vivere in grazia di Dio; poi, portare al
collo una medaglia che io benedirò e darò a tutti, e recitare un Pater, Ave e
Gloria ad onore di S. Luigi.
I casi di colera salirono ben presto a cinquanta al giorno. In
tre giorni superarono i 1400. La regione più afflitta fu quella di Valdocco, ove
si trovava appunto l'Oratorio; e mentre molte famiglie furono interamente
distrutte, dei giovani e del personale dell'Oratorio nessuno fu menomamente
toccato, quantunque una gran parte si fossero offerti di andare ad assistere i
colerosi nelle case e nei lazzaretti.
Don Bosco, che loro andava ripetendo: « Se non farete peccati,
io vi assicuro che nessuno sarà toccato », fu veramente profeta.
Berta in sacco
Un giovane di nome Pietro, che era stato parecchi anni con don
Bosco all'Oratorio, fini con cadere nelle reti dei Valdesi e ascriversi alla
loro setta.
Essendosi gravemente ammalato, questi si erano piazzati accanto
al suo letto per impedirgli di chiamare il prete cattolico.
Don Bosco, saputolo, corse alla casa dell'infermo. Gli apre un
pastore, che gli dice:
- Chi cerca, signor Abate?
- Cerco di parlare al povero ammalato.
- Non può ricevere nessuno; è rigorosamente proibito dal
medico.
- Il medico, certamente, non intende di estendere a me la sua
proibizione; mi lasci passare, farò una semplice commissione.
Così dicendo, si fa strada ed entra esclamando: - O Pietro mio,
come stai?! Ti ricordi ancora di me? Mi riconosci?!
- Sì... lei è don Bosco, l'antico amico della mia anima!
Il pastore a questo punto grida a don Bosco: - Insomma la prego
di ritirarsi. Lei non ha niente a che fare con questo giovane.
- Ho invece molto da fare e da dire con lui! E lei chi è, che
comanda qui dentro?
- Io sono un ministro valdese.
- Ed io sono don Bosco, il direttore dell'Oratorio di
Valdocco.
- Ebbene, che cosa vuole da questo ragazzo?
- Voglio aiutarlo a salvarsi l'anima, mentre lei lo vuole
perdere.
- Ma egli non ha nulla a che fare con lei. - E perché mai?
- Perché si è ascritto alla Chiesa Valdese.
- Io l'ho scritto prima di lei nel catalogo dei miei figli.
- Ma lei turba la coscienza di questo povero infermo, ed avrà
a pentirsene.
- Quando si tratta di salvare un'anima, non temo
conseguenze.
- Ripeto che lei deve andarsene subito di qui. Sappia, signor
Abate, che io ho l'autorità!
- Ed io ripeto che rispetto tutti, ma non temo nessuno, perché
sono sicuro che l'infermo è pentito di aver dato il nome alla vostra setta, e
desidera morire cattolico.
- Questa è una seduzione, una menzogna! - grida più forte il
ministro. E volgendosi al malato l'interroga: - Non è vero, Pietro, che volete
continuare nella chiesa evangelica?
- No! - rispose il giovane. - Io sono cattolico, e voglio
vivere e morire da cattolico.
A questa aperta e franca confessione, il ministro se ne andò
gridando: - Ritornerò a tempo migliore!
- Il tempo migliore è appunto questo – soggiunse don Bosco
accompagnandolo alla porta. Quindi rivolto al giovane, con aria sorridente e
rassicurante, gli disse: - Vedi, Pietro, che gli abbiamo fatto mettere Berta in
sacco (che gli abbiamo chiuso la bocca)? Oh, quanto è buono il Signore!... Sappi
essere fedele.
Lo confessò e gli ridiede la pace. Il giovane, guarito da
quella malattia, rimase poi fedele alla sua fede.
Abito grande e porta stretta
Una signora dell'aristocrazia torinese, amante dei poveri e
generosissima con loro, era solita recarsi ogni mese da don Bosco a fargli le
sue offerte.
Un giorno si presentò vestita d'un'ampia veste con crinolina,
come s'usava allora, e volendo entrare nella stanza di don Bosco, la cui
invetriata era aperta solo per metà, si ruppero le laminette di acciaio che
tenevano rigonfio l'abito.
La signora, mortificata e indispettita, protestò che non
sarebbe mai più venuta all'Oratorio.
Il Santo, dispiacentissimo, le disse: - Eccellenza, ella forse
non ricordava che le porte di don Bosco non sono larghe come quelle del suo
palazzo. Queste parole non valsero a rabbonire la dama, la quale, fatta
avvicinare la carrozza, se ne partì, ripetendo che non avrebbe mai più messo
piede nell'Oratorio.
- Va bene, va bene; così mi obbligherà a venire io da lei -
rispose don Bosco con tutta calma e sorridendo. Difatti prese a recarsi ogni
otto giorni dalla dama, la quale, alla terza volta, esclamò: - Come va che siete
ritornato così presto?
- Se vostra Eccellenza non viene più da me - rispose don Bosco
- bisogna bene che io venga da lei; altrimenti, come potrò tirare avanti con i
miei giovani che mancano di tutto?
La dama capì l'arguzia e l'umiltà del Santo, e riprese a
recargli personalmente ogni mese le sue generose offerte.
Robiole... e peccati
Nell'aprile del 1876 si era ammalato un alunno della terza
ginnasiale, che era la consolazione e anche la speranza dei Superiori per la
sua ottima condotta e per l'eccellente riuscita negli studi.
Tornando poi all'Oratorio dopo essere stato in famiglia per un
po' di convalescenza, salì da don Bosco e con accorato accento gli disse: -
Signor don Bosco, i miei genitori, trovandosi in gravi strettezze, non possono
più pagare la pensione e neppure il debito già esistente. L'unica cosa che
abbiamo potuto fare per compensarla in qualche modo, si fu di mandarle queste
sei robiole.
Così dicendo trasse da un sacchetto sei piccole forme di cacio
brianzolo.
Don Bosco, ammirando l'umile disinvoltura e tutta la grazia di
quel suo caro figliolo, soggiunse: - Ma dunque, i tuoi parenti non potrebbero
fare proprio più nulla?
- Nulla! Nulla! Io però potrei darle ancora qualche cosa.
- E che?
- I miei peccati con una confessione generale. Rise il Santo di
tanta ingenuità, e conchiuse:
- Bene, bene, le robiole le terrò per mandarle in cucina, e la
confessione verrai a farla questa sera. Quello stesso giorno, al pranzo dei
Superiori fu servita una di quelle robiole, e don Bosco esilarò i commensali,
raccontando il fatto.
La lezione di don Bosco
Cedendo all'insistenza di un buon parroco della diocesi di
Alba, era andato a predicarvi nella circostanza dei fedeli defunti. La sera del
2 novembre scendeva da quelle colline per andare alla stazione di Bra; ma avendo
smarrita la via ed essendo l'ora tarda e la pioggia dirotta, si vide costretto a
chiedere ospitalità al cappellano di una chiesetta che sorgeva a fianco della
strada.
Fu accolto con un po' di malumore, ed esposto ad una specie
d'interrogatorio: - Chi è lei?
- Un povero prete di Torino: ho smarrito la via; chiedo un po'
di ricovero.
- E quale officio esercita in Torino?
- Officio una chiesetta dalle parti di Valdocco. - E avrà anche
da cenare?
- Se nella sua carità vuole darmi qualche cosa, accetterò
volentieri.
- Mi rincresce di non aver niente in casa; posso offrire un po'
di pane e formaggio.
- Ma sì, anche troppo: gliene sarò riconoscente. - E forse,
stasera, farebbe conto di fermarsi qui? - Vede bene... con questo tempo... tanto
più che il treno è già partito.
- Già... L'è che io non avrei letti disponibili...
- In quanto a questo, si rimedia subito: due sedie bastano.
- Se è così, si accomodi. Mi dispiace di doverla trattare in
questo modo!
Mentre la perpetua metteva in tavola il pane e il formaggio,
il padrone continuò:
- Dunque, lei viene da Torino! - Sissignore.
- Conosce forse un certo don Giovanni Bosco? - Sì, un poco.
- Io non mi sono mai incontrato con lui, ma vorrei pregarlo di
un favore. È facile ad accordare favori a chi si rivolge a lui?
- Quando può è ben contento di essere utile al prossimo.
- Avevo pensato di scrivergli domani una lettera per far
ricoverare un povero orfano nel suo Oratorio. - Lo accetterà volentieri; glielo
posso assicurare. - Davvero? Ma lei è un amico con don Bosco? - Sì... amicissimo
fin dall'infanzia.
- Dunque, mi otterrà il favore.
- Il favore è bell'e ottenuto: vada per la carità che mi fa
presentemente.
- Ma dunque... lei... lei... insomma chi è lei?! - Son don
Bosco in persona.
- Don Bosco?! Lei don Bosco! Se me lo avesse detto subito... Mi
perdoni se non l'ho trattato bene. Chi l'avrebbe immaginato? Lasci, lasci quel
formaggio. Mi ricordo che è rimasto qualche poco d'avanzo.
E tutto confuso, affannato, chiama la perpetua, fa porre in
tavola una tovaglia, e ordina una minestrina e alcune uova al tegame; corre ad
un armadio, trae fuori un mezzo pollo arrosto, e non sa darsi pace, mentre don
Bosco sorride, vedendolo così affaccendato.
Finita la cena fu condotto a dormire in un soffice letto, e al
mattino, il cappellano l'accompagnò alla stazione, ripetendo, tratto tratto, le
più umili scuse. Nell'accomiatarsi, don Bosco gli disse: - Veda, signor
Cappellano, prendiamo lezione da quello che accade. Se non abbiamo nulla, non
diamo nulla; se abbiamo poco, diamo poco; e se abbiamo molto, diamo ciò che
crediamo conveniente; ma lasciamoci sempre guidare dalla carità, la quale
tornerà sempre a nostro vantaggio.
NON TOCCATE DON BOSCO!
Controversia con i Valdesi
Finite le persecuzioni del governo, incominciarono quelle dei
protestanti. Questi, per far desistere don Bosco dalla lotta instancabile che
loro faceva, presero a sfidarlo con le discussioni. Vi si provarono dapprima
tutti i capoccia di Torino e dei dintorni; poi, vedendo che sempre rimanevano
sconfitti, fecero intervenire il famoso pastore Meille con due maggiorenti
Valdesi.
Costoro si recarono all'Oratorio di Valdocco e, dopo i primi
complimenti, intavolarono una disputa che durò dalle undici alle diciotto e che
finì in modo comico.
La disputa si svolgeva sul purgatorio.
Don Bosco l'aveva provato con la ragione, con la storia, e con
la Sacra Scrittura, servendosi del testo latino; ma uno dei contraddittori, che
voleva fare il saputo, non volendosi arrendere, disse: - Il testo latino non
basta: bisogna andare alla fonte: bisogna consultare il testo greco.
A queste parole, don Bosco si alza, va allo scaffale, ne toglie
la Bibbia in greco, ed appressatosi al Ministro, soggiunse: - Ecco, signore, il
testo greco; consulti pure e lo troverà in pieno accordo col testo latino.
Quel tale, che conosceva il greco come l'asino i marenghi, non
osando confessare la propria ignoranza, prende il libro, e si pone a sfogliarlo
da capo a fondo, fingendo di cercare il passo in questione.
Ma che! Volle il caso che prendesse il libro a rovescio! Don
Bosco, che se n'era accorto, lo lasciò sfogliare per un pezzo, trattenendo a
stento il riso; poi pietosamente gli disse: - Scusi, sig. Ministro, forse non
troverà più la citazione, perché tiene il libro a rovescio; lo volti così! - E
glielo mise per il suo verso.
Come rimanesse colui è facile immaginare. Rosso in faccia come
un gambero cotto, gettò il libro sul tavolo ed alzatosi di botto troncò la
discussione e se ne andò. Me ne rido!
Vedendo che con le dispute non la potevano vincere, i Valdesi
ricorsero ad altri mezzi per farlo tacere.
Una domenica dell'agosto 1853 si presentarono all'Oratorio due
signori che domandarono di parlare col Santo.
Condotti alla sua camera, uno di essi, ch'era pastore, dopo
mille elogi al suo ingegno e al suo zelo, venne a dire: - Ma Reverendo, se lei,
invece di attendere alle Letture Cattoliche e scrivere libri di religione,
attendesse a cose di storia od altro, procurerebbe un bene assai maggiore al
suo Istituto. Prenda intanto questa prima offerta: sono quattro biglietti da
cento: e le assicuro che ne avrà altri.
Don Bosco rifiutò con sdegno la subdola proposta; ed essi,
alzandosi in piedi, dissero con volto alterato e voce minacciosa: - Lei fa male
a rifiutare, e ci offende. Se esce di casa, è poi sicuro di rientrare?
Don Bosco, dopo essersi assicurato che alla porta stava
qualcuno dei suoi giovani in guardia, rispose: - Vedo che lor signori non
conoscono bene chi sono; i preti cattolici sono pronti anche a morire per la
gloria di Dio e per il bene delle anime. Cessino dalle loro minacce, perché
io... me ne rido!
A queste parole, l'irritazione di quei signori non ebbe più
ritegno, e fattisi d'appresso, stavano per mettergli le mani addosso.
Don Bosco impugnò prudentemente la sedia esclamando: - Se
volessi adoperar la forza, mi sentirei di far loro provare quanto costi una
violazione di domicilio! Ma no! la forza del sacerdote sta nella pazienza e nel
perdono. Tuttavia, è tempo di finirla.
In quella, si spalanca la porta della camera e si presenta il
nerboruto Giuseppe Buzzetti, uno dei più fidi di don Bosco, al quale il Santo
dice pacatamente: - Accompagna questi signori fino al cancello! Quei due si
guardarono in faccia, e, uno dietro l'altro, seguirono la guida.
Vino avvelenato
Quelle minacce furono l'inizio di una serie di persecuzioni
contro don Bosco.
Una sera venne chiamato a confessare un malato. Egli, sempre
pronto, si dispose a partire; ma per prudenza si fece accompagnare da alcuni
dei suoi giovani. Giunto al luogo indicato, lasciò i giovani sulla porta ed
entrò in una stanza dove trovò una mezza dozzina di buontemponi, che, seduti a
tavola, mangiavano delle castagne.
Questi, al vedere il prete, si alzarono, e coi segni del
maggior rispetto, l'invitarono a sedersi e servirsi delle loro castagne, mentre
sarebbero andati ad avvertire il malato.
- Grazie, ho già cenato!
- Almeno un bicchiere del nostro vino!
- Non mi sento!
- Eh via! non le farà male!
Ed ecco che uno mesce nei bicchieri dei compagni, ed un altro,
con un'altra bottiglia, mesce per don Bosco. Questi s'avvide subito che c'era
del mistero; ma, dissimulando, prese in mano il bicchiere, brindò alla salute
di tutti, poi, senza assaggiarlo, lo ripose sul tavolo.
- Ma perché non beve?!
- Vogliamo che beva ad ogni costo!
E passando dai detti ai fatti, due lo presero per le spalle, e
un altro afferrò il bicchiere e soggiunse: - Se non vuole bere per amore, berrà
per forza! Don Bosco, così forzato, ricorre ad un'astuzia: - Se assolutamente
volete che beva, lasciatemi libero, perché, così stretto, verserò il vino.
- Ha ragione - risposero quelli. E lo lasciarono. Egli, che già
con l'occhio aveva misurato lo spazio, fece un salto indietro, spalancò l'uscio
ed invitò i suoi giovani ad entrare.
L'improvvisa comparsa dei giovanotti fece rinsavire quei
farabutti, i quali conclusero: - Se non vuole bere, pazienza.
« Una persona amica - racconta don Bosco - fece indagini e
seppe che un tale aveva pagato una cena, a patto che mi avessero costretto a
bere del vino preparato per me ».
Grandine di bastonate
Chiamato un'altra sera a confessare un'ammalata, vi accorre
prontamente, ma di nuovo accompagnato dai suoi quattro fidi. Due li lascia ai
piedi della scala, e due li fa fermare sul pianerottolo, presso l'uscio della
camera. Entrato, scorse a letto una donna tutta ansante, la quale sapeva fingere
così bene da sembrare che stesse per dare l'ultimo respiro. Presso di lei,
quattro facce torve di uomini assai sospetti.
Don Bosco pregò costoro di allontanarsi, per poter confessare
l'ammalata, ma ella esclamò: - Prima di confessarmi, voglio che quel briccone là
ritratti la calunnia che mi ha buttato addosso!
- Ma che calunnia! - rispose quegli inferocendosi. - Sì!...
- No!...
- Taci, infame! - A me infame?!
E qui tutti urlano e impugnano i bastoni. Intanto, si spengono
i lumi e, in un buio completo, incomincia una grandine di bastonate tutte
dirette a don Bosco che, capito il gioco, abbraccia una scranna, e se la caccia
in testa capovolta, cercando riparo e modo di guadagnare la porta.
A quel frastuono indiavolato, i giovani di guardia dànno di
spalla alla porta, la quale cede e si spalanca; e don Bosco può così aver salve
le spalle e la vita, e ritornare sano e salvo ai suoi figlioli.
« O si decide o è morto »
Vedendo fallite le loro ipocrisie, i protestanti vengono ai
fatti. In un pomeriggio di gennaio del 1854, due signori elegantemente vestiti
salivano alla camera di don Bosco, che li riceveva con la solita cortesia.
I giovani erano in chiesa per i vespri; ma Giovanni Cagliero,
che aveva visto quei signori, entrò in sospetto e andò a sostare presso la porta
del Santo.
Non poteva intendere le parole, ma s'accorse che la disputa si
andava accendendo; e ad un tratto, quei due pronunciarono forte queste parole: -
In fin dei conti, o lei la smette di pubblicare le Letture cattoliche, o noi la
faremo smettere per forza!
- Io non la smetterò mai - rispose risoluto don Bosco.
- O si decide, o è morto! - Ed estraggono le loro pistole e
gliele puntano al petto.
- Tirino pure! - esclamò don Bosco con voce risoluta e sguardo
imponente.
Ma, in quell'istante, s'ode un gran colpo alla porta. Era
Cagliero che, temendo qualche disgrazia, aveva dato un fortissimo pugno
all'uscio che s'era spalancato, mentre a tutta voce s'era messo a gridare:
Aiuto!... aiuto!!! 1 due messeri riposero in fretta le armi, e uscirono, mentre
don Bosco, con la berretta in mano, li salutava con cortesia.
Il « Grigio »
Per quanti insulti e minacce dovesse subire, e per quanto
terribili fossero le insidie cui andava soggetto, don Bosco non portò mai armi
né mai adoperò la sua forza per respingere gli assalti.
Chi lo vegliava in ogni pericoloso incontro fu sempre la
Provvidenza, la quale si servì anche del « Grigio ». Chi era il « Grigio »? Un
cane portentoso, alto più di un metro, che più volte salvò don Bosco in
circostanze veramente strane.
Una sera del 1852 don Bosco tornava a casa solo, quando,
giungendo da piazza Emanuele Filiberto al Rondò, sente qualcuno corrergli
dietro. Si volta di botto, e veduto a pochi passi un tale armato di un nodoso
randello, si mette anche lui a correre, nella speranza di poter arrivare a casa
prima di essere raggiunto.
Era ormai in fondo alla via che mette all'Oratorio, quando
scorge, sul crocicchio di quella con la via Cottolengo, parecchi altri che
stanno per prenderlo in mezzo.
Visto il pericolo, pensa di liberarsi prima da colui che lo
insegue e, fermandosi d'improvviso, gli punta in petto i gomiti con tanta
destrezza, che il misero rimbalza a terra gridando: - Sono morto! sono
morto!!!
Il buon esito di quella ginnastica lo salva da uno, ma gli
altri, coi bastoni, sono lì li per circondarlo.
In quell'istante, eccoti lì il « Grigio » provvidenziale che,
saltando di qua e di là a fianco di don Bosco, manda latrati ed urli
formidabili, e si agita con tanta furia, che quei ribaldi, temendo di essere
fatti a brani, pregano don Bosco di ammansirlo e tenerlo presso di sé, mentre
l'uno dopo l'altro si eclissano, lasciando che il prete faccia la sua
strada.
Don Bosco, scortato dal « Grigio » che lo festeggia, giunse
tranquillamente a casa.
Ancora il « Grigio »
Sul finir del dicembre 1854, in una notte scura e nebbiosa,
ritornava dal centro della città, e discendeva dalla Consolata alla Casa del
Cottolengo. A un certo punto s'accorse che due uomini lo precedevano a poca
distanza, e acceleravano o rallentavano il passo secondo che lo accelerava o lo
rallentava lui.
Non c'era più dubbio: erano male intenzionati. Il Santo pensò
di tornare indietro per mettersi in salvo in qualche casa vicina; ma non ebbe
più il tempo. Voltatisi improvvisamente, essi gli furono addosso, e gli
gettarono un mantello sulla faccia.
Don Bosco, abbassandosi con rapidità, liberò per un istante il
capo e prese a dibattersi chiedendo aiuto; ma gli assalitori, avvolgendolo ancor
più, gli turarono la bocca con un fazzoletto.
Proprio in quel momento, ecco comparire il « Grigio » che,
ruggendo come un leone, si slancia con le zampe su quei due, sbattendoli di qua
e di là nel fango.
Poi fermo, accanto a don Bosco, ringhia e fissa quei due con
aria di trionfo e di sfida.
Quei poveretti, luridi di fango e tremanti di spavento, si
alzano alla meglio e gridano: - Don Bosco, per carità, ci liberi da questo cane!
Chiediamo scusa e perdono!
Sempre il « Grigio »
Altra volta ancora il « Grigio », invece d'accompagnarlo a
casa, gli impedì di varcare la soglia.
Era notte. Don Bosco doveva uscire per una commissione. Mamma
Margherita cercava di dissuaderlo; ma egli, esortatala a non temere, prende il
cappello, e si avvia accompagnato da alcuni dei suoi giovani.
Giunti al cancello, trovano il « Grigio » sdraiato.
- Oh! il « Grigio »! - esclamò don Bosco. - Tanto meglio!
Saremo in buona compagnia. Alzati, dunque, e vieni con noi.
Ma il « Grigio », invece di obbedire, manda un cupo ringhio e
resta al suo posto.
Qualcuno dei giovani lo tocca col piede per farlo alzare, ma
esso risponde con un ringhio più forte e cupo. Mamma Margherita che era accorsa,
volgendosi a don Bosco, gli dice: - Se non vuoi ascoltare me, ascolta almeno il
cane... non uscire!
Il Santo, per contentare la madre, rientra in casa. E subito
sopraggiunge un vicino, tutto ansante e trafelato, a raccomandargli di non
uscire di casa, perché quattro individui armati si aggirano nei dintorni,
decisi a fargli la pelle. Così era difatti, come si seppe poi da altre persone
degne di fede.
« CI CHIAMEREMO SALESIANI »
Nasce una nuova Congregazione
Nel 1854 nascono i Salesiani. Don Bosco raggruppa quattro
giovanotti dell'Oratorio, che ha coltivato con particolare cura fin dal loro
ingresso a Valdocco, e fa un discorso e narra un sogno di quelli che esaltano e
fanno correre i brividi.
Il discorso è questo: - Voi vedete che don Bosco fa quello che
può, ma è da solo. Se voi mi darete una mano, invece, insieme faremo miracoli
di bene. Migliaia di fanciulli poveri ci aspettano. Vi prometto che la Madonna
ci manderà oratori vasti e spaziosi, chiese, case, scuole, laboratori, e tanti
preti pronti a darci una mano. E questo in Italia, in Europa e anche in America.
Io tra voi già vedo una mitria vescovile...
I quattro giovanotti si guardano in faccia sbalorditi. Sembra
di sognare. Eppure don Bosco non scherza, è serio e sembra leggere nel futuro: -
La Madonna vuole che noi iniziamo una società. Ho pensato a lungo che nome
darle. Ho deciso che ci chiameremo Salesiani.
E il sogno è il seguente.
Il giardino, il pergolato e le rose
« Un giorno dell'anno 1847, avendo io molto meditato sul modo
di far del bene alla gioventù, mi comparve la Regina del cielo (espressione
molto rara in don Bosco. In genere dice: ho sognato una signora bellissima...) e
mi condusse in un giardino incantevole. Vi era un bellissimo porticato, con
piante rampicanti cariche di foglie e di fiori. Questo portico metteva in un
pergolato incantevole, fiancheggiato e coperto da meravigliosi rosai in piena
fioritura. Anche il terreno era tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi
disse: - Va' avanti sotto quel pergolato: è quella la strada che devi
percorrere.
Cominciai a camminare. Molti rami scendevano dall'alto come
festoni. Io non vedevo che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei
passi. Ma le mie gambe si impigliavano nei rami stesi per terra e ne rimanevano
ferite; rimuovevo un ramo trasversale e mi pungevo, sanguinavo nelle mani e in
tutta la persona. Le rose nascondevano tutte una grandissima quantità di
spine.
Tutti coloro che mi vedevano camminare dicevano: "Don Bosco
cammina sempre sulle rose! Tutto gli va bene!". Non vedevano che le spine
laceravano le mie povere membra.
Molti chierici, preti e laici da me invitati si erano messi a
seguirmi festanti, attirati dalla bellezza di quei fiori; ma si accorsero che si
doveva camminare sulle spine, e incominciarono a gridare: "Siamo stati
ingannati! ". Non pochi tornarono indietro. Rimasi praticamente solo. Allora
cominciai a piangere: "Possibile, dicevo, che debba percorrere tutta questa
strada da solo?".
Ma presto fui consolato. Vidi avanzarsi verso di me uno stuolo
di preti, chierici, secolari, i quali mi dissero: "Siamo tutti suoi. Siamo
pronti a seguirla". Precedendoli mi rimisi in via. Solo alcuni si perdettero di
coraggio e si arrestarono. Una gran parte di essi giunse con me alla meta.
Percorso tutto il pergolato, mi trovai in un bellissimo
giardino. I miei pochi seguaci erano dimagriti, scarmigliati, sanguinanti.
Allora si levò una brezza leggera, e a quel soffio tutti guarirono. Soffiò un
altro vento, e come per incanto mi trovai circondato da un numero immenso di
giovani e di chierici, di laici coadiutori e anche di preti, che si misero a
lavorare con me guidando quella gioventù. Parecchi li conobbi di fisionomia,
molti non li conoscevo ancora.
Allora la santa Vergine, che era stata la mia guida, mi
interrogò: - Sai cosa significa ciò che tu vedi ora, e ciò che hai visto
prima?
- No.
- Sappi che la via da te percorsa tra le rose e le spine
significa la cura che tu dovrai prenderti della gioventù. Le spine significano
gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete
di coraggio. Con la carità e con la mortificazione, tutto supererete, e
giungerete alle rose senza spine.
Appena la Madre di Dio ebbe finito di parlare, rinvenni e mi
trovai nella mia stanza.
Vi ho raccontato questo - concluse - perché ognuno di noi
abbia la sicurezza che è la Madonna che vuole la nostra Congregazione, e perché
ci animiamo sempre più a lavorare per la maggior gloria di Dio ».
Salus ex inimicis nostris!...
Pensare a fondare una Società Religiosa in quei tempi, era una
temeraria follia. Le note leggi di soppressione condannavano alla estinzione
quelle già esistenti.
Un giorno il ministro Rattazzi - che come si sa, aveva la sua
parte in quelle famigerate leggi - gli disse quasi all'improvviso: - Caro don
Bosco, io ammiro lo scopo eminentemente filantropico dell'Opera sua e faccio
voti che viva molti anni per il bene di tanti giovani; ma lei è mortale come
ogni altro, e se venisse a mancare, che cosa ne sarebbe di questa sua Opera? Ha
già pensato a questo caso?
- Eccellenza - rispose don Bosco - è questo il mio maggior
fastidio!
- E se lei istituisse una Società di gente, sacerdoti o laici,
sotto certe norme... imbevuti del suo spirito, animati dallo stesso zelo, che
fossero suoi aiutanti e poi suoi continuatori?
- Gran bella cosa, Eccellenza, ma in questi tempi di
persecuzione, crede che sia possibile?
- Possibilissimo! Ella istituisca una Società secondo le
esigenze dei tempi, che si assoggetti alle vigenti leggi, che paghi le imposte;
una Società insomma di liberi cittadini, i quali si uniscono a vivere insieme a
scopo di beneficenza.
Quella proposta fu per don Bosco una rivelazione, essendo il
Rattazzi riputato un oracolo in materia politica, e subito lo prese in parola
soggiungendo: - E l'Eccellenza Vostra me la passerebbe una Società in questa
forma?
- Ma sì! l'approverei e la farei approvare.
Il Santo ne abbozzò le regole, le quali furono davvero
approvate, e la Società Salesiana prese vita e visse, e vivrà in grazia di
quello stesso che due anni prima aveva proposto la legge contro le corporazioni
religiose.
Don Bosco, parlandone con gli altri amici e coi suoi figlioli,
andava scherzosamente ripetendo: - « Salus ex inimicis nostris!... ».
L'istituzione della nostra Congregazione Religiosa la dobbiamo ai nemici delle
Istituzioni Religiose. Vedete un po' gli scherzi della Provvidenza.
Faremo a metà
Nel 1854 don Bosco incontra un giovanetto sui 17 anni, Michele
Rua, che gli viene incontro chiedendogli una immagine, e si ferma a guardarlo;
poi, facendo segno con la destra di dividere la mano sinistra a metà, gli dice:
- Michelino, noi faremo a metà.
Il fanciullo, che non aveva mai veduto né conosciuto don Bosco,
non comprese allora l'arcano di quelle parole; ma ripetendosi più volte la
scena si sentì attratto verso di lui, e prese a seguire il Santo come l'ombra
segue il corpo.
Divenne il suo primo chierico, il suo primo sacerdote, il suo
primo principale aiutante, il suo primo successore, don Rua, il quale, dopo aver
fatto a metà con il suo Maestro nello splendore delle virtù, farà a metà anche
nello splendore della santità.
Fu beatificato da Paolo VI nel 1976.
Fede che vince gli ostacoli
Nel 1869 era tornato a Roma, risoluto di ottenere
l'approvazione della Pia Società Salesiana.
Alla stazione, lo attendeva la vettura del Cardinal Berardi,
con preghiera di recarsi subito da lui a visitare e benedire un suo nipotíno di
undici anni, figlio unico di famiglia nobile e ricchissima, che da 15 giorni
lottava tra la vita e la morte, travagliato da forte febbre tifoidea ribelle ad
ogni cura.
All'apparire di don Bosco, tutti i familiari gridano: - Oh! Don
Bosco, lo faccia guarire!
Ed egli, rivolto al cardinale, disse: - Sono venuto perché
vostra Eminenza mi aiuti presso il Santo Padre ad ottenere l'approvazione della
Società Salesiana.
- Ebbene, ella faccia guarire questo mio nipote, ed io andrò,
parlerò, farò di tutto presso il Santo Padre. Don Bosco raccomanda a tutti di
avere fiducia in Maria Ausiliatrice, s'appressa al lettuccio dell'infermo, lo
benedice, ed all'istante il bambino è libero dalla febbre e perfettamente
guarito.
Tutti acclamarono al Santo, mentr'egli esclamava: - Rendetene
grazie a Maria Ausiliatrice!
La podagra del Cardinale
Ma questo non era che l'inizio. I Cardinali che dovevano dare
il voto erano parecchi, e tutti contrari. Chi poteva influire assai era il
Cardinale Antonelli, Segretario di Stato di Pio IX.
Don Bosco si recò a fargli visita, e lo trovò immobile su un
seggiolone.
- Venga avanti, carissimo don Bosco, venga avanti! - Eminenza,
come sta?
- Eh! vede come sto. Sono inchiodato qui da parecchi giorni,
soffro terribilmente di podagra.
- Eminenza, mi aiuti nei miei affari, ed io le garantisco che
starà meglio.
- Che cosa desidera da me?
- Sono venuto per supplicarla di occuparsi della Società
Salesiana.
- Già! È cosa assai difficile questa; tuttavia, le prometto di
occuparmene appena potrò andare all'udienza. - Ho bisogno che ci vada presto,
anzi, domani! - Che cosa dice?! Ella vede come mi trova; non posso muovermi!
- Eminenza, abbia fede in Maria Ausiliatrice, e vada domani;
domani starà meglio.
- E se poi mi accadrà di peggio?
- Sarò io responsabile; la Madonna sa come fare! - Va bene. Se
avverrà come lei dice, andrò domani, e farò di tutto per la sua Società.
Il giorno seguente, i dolori erano completamente cessati, e il
Cardinale poteva andare alla udienza e raccontava al Papa il dialogo e la
guarigione.
La febbre da cavallo scompare
Cadevano così ad uno ad uno gli ostacoli, ma ne restava ancora
uno, e forse il maggiore.
Il più restio all'approvazione era Monsignor Svegliati, dotto
ed attivissimo segretario della Sacra Congregazione. Don Bosco decise di
andarlo a trovare.
Era a letto, minacciato da seria polmonite.
- Monsignore, ho bisogno del suo aiuto - gli dice don Bosco. E
gli espone il suo desiderio.
- Caro don Bosco, la cosa è molta seria, quasi impossibile! Io
poi, non so quando potrò andare in ufficio, trovandomi come ella mi vede.
- Eppure, io ho bisogno che ella vada, e presto, dal Santo
Padre.
- Ma come vuole che vada con questa tosse così violenta, e con
questa febbre da cavallo?!
- Monsignore, la tosse passerà, diminuirà la febbre: ho bisogno
che vada domani.
Il malato lo osservò con occhi stupiti, e don Bosco continuò: -
Abbia fede, Monsignore. Io la raccomanderò alla Madonna, e se lei promette di
interessarsi per la Pia Società Salesiana, le prometto che guarirà
senz'altro.
- Se m'assicura questo, andrò, ma fra qualche dì. - No... no...
domani! ho bisogno che vada assolutamente domani.
- Ebbene, ci andrò domani, se starò meglio; e le assicuro che
parlerò in modo che tutto andrà bene. L'indomani, la tosse era sparita, la
febbre calmata, e Monsignore, pienamente in forze, andò, parlò, perorò in modo
che, pochi giorni dopo, il 29 febbraio 1869, la Società Salesiana veniva
approvata.
Io vi salverò
Fra le reclute che dovevano partire per la guerra del 1859
contro gli austriaci, c'erano anche due dei primi chierici di don Bosco:
Cagliero e Francesia.
Questi due si presentano tutti ansanti al Santo, il quale,
sereno e ridente, disse loro:
- Niente paura... Io vi salverò! Andate alla Curia Vescovile, e
fatevi iscrivere nella lista di quelli che si debbono presentare per
l'esenzione.
Obbediscono premurosamente; ma poco dopo ritornano dicendo: -
Oh, don Bosco! in Curia ci fu risposto che è troppo tardi, perché l'elenco è già
spedito al Ministero. - E voi andate al Ministero, pregando di esservi
aggiunti.
Ritornano più affannati affermando: - Anche al Ministero ci fu
risposto che è troppo tardi, che la pratica è ormai compiuta; ed è impossibile
ogni aggiunta.
- Ebbene rivolgetevi al Ministero di Grazia e Giustizia per le
vostre ragioni; voi, come chierici, dovete essere esenti.
Ritornarono la terza volta sospirando ed esclamando: - Alla
Curia e ai Ministeri ci son tutti contro. Tutti dicono che è troppo tardi, che
si tratta di guerra e bisogna partire.
- E voi non partirete, ripeto! Ci andrò io; dovete essere
esenti... Io vi salverò!
Quei due poveri figlioli, commossi fino alle lacrime, gridano:
- Oh padre! Perché tanto disturbo per noi?... Se bisogna partire, partiremo.
Vittorio Emanule avrà due soldati di più. O morremo sul campo, o ritorneremo con
le spalline. Non si prenda troppi fastidi.
- Ed io invece me li voglio prendere questi fastidi, proprio
per voi. Vi ho detto che vi salverò, e vi salverò ad ogni costo!
Si portò alla Curia, dalla Curia al Ministero e poi di nuovo
alla Curia. Esaminò attentamente la lista dei chierici esenti, trovò che due,
proprio due, fra gli elencati, si trovavano, come figli di madre vedova, già in
condizione di essere esenti. Allora volò con aria di trionfo al Ministero della
Guerra e poté farli sostituire con i suoi due Cagliero e Francesia.
Fu davvero un lavoro febbrile, ma coronato da esito
splendido.
Lo hai sentito quel tuono?
Don Bosco amava teneramente i figlioli, e, anche lontano,
vegliava su di loro. Un giorno un suo chierico fu invitato da una famiglia di
benefattori ad andare a passare la giornata insieme.
Il Santo, conoscendo la bontà di quei signori, accondiscese e
diede il permesso.
Ma ecco, a un certo punto del pomeriggio, domanda con
insistenza del chierico assente, e manda in giro a cercarlo; la sua inquietudine
si fa grande, e va esclamando: - Dove sarà?! Che cosa farà?!
- Ma don Bosco, non ricorda che Lei stesso gli ha dato il
permesso?
- Sì... ricordo... ma ora, vorrei che fosse qui. Nessuno poteva
comprendere il perché di tanta agitazione in lui, sempre così calmo e
inalterabile; ma lo si seppe alla sera, al ritorno di quel chierico.
Il buon chierico si presenta, lo saluta, gli bacia la mano, ed
il Santo gli dice: - Lo hai sentito quel tuono?
- Sì, padre, l'ho udito e l'ho capito. Solo un miracolo mi ha
potuto salvare! Mi sono trovato in grave pericolo.
- Ebbene, va' a ringraziare la Madonna, e dille che le sarai
sempre degno figliolo.
Il chierico obbedì e ai compagni che curiosi volevano sapere,
raccontò: - In quella famiglia così onesta e cristiana, era giunta una persona
estranea, poco corretta. Mise gli occhi su di me, e mi pose in grave pericolo.
Mi tese insidie, e chissà che danno avrebbe tentato se, in un momento, non si
fosse fatto sentire un fortissimo tuono.
Allora ho capito che don Bosco vegliava su di me, ed ho subito
fatto fagotto.
Quella sera don Bosco fu oggetto di molti commenti e di molte
interrogazioni, ed egli scherzosamente rispondeva: - Questa volta il tuono fu
senza tempesta; ma all'erta, miei cari, perché i tuoni di don Bosco sono
terribili!
Ho indovinato?
Nelle vacanze scolastiche dell'anno 1878, si presentò a
Valdocco il capostazione di Torino accompagnato da un ragazzo sui sedici anni,
figlio di un suo amico e studente di tecnica, chiedendo di visitare
l'Oratorio.
Don Bosco, che si trovava in cortile, salutato il
capostazione, si offrì egli stesso di accompagnarli, facendo il giro della casa
e fornendo le più esatte spiegazioni di ogni cosa.
Quando furono per congedarsi, don Bosco, salutato il
capostazione, batté la mano sulla spalla del giovane e gli disse: - Quanto a te,
Albanello, fermati qui, ché ho bisogno di parlarti.
Nessuno aveva detto a don Bosco il nome del giovane. Il
poveretto restò come intontito, sentendolo pronunziare da don Bosco, e lo seguì
come un automa. Giunto in camera sua, il Santo soggiunse: - Ed ora
inginocchiati, perché devi confessarti. - Ma sono parecchi anni che non mi
confesso... - Lo so, lo so; ed è per questo che ti dico di confessarti.
- Ma ci vorrebbe un po' di preparazione.
- Non occorre. Io ti farò la storia di tutta la tua vita, e tu
giudicherai se ho indovinato.
Quando ebbe terminato lo interrogò: - Ebbene, Albanello, ho
indovinato?
- Fin troppo! - rispose Albanello quasi sbalordito. - Ora,
domandane perdono al Signore; poi ti assolverò.
Quel giovane pianse come non aveva pianto mai, poi, alzatosi,
voleva congedarsi ma il Santo, posandogli la mano sul capo, continuò: - Non
basta, Albanello: la Madonna ti vuole qui, e tu ritornerai all'Oratorio, ti
fermerai con don Bosco che ti darà l'abito da prete e ti manderà
missionario.
- Oh, non so... vedremo!
- Sì... lo vedremo, e vedrai se indovinerò. L'Albanello partì
ringraziando, ma ruminando in cuor suo: « Questo poi no!... Né prete, né tanto
meno missionario! ».
Passarono intanto le vacanze ed Albanello, vinto e stravinto
dalla vocazione, si presentò all'Oratorio. In due anni, compì il ginnasio; nel
1880 vestì l'abito per mano di don Bosco; e nel 1882, partì missionario nel
Brasile.
Di là, ogni volta che scriveva a don Bosco, ricordava la storia
della sua vocazione.
Festa e vaiolo non stanno insieme
Nel maggio 1869 si era recato a Lanzo Torinese per la festa di
san Filippo Neri, titolare di quel suo primo collegio. Là trovò tutti in
desolazione, perché ben sette convittori erano colpiti dal vaiolo, che
minacciava di estendersí a tutta la casa.
A quella notizia, don Bosco esclama: - Già! festa e vaiolo non
stanno insieme. Andate a preparare loro gli abiti in fondo al letto, che salirò
a benedirli.
Alla vista di don Bosco, i malati gridarono: - Don Bosco, don
Bosco, possiamo alzarcí? Ci dia la sua benedizione!
- Avete fede nella Madonna? - Sì!
- Ebbene, alzatevi!
Don Bosco li benedisse e si ritirò. Tutti si alzarono, si
vestirono, e si precipitarono in cortile, meno uno, certo Baravalle, che,
dubitando di essere guarito veramente, per precauzione se ne sta a letto.
Alla sera, viene il medico per la visita, e, sapendoli alzati
in cortile in quella giornata umida e fredda, s'inquieta, grida all'imprudenza,
giudica che quell'atto sarebbe stato fatale, e s'affretta all'infermeria, ove
non trova che il prudente Baravalle, il quale, con le cure premurose del
dottore, guarì dopo venti giorni, mentre gli altri, guariti all'istante, da 20
giorni correvano e cantavano allegramente.
Che cosa sono mai 90 mila lire?!
A Nizza, vedendo che la sua casa si era fatta troppo ristretta
per il gran numero di giovani che chiedevano d'essere accolti, deliberò di
acquistarne una più grande.
Gli fu indicata una villa in piazza d'armi; però gli si disse
subito: - Caro don Bosco, quella andrebbe bene, ma!... - Che ma?
- È troppo costosa; pretendono 90 mila lire. - E che cosa sono
mai 90 mila lire?!
- Novantamila lire, sono novantamila, e lei dove le
troverà?
- Le troverà la Provvidenza.
- Eh, sì!... Lei ha un bel dire la Provvidenza... ma intanto,
non ha un soldo in tasca.
- Io non ho niente; ma se Dio vuole l'ampliamento
dell'Istituto, farà trovare il denaro per comperare la casa. Si faccia
1'istrumento.
Il comando di don Bosco non ammetteva repliche. Il contratto fu
concluso subito; il denaro fu subito trovato, il prezzo pagato e la bella villa
Gauthier, grande, sontuosa, magnifica, capace di oltre 300 persone, passò alle
opere di don Bosco, e col nuovo anno, si riempì di frugolini e frugoloni
irrequieti, che la facevano echeggiare dei loro trilli e dei loro canti più
gioiosi.
Don Bosco esclamava poi: - Vedete che villa Gauthier è venuta,
anche in barba alle novantamila lire! Oh! La Provvidenza!... la Provvidenza!!!
Essa ha le braccia più lunghe assai della nostra poca fede.
Negli imbrogli
Nei suoi ultimi anni, trovandosi il Santo a Mathi Torinese per
un po' di riposo, non faceva che sognare i suoi figlioli ed esprimere il
desiderio di fare di più per loro. Quand'ecco, riceve da una insigne
benefattrice una offerta di L. 2500 per grazia ricevuta, chiedendo ancora
preghiere per una grazia nuova.
Il Santo risponde sollecitamente, e promette che avrebbe
pregato e fatto pregare.
Poco dopo riceve, dalla stessa signora, un'altra offerta di
lire tremila.
Don Bosco ringrazia di nuovo più sentitamente, promettendo di
nuovo preghiere.
La signora manda una terza offerta di diecimila lire. Allora il
Santo, volgendosi ai Superiori della casa, esclamò: - Ora mi trovo davvero negli
imbrogli! Ditemi voi come debbo comportarmi. Costei non la vuol cedere! E rideva
di un sorriso angelico, mentre due grosse lacrime gli rigavano il viso.
Ci rivedremo al cader delle rose
Si presentò un giorno a don Bosco un suo religioso coadiutore
il quale, allettato dalle belle promesse dei parenti, prese a dirgli che da
qualche tempo trovava pesante la vita religiosa, e quindi desiderava
ritornarsene a casa sua.
Don Bosco l'ascoltò attentamente e poi rispose: - Ho capito
tutto!... tu dunque vuoi lasciare la nostra casa, perché vi trovi qualche
spina, e vuoi ritornare in famiglia ove tutto ti pare fiorito. Ebbene, va'
pure!... ma ci rivedremo al cader delle rose.
Il buon coadiutore lo salutò contento, gli baciò ripetutamente
la mano, e se ne andò.
Il suo arrivo in famiglia fu salutato con ovazioni e feste, con
pranzi e cene, e inviti anche dagli amici e conoscenti.
Ma col passare delle settimane e dei mesi, incominciarono le
angolosità, le parole dure, le risposte piccanti, i tratti scortesi, i diverbi,
le provocazioni, le contese, fino al punto in cui ad una sorella, la più
affezionata, sfuggì la parola « rinnegato!... ».
Fu l'ultima stilettata al cuore del povero religioso. Non
mangiò più, non dormì più. Radunò i suoi indumenti, rifece le sue valigie e...
via a Torino all'Oratorio, ove buttandosi ai piedi di don Bosco, esclamò: -
Padre, anche se non ne son più degno, mi accolga ancora fra i suoi figli!
Don Bosco, che già lo attendeva, lo rialzò sorridente, e gli
disse: - Te lo avevo detto che, al cader delle rose, ci saremmo riveduti!...
Orbene, va', ripiglia il tuo posto, ritorna alle tue occupazioni, e non pensare
più né alla casa, né ai parenti. Ti deve bastare il mio amore.
Mani bucate
Un giorno don Bosco, che era nemico dei debiti, si trattenne
con alcuni dei suoi primi Salesiani, tra i quali vi era pure don Rua, che
fungeva da economo.
A un certo punto, rivolgendo la parola a quest'ultimo, disse:
- Senti, don Rua: tutti domandano denaro, e tu li mandi via a mani vuote.
- Oh, don Bosco, questo avviene per il semplice motivo che sono
vuote le casse.
- Ebbene, si vendano quelle poche cartelle che ci rimangono; e
così pagheremo i debiti.
- Qualcuna fu già venduta; ma vendere proprio tutto non pare
conveniente.
- Vendi, vendi; il Signore provvederà.
- Perdoni, don Bosco: su quei pochi denari che tengo, ho già
fatto i miei conti. Fra quindici giorni si dovrà pagare quel grosso debito di 28
mila lire che scade.
- Ma no! questa è una follia! lasciare da pagare i debiti di
oggi per pagare quelli che scadranno fra 15 giorni! Vendi, vendi, e paga.
- Ma i debiti di oggi si possono differire; quell'altro
no.
- Vendi, vendi; il Signore provvederà. È un chiudere la via
alla divina Provvidenza il voler tenere in serbo per i bisogni futuri.
- Ma la Provvidenza suggerisce pure di pensare all'avvenire, e
già altre volte ci siamo trovati in gravi situazioni.
- Vendi, vendi! Ascoltami; va' in ufficio, metti fuori quanto
hai, soddisfa, e mettiamoci nelle mani del Signore.
Poi, rivolgendosi a tutti i presenti, esclamò: - Quando sarà
possibile trovare un economo che abbia le mani bucate, ossia che mi assecondi
interamente? Tutti risero col buon padre di quella magnifica espressione, e
gridarono in coro: - L'uomo delle mani bucate è bell'e trovato; è don Rua.
E fu così davvero, perché don Rua, da quel giorno, assecondò
interamente don Bosco.
L'anima dei divertimenti
Don Bosco era solito dire: « La gioventù bisogna sempre tenerla
occupata, perché l'acqua stagnante imputridisce ».
Egli amava le ricreazioni clamorose; e per darne l'esempio,
era sempre il primo ai giochi e l'anima dei divertimenti.
Sveltissimo a correre, non di rado sfidava tutti i suoi giovani
a sopravanzarlo. Li allineava, e gridava: uno... due... tre!
Un nugolo di ragazzi si slanciava alla corsa; ma don Bosco era
sempre il primo a raggiungere la meta. Allora, per non lasciarli mortificati,
andava a riempirsi le tasche di caramelle, e ne lanciava di qua e di là in mezzo
ai crocchi.
Egli a tutti sorrideva, a tutti dispensava, con la caramella,
anche una parola dolce, arguta, incoraggiante, veramente paterna.
Questi suoi modi gli accaparrarono tanto l'animo di tutti, che
ognuno andava a gara per dimostrare, con l'obbedienza e il rispetto, quanto
fosse l'amore e la riconoscenza di cui si sentivano pervasi.
Così voleva facessero poi tutti i suoi Salesiani e che la
ricreazione fosse sempre animata e chiassosa.
Un giorno, che ne vide alcuni starsene in crocchio a
chiacchierare, si fece subito in mezzo a dire: - Guardate che, mentre voi
riposate, il demonio lavora.
A chi gli osservava che, a correre e a giocare, si sciupano le
scarpe ed i vestiti, rispondeva: - Via, via! ..., meglio spender in scarpe e in
vestiti che in medicine. Sarti e calzolai li abbiamo in casa. È meglio essere in
grazia di Dio rattoppati, che nelle mani del demonio lucidi ed attillati.
Quello della cioccolata!...
Nelle case salesiane si suole celebrare con particolare
solennità la festa di san Luigi Gonzaga; e già fin dai primi tempi, don Bosco
dava a questa festa la massima importanza.
Nell'anno 1858, per quella circostanza, aveva ordinato ad un
esercizio della città un servizio di caffelatte e cioccolata, coi rispettivi
panini e dolci.
A metà della Messa, giunge il garzone con un carretto, e
depone ogni cosa presso la sacrestia; poi entra in chiesa attratto dalla melodia
dei canti e dallo splendore della funzione.
Il sacrista, che era rimasto a custodire tutto quel ben di Dio,
non seppe resistere alla fragranza che emanava da quelle caffettiere fumanti e
dalla leccornia di quei dolci, che pareva gli dicessero: prendi e mangia;
difatti, dopo breve alternativa, si fa coraggio e, franco e risoluto, mesce un
primo tazzone, poi un secondo e un terzo, sempre inzuppando e insaccando a piene
gote.
Terminata la Messa, i signori s'accomodano in un salotto
attiguo. Il cameriere, a un cenno di don Bosco, corre a prendere la colazione, e
trova quasi vuote le caffettiere, e quasi sparito addirittura il servizio dei
dolci.
- Povero me!... Come si fa?...
Tutto tremante, corre a raccontare a don Bosco la
sparizione.
Don Bosco, che non si scomponeva mai, lo rimanda di corsa per
una nuova provvista, e così si rimedia a ogni cosa.
Ma intanto, chi sarà stato l'autore della birbonata?
Quand'ecco, alcuni ragazzi si precipitano affannosi attorno a don Bosco a
dirgli piangendo: - Presto, presto, don Bosco, venga a vedere il sacrista che
muore!
- Dov'è?
- Laggiù in fondo al cortile. Si stira e si dimena a terra, e
grida: « Io muoio... io muoio! ».
Don Bosco accorre. Viglietti confessa la marachella, chiede
perdono, e prega di disporlo a morire.
- No, non morrai - gli dice don Bosco; - solo il ricordo ti
resterà!
Portato all'infermeria, se la cavò con una buona dose di olio
di ricino; ma da quel giorno, tutti presero a chiamarlo « quello della
cioccolata », e questo nome gli era appiccicato ancora cinquant'anni dopo dacché
aveva lasciato l'oratorio.
Generoso come un re
Don Bosco, quantunque povero, era generoso come un re, e così
voleva che fossero i suoi figlioli.
Un giorno un suo sacerdote condusse ad una passeggiata una
schiera dei suoi alunni. Ad un certo punto, avendo smarrito la via, si trovò a
mezzogiorno in un paese distante, ove il buon Parroco, mosso a compassione, li
tenne a pranzo con sé, facendo loro le più liete cortesie.
Al ritorno, raccontò la cosa a don Bosco, il quale gli disse: -
E tu che cosa hai dato in compenso? - Io?... che cosa dovevo dargli?!
- Tu dovevi chiudere in una busta un biglietto da cento lire, e
dargliela suggellata, pregandolo di celebrare una Messa per te e per i tuoi
giovani. Ciò ti serva di norma, perché, in questi casi, non bisogna essere
stretti di mano, ma generosi come un re. Questa volta rimedierò io allo sbaglio.
- E così fece.
Cinquecento lire son troppe
Era faceto ed ameno anche con i suoi dipendenti. Nel 1871
inviava il prof. don Paolo Albera, che fu poi il suo secondo successore, a
fondare la casa di Marassi presso Genova.
Costui, trattandosi di andare a fondare una casa, aveva
accettato da amici e conoscenti una piccola scorta di danaro; e quando, prima di
partire, il Santo gli chiese se avesse bisogno di qualche cosa, egli rispose: -
Don Bosco, la ringrazio; ho già con me 500 lire. - Oh mio caro - gli osservò don
Bosco - non è necessario tanto danaro. Anche a Genova vi sarà la
Provvidenza.
E tratte dal cassetto poche lire, gliele diede, ritirandogli
il biglietto da 500.
- Il serbare qualunque somma per i bisogni di domani, mi pare
un'offesa alla Divina Provvidenza! Questa massima la lasciò per eredità ai suoi
successori.
E io... mi farei Salesiano
Un giorno, in un crocchio di confratelli, si parlava con grande
ammirazione dei vari Ordini Religiosi, elogiando le gesta e lo zelo di questo e
quell'altro. A un certo punto, uno esclamò: - Se non fossi Salesiano, mi farei
volentieri...
Don Bosco, che aveva condiviso ed approvate tutte le lodi a
cotesti diversi Ordini, udendo quella conclusione, con calma risoluta e
incisiva, a sua volta esclamò: - E io, se non fossi Salesiano, mi farei
Salesiano! Tutti applaudirono e si buttarono a gara a baciargli la mano.
Il gran segreto
Mons. Ferrè, Vescovo di Casale, tenendo una conferenza ai
Cooperatori Salesiani, venne fuori con queste parole: - Sapete perché la
congregazione di don Bosco si estende così prodigiosamente e i collegi salesiani
progrediscono così bene? Ve lo dico io: gli è perché don Bosco ha due grandi
segreti, che sono la chiave di tutto il grande bene operato dai suoi. Primo
segreto, quello delle spugne. Egli imbeve i suoi Salesiani e i suoi giovani di
pratiche di pietà, che quasi inebriano; e questi, pur volendolo, non possono più
fare il male e lo rigettano, come le spugne piene rifiutano qualsiasi altro
liquido. Il secondo segreto consiste nel caricare i suoi dipendenti di molto e
svariato lavoro. Egli accumula su ciascuno tante cose da fare, li affardella di
tante faccende e cure, che non hanno né trovano più il tempo a peccare e quasi
neppure a parare le mosche, come i muli sotto il tiro continuo.
Riferite queste cose a don Bosco, egli approvava ed aggiungeva:
- È per l'appunto così; finché saremo buone spugne imbevute di pietà, e buoni
muli sempre sotto tiro, la nostra Congregazione marcerà sicura. Si può dire che
tutti sono contro di noi, e che noi dobbiamo lottare contro tutti. Il mondo
legale ci è assolutamente avverso; il vento soffia contrario da ogni parte; ma
niente paura! Finché saremo muli e spugne, Dio sarà con noi. Noi abbiamo dinanzi
agli occhi un orizzonte chiarissimo; la nostra via è tracciata: Muli di lavoro,
Spugne di pietà, Evviva sempre La Pia Società!
Noi saremo sempre amici
Quando il buon Padre fu colpito dall'ultima malattia, il
giovane Luigi Orione fu uno dei dodici che offersero la propria vita al Signore
per prolungare l'esistenza del Santo, sottoscrivendo in un foglio questa
commovente implorazione: « O Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice dei
cristiani, S. Francesco di Sales, nostro Patrono, i poveri sottoscritti, al
fine di ottenere la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore don
Bosco, offrono in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di
gradire l'offerta e di esaudirci ».
Il foglio fu collocato sull'altare di sant'Anna nella chiesa di
Maria Ausiliatrice mentre don Berto, segretario del santo, celebrava la Messa
per quella intenzione, servito da Luigi Orione.
Il Signore non accolse l'eroica offerta, per dare alla Chiesa
un altro apostolo, ai poveri un altro padre. Ma il giovinetto predestinato sentì
la benedizione di don Bosco, appena morto il Santo.
Luigi Orione era giunto all'Oratorio nell'ottobre del 1886.
Proveniva dal seminario francescano di Voghera dal quale era uscito dopo una
forte polmonite. Era figlio di un povero selciatore di strade. Luigino rimase
incantato di don Bosco. Quando, raramente ormai, scendeva in cortile, Luigino
gli correva incontro. La prima volta don Bosco gli sorrise e gli chiese: -
Dimmi, su, com'è la luna al tuo paese? È più grossa che a Torino?
Orione ride, estasiato e don Bosco gli sfiorò il capo con la
mano.
- T'sés prope 'n fa fióché (sei un bel sempliciotto!). - Un
complimento che il ragazzo gradì un mondo, tanto più che don Bosco,
congedandosi, gli disse: - Guarda che noi saremo sempre amici!
Per esser amico di don Bosco, Luigino voleva anzitutto
confessarsi da lui, fargli una confessione generale di tutta la vita. Fece un
accurato esame di coscienza, consultò alcuni formulari, si accusò di tutto,
tranne che di aver ammazzato (« Questo no! » - scrisse). Riempì tre quaderni e
poi anche lui si accodò, alla porta di don Bosco, tra i ragazzi che attendevano
di confessarsi.
Quando fu il suo turno, don Bosco lo guardò sorridendo.
- Dammi i tuoi peccati. - Il ragazzo tirò fuori il primo
quadernetto.
Don Bosco lo prese tra le dita e lo stracciò. - Dammi gli
altri.
Anche gli altri quaderni fecero la stessa fine. Orione
osservava sconcertato.
- E ora la confessione è fatta - disse don Bosco. - Non pensare
mai più a quello che hai scritto. E gli sorrise. Orione non dimenticò mai più
quel sorriso.
Il miracolo del dito tagliato
Il 17 dicembre 1887, assieme agli alunni della 5a ginnasio,
Luigi Orione si confessò per l'ultima volta da don Bosco infermo. Anzi,
rientrato come gli altri nella sala di studio, Orione uscì di nuovo e tornò da
don Bosco. Fu quello il suo ultimo colloquio con il Santo.
Morto don Bosco, tra i giovani che vegliano accanto alla sua
salma esposta ai fedeli, il 1° febbraio 1888, c'è anche Orione, che prende dalla
folla gli oggetti da posare sul corpo del Santo. Ad un tratto, Orione (come
scrive egli stesso) ha una curiosa idea: pensa di affettare del pane, ridurlo in
pillole da posare sul corpo di don Bosco, per poi distribuirle. Entrato nella
sala di refezione prende un grosso e affilato coltello e si accinge ad affettare
un filone di pane. Dalla fretta, vibrando il primo colpo, si spacca
verticalmente l'indice della mano destra (egli è mancino). Angosciato, pensa
subito che senza quel dito non potrà diventare sacerdote, come già aspirava.
Avvolge allora nel fazzoletto il dito tagliato stringendolo bene e lo sostiene
con l'altra mano. Corre presso la salma di don, Bosco e con viva fede accosta il
dito sanguinante alla mano di don Bosco. A quel contatto la ferita si rimargina
all'istante.
Narrando il fatto prodigioso, don Orione era solito mostrare la
cicatrice rimastagli nell'indice destro, assicurando il perfetto funzionamento
del dito.
Divenuto sacerdote, fondatore dell'Istituto dei Figli della
Divina Provvidenza, suscitatore di tante opere provvidenziali, non dimenticò mai
il suo Maestro. Dello spirito di lui e del Cottolengo animò il proprio spirito e
ai due santi serbò la più fervida devozione. Non passava forse mai a Torino
senza scendere a Valdocco a venerare l'Ausiliatrice, a pregare don Bosco. Se
appena poteva si inginocchiava in presbiterio, al posto che occupava quando
giovinetto partecipava alle funzioni come membro del « piccolo clero » e
riviveva, pregando, i fervori della pietà eucaristica dei tempi di don Bosco. Il
giorno della canonizzazione (1 aprile 1934) egli fu a Roma a rendere omaggio al
Santo e a dividere con la Famiglia Salesiana la grande letizia di quella Pasqua
che Pio XI definì « Pasqua salesiana ». Il 3 aprile seguente partecipò alla
solenne udienza che il papa Ratti concesse ai pellegrini che gremivano la
basilica di san Pietro.
L'estensore di queste note in quella occasione si sentì
sussurrare da un alto Prelato della Curía romana: - Vuol vedere il don Bosco dei
nostri giorni? Guardi laggiù! - e gli indicò don Orione che in quel momento
attraversava piazza san Pietro, solo, l'aspetto dimesso, lo sguardo raggiante di
un'intima gioia che gli animava tutta la persona.
Don Orione fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 16
ottobre 1980.
LA POLITICA DI DON BOSCO
« Nessuna politica. Fare del bene a tutti, del male a nessuno.
Questa è la mia politica ». Così diceva don Bosco. Tattica e savoir faire (saper
fare) furono sempre le armi che adoperava il Santo, da giovane coi compagni e
compaesani, da seminarista coi condiscepoli e coi superiori, da sacerdote con
tutti e persino coi protestanti, con i massoni e con le più alte autorità, come
attestano gli episodi più piacevoli e più gustosi della sua vita. Ne scelgo
alcuni fra mille.
Prete più, prete meno
In quei tempi di trionfante liberalismo, uomini politici,
temendo in don Bosco un oppositore, volevano coinvolgere anche lui nei moti
rivoluzionari, e gli facevano insistenza perché prendesse parte coi suoi giovani
ai pubblici festeggiamenti che si svolgevano in Torino. Un giorno, incontrandolo
il famoso Angelo Brofferio, gli disse: - Domani, in Piazza Castello, è fissato
un posto anche per lei: veda di non mancare.
- Scusi, Onorevole, - rispose don Bosco - sono tanto impegnato
per procurare il pane ai miei orfanelli. Se anche non v'andassi io, altri meglio
di me occuperebbero il posto. E poi, prete più, prete meno, che importa!
Un altro giorno, il marchese Roberto D'Azeglio lo invitò ad
intervenire col suo Oratorio alla parata sulla piazza della Gran Madre di Dio,
per festeggiare la festa dello Statuto.
- Signor marchese - osservò don Bosco - il mio istituto è una
famiglia di giovani poveri, male in arnese: ci faremmo burlare se facessimo tale
comparsa... ne scapiterebbe anche l'importanza e la grandiosità della festa! Mi
abbia quindi per scusato.
Altra volta, in simili circostanze, invitato a pronunciare un
discorso d'occasione, si scusò dicendo: - Signori, mi mettano in mezzo a un
esercito di ragazzi o dinanzi a un raduno di contadini, e dei discorsi ne farò a
loro piacimento; ma dinanzi ad un pubblico colto e scelto, col mio dire
inelegante e il mio fare bonario, temerei di mettere a riso l'assemblea e
guastare ogni cosa.
Chiamato in Municipio a rendere conto dei suoi rifiuti e del
suo atteggiamento si presentò con aria di bonomo, con la barba da radere, con
le scarpe mal legate, dando risposte di un uomo distratto e poco intelligente,
tanto che uno di quei signori, che non conosceva don Bosco se non di nome,
rivolto ai compagni, mormorò: - Oibò... lasciamo un po' stare. Questo povero
matterello non sarà colui che spianterà le istituzioni dello Stato.
Caramelle amare
Il tratto di don Bosco con personaggi del mondo politico e con
Ministri di stato fu sempre improntato a un sano realismo e a sollecitudine
pastorale. Eccone un esempio.
Un giorno si recò al Ministero degli Interni. Titolare di quel
Dicastero era Urbano Rattazzi. Don Bosco trovò l'anticamera già affollata, ma il
Ministro, appena seppe che don Bosco attendeva, si fece premura di riceverlo
subito.
Il Santo, attraversando la fila dei curiosi e meravigliati per
quella preferenza, si presentò, e disse al Ministro, con quella semplicità tanto
naturale in lui: - Quanta gente, Eccellenza! questo suo ufficio mi dà l'aria di
un confessionale in tempo di Pasqua.
- Eh, caro don Bosco - rispose il Ministro - con questa
differenza: che chi va a confessarsi, se ne parte benedicendo il confessore,
mentrè chi parte dalle nostre udienze, spesso ci maledice, perché non si è
potuto soddisfare alle richieste.
La conversazione si protrasse assai, e quando don Bosco si alzò
per licenziarsi, si alzò anche il Ministro che, prendendo per mano il Santo, gli
disse: - Don Bosco, mi dica qualche cosa...
Don Bosco lo guardò meravigliato; poi, con la massima
confidenza, rispose.
- Eccellenza... pensi a salvarsi l'anima!
Il Ministro, stringendo forte la mano a don Bosco, abbassò la
fronte e pianse come un ragazzo.
Quando poi gli si chiedeva perché il Ministro si fosse messo a
piangere, egli rispondeva sorridendo: - Eh, gli ho detto qualche cosa... Ma sono
le caramelle amare quelle che fanno bene.
Questo stesso Ministro, un'altra volta, gli fece una domanda
strana: - Mi dica, don Bosco: io sono scomunicato?
Il Santo, preso così all'improvviso, stette alquanto pensoso, e
poi rispose: - Eccellenza, mi spiace, ma non potrei trovare argomenti che lo
scusino.
- Bravo, don Bosco! - soggiunse il Ministro; - finora nessuno
me l'aveva mai voluto dire. Preghi per me, e faccia pregare i suoi giovani,
affinché non abbia ad andare all'inferno.
- Sì, pregherò e farò pregare, ma lei faccia così... e
così...
Il Ministro moriva poco dopo. Aveva chiesto e desiderato il
sacerdote, e il Signore gli aveva certamente usato misericordia, perché egli
aveva usato misericordia agli orfanelli di don Bosco.
Grande funerale a Corte!
L'anno 1855 vide uno scontro durissimo fra lo Stato Piemontese
e la Chiesa.
Verso la fine del 1854 fu presentato alla Camera un
progetto-legge del ministro Urbano Rattazzi (agli Interni nel primo ministero
del marchese Camillo Cavour) « tendente a ridurre l'influenza della Chiesa »,
come afferma lo storico Francesco Traniello. Esso proponeva di sciogliere tutti
gli ordini religiosi contemplativi, che cioè non si dedicavano a qualche
ministero attivo (istruzione, predicazione, assistenza ai malati) e
l'incameramento dei loro beni da parte dello stato - che era ciò che
soprattutto premeva al Cavour.
Le forze cattoliche, guidate dai vescovi, si organizzarono
perché questa cosiddetta legge sui frati non passasse alle Camere, ma si dava
per scontata l'approvazione alla Camera dei Deputati e, di stretta misura, anche
quella al Senato. Solo il Re poteva bloccare la legge.
Stante questa atmosfera, in un rigido pomeriggio di dicembre,
don Bosco (che portava i suoi guanti di lana vecchi e sdrusciti per proteggere i
grossi geloni alle dita), raccontò ai suoi più intimi di aver fatto un sogno
strano. Era nel cortile quando aveva visto entrare dal cancello un valletto di
corte, vestito di rosso, che gridò: - Gran funerale a Corte! Gran funerale a
Corte! Appena sveglio, don Bosco prese la penna e scrisse al Re, pregandolo di
impedire, a qualunque costo, quella legge.
Cinque giorni dopo, sognò di nuovo. Gli pareva di essere nella
sua camera, intento a scrivere, quando ode lo scalpiccio di un cavallo in
cortile; vede aprirsi la porta, ed apparire lo stesso valletto in livrea rossa,
che entra a metà e grida:
- Annunzia: non gran funerale a Corte, ma grandi funerali a
Corte!
E ripetute due volte queste parole, se ne andò chiudendo la
porta dietro di sé.
Don Bosco corse sul balcone, e visto il valletto già in sella,
gli chiese il perché di tale annunzio; ma quegli, spronando il cavallo, gridò
ancora: - Grandi funerali a Corte!!! E si dileguò.
Appena giorno, il Santo indirizzò al Re un'altra lettera,
nella quale raccontava la seconda minaccia, e pregava sua Maestà a fare in modo
di impedire ad ogni costo quella legge.
Intanto la Regina Madre, Maria Teresa, colpita in quei giorni
da grave malore, il 12 gennaio muore in età di 54 anni.
La mattina del 16, le si celebrano i funerali; e la sera dello
stesso giorno, la Regina Maria Adelaide riceve il Santo Viatico, e muore il
giorno 20, in età di soli 33 anni.
La stessa sera, riceve il Viatico il Principe Ferdinando,
fratello del re, che spira la notte dal 10 all' 11 febbraio, in età anche lui
di 33 anni.
I chierici dell'oratorio - i soli a conoscenza di queste cose -
« erano esterrefatti nel veder avverate in modo così fulmíneo le profezie di don
Bosco - scrive don Lemoyne. - Nemmeno in tempo di peste si erano aperte tre
tombe reali nel giro di un mese ».
Intanto alla Camera la legge sui frati viene discussa il 15
febbraio e approvata (94 voti contro 23) per passare poi al Senato.
Non erano finiti i lutti per Casa Savoia. Il 17 maggio muore il
figlioletto del Re, Vittorio Emanuele Leopoldo di appena quattro mesi. Si dice a
Corte che il Re sia molto sconcertato per tanti funesti eventi. Ma il 22 maggio
la legge passa anche al Senato con quindici voti di maggioranza. Il re la firmò
il 29 maggio.
Questa volta don Bosco non rise. Santo e menagramo (a seconda
da che parte si voglia vedere la cosa) aveva previsto giusto, purtroppo!
L'amicizia del Re
Re Vittorio Emanuele II, che passò alla storia con il nome di
Padre della Patria con le virtù e i difetti che tutti gli riconoscono, era in
fondo un galantuomo e, a modo suo, anche un credente.
Dopo le famose lettere dei « funerali a corte » che tanto
l'avevano scombussolato, cercò più volte d'incontrare don Bosco, senza mai
riuscirci.
- Cuntacc! - disse un giorno al Conte d'Angrogna suo aiutante
di campo, - voglio proprio vedere questo prete in faccia.
Ed ecco che, un bel mattino, cavalcando col suo generale,
venne a Valdocco e chiese di parlare con don Bosco. Per caso, pochi minuti
prima, questi aveva detto al portinaio:
- Questa mattina ho molto da fare. Se venisse anche il Re, gli
dirai che non posso riceverlo.
Il portinaio fu fedele alla consegna, e Vittorio Emanuele si
allontanò aggrondato. L'aiutante, il giorno seguente si recò dal Santo e, con
fare risentito, l'interrogò: - È lei don Bosco?
- Si, sono io.
- E lei ha osato scrivere certe lettere al Re, cercando
d'imporgli il modo di governare?!
- Io ho scritto, ma non ho inteso imporre la mia volontà a
nessuno.
Allora il generale cominciò ad inveire, a chiamarlo impostore,
fanatico, ribelle, nemico del Re.
Don Bosco cercò di interrompere quel torrente d'ingiurie, ma
il generale che smaniava sempre più, a un certo punto, disse: - Senta, qui non
ci vogliono parole, ma fatti! Lei deve dare soddisfazione degli insulti che ebbe
l'ardire di indirizzate al Re.
- In che modo?
- In nome di Sua Maestà, segga, e scriva ciò che io le
detterò.
- Eccomi pronto.
Il generale incominciò a dettare una formula di ritrattazione,
che era la negazione della verità.
Don Bosco depose la penna dicendo: - Non è possibile! Io non
scrivo simili ritrattazioni. - Eppure, deve scriverla a qualunque costo!
- Ed io non la scrivo!
Il generale, furibondo, si toccò la sciabola, come per sfidarlo
a duello, ma don Bosco, con l'abituale dolcezza, lo disarmò e soggiunse: -
Signor Conte, se avessi saputo che desiderava aggiustare quest'affare, io
stesso mi sarei recato a casa sua, e le avrei risparmiato l'incomodo di questa
gita.
Il generale, mezzo sbalordito da quella proposta, si sentì
calmo e cambiato. Preso un tono più dolce, soggiunse: - Dunque, lei verrebbe a
casa mia? - Sicuro!
- E ne avrebbe il coraggio?
- Certo!
- E se la prendessi in parola? - Faccia pure.
Il giorno dopo, all'ora fissata, don Bosco fu veramente in
casa del conte d'Angrogna. Là si combinò una lettera di convenienza al Re; e da
quel giorno d'Angrogna divenne amico sincero di don Bosco e suo benefattore. In
seguito, anche Vittorio Emanuele concepì una stima grande per don Bosco,
cercando d'incontrarlo a Torino ed a Firenze. Disse di lui un giorno
all'Arcivescovo di Genova: - Monsignore, sa? il nostro don Bosco è veramente un
santo!
È cosa singolare
Siccome le sue profezie avevano suscitato in Torino una enorme
impressione, nel settembre del 1855 piombò all'Oratorio il questore di palazzo,
che gli proibì, a nome del Re, di fare ancora profezie circa le prossime morti.
- E perché? - osservò don Bosco.
- Perché son cose che impressionano, e potrebbero non
avverarsi.
- Che impressionino e facciano del bene, sì; ma che non si
siano avverate, non è mai capitato.
- Ebbene, dica a me il nome di chi, in quest'anno, sarà il
primo a morire tra i suoi dipendenti.
- Mi dà formale promessa di conservare il segreto? - La do, sul
mio onore.
- Boggero Giovanni.
Il questore segnò quel nome sul suo taccuino, e se ne andò.
Questo Giovanni Boggero aveva allora 26 anni; era di bella
presenza, di bell'ingegno, amato da tutti e in piena salute.
Tre mesi dopo, ossia il mattino del 14 dicembre, mentre stava
per far colazione, stramazzò improvvisamente a terra e morì d'apoplessia
fulminante.
Quando il questore venne a saperlo, ritornò all'Oratorio e
disse a don Bosco:
- Dica pure quel che vuole ai suoi giovani; ne ha tutte le
licenze immaginabili. - Quindi, baciandogli la mano commosso, si allontanò
ripetendo: « È cosa singolare, è cosa troppo singolare! ».
A chi poi lo richiedeva circa siffatte profezie, il Santo
sorridendo rispondeva: - È cosa singolare!... l'ha detto il questore.
Viva Vittorio Emanuele, Cavour e Garibaldi
Un altro giorno, trovandosi a pranzo con esponenti del governo
e personaggi di varie tendenze politiche, ascoltò i brindisi inneggianti alla
libertà, a Vittorio Emanuele, a Cavour e a Garibaldi.
Invitato poi a parlare anche lui, alzò il bicchiere, e senza
scomporsi, esclamò sorridendo: - Viva Vittorio Emanuele, Cavour e Garibaldi,
sotto la bandiera del Papa, affinché possano salvarsi l'anima!
Tutti l'applaudirono, ammirando il tatto fine del Santo e la
franca professione delle sue idee; ed uno di loro gridò: - Evviva don Bosco!
Egli non vuole proprio la morte di nessuno!
Desiderium peccatorum peribit
Il 6 agosto 1876, inaugurandosi la ferrovia
Torino-Ciriè-Lanzo, il Prefetto di Torino aveva chiesto di servire il rinfresco
alle Autorità nel collegio che don Bosco aveva in quest'ultimo paese.
Vi partecipavano i Ministri Agostino Depretis, Giovanni
Nicòtera, Giuseppe Zanardelli con molti deputati, e vi presenziò anche don
Bosco.
Servito il rinfresco, andarono tutti a sedere in giardino, e
si portò il discorso sui frequenti viaggi del Santo a Roma e sulle sue visite in
Vaticano. Quindi passarono a qualche amichevole scherzo.
Ad un certo punto, il deputato Ercole esclamò: - Don Bosco
legge nei cuori. Sentiamo un po' da lui chi è più peccatore: Nicòtera o
Zanardelli?
Tutti risero a questa uscita amena, e il Santo rispose: -
Veramente, per poter dare una risposta giusta, bisognerebbe che venissero qui a
fare gli Esercizi Spiritualí; e allora, dopo una confessione generale, potrei
dare un giudizio sul loro interno.
Ma siccome Ercole insisteva, Nicòtera lo interruppe dicendo: -
Oh!... perché vuoi mettere me come termine di paragone? Domanda invece a don
Bosco se tu sei più peccatore degli altri.
Ed egli: - Non ho voglia di convertirmi io... C'è tempo! - Oh,
sì! - soggiunse Nicòtera. - Non sai che sta scritto nei salmi: « Desiderium
peccatorum peribit »?
- Bene!... bravissimo! - ripeterono tutti; ed un altro
continuò: - Mi dica, don Bosco, ella crede che noi ci salveremo?
- Eh!... io lo spero - rispose il Santo. - La misericordia di
Dio è tanto grande!
- Ma noi non abbiamo voglia di convertirci tanto presto!
- Il che vuol dire che desiderano continuare, e poi... se si
sentiranno...
- Sì, così per l'appunto!
- E allora - concluse il Santo - si avvererà ciò che ha detto
quel signore poco fa: Desiderium peccatorum peribit!
Segreti di famiglia
Don Bosco, per le sue frequenti visite al Papa, era sospettato
dalla Polizia. Nel maggio del 1860 fu sottoposto ad una minutissima
perquisizione, durante la quale gli agenti, nel visitare un armadio, trovarono
un cassetto chiuso a chiave.
- Che c'è qui? - chiese con premura il Delegato. - Cose
confidenziali, cose segrete - rispose don Bosco. - Non voglio che alcuno lo
apra.
- Che confidenze! Che segreti! Venga ad aprire. - Non posso. Ci
sono cose che possono tornare a mio disonore. Rispettate i segreti di
famiglia!
- Con noi, non ci sono segreti! Venga ad aprire, o scassineremo
lo sportello.
- Minacciato dalla forza, io cedo, ma... non vorrei. Aperto il
cassetto, il Delegato abbranca le carte là contenute, e facendole vedere ai
compagni, grida: - Ora ci siamo!
Gongolante di gioia, si mette sollecitamente a farle passare,
assistito dalla cupida curiosità degli altri sbirri. Ne apre una, poi una
seconda, indi una terza e legge: Pane somministrato a don Bosco dal panettiere
Magra, Lire 7800.
Cuoio somministrato ai calzolai di don Bosco, Lire 2150.
Stoffa somministrata alla sartoria dell'Oratorio, Lire 730.
- Ma che razza di carte sono queste?
- Adesso che avete cominciato, continuate e lo saprete.
Aprono altri fogli, e non trovano che note di riso, paste, olio
e simili, tutte ancora da pagare. Allora il Delegato esclama: - Ma perché ci
corbella così?!
- Io non corbello nessuno! non avevo piacere che i miei debiti
fossero conosciuti; ma giacché li avete tutti voluti conoscere, pazienza! Se vi
compiaceste di pagarmi almeno qualcuna di queste note, fareste un'opera di
carità.
Quei signori si posero a ridere, e vennero a più miti
consigli.
Don Bosco, allora, fece portare una bottiglia, e bevvero tutti
alla salute della perquisizione.
Gatti nell'armadio
Tra gli inquisitori e i perquisitori più arrabbiati contro i
preti e gli Istituti Religiosi, e quindi contro don Bosco, vi era un certo Cav.
Gatti, un alto impiegato governativo.
Costui era stato incaricato di una inquisizione alle scuole
dell'Oratorio, e ne aveva fatto al governo una relazione spietata e
menzognera.
Don Bosco, temendo la chiusura del suo istituto, si recò
direttamente dal Ministro dell'Istruzione a parare la tempesta.
Il Ministro, chiamato il Gatti, lo mise a confronto con il
Santo per sostenere le accuse fatte in detta relazione; ma costui fu talmente
impappinato ed arrabbiato, che a un certo punto, non potendo più sostenere le
sue menzogne, si alzò, e pieno di dispetto, tentò di andarsene. Però, nella
confusione e nel livore che lo divorava, sbagliò la porta, ed aperto un armadio,
vi si cacciò dentro.
A quella vista, il Ministro gridò: - Ehi, cavaliere, adagio!
quello è un armadio! Ritorni indietro.
E alzatosi, andò egli stesso ad aprirgli la porta di
uscita.
Le astuzie di una marchesa
Nel settembre del 1864 la capitale del regno fu trasferita da
Torino a Firenze, e don Bosco, a richiesta d'alcuni insigni benefattori, decise
di recarsi colà in cerca di aiuti.
Quel viaggio a Firenze fu un vero trionfo. Tutti i giornali di
quei giorni parlarono di lui. Fu ospitato nell'arcivescovado; i canonici della
cattedrale tennero un'accademia in suo onore; e le nobiltà tutte gareggiavano
per averlo presso di loro.
La Marchesa Gerini, fra le altre, lo pregò di fermarsi qualche
giorno a Firenze, e don Bosco rispose: - Non posso, Marchesa; i miei figli mi
aspettano. - Che importa? Aspettino; quando giungerà lo rivedranno!
- Oh, sì. Essi aspettano il pane! Se io non vado, chi paga loro
il pane?
- Quanti sono? - Circa mille.
- Quale somma ci vorrà per provvedere il pane ai suoi giovani
in questi giorni?
- Diecimila lire circa.
- E se si trovasse questa somma, si fermerebbe davvero?
- Perché no?
- Ebbene, io le darò le diecimila lire.
- Se è così, il Signore la benedica! - esclamò
sorridendo.
Puf.. puf... puf...
Durante la sua permanenza nella città di Firenze, don Bosco
venne chiamato d'urgenza al Ministero degli Interni per affari
d'importanza.
Trovandosi a colloquio con il Primo Ministro Bettino Ricasoli e
con il ministro Lanza, questi gli chiese: - Ma lei, don Bosco, come fa a
mantenere tanti giovani e sostenere tante spese? Dove prende il denaro? Don
Bosco, ridendo, rispose: - Signor Ministro, vado avanti a vapore. - Che vuol
dire?
- Vado avanti come fa il vapore, cioè il treno, puf.. puf..
puf..! (ossia debiti, debiti, debiti).
Tutti risero di cuore; ma poi Lanza soggiunse: - Questo si
intende; ma poi questi debiti bisognerà onorarli.
- Veda, Eccellenza, io le dirò che dietro la macchina ci vuole
fuoco perché proceda; ed io ci metto questo fuoco.
- Di che fuoco intende parlare?!
- Del fuoco della fede in Dio e nella sua Provvidenza. Senza
questo fuoco, l'opera dell'uomo è nulla. Cadono gli imperi e rovinano i
regni.
Queste parole, pronunziate come sapeva pronunziarle il nostro
Santo, lasciarono in tutti coloro una impressione solenne, e si persuasero che
egli era veramente l'uomo di Dio.
Titolo di Cavaliere
Quando il conte Luigi Cibrario, ministro della Pubblica
Istruzione, gli inviò il diploma con la nomina di Cavaliere dell'Ordine dei
santi Maurizio e Lazzaro, egli si affrettò a recarsi da lui e gli disse: -
Illustrissimo signor Conte, se mi chiamassero Cavaliere, chi oserebbe ancora
farmi l'elemosina? E poi, di croci ne ho già troppe! L'onorificenza la dia
piuttosto ai miei orfanelli.
- E in che modo?
- Ottenendo loro qualche sussidio per provvederli di pane.
Fu contentato e sulla Gazzetta ufficiale di quei giorni
comparve il decreto che fissava la pensione di lire 500 annue all'Opera di don
Bosco.
I bersaglieri a Porta Pia
Il Risorgimento Italiano si concluse con la presa di Roma nel
1870. La Francia, che manteneva un grosso presidio in Roma, a protezione dello
Stato pontificio, fu costretta a ritirarlo, in seguito alla dichiarazione di
guerra di Napoleone III alla Prussia (19 luglio). Il successivo disastro di
Sedan (2 settembre), nel quale lo stesso imperatore fu fatto prigioniero,
consentì al governo italiano di sentirsi « le mani libere » nei confronti di
Roma. Un esercito di 60.000 uomini al comando del generale Raffaele Cadorna
investì Roma, che era difesa da 14.600 volontari agli ordini del generale
Kanzler.
Pio IX, che considerava un errore la sua fuga a Gaeta nel 1848,
era ben deciso a restare in Roma, nonostante che diverse nazioni fossero
disposte a ospitarlo. Una nave inglese era pronta per trasferirlo a Malta.
Il Papa volle consultare persone di sua fiducia, primo fra
tutti don Bosco.
La lettera di risposta, del nostro Santo fu copiata in bella
copia da don Giovanni Cagliero e ha lo stile solenne e ispirato di cui si
serviva don Bosco quando parlava in qualità di « profeta ».
- Che la sentinella, l'Angelo d'Israele, si fermi al suo posto
e stia alla guardia della rocca di Dio e dell'Arca santa.
Alle 5,30 del 20 settembre i bersaglieri italiani aprirono il
fuoco su Porta Pia, squarciando una breccia di trenta metri. Il Papa un'ora dopo
faceva issare la bandiera bianca su Castel Sant'Angelo. Poche furono le
vittime. Il Papa si ritirò in Vaticano, considerandosi prigioniero. Si apri in
tal modo la famosa « Questione romana » che si protrasse, con alterne vicende,
per quasi sessant'anni, e che fu composta solo nel 1929 (11 febbraio) con la «
conciliazione » e la firma dei Patti Lateranensi i quali, secondo l'espressione
di Pio XI, « ridonarono Dio all'Italia e l'Italia a Dio ».
Don Bosco apprese la notizia della conquista di Roma mentre era
in visita al suo collegio di Lanzo Torinese. Con meraviglia di tutti i presenti
- dice don Lemoyne, che fu teste oculare - egli non ne fu turbato, come se si
trattasse di cosa risaputa da tempo.
I PAPI DI DON BOSCO
Don Bosco conobbe, venerò ed ebbe familiari relazioni con due
Papi del suo tempo: Pio IX (1846-1878) e Leone XIII (1878-1903). Alcuni episodi
rivelano quanto fosse grande la devozione del Santo per il Vicario di
Cristo.
Niente Monsignore
Quando, nel 1858, don Bosco si recò la prima volta a Roma a
conferire con Pio IX per la fondazione della Società Salesiana, il Santo Padre,
per dargli un pegno della sua stima e del suo affetto, aveva pensato di
nominarlo suo Cameriere Segreto, ossia Monsignore.
E don Bosco, che non aveva mai ambito onori, modestamente
ringraziò, soggiungendo spiritosamente: - Santità, che bella figura farei io
quando comparissi in mezzo ai miei ragazzi vestito da Monsignore! I miei figli
non mi riconoscerebbero più; non oserebbero avvicinarmi, e tirarmi da una parte
e dall'altra come fanno adesso. E poi, la gente mi crederebbe ricco e... addio
elemosine. I miei poveri giovani ne avrebbero a morir di fame, e le mie opere a
perire. Oh, quant'è meglio che resti sempre il povero don Bosco!
Il Papa ammirò l'umiltà così graziosa di lui, e lo prese in
specialissima confidenza e familiarità.
Sotto il piede del Papa
Nella settimana Santa del 1858, il Papa lo volle presso di sé
in tutte le funzioni della Basilica di S. Pietro, e la Domenica di Pasqua, 4
aprile, essendosi il Santo portato con un Cardinale sulla loggia di S. Pietro,
dove il Papa si sarebbe recato a benedire il popolo di Roma, mentre stava
osservando estatico quello spettacolo di oltre 200 mila persone, ecco arrivargli
alle spalle la sedia gestatoria su cui era portato il Papa.
Non potendo più ritirarsi da alcun lato, si volse di fianco, e
la punta del piede del Santo Pontefice si posò sulla sua spalla.
Due giorni dopo, ritornato all'udíenza, il Papa, appena lo
vide, gli disse con apparente serietà: - Reverendo, dove vi siete andato a
cacciare il giorno di Pasqua, durante la Benedizione papale? Lì, dinanzi al
Papa. E quasi con le spalle sotto il suo piede!... Come se il Papa avesse
bisogno di esser sostenuto da don Bosco.
- Santità - rispose don Bosco - fui colpito all'improvviso!
... chiedo venia se...
- E aggiungete ancora l'affronto col chiedere se mi avete
offeso?!
Il povero don Bosco lo guardò con aria così confusa che ci
volle tutta la serietà di Pio IX per non scoppiar a ridere.
Tre Papi debitori
In un'altra udienza avuta da Pio IX, don Bosco vi si recò
portando una lunga lista di favori spirituali che desiderava ottenere per la
Società Salesiana. Alcuni erano talmente importanti, che egli non osava quasi
sperare.
A un certo punto, il discorso venne sull'attaccamento di don
Bosco e dei suoi Salesiani alla Santa Sede e al Papa in particolare; e il
Pontefice esclamò con enfasi: - Caro don Bosco, lo so! Tre Papi sono a voi
debitori! Ne avete difeso la fama oltraggiata con la vostra Storia d'Italia,
con la Storia Ecclesiastica e con le Letture Cattoliche. Tre Papi, capite, vi
sono debitori!
Il Santo, pigliata la palla al balzo, alzò gli occhi al Santo
Padre, e argutamente soggiunse:
- Non solo i passati, ma anche i presenti!
- Ho capito! avete qualche cosa da chiedere? Allora don Bosco
tirò fuori e presentò la supplica ed il Papa, esaminatala, gli concesse tutti i
favori che desiderava dicendo:
- Così il Papa presente paga i suoi debiti.
Le 300 volpi...
Nell'udienza che don Bosco ebbe dal Papa Pio IX il 19 gennaio
1867 poté costatare quanta fosse la familiarità con la quale questo Papa lo
trattava.
Caduto il discorso sulle tristi condizioni nelle quali i
settari avevano ridotto la Chiesa, il Papa chiese a don Bosco: - E in quanto
all'amnistia che abbiamo concesso ai condannati politici, che cosa ne dite?
Il Santo, ben prevedendo i gravi avvenimenti che sarebbero
succeduti, esitava a rispondere; ma il Papa soggiunse insistendo: - Su, su,
dite pur liberamente il vostro pensiero. - Vostra Santità - rispose don Bosco -
con quel tratto di sovrana clemenza pare che abbia fatto come Sansone quando
catturò le 300 volpi e poi le lasciò andare in libertà. Esse corsero ovunque, a
portarvi l'incendio e la distruzione.
- Bene, bene, avete indovinato! - esclamò il Pontefice. E poi
soggiunse: - Noi ci siamo ingannati! Si ammansiscono e si addomesticano le
bestie feroci, ma le « volpi perdono il pelo, ma non il vizio ».
La voce del cielo al Pastore dei Pastori
L'8 dicembre 1869 Pio IX aprì ufficialmente il Concilio
Vaticano I, voluto dal Papa allo scopo di esporre chiaramente la dottrina
cattolica in serrato confronto con gli errori moderni e per definire dogma di
fede la prerogativa della « infallibilità » del Papa.
Ma i tempi, per lo stato della Chiesa, volgevano tristi. La
guerra tra la Francia e la Prussia era nell'aria e la sopravvivenza medesima
dello stato pontificio, difesa strenuamente dal governo del Papa, era in serio
pericolo. Si comprende l'ansia di Pio IX nel tentativo di conoscere « i segni
dei tempi » che coinvolgevano con il potere temporale i destini della Chiesa
medesima.
Fu detto e scritto che il Papa interrogò personalmente don
Bosco, le cui ispirazioni profetiche erano divulgate, nei due lunghi colloqui
privati che gli concesse nell'udienza dell'8 e del 12 febbraio. Le precedenti
edizioni di questo libro riportavano anche le battute drammatiche del dialogo
tra don Bosco e il Papa. In realtà questi parlò delle speranze che riponeva nel
Concilio e chiese al Santo di diffondere tra il popolo, con la collana di
Letture cattoliche, la dottrina sulla infallibilità del Papa. Gli chiese anche
qualche previsione sul futuro del Concilio e della Chiesa?
In una successiva udienza (12 febbraio) don Bosco consegnò al
Papa alcune pagine di « previsioni sull'avvenire ».
L'esposizione (di cui si conserva l'autografo di don Bosco) ha
uno stile immaginoso, simbolico, nel quale le previsioni s'intrecciano alle
invettive, agli appelli sovente misteriosi e confusi.
« ...Ora la voce del cielo è al Pastore dei Pastori. Tu sei
nella gran Conferenza con i tuoi Assessori (allusione al Concilio e ai Padri
conciliari, in numero di 700, venuti da tutto il mondo). Ma il nemico del bene
studia e pratica tutte le arti contro di te. Seminerà discordie tra i suoi
Assessori. Susciterà nemici tra i figli miei. Le potenze del secolo vomiteranno
fuoco e vorrebbero che le parole fossero soffocate in gola ai Custodi della mia
legge. Ciò non sarà. Tu accelera; se non si sciolgono le difficoltà, siano
stroncate. Se sarai nelle angustie, non arrestarti, ma continua finché sia
troncato il capo dell'Idra dell'errore. Questo colpo farà tremare la terra e
l'inferno. Ma il mondo sarà assicurato e tutti i buoni esulteranno...
« ...I giorni corrono veloci, gli anni si avanzano al numero
stabilito. Ma la Gran Regina sarà sempre il tuo aiuto, e come nei tempi passati,
così per l'avvenire sarà sempre grande e potente aiuto della Chiesa ».
Anche del Papa, poche righe più avanti, si dice testualmente:
« Ora egli è vecchio, cadente, inerme; spogliato di tutto, tuttavia, con la
schiava parola, fa tremare il mondo ».
Questo è tutto quanto don Bosco predisse sul Concilio e sul
futuro del Papa. Lo sviluppo storico ha confermato quanto quella visione
liberatoria, ma per il momento impietosa, fosse nell'ordine delle cose disposte
dalla Provvidenza, per i suoi misteriosi fini.
Sorpasserà gli anni di S. Pietro
Dal seguente aneddoto, appare sempre meglio come Pio IX
ricambiasse l'amore che don Bosco e i Salesiani nutrivano per lui e per la Sede
Apostolica, e quanto fosse squisita la bontà di questo Papa.
Nel febbraio del 1869, recatosi don Bosco nuovamente dal Papa,
questi l'accolse con le lacrime agli occhi e gli disse: - Caro don Bosco, io
sono vecchio; da un momento all'altro posso mancare; se avete qualche cosa da
chiedere per la vostra Congregazione, fate presto.
Il Santo con la sua tranquillità e sicurezza abituale,
guardando amorosamente il Pontefice, rispose in tono profetico: - Santo Padre,
il Signore vi serba ancora a grandi cose, e a fare del gran bene per la
Chiesa.
- Eh!... - soggiunse Pio IX - manca solo un anno e mezzo
all'età del pontificato di S. Pietro.
- E voi, Santità, lo sorpasserete.
- Che dite mai? Non è mai capitato.
- Ebbene, io dico a Vostra Santità che, non solo vedrà i giorni
e gli anni del Pontificato di san Pietro, ma altri ancora.
La profezia si avverò.
La merenda del Papa
In quella stessa udienza, Pio IX, per dimostrare a don Bosco
tutta la paterna bontà che nutriva per lui e per i suoi figli, dopo avergli
detto: « Vi concedo tutte le facoltà possibili », concluse: - Ma voi avete
ancora da chiedermi qualche cosa. Don Bosco rimase alquanto sospeso, e il Papa
continuò: - Sì, sì, voi desiderate ancora qualche cosa da me. - Santità, dopo
la vostra Benedizione, che potrei ancora desiderare?
- E come! Non desiderate fare stare allegri i vostri giovani
quando sarete ritornato in mezzo a loro?
- Santità, questo sì! - Dunque, aspettate!
Aperto lo scrigno, ne trasse un bel rotolo di monete d'oro, e,
senza neppure contarle, le pose in mano al Santo dicendo: - Prendete, e date
loro una buona merenda a mio nome.
Così fu fatto, e quella merenda fu chiamata « La merenda del
Papa ».
Predice il nuovo Papa
Morto Pio IX, si stava preparando il Conclave per l'elezione
del nuovo Pontefice.
Don Bosco che aveva trattato con Francesco Crispi in merito al
luogo ove si sarebbe potuto tenere un libero Conclave, in uno di quei giorni si
aggirava in Vaticano, quand'ecco si imbatté in un Cardinale che non aveva mai
veduto. Chi gli faceva da guida gli disse:
- Ecco qui l'Eminentissimo Pecci.
Don Bosco mira in faccia il Porporato, poi l'avvicina, e con
accento filiale gli dice:
- Vostra Eminenza mi permetterà che le baci la mano.
- Chi è lei, che si appressa così franco e disinvolto? - Io
sono un povero prete, che ora bacia la mano a vostra Eminenza, pregando con
ferma speranza che, fra pochi giorni, le possa baciare il sacro piede.
- Badate a quello che fate! anzi vi proibisco di pregare a
tale scopo.
- Ella non può proibirmi di chiedere a Dio quello che a lui
piace.
- Se voi pregate per questo fine, vi minaccio la censura.
- Eminenza, ella non ha la potestà di infliggere censure;
quando l'abbia, saprò rispettarla.
- Ma chi è lei che mi parla così autorevolmente? - Io sono don
Bosco.
- Per carità, tacete! È tempo di lavorare, non di burlare.
- Niente burla... ma verità - conchiuse Don Bosco
sorridendo.
E che fosse verità lo dimostrò il fatto che il Cardinale
Gioacchino Pecci, pochi giorni dopo, era il nuovo Papa Leone XIII.
Incontrandosi poi con don Bosco andava ripetendo: - Voi foste
il primo a salutarmi Papa, ed io sarò il primo vostro cooperatore
Salesiano.
Il Conclave si terrà a Roma
Nel febbraio del 1878, incaricato dalla Santa Sede di saggiare
le intenzioni del Governo circa il prossimo Conclave, chiese udienza a Francesco
Crispi, Primo Ministro; e vedendo che Crispi tentennava, francamente gli
dichiarò: - A nome del Sacro Collegio, chiedo una risposta pronta e categorica,
perché, in ogni caso, il Conclave verrà tenuto, magari a Trieste (a quel tempo
sotto l'Austria) o ad Avignone (Francia).
Crispi, colpito da quella fermezza, e pensando che il Governo
avrebbe avuto tutto l'interesse che il Papa fosse eletto a Roma, si alzò e tese
la mano al Santo dicendogli:
- Assicuri da parte mia i Cardinali, che il Governo rispetterà
e farà rispettare il Conclave e che l'ordine pubblico non sarà minimamente
turbato.
Don Bosco s'affrettò a portare la notizia in Vaticano, e la
Segreteria di stato si congratulò con lui per il buon esito della
trattativa.
Questa franchezza di carattere e fermezza di idee procurò
sempre a don Bosco ammirazione e benevolenza.
QUESTUANTE PER LA CHIESA DEL PAPA
Sfida contro la morte
Nel maggio 1883 don Bosco va in Francia, in cerca di aiuti per
le sue opere, e specialmente per la erigenda chiesa del Sacro Cuore di Gesù in
Roma, che il Papa Leone XIII gli ha caricata sulle spalle.
Il suo viaggio per la Francia è un viaggio trionfale. La stessa
sera del suo arrivo a Parigi è chiamato a benedire un giovanetto moribondo,
figlio di una rinomatissima Contessa, al quale erano già stati amministrati gli
ultimi Sacramenti.
- Sì, andrò - dice don Bosco - lo benedirò, ma a patto che
domani mattina venga a servirmi la Messa alla Maddalena, ove terrò una
conferenza.
La proposta pareva strana e sbalorditiva; ma egli, calmo e
sereno, s'avvia a quella casa, e dinanzi al morente già entrato nello stato
comatoso, fa una breve preghiera, lo benedice, e gli ripete: - Domani, verrà a
servirmi la Messa.
La notizia di quella sfida lanciata contro la morte si divulga,
e al mattino seguente, la bella chiesa monumentale della Maddalena è presa
d'assalto da una moltitudine incuriosita.
Sulla folla taciturna e orante alita l'ansia dell'attesa.
Squilla il campanello che annuncia la Messa di don Bosco, ed ecco il giovane
contino, ritto e bello come un angelo, precedere don Bosco col Messale fra le
braccia.
Passava nella folla immensa un fremito di commozione; mille
binocoli si appuntavano a lui, che solo la sera prima era moribondo.
Una nobile donna, presente al prodigio, vota all'istante tutto
il suo cospicuo patrimonio alle opere di don Bosco.
Altra sfida alla morte
Quell'anno non doveva chiudersi senza altri scherzi dello
stesso genere da parte della Divina Provvidenza. Nell'autunno, le più autorevoli
persone aristocratiche dell'Austria lo richiedevano al letto del Principe
Enrico, figlio del Duca di Berry, che era agli estremi. Tutti i giornali lo
davano moribondo, e si voleva don Bosco, nella ferma fiducia che egli lo
guarisse.
Don Bosco esitava ad accondiscendere, e diceva: - Hanno tanti
sacerdoti, e possono anche avere dei vescovi; che bisogno c'è di far correre il
povero don Bosco?
- Sì, è vero - gli si rispondeva - ma se quel principe vuole
sentire una parola da lei?!
Finalmente cedette e partì. Giunto al castello, disse
senz'altro a quelli che corsero ad incontrarlo: - Infirmitas haec non est ad
mortem (L'ammalato non morrà).
Lo benedisse, gli fece invocare Maria Ausiliatrice, e discese
per un po' di ristoro.
Quel giorno era sant'Enrico, onomastico del Principe. Alla
fine del pranzo, giunge in sala l'infermo a brindare con la moglie Maria Teresa
d'Este, e con quelli della Corte che pendevano dalle labbra di don Bosco, e il
giorno seguente prendeva parte ad una partita di caccia data in suo onore.
Quella guarigione fece stupire le celebrità mediche d'Europa,
che avevano visitato e curato il Principe, e don Bosco ritornato a Torino, a
quanti lo andavano complimentando, diceva ridendo: - Oh quanto si è meno in
soggezione in casa propria e al letto della povera gente, che non nei palazzi
reali e al letto dei Principi!
Venite a vedere un santo!...
A Marsiglia, aveva preso alloggio dai Fratelli delle Scuole
Cristiane, che tenevano colà un collegio di 600 giovani.
Nei primi giorni, pressato da molteplici occupazioni, non aveva
avuto il tempo di intrattenersi con quei ragazzi, e neppure i superiori avevano
pensato di presentarlo loro.
Un giorno, uno di quei convittori, attirato dalla curiosità,
gli si avvicina; e don Bosco, con tutta affabilità e confidenza, come soleva
fare con i suoi di Torino, si china al suo orecchio e gli dice una parolina.
Fu una scintilla elettrica. Quel fanciullo si stacca da don
Bosco, e prende a gridare forte:
- Compagni! Compagni! Venite a vedere un Santo! L'echeggiar di
quelle grida mise in subbuglio i giovaní e i superiori che, usciti sulle porte
e nei corridoi, si spingono, si urtano, si precipitano per le scale attorno al
prete santo, il quale, sbalordito da quell'irruzione, ma placido e sorridente,
li accoglie come avrebbe fatto un padre affezionato coi più affezionati
figlioli.
La presenza di don Bosco suscitò tale fermento, che tutti
vollero parlare e confessarsi da lui, producendosi il salutare effetto di una
muta di Esercizi Spirituali.
Quegli zelanti Fratelli, congedando il Santo, andavano
ripetendo: - Ancora un poco, e ci ruba il cuore di tutti i nostri
giovani!
Incominciamo!...
Ma intanto, era passata una bella settimana dacché si trovava a
Marsiglia e, a differenza delle altre volte, o nulla o quasi nulla aveva potuto
raggranellare per le sue opere.
Un bel giorno, mentre quasi angosciato se ne condoleva col
Direttore dell'Istituto, sembrò rianimarsi ed esclamò: - Incominciamo!...
E incominciò davvero. Ecco che, essendogli presentato un
giovane affatto incapace a reggersi in piedi, egli con la benedizione di Maria
Ausiliatrice lo raddrizza guarito. Accorrono a lui altri malati, ed egli li sana
pienamente. Ad altri legge nella mente; ad altri tocca il cuore; ad altri
indovina i peccati; ad altri predice il futuro, li conforta e benedice.
La notizia di simili prodigi si diffonde come baleno, e da
tutta la città e dintorni una folla immensa, sempre crescente, accorre a
chiedere la benedizione di don Bosco, ed implorarne grazie e favori.
Con i miracoli fioccano le offerte; tutti si accorgono che ha
incominciato davvero...
Fede che ammazza
Nel ritorno dai suoi ultimi viaggi in Francia, passò per
Grenoble.
Un popolo immenso l'attendeva. Le piazze e le vie rigurgitavano
di gente, e il Parroco, che gli era mosso incontro con tutto il clero in forma
solenne, lo pregò ad alta voce di benedire i suoi parrocchiani.
Quella moltitudine però non si contentò, ma tutti gareggiavano
per giungere a lui, per baciargli le mani o almeno toccarne le vesti. Alcuni,
non potendo riuscirvi, presero a porgere rosari e crocifissi ed altri oggetti
per farli arrivare fino a lui, e con quelli lo colpivano nella persona, nelle
mani e perfino nel viso; e glieli premevano anche sulle mani perché li
benedicesse e sulle labbra perché li baciasse.
Ad un certo punto, non potendone più, pregò i vicini che lo
liberassero esclamando: - Povero me!... la loro fede mi ammazza!
Ci volle del tempo per poter giungere alla vettura! Vi arrivò
ansante e trafelato, e facendo vedere ai compagni le mani e la faccia
indolenzite, diceva ridendo: - Ancora un poco, e mi flagellavano come Gesù nel
Pretorio di Pilato.
Bagno involontario
Durante questo viaggio, a Nizza, prese un bagno
involontario.
Un giorno ritornando dalle sue visite, per accorciare la via si
azzardò ad attraversare il fiumicello Paglione sopra un ponticello di legno
senza sponde e malfermo. Caso volle che, mettendo il piede in fallo, cadesse
nell'acqua, prima che chi lo accompagnava potesse dargli appoggio.
Inzuppato dalla testa ai piedi, fece in pochi passi il breve
cammino fino al collegio, e domandò abiti e biancheria per cambiarsi.
Il personale e confratelli accorsi si diedero attorno alla
ricerca, ma essendo la casa assai povera, non fu trovata né una cosa né
l'altra, per cui il Santo dovette mettersi a letto e attendere che il mite sole
nizzardo gli asciugasse gli indumenti.
Avendo pertanto dovuto sospendere le visite e le udienze, la
cosa fu saputa da molti signori; anzi, pubblicata da qualche giornale, fece in
breve il giro della città, e fu Provvidenza, perché giunsero al collegio tre
sottane nuovissime, due soprabiti fiammanti, e molti capi di biancheria e calze;
per cui don Bosco, ridendo, andava esclamando: - Un bagno così redditizio, anche
involontario, si potrebbe fare ogni giorno.
L'Abbé Bonhomme!
In quella stessa circostanza, trovandosi a Nizza Marittima,
aveva preso una vettura di piazza; ma quando si arrivò al momento di pagare, si
avvide di essere senza un soldo. Perciò pregò il vetturale che passasse più
tardi dal Patronage Saint-Pierre, dove lo avrebbe soddisfatto. - Di chi debbo
cercare?
- Di me.
- Come si chiama? - Abate « Bonomo ».
Verso sera, il vetturale venne, e chiesto al portinaio
dell'Abate « Bonomo », questi rispose:
- Ma qui non c'è nessun « Bonomo ».
Il vetturale insiste, alza la voce, ed il portinaio, perduta
la pazienza, gli indica bruscamente la porta.
Quegli, tutto rabbioso, stava per uscire, quando entra don
Bosco. Al vederlo, prende a gridare in aria di trionfo: - Voilà l'Abbé «
Bonhomme! ».
Don Bosco, ridendo, lo paga dandogli anche la mancia; ed egli
soddisfatto e confuso, esclama: - Cet homme n'est rien bonhomme... Il est grand
homme! (Costui non è bonomo... è un grand'uomo!).
Impresta la sua voce
Verso i suoi ultimi anni, don Bosco si era di nuovo recato in
Francia in cerca di aiuti. Ora accadde che il Direttore di una di quelle case
aveva, per quella circostanza, fatto preparare una recita, con invito a tutti i
cooperatori ed ai signori della città.
Giunto il momento di andare in scena, ecco che viene a mancare
improvvisamente la voce ad uno degli attori principali.
Sostituirlo era cosa impossibile; licenziare tanta gente senza
la recita, non era conveniente. Si ricorse a don Bosco, il quale, chiamato a sé
il giovane attore, gli disse: - Sei contento che ti impresti la mia voce? - Oh,
don Bosco!
- Lascia fare a me. Inginocchiati, prendi la mia benedizione, e
va' a sostenere la tua parte.
Il ragazzo obbedisce, ringrazia, va, sostiene la sua parte
perfettamente; ed il Santo restò rauco e muto per tutto quel tempo, senza poter
proferir parola. Finita la recita e richiamato a sé il giovanetto, dopo averlo
complimentato, gli soggiunse: - Ed ora, ritornami la mia voce, affinché possa
chiedere del pane per i miei orfanelli.
E la voce ritornò a don Bosco completamente, mentre il ragazzo
ritornò rauco come prima.
Il trionfo di Barcellona
Nel 1886, cedendo alle vive istanze dei Cooperatori Salesiani,
si recò in Spagna, preannunziato da tutti i giornali: il suo arrivo a
Barcellona fu come l'arrivo di un Re. Da ogni parte erano accorsi ad incontrarlo
rappresentanze e personaggi insigni.
Alla stazione l'attendeva un corteo di quaranta carrozze delle
prime nobiltà.
Per vederlo, la gente saliva sui tetti delle case, sui muri di
cinta, sugli alberi della strada.
Si dovettero raddoppiare le corse dei treni e le macchine per
trasportare i convogli sovraccarichi di persone.
L'entusiasmo regnò sovrano in tutti i giorni della sua
permanenza in quella città.
Dalle prime ore del mattino fino a tarda sera, era un affluire
continuo di magistrati, di dame, di nobili, di religiosi, frammisti a un'onda
di popolo, per vedere almeno una volta il Santo ed avere la sua benedizione
dalla balconata del suo alloggio.
In quei giorni, guarì gli storpi e rattrappiti, malati di ogni
età, e predisse ad un bambino di due anni che si sarebbe fatto sacerdote
Salesiano, come difatti avvenne.
Il 15 aprile, la Società Cattolica, che contava tra i suoi
membri il fior fiore della cittadinanza, volle dare un'accademia in onore di
don Bosco e insignirlo con una grande medaglia d'oro e con gli emblemi di S.
Giorgio. Si pronunciarono i primi entusiastici discorsi in onore suo e della sua
mirabile Opera, e in fine, invitarono a parlare anche lui.
Egli si alzò e disse brevemente: - Il fine, ossia lo scopo
della mia Società, è quello di spopolare le vie di ladroncelli e di scapestrati,
di educarli alla consolazione delle famiglie, ad onore della patria, di farne
degli uomini che salveranno le vostre sostanze, mentre un giorno ve le
chiederebbero con la rivoltella alla mano. E tutto ciò lo si compie mediante la
vostra carità; ma solo a Dio tutto l'onore e tutta la gloria! Quindi, con enfasi
speciale, esclamò: - Fortunata e benedetta Barcellona! Parlerò di te e delle tue
virtù in tutta Italia; farò vedere questa medaglia all'Augusto Pontefice, e gli
dirò come e quanto qui sia amata e riverita la Santità sua!
- Fortunata e benedetta Barcellona, che sei tanto attaccata
alla Religione dei tuoi avi e tanto prodiga di beneficenza verso i
bisognosi!
Un delirio di applausi e di acclamazioni si sprigionò da quei
cuori inteneriti e deliranti.
Si fece, seduta stante, una colletta a favore delle opere
Salesiane.
Infine, diede a tutti la sua benedizione. Qui lo spettacolo fu
dei più commoventi. Quella folla di signori e signore si prostrò in ginocchio, e
poi l'assediarono per baciargli il vestito e la mano; ci volle un'ora e mezza
prima che potesse giungere alla porta, ed arrivò a casa molto tardi, stanco e
spossato, ma pure ilare, e andava esclamando per scemare alquanto il suo onore:
- Quam parva sapientia regitur mundus! (Quanto poco ci vuole ad ottenere
l'ammirazione del mondo).
LE ARGUZIE DI DON BOSCO
Abbiam detto fin da principio che don Bosco era di carattere
assai faceto e arguto. Lo stesso si può dire di sua madre. I fatterelli seguenti
ne sono una splendida prova.
Il bastone della polenta
Nei primordi del suo Oratorio, per mancanza di locali, era
costretto a radunare in cucina i vari gruppi dei suoi giovani studenti e
artigiani. In un canto, seduti su un tavolo, c'erano i sarti che rattoppavano;
più in là, ad un deschetto, i calzolai che martellavano; poi i legatori che
cucivano i libri; dall'altra parte, gli studenti che svolgevano i loro compiti.
Don Bosco era maestro in tutto, insegnava anche il canto e la musica, ed aiutava
la mamma nel mestiere di cuoco.
Un giorno, mentre rimestava la polenta, aveva radunato attorno
al focolare i cantori ai quali insegnava una canzone per Natale. A un certo
punto, accortosi che precipitavano alquanto, si volge ed alzando il bastone
della polenta, prese con quello a segnare il tempo. Quell'atto improvviso e
repentino, quel bastone giallo e fumante, quegli spruzzi bollenti che piovevano
sulle mani e sulla faccia dei cantori in erba, fecero sbellicare dalle risa.
Peccato che non fossero ancora di moda le istantanee e le
cartoline illustrate.
Quando troveremo un bue
Quelle polente però e quelle altre brode di fagioli e di
castagne secche, non sempre stuzzicavano l'appetito dei suoi giovani, e talora
succedeva che or l'uno or l'altro facessero il niffolo.
Allora don Bosco, da tenero papà, li andava incoraggiando con
le sue trovate amene, e un giorno disse ad uno dei maggiormente schifiltosi: -
Su, Pin, mangia di buona voglia; quando troveremo un bue che non sia di
nessuno, lo macelleremo e faremo delle belle scorpacciate di costolette
arrosto.
Tanto bastò perché il ragazzo, rassegnato e festoso, mangiasse
allegramente.
Perché quel chiodo?!
Ogni volta che gli capitava di incontrarsi con qualche suo
allievo o conoscente che, per trascuranza o per inavvertenza, non lo salutava,
faceva suo il fatto attribuito a san Filippo Neri, ossia lo fermava e gli
diceva: - Amico, perché quel chiodo sul cappello? L'amico prendeva in mano il
cappello, e girandolo e rigirandolo, rispondeva alquanto smarrito
- Quale chiodo?
Il Santo, sorridente e buono: - Scusa, sai!... mi pareva di
vedere un chiodo che ti fermasse il cappello, perché, passando, non mi salutavi.
Tanto bastava per cattivarsi la benevolenza di tutti perché tutti, passandogli
innanzi, lo salutassero con premura, affinché non vedesse il chiodo sul
cappello.
I numeri del lotto
Un giorno vennero due signori a domandargli i numeri del
lotto. Il Santo, non avendo potuto scansarsi alle premurose insistenze, disse
loro: - Ebbene, giocate questi numeri: 10-5-14.
Quelli, contenti, se ne andavano; ma don Bosco soggiunse: -
Non ne volete la spiegazione? - Non c'è bisogno!
- Ma se non ve la dò, non saprete giocarli. - Ce la dia
dunque.
- Sentite bene: il numero 10 sono i dieci comandamenti di Dio.
Il numero 5 sono i cinque precetti della Chiesa. Il numero 14 sono le
quattordici opere di misericordia corporali e spirituali. Giocateli davvero, e
farete fortuna.
Grosso salame
Trovandosi un giorno con un buon numero di superiori e di
ragazzi, domandò ad uno di questi: - Delle cose che hai veduto in vita tua qual
è che ti è piaciuta di più?
Il ragazzo rispose prontamente: - Don Bosco!
Tutti applaudirono. Il Santo allora, sorridendo, raccontò: -
Nell'ultima esposizione di Torino, vennero a visitare quelle grandi novità dei
contadini del mio paese. Entrando nei diversi reparti, tutti facevano le più
grandi meraviglie delle cose colà esposte. Solo uno se ne stava sempre zitto e
indifferente.
Ognuno pensava fra sé: possibile che, fra tanti oggetti così
vari e meravigliosi, nessuno abbia a piacergli? Continuando pertanto il giro,
arrivarono ad una sala ove, tra le altre cose, era esposto un grosso e magnifico
salame. A tal vista, quel tale tosto gridò: - Oh!... questo sì che è proprio
bello!!!
A quel punto tutti i ragazzi e i superiori capirono che il
Santo, con quell'allusione, aveva voluto ridimensionare, scherzandoci su,
l'ammirazione di quel ragazzo per lui.
« Cerco il dolce! »
Altra volta, in casa di signori, gli fu portata una tazza di
caffè, nella quale, per sbaglio, avevano messo del sale inglese invece dello
zucchero. Egli la centellinò con apparente buon gusto; poi indugiando sugli
ultimi sorsi, esclamò: - Cercavo il « dulcis in fundo » (dopo l'amaro il dolce),
ma non lo trovo!
Chiarita la cosa, le risate furono molte, e molte le
scuse.
Buon granatiere
In uno degli ultimi suoi anni, si recò a fargli visita una
signora la quale, vedendo lo sforzo che faceva per passare da un posto ad un
altro del suo studio, cercò di sorreggerlo per un braccio. Ma egli, in tono
risoluto e faceto, si schermì esclamando:
- Come!... un granatiere come don Bosco... crede ella che abbia
bisogno di farsi sorreggere? questo mai. E fece da sé, raddoppiando la sua
energia.
Pelo e contropelo
Entrando un giorno da un barbiere per farsi radere la barba,
s'accorse che, invece del barbiere, vi era una barbiera.
Esce allora di botto esclamando tutto ridente: - Non sia mai
che una donna mi pigli pel naso, e mi faccia il pelo e il contropelo!
La bellezza di 400 lire
Un giorno, trovandosi ad una mensa imbandita di molte e
squisitissime vivande, giunto al terzo piatto, cessò di mangiare. Accortosene,
il padrone di casa gli disse:
- Lei, don Bosco, perché non mangia?... Non si sente bene?
- Sto benissimo - rispose il Santo - ma dinanzi a tanta
abbondanza, penso ai miei giovani, i quali stentano a sfamarsi.
Uno dei convitati si alza e dice: - Giusto! Ebbene,
pensiamo'anche ai suoi giovani. Prende un piatto, e va in giro per una colletta,
che fruttò la bellezza di 400 lire.
Un peso sul cuore
Altra volta, trovandosi a pranzo dal banchiere Cotta, ad un
certo punto si rannuvolò, ed avendogli il banchiere domandato se avesse qualche
fastidio, rispose: - Ho qui sul cuore un certo peso di parecchie migliaia di
lire che lei mi ha dato ad imprestito, e che non saprei come restituire.
- Stia di buon umore - soggiunse il banchiere; - fra poco si
porterà il caffè, e questo le aggiusterà lo stomaco.
Difatti, venuto il caffè, trovò nel piattino la ricevuta
firmata a saldo di tutti i debiti che aveva con la banca.
Farei di cappello al diavolo...
Interrogato come riuscisse a farsela con tutti, nobili e
signori, parlamentari e Re, rispose:
- Guardate, miei cari, io non avrei difficoltà a fare di
cappello al diavolo, purché mi lasciasse passare per andare a salvare
un'anima.
Tant'è... siamo di carnevale
Quando si recò la prima volta in Francia, dovendo fermarsi colà
per parecchio tempo, fu consigliato di vestirsi secondo l'uso dei preti di quel
paese.
Egli acconsentì, e pavoneggiandosi con quel cappello e con quel
rabat (colletto) alla francese, andava esclamando: - Già!... quest'oggi
incomincia il carnevale e bisogna fare qualcosa di straordinario!
Chi riderà sarà il demonio
Un giorno, trovandosi a conversare con parecchi dei suoi figli,
questi fecero cadere il discorso sulla sua morte e sul compianto generale che ne
sarebbe seguito.
Egli, con tutta serenità, rispose: - Ebbene, se morisse don
Bosco, la gente direbbe: « poverino, è morto anche lui!... » e basta. Chi
farebbe gran festa e riderebbe davvero, sarebbe il demonio, il quale direbbe: «
È finalmente scomparso colui che mi faceva gran guerra e mi rubava le anime!
».
Bertoldo, Bertoldino...
Caterina Daghero, seconda superiora generale delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, accompagnò un giorno dal Santo una suora che soffriva di
scrupoli, ed era di tormento a sé ed agli altri.
Don Bosco l'ascoltò pazientemente; poi, chiamata la superiora,
le disse: - Conoscete il libro di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno?
- No, Padre, non lo conosco.
- Ebbene, cercatelo, compratelo e, quando vedete questa
figliola pensierosa, fategliene leggere qualche pagina. Lei non ha bisogno che
di distrarsi e stare allegra.
O così... o niente pranzo!...
Nel 1884, essendo ospite del Vescovo di Pinerolo, un giorno
quel prelato dovette assentarsi e lasciarlo solo. Giunta l'ora del pranzo, don
Bosco chiamò il cameriere e il giardiniere e li invitò gentilmente a sedere a
mensa con sé.
Quelli si profondevano in mille scuse, ed egli: - O così... o
niente pranzo! Forse che non dovremo stare insieme per sempre nel santo
Paradiso?
Gianduieide
Nel carnevale del 1869, che in Torino si festeggiava nel modo
più decoroso, signorile e gaio, ottenne dal Municipio di porre un banco di
vendita in piazza Castello negli ultimi giorni dei festeggiamenti.
Il banco dell'Oratorio fu tra i più belli e meglio forniti,
specialmente di libri ameni e divertenti.
I venditori erano vestiti in costume di Gianduia, e attiravano
un gran numero di persone, spacciando a caro prezzo le loro mercanzie a tutta la
nobiltà di Torino. Gli affari furono eccellenti, e quando la contessa di
Camburzano, il giorno dopo, scrisse a don Bosco congratulandosi con lui della
idea veramente singolare, di cui solo i santi sanno farsi autori, egli
rispondeva: - Come don Bosco è per tutti, così deve approfittare di tutto anche
col fare il « Gianduia » per sfamare i suoi giovani e tirar innanzi le sue
opere.
Argenteria che scompare
Don Bosco, come già si disse, era molto spiritoso e faceto.
Trovandosi un giorno a pranzo dal Barone Martin, in Francia, ebbe modo
d'osservare che i commensali ammiravano assai un ricco servizio da tavola, tutto
in argento finemente cesellato.
Prima di prendere commiato, vedendo che il signor Barone, forse
per dimenticanza, o forse per riguardo ai forestieri, non gli faceva la solita
offerta per le sue opere, ricorse a quest'astuzia. Si accostò al tavolo sul
quale stava esposto quel servizio e prese ad insaccare nella sua valigetta. I
baroni e gli altri stavano a vedere come andasse a finire quello scherzo; ed
egli, compiuta l'operazione, si volta al Barone e chiede: - Signor Barone,
quanto potrà valere questo servizio?
- Se si volesse comprare nuovo - risponde il padrone - ci
vorrebbero dieci mila franchi; ma a rivenderlo, se ne ritirerebbero forse solo
mille.
- Ebbene - soggiunse don Bosco tutto serio - piuttosto che
rivenderlo ad altri, lo rimetto a lei; mi dia mille lire per i miei
orfanelli.
Fu uno scroscio di risa generali. E il Barone sborsò volentieri
le mille lire.
Restituitemi il mio orologio
Le sue sante arguzie ed amenità se le permetteva anche con
persone di riguardo, quando fosse stato necessario. A Parigi, recatosi a far
visita ad un ricco signore, si sentì rivolgere queste parole un po' adulatorie:
- Sento raccontare di voi tante meraviglie: sarei curioso di vederne con i miei
occhi qualcuna.
- Ben volentieri - rispose il Santo. - Anche subito, se
volete.
- Sì, sì! - esclamò l'altro.
Don Bosco divagò alquanto, e dopo pochi istanti, soggiunse: -
Eccomi dunque pronto; la prego di osservare l'ora precisa.
Quel signore fa per cavar di tasca l'orologio, e non lo trova
più e allora prese a gridare: - Datemi il mio orologio: ho prove sufficienti
della vostra santità.
- Oh no! - disse don Bosco - l'orologio non ve lo do, se non mi
date il prezzo equivante per i miei ragazzi. - Ma il mio orologio costa 300
lire.
- Bene, bene, datemi 300 lire, ed eccovi l'orologio. Il signore
regalò non 300, ma 500 lire.
Uovo e gallina
Un giorno era in conversazione con due medici, due avvocati e
un professore. Costoro si erano messi in testa di provare a don Bosco che
l'esistenza di Dio è impossibile.
Don Bosco li lasciò sfogare per bene, e quando ebbero
sciorinato tutte le loro ragioni e prove, raccontò loro, a modo di scherzo, la
storia dell'uovo e della gallina, e interrogò:
- Ora a voi! È esistito prima l'uovo o la gallina?
- Oh! certamente fu prima la gallina - rispose subito uno dei
medici, mentre gli altri approvarono.
- E donde nacque la gallina?
- Dall'uovo - proruppero - insieme.
- Ma chi fece quel primo uovo da cui nacque la prima
gallina?
Allora tutti tacquero, giacché più nessuno sapeva
rispondere.
- Dite pure - soggiunse il Santo; - fu dunque prima l'uovo o la
gallina?
Dopo un istante di silenzio, l'altro medico esclamò: - Al
diavolo l'uovo e la gallina!... come si fa a rispondere?
Allora don Bosco soggiunse: - Piuttosto che al diavolo, io
darei uovo e gallina al cuoco che li cucinasse per farci star allegri; ma voi,
signori miei, andate pur dall'uovo alla gallina finché volete, e dovrete alfin
conchiudere che vi è un Dio che, come ha creato tutte le cose, ha anche creato
l'uovo da cui venne poi la gallina, o la gallina da cui venne poi l'uovo. E così
andiamo pure di figlio in padre fin che ci piace; ma dobbiamo terminare ad un
uomo creato da Dio, cioè con Adamo che fu il primo uomo.
Tutti dovettero approvare, o almeno tacere, e congratularsi
col Santo che li aveva così bellamente e spiritosamente messi nel sacco.
Curiosità appagata
In un viaggio a Parigi, si recò a far visita ad un signore
molto danaroso, ma non troppo benefico né largo in offerte.
Costui, desideroso di sapere il fine per cui il Santo si fosse
recato a Parigi, gli disse: - Signor Abate, c'è chi dice che voi siete venuto a
Parigi per far conoscere le vostre opere; chi per fondare un Istituto; chi per
fini politici...
- Signore - rispose il Santo - sapete che cos'è che spinge i
lupi ad addentrarsi negli abitati? E la fame, la sola fame! Orbene, è appunto
per togliere la fame ai miei orfanelli, e provvedere loro il necessario, che
sono venuto a Parigi. Qui vi sono molte persone caritatevoli e generose, come
voi, dalle quali spero un'abbondante carità.
- Ho capito! - rispose quel tale che aveva capito la lezione;
e, non volendo smentire don Bosco, gli lasciò una bella elemosina, che non fu
l'ultima.
Con una signora bisbetica
Una signora assai caritatevole, ma bisbetica, un giorno invitò
il Santo a pranzo.
Don Bosco promise, ma poi non poté tenere l'invito. Quella
signora, indispettita per la mancata parola, gli scrisse una lettera di fuoco
nella quale finiva col protestare che non avrebbe più dato soccorso alcuno
all'Oratorio.
Il Santo attese qualche giorno per lasciar calmare la bufera,
poi si recò in persona da lei, e coi più bei modi le disse: - Signora, sono
venuto a riportarle la sua lettera, perché mi spiacerebbe se si conservasse per
il giorno del giudizio.
La signora, a quelle parole dette fra il serio e il faceto, si
rasserenò all'istante e, fatta la pace, riprese a mandare le sue offerte.
Dieci lire per confessarsi
Un giorno si presentò a don Bosco un individuo, chiedendo di
confessarsi.
Il Santo subito l'accolse con premura, e gli domandò: - Quanto
tempo è che non vi confessate?
- Sono dieci anni.
- Allora - continuò il Santo - datemi dieci lire. - Ma perché?!
ho sempre sentito dire che per confessarsi non si paga nulla.
- E se per confessarsi non si paga nulla perché mai voi avete
aspettato dieci anni?
Quel tale alzò gli occhi confuso, e vedendo don Bosco
sorridere, esclamò: - Ha ragione, Padre; d'ora innanzi, non sarà più
così.
Dunque io sono un burlone
Questa gli capitò a Parigi. Per la moltitudine di gente che
desiderava parlargli o semplicemente vederlo, spesso accadeva che la casa ove
pigliava alloggio si gremiva talmente da impedirne l'entrata.
Una mattina, dopo Messa, essendosi alquanto attardato in
sacrestia, non gli fu più possibile aprirsi il passo. Alle sue preghiere di
lasciarlo passare per poter dare le udienze, andavano rispondendo: - Rieur!
(burlone). Voi ci volete ingannare.
- No, no!... Voi non siete don Bosco... Don Bosco è là, e noi
vogliamo essere i primi.
Il Santo, vedendo inutile ogni insistenza, pensò bene di andar
in cerca di un'altra entrata per la porticina del giardino, e man mano che
cotesti increduli si presentavano poi a lui in udienza, diceva loro
scherzosamente: - Dunque, io sono un burlone?! Orbene, fatemi un'offerta più
generosa in compenso della figura patita. E fioccavano i biglietti e le
monete.
La contessa... giovane
Don Bosco aveva più volte udito parlare di una contessa,
persona molto ricca e molto religiosa, e desiderava farne conoscenza, ma le
circostanze gli avevano sempre impedito di stringere relazione.
Sapeva che costei aveva una innocua debolezza: si piccava di
essere giovane, e si offendeva acerbamente che qualcuno accennasse alla sua età
avanzata. E siccome aveva una figlia che oltrepassava i trent'anni e che la
gente chiama la contessa giovane, era per lei insopportabile essere chiamata la
Contessa vecchia.
Un giorno il Santo si incontrò all'improvviso con questa
Contessa, la quale si fece a dirgli:
- Scusi, sarebbe lei don Bosco?
- Per servirla, signora! E da chi ho l'onore di essere
interrogato?
- Sono la Contessa X...
Don Bosco colse a volo l'occasione, e subito soggiunse: - Oh,
la contessa X! Son proprio felice di questo incontro. E la signora Contessa sua
madre come sta? - Mia madre?... È da un pezzo che il Signore l'ha presa con
sé.
- Ma come? Sento sempre dire che sta benissimo e che è sempre
giovane ed arzilla.
- Guardi, don Bosco, lei forse prende abbaglio... mi scambia
con mia figlia. Io sono la Contessa Madre!
- Perdoni, signora Contessa, il mio sbaglio è pienamente
scusabile, giacché la trovo così giovanile... Mi congratulo con lei!
- Che vuole! - soggiunse la contessa sorridendo con visibile
compiacenza - mi mantengo così perché non ho mai commesso disordini in vita
mia.
- Ebbene - concluse don Bosco - io me ne rallegro con lei, e
pregherò il Signore che la conservi molti anni ancora.
- Grazie, don Bosco, accetto l'augurio, e lei accetti intanto
questa piccola offerta per le sue opere; d'ora innanzi, procurerò di fare di
più.
Erano due biglietti rossi (da 100 lire) che metteva
furtivamente nelle mani di don Bosco.
Se ne accorgerà
Abbiamo già raccontato parecchi aneddoti circa la forza di
muscoli del nostro Santo.
Da giovane non trovava difficoltà a stritolare fra due dita
noci, nocciole e noccioli di pesca e di albicocche, e spezzava come fuscelli le
verghe di ferro che servono comunemente di ringhiera ai balconi. Anche nei suoi
ultimi anni di vita, e dopo molte malattie, poteva far vedere di avere, di tale
forza, quasi nulla perduto.
Nel 1884, trovandosi il Santo a letto ammalato, il medico
curante, vedendolo assai depresso, volle misurare la forza dell'infermo e
presentandogli il braccio, gli disse: - Don Bosco, mi stringa il polso con tutta
la forza che può.
Il Santo lo guardò con aria di meraviglia e insieme di
compatimento, e rispose: - Badi, dottore, che se ne accorgerà! - Non abbia
timore di farmi male.
Don Bosco accondiscese, e prese a stringere; il dottore, dopo
aver resistito alquanto, mandò un grido e, svincolandosi, esclamò: - Basta,
basta! l'esperimento è fatto. Che branche di ferro!
Allora gli presentò il dinamometro (che è 1'istrumento col
quale si misurano le forze) e don Bosco lo pregò di provarsi prima lui, che poté
raggiungere 143 gradi. Lo pregò ancora di passarlo al sacerdote che lo
assisteva. Questi, stringendo con tutta la vigoria, raggiunse il 45.
- Adesso mi provo io - soggiunse il Santo. E presolo,
raggiunse i 60, ossia il massimo.
- Che tenaglie!... - esclamò ancora il dottore; - egli malato è
più forte di noi sani.
Cercatemi due mantici
Questo spirito arguto lo conservò fino agli ultimi suoi giorni,
quando, ai superiori ed agli infermieri che l'assistevano e lo compassionavano
essendogli il respiro molto pesante, disse ancora quasi celiando: - Andate in
cerca di un fabbricante di mantici, che venga ad accomodare i miei.
E si sforzava di ridere per temperare la comune mestizia di
quelle ore affannose.
Questa serenità perenne, che l'accompagnò nelle vicende liete
e tristi per tutta la vita, l'ha ancora accompagnato certamente dinanzi a Dio
nell'eterno Paradiso!
Bo...bo...la...ia... fa boia!
Anche la mamma di don Bosco era arguta e facile alle amene
trovate. Ancora quindicenne, il padre la lasciò un giorno alla custodia del
granoturco disteso nell'aia al sole.
In quel tempo, bivaccavano nei dintorni dei soldati tedeschi,
che lasciavano liberi alla pastura i loro cavalli. Questi, attratti dall'odore
del granoturco, si accostarono all'aia di Margherita e presero a mangiare
tranquillamente. Margherita grida ai cavalli, prega i soldati di richiamarli;
ma i cavalli non se ne dànno per inteso, ed i soldati, burlandosi di lei,
rispondono in tedesco: - Bo...bo...la...ia...! Ella, indispettita, grida:
- Bo...ia fa boia! e voi siete dei boia, che lasciate divorare
tutto il nostro raccolto.
E armatasi di una lunga pertica, prese coraggiosamente a
battere i cavalli e cacciarli lontano.
CHIAROVEGGENZA E DOTI METAPSICHICHE?
Conosce i segreti
Nel maggio-giugno 1844 si trovava ricoverata all'ospedale di
S. Giovanni una povera donna tisica all'ultimo stadio. La sua vita era stata
deplorevole, e si temeva che finisse con una morte disperata.
Invischiata in mille tresche, da molto tempo non si era più
accostata ai Sacramenti, e dava in alte smanie quando il cappellano o le suore
l'invitavano a confessarsi. Anche don Giuseppe Cafasso era stato respinto, e
questi pregò don Bosco di interessarsene lui.
Egli accorre; si mette a parlare di cose indifferenti, e infine
le fa questa dichiarazione:
- A nome di Dio, vi dico che, nella sua misericordia, Egli vi
concede ancora poche ore di vita perché possiate pensare all'anima vostra. Fate
presto a confessarvi e ricevere gli altri sacramenti. Domani sarete
all'eternità.
Queste parole riempirono di tanto terrore l'anima di quella
infelice, che, richiamato il Santo, si confessò in quella stessa sera, morì
rassegnata e convertita.
Predice l'avvenire
Erano passati pochi giorni dal fatto suddetto, quando una ricca
signora, moglie dell'ambasciatore del Portogallo in Torino, dovendo mettersi in
viaggio, pensò di sistemare prima le cose dell'anima sua, e si recò a tal fine
nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, dove don Bosco era vicecurato.
Ella non conosceva il Santo, e neppure don Bosco si era mai
incontrato con lei. Veduto un prete che, inginocchiato presso un confessionale,
pregava con aria molto raccolta, si presentò a confessarsi da lui.
Don Bosco l'ascoltò, e le consigliò una certa elemosina da
farsi in quello stesso giorno.
- Padre, non posso!
- E come non può, dal momento che possiede tante ricchezze?
La signora rimase sbalordita nel sentire come quel sacerdote
avesse conosciuto la sua posizione sociale, mentre era certa di non essersi data
in nessun modo a conoscere, e rispose: - Padre, non posso farla questa
penitenza, perché sto per mettermi in viaggio.
- Ebbene, faccia quest'altra: preghi il suo Angelo Custode che
la preservi da ogni male in ciò che le accadrà quest'oggi.
La signora restò ancora più colpita. Ritornata a casa, raccontò
la cosa ai familiari; fece con loro la preghiera all'Angelo Custode, e salì in
vettura con la figlia e con una cameriera.
Fatta poca strada, ecco che i cavalli si adombrano e si
slanciano a corsa sfrenata. Il cocchiere è sbalzato di cassetta; la carrozza
ribalta, e la signora si trova col capo a terra, mentre i cavalli continuano a
precipizio.
In un attimo di lucidità, ella invoca ad alta voce il suo
Angelo Custode, ed i cavalli s'arrestano nell'istante. Accorre gente a sollevare
i caduti, e con meraviglia grande, trovano che nessuno s'era fatto il più
piccolo male.
La nobile signora, ritornata a Torino, si recò nuovamente alla
chiesa di S. Francesco d'Assisi; volle sapere chi era quel prete, lo volle
ringraziare, e da quel momento divenne fervente cooperatrice salesiana.
Chi glielo ha detto?
Un giorno si presentò a confessarsi una persona che, per
soverchia timidità (o paura), più che manifestare i propri peccati, cercava di
infrascarli e scusarli.
Il Santo, che leggeva nell'anima dei suoi penitenti, lo lasciò
fare alquanto, ma poi, interrompendolo, gli disse con bel garbo: - Scusi, è
venuto per accusarsi o per scusarsi? - Oh, padre! per accusarmi!
- Dunque, si accusi e dica senz'altro: « Ho pensato così e
così; ho fatto così e così; ne è avvenuto questo e questo ». - E gli disse
chiare e tonde tutte le sue miserie.
Quel poveretto, confuso, ma arcicontento, baciandogli anche le
mani, gli domandò: - Ma come ha fatto a sapere tutte queste cose?... Chi glielo
ha detto?
- Me lo ha detto la sua confusione e paura; o meglio, gliel'ho
letto nel cuore. Perdoni, sa, se l'ho indovinato; non volevo che facesse un
sacrilegio e andasse all'inferno, giacché « chi si accusa, Dio lo scusa; chi si
scusa, Dio lo accusa ».
Come fa a saperlo?
Il Conte di Camburzano, deputato al Parlamento e grande
ammiratore di don Bosco, trovandosi un giorno in una conversazione con
personalità politiche, prese a raccontare le meraviglie di questo santo
sacerdote.
Quasi tutti ascoltavano con aria di sogghigno, ed una signora
più evoluta esclamò: - Vorrei vederlo questo uomo miracoloso, e provare se sa
dirmi « come mi trovo in coscienza ». Allora crederò quanto si dice di lui.
Tutti applaudirono. Venne stabilito di farne la prova, e la
signora in parola scrisse sull'istante a don Bosco. Il Santo, con la solita
premura e consueta semplicità, rispose a volta di corríere.
- La signora potrebbe starsene tranquilla in coscienza, quando
ritornasse a suo marito e rimediasse alle sue confessioni da vent'anni
addietro.
Quella signora era affatto sconosciuta a don Bosco, e tutte le
persone di sua conoscenza la credevano vedova. A tale risposta, ella andava
ripetendo: « Come fa a saperlo?... » e non poteva darsene pace.
Ho la coscienza in regola?
In uno dei suoi viaggi a Nizza Marittima, fu invitato da
monsignor Postel. Dopo una lunga conversazione col Santo, monsignore venne fuori
con questa domanda: - Don Bosco, mi dica se ho la coscienza in regola col
Signore.
Il servo di Dio lo guardò con sorpresa, e fece per andarsene.
Ma il prelato corre alla porta, la chiude a due giri, si pone la chiave in
tasca, e ripete: - Carissimo don Bosco, noi non usciremo di qua, finché io non
abbia saputo come io sto col Signore.
A questo tono risoluto e fermo, don Bosco diede un lungo
sospiro, raccolto in se stesso meditò un istante; poi, alzando gli occhi in
faccia a monsignore, disse con infinita compiacenza e spiccando chiaramente le
parole: - Voi siete in stato di grazia.
- Oh don Bosco! ma io temo che la sola sua benignità per me lo
faccia parlare in questo modo.
- Niente benignità; questa è la pura verità. - Ma come fa a
saperlo?
- Le ho letto nel cuore! E si abbracciarono teneramente.
Un prete di polenta...
Un giorno si presenta a don Bosco un operaio che gli dice di
aver cinque bambini ai quali dal giorno antecedente non aveva potuto provvedere
il cibo.
Il Santo lo guardò con aria di compassione; poi, fruga di qua,
fruga di là, finalmente trovò quattro soldi, e glieli diede accompagnandoli con
una sua benedizione.
Partitosi costui, don Bosco si volse all'amico Giuseppe
Brosio, detto il Bersagliere, che si trovava presente, e disse: - Poveretto! Se
avessi avuto cento lire gliele avrei date tutte, perché mi ha detto la
verità.
- E lei come fa a saperlo, se non lo conosce?
- Anzi, ti dico di più - continuò don Bosco. - Costui è sincero
e leale non solo, ma laborioso e affezionato alla famiglia; fu ridotto alla
miseria dalla sola sventura.
- Ma come fa a sapere tutto questo?
Allora don Bosco, prendendogli una mano e stringendola forte,
esclamò: - Gli ho letto nel cuore!
Combinazione volle che, dopo qualche tempo, Giuseppe Brosio
incontrasse per Torino quell'uomo al quale il Santo aveva dato i quattro soldi.
Costui, riconosciutolo, gli disse:
- Con quei quattro soldi ho comperato della farina di
granoturco ed ho fatto la polenta ai miei bambini. Ma... polenta miracolosa!...
mentre poteva bastare appena per due, ne mangiammo in sette, e tutti a sazietà,
tanto che fino all'indomani nessuno sentì più fame. Don Bosco è un santo, e noi
in casa lo chiamiamo il santo della polenta. Ma non basta! Dopo quella sua
benedizione, io ho trovato subito lavoro; i miei affari migliorarono.
Quando il Bersagliere raccontò a don Bosco quell'incontro e
quel discorso, questi esclamò:
- Son proprio un prete di polenta!
Otis-Botis-Pia-Totis
La sera del 7 febbraio 1865, don Bosco raccontava ai suoi
giovani il fatto seguente.
Un ricco signore era ammalato da più di due mesi; la malattia
andava aggravandosi, ed un suo amico, buon cristiano, gli fece notare che
sarebbe stato cosa prudente chiamare il prete.
- Oh, no! - rispose l'ammalato. - Confessarmi? No! Non voglio
che venga nessun prete.
- E se venisse don Bosco?
- Don Bosco?! Veramente, don Bosco lo vedrei volentieri. Ne
raccontano tante di lui. Venga pure, ma ad un patto: che non mi parli di
confessione.
L'infermo si mostrò contentissimo della mia visita, ma, prego,
mi disse tosto, mi parli di storia, di politica, di mille cose, ma non di
religione né di confessione.
Come desidera, signore - risposi io. E presi a raccontare
storielle amene e burlette ridicole, rincarando ognor più la dose, quanto più
vedevo che il malato vi pigliava gusto. A un certo punto, non potendone proprio
più, mi pregò di cessare, perché l'avrei fatto morire di riso prima che di
malattia.
Allora gli dissi: - Bene, parliamo dunque di cose serie.
- Sia pure, ma ricordi, don Bosco, che non voglio sentire di
confessione; questo è il patto che le feci.
- Ma signore, vuole che non le parli di confessione, e sempre
me la nomina: è segno che le sta a cuore! Comunque, io non la confesserò: le
parlerò solo della sua vita passata. - E cominciai a descrivergli minutamente lo
stato lacrimevole della sua coscienza.
L'infermo mi ascoltò con tutta attenzione e quando ebbi finito,
mi disse: - Ma, caro don Bosco, come ha fatto a conoscere così bene tutte le mie
azioni?
Ed io risposi: - Veda, signore, io ho quattro parole con le
quali leggo nell'anima a chi voglio.
- Quali sono queste parole? - Sono: Otis-Botis-Pia-Totis. Il
malato spalancò tanto d'occhi, e soggiunse: - Dunque è inutile che io mi
confessi poiché lei sa tutto: la confessione è bell'e fatta.
- Sì, è fatta ed ella non avrà difficoltà a dichiararsi
colpevole di questi peccati, a pentirsene, e fare un proponimento fermo di
cambiare vita, se al Signore piacerà conservargliela ancora.
- Nessuna difficoltà; anzi, ne sarò lietissimo.
Orecchie lunghe
Viaggiando in treno diretto a Sampierdarena, gli capitò di
dover prender posto di fronte a due Suore della carità di san Vincenzo de'
Paoli.
Alla stazione di Asti parecchie persone si presentarono allo
sportello a salutarlo, e quelle suore capirono di trovarsi in faccia a don
Bosco, del quale sentivano tanto parlare, ma che non avevano mai veduto.
Grande fu la loro gioia nel vederlo così da vicino; e una di
esse, più ardita, l'andava fissando alla sfuggita. E pensava fra sé: « Don
Bosco! che sia proprio lui? Giudicandolo da quanto se ne dice, io me lo
immaginavo alto nella persona, tarchiato, di aspetto imponente, mentre è un
prete da nulla. E poi... ha le orecchie così lunghe... ».
Ad un tratto don Bosco si volta al confratello che
l'accompagnava, e gli dice in modo da essere sentito anche dalle due suore: -
Senti: una volta mi saltò il ticchio di farmi fare la fotografia; ma quando il
fotografo mi presentò sei piccole copie, dopo averle alquanto osservate,
esclamai: « Oh! ... credevo di essere una bella persona, alto, tarchiato, di
aspetto imponente, ed invece mi avvedo di essere un prete da nulla... e poi...
queste orecchie così lunghe! ». La suorina allibì; ma don Bosco, per distrarla,
le domandò sorridendo: - Suorina, dove va? - In Sardegna.
- E in Sardegna che cosa farà?
- Sono destinata ad un orfanotrofio femminile. - Ohibò! lei,
invece, deve occuparsi dei ragazzi. - Che dice mai?!
- Non le piace forse? - No.
- Eppure sarà così, e coi birichini farà tanto del bene.
Giunto a Sampierdarena, don Bosco discese, e voltandosi ancora
una volta alla suorina, le disse: - Suor Brambilla, lavori poi volentieri per i
ragazzi. Fu profeta. Suor Brambilla, come scrisse poi lei stessa al Santo appena
giunta a Sassari, si sentì cambiata di situazione, e fu addetta all'Ospizio
maschile.
Magnetismo spurio
A Torino in via santa Teresa uno pseudo dottore, tale Giurio,
teneva gabinetto di magnetismo in compagnia di una chiaroveggente chiamata
Brancani, e poiché molti infermi di malattie nervose o incurabili mandavano colà
effetti di loro uso personale, esaminando i quali essi diagnosticavano le
malattie, davano consigli e prescrivevano rimedi, don Bosco volle sfatare questa
credulità dannosa e pericolosa.
Vi si presentò con due compagni. Trovò la sala piena di
spettatori. Dopo aver assistito a parecchie esperienze, chiese al dottore di
essere messo in comunicazione magnetica con la veggente.
Ad un cenno del dottore, il Santo incominciò a interrogarla;
ma le risposte della sonnambula erano strampalate ed inconcludenti. Egli trasse
allora di tasca una ciocca di capelli e domandò: - Di chi sono questi
capelli?
- Povero giovane! - mormorò la donna - quanto devi
soffrire!
- La persona a cui appartengono questi capelli - rispose don
Bosco - non è un giovane. Mi dica almeno dove abita.
- Abita... abita giù, giù... in via della Zecca. - Non è in via
della Zecca.
- Abita più giù... più giù al di là del Po...
- Niente affatto, non abita da quella parte; mi dica qual è la
sua malattia.
- Subito. Oh, quante sofferenze... povero infelice! - Ma
insomma, qual è il suo male? - incalzò don Bosco.
- Poverino!... è ammalato di epilessia. - Ma che!... non fu mai
epilettico.
A queste punto la donna, prima impacciata, divenne furiosa e
ruppe in parole così oscene, che provocarono tumulto e indignazione in tutti, e
fu sciolta l'adunanza.
Tutta quella gente, uscendo sconcertata, si compiaceva con don
Bosco che aveva loro aperto gli occhi.
La sonnambula
Un'altra volta, avendo saputo che in piazza Castello un
alienista attirava la gente dando loro spettacolo di rivelazioni e predizioni
per mezzo di una sonnambula, facendo persino leggere delle lettere chiuse, vi si
recò anche lui, tenendo in mano una lettera sigillata.
- Venga avanti, Reverendo - gridò l'alienista. Don Bosco avanzò
fin là dove sedeva una donna con gli occhi bendati.
- Che cosa comanda, Reverendo? - chiese il ciarlatano.
- Desidererei sapere il contenuto di questa lettera - rispose
don Bosco alzandola alla vista di tutti.
- Sarà soddisfatto.
E rivolto alla sonnambula, le comandò di leggere. La donna
esitò giacché il gioco era imprevisto; ma, costretta a parlare, esclamò: -
Vedo... vedo tutto chiaro e preciso! - E che cosa vedete?
- Non posso dirlo.
- Perché non potete dirlo? - Perché c'è il segreto.
- Quale segreto?
- Il segreto del sigillo.
- Si capisce, signori - spiegò l'alienista alla gente e a don
Bosco. - Ha ragione la sonnambula; il segreto delle lettere sigillate non può
essere violato.
- Presto fatto - soggiunse don Bosco rompendo il sigillo.
- Così va bene, ed ora leggete - replicò il ciarlatano alla
donna.
- Non posso!
- Ma perché non potete?
- Perché non posso e non voglio operare dinanzi a gente che
appartiene all'altare.
Allora tutta quella gente se ne andò fischiando la sonnambula e
il ciarlatano, ed elogiando il Santo, che, anche qui, aveva loro aperto gli
occhi.
I calci dell'ingegnere
Nel 1869 don Bosco viaggiava in treno da Firenze a Torino.
C'erano nel suo scompartimento alcuni signori che discorrevano delle vicende di
quei giorni; e la presenza di un prete svegliò in loro le antipatie che
nutrivano per ogni genere di religiosi, e specialmente per i Gesuiti.
Uno di loro venne fuori con queste affermazioni: - Bisognerebbe
farla finita con quella genía di Gesuiti, e sopprimere tutti i Collegi tenuti
dai preti. Se comandassi io, vorrei anzitutto distruggere quel covile che quel
certo don Bosco ha in Torino, e piglierei a calci lui e tutti i suoi
giovani.
Indi, volgendosi a don Bosco, continuò: - Non è vero,
Reverendo, che andrebbe bene così? Il Santo, con la sua solita bonarietà e
schiettezza, rispose: - A me pare di no.
- Conosce lei don Bosco? - Un pochino.
- Non è forse come dico io? - Non credo.
- Non è forse vero che l'educazione che egli impartisce ai
suoi giovani non è secondo le nostre idee? Don Bosco tentennò il capo, come per
dire: non sarebbe meglio che la smettesse con queste sue fanfaluche? - Ma quel
don Bosco alleva tanti Gesuiti, e noi non abbiamo bisogno né di preti né di
frati.
Il Santo avrebbe voluto tacere ma, compiacente e dignitoso come
sempre, entrò in lizza per sostenere la buona causa dell'Opera sua, e rispose: -
Senta, signore, io ho visitato più volte l'Oratorio di don Bosco; ho parlato con
lui; conosco l'istruzione che dà; so come educa quei ragazzi, e posso
assicurarle che egli non ha altra mira che fare, di quei poveri orfani, dei
buoni cristiani e degli onesti cittadini.
- Sta bene, Reverendo, quanto ella dice; però... ecco:
presentemente, noi viviamo in tempi nuovi... è passato il medioevo!
Il treno entrò in stazione. I viaggiatori s'affrettarono a
discendere; e così fece anche il nostro mangiapreti, che era un ingegnere.
Passarono circa sei mesi, ed ecco che a Roma si pubblicarono
degli appalti per importanti costruzioni. Il nostro ingegnere, che si sentiva in
gamba, pensò di concorrere anche lui; ma, si sa, alle volte non basta essere in
gamba; ci vuole anche qualche calcio che aiuti a raggiungere la mèta. E allora,
che fare?
Il nostro eroe sentì il bisogno di quel calcio, ed
incontratosi con un marchese di sua conoscenza, lo pregò di interessarsi di
lui, promettendogli eterna gratitudine.
Il marchese che aveva le braccia lunghe, ma non abbastanza,
rispose: - Ben volentieri! Direttamente però non ci riuscirei. Conosco tuttavia
chi potrà far bene tutto.
- E chi?
- Don Bosco.
- Don Bosco?! Ne ho sentito parlare...
- Ebbene, scenda a Valdocco, si presenti a lui a mio nome, e
l'affare andrà a meraviglia.
- È influente questo don Bosco?
- A Roma e in Vaticano può tutto! Una sua parolina al
Cardinale Antonelli farà il miracolo.
Al signor ingegnere gelava il fegato nel doversi presentare a
colui che poc'anzi avrebbe preso volentieri a calci. Ma... trattandosi di una
grossa impresa e di un lauto guadagno, si fece coraggio e andò. Dopo tutto, don
Bosco non lo aveva mai veduto, e non era conosciuto da lui.
Il Santo l'accolse con affabilità, e gli disse: - Il sacerdote
è sempre felice di poter prestare un buon servizio; presenti questo mio
biglietto al Cardinale Antonelli, e si abbia i miei migliori auguri di felice
riuscita.
- Grazie, Reverendo! Se comanda qualche cosa per Roma...
Don Bosco rifletté un istante e poi, quasi scherzando,
disse:
- Ah! Ecco: la prego che, quando si troverà davanti al
Cardinale di Stato, non gli dica che don Bosco bisognerebbe prenderlo a calci, e
metterlo fuori dell'Oratorio.
L'ingegnere fissò il Santo. Era lui, proprio lui il prete del
treno!
Immaginate la sua confusione. Si profuse in mille scuse, e
protestò la sua perfetta stima per don Bosco e per la sua Opera, promettendo che
non gli sarebbe mai più capitato di dire male dei preti.
La pratica a Roma riuscì; l'ingegnere ebbe il lucroso appalto e
guadagnò fior di quattrini, divenendo a poco a poco cristiano esemplare, zelante
cooperatore salesiano, e benefattore insigne di don Bosco.
Don Bosco milionario
Altra volta, viaggiando in ferrovia, si imbatté in un individuo
che, alla vista, si poteva giudicare un commesso viaggiatore.
Lo scompartimento era quasi pieno, e il nostro viaggiatore
venne a parlare di don Bosco, sul conto del quale prese a dirne di cotte e di
crude, quantunque non l'avesse mai conosciuto neppure di vista.
Don Bosco ascoltava e taceva; ma quando il facile chiacchierone
venne a dire che don Bosco era un intrigante e che sprecava i denari della
gente per arricchire i parenti, lo interruppe dicendo: - Scusi, è sicuro di
quanto asserisce? Lo conosce don Bosco? Conosce la sua famiglia?
- Se lo conosco! Lo vedo quasi ogni giorno e conosco benissimo
anche la sua famiglia. Egli manda continuamente delle belle somme alla madre e
al fratello. Si è fatto fabbricare una villa al suo paese, ove va a passarvi
l'estate da gran signore, con cavalli e carrozze.
- Ebbene, mi permetto di farle osservare che, di tutte queste
cose, non vi è l'ombra di vero, e che sono pure invenzioni.
- Come? A me una smentita? E chi è lei che osa tanto?
Il treno giunge a una stazione, e salgono altri viaggiatori i
quali, vedendo don Bosco, esclamano: - Oh! don Bosco! Lei qui? Come sta?
- Don Bosco! - sussurrano i presenti. - È lui... proprio
lui.
- Sì, sono proprio io, don Bosco. E ripigliando il discorso, mi
sento obbligato a dichiararvi che tutto quanto ha detto questo signore non è
altro che falsità e bugia. Mia madre è morta da anni, dopo di essersi
sacrificata con me all'Oratorio per il bene di tanti orfanelli. Mio fratello
abita sempre la misera casetta ove siamo nati; e di ville, cavalli e carrozze,
ne ho tante quante costui, che viaggia, come me, in terza classe.
Tutti applaudirono alle parole del Santo, facendolo segno alle
più grandi cortesie; ed il merlotto, confuso e smarrito, alla prima stazione
cambiò scompartimento.
I SOGNI DI DON BOSCO
Che valore dava don Bosco ai suoi sogni?
Il primo compilatore delle Memorie biografiche, don G.B.
Lemoyne, riferisce questo giudizio di don Bosco medesimo: « Nei primi anni io
andavo a rilento a prestare a questi sogni tutta quella credenza che meritavano.
Molte volte li attribuivo a scherzi della fantasia. Raccontando quei sogni,
annunciando morti imminenti, predicendo il futuro, più volte ero rimasto
nell'incertezza, non fidandomi di aver compreso e temendo di dire bugie. Alcune
volte mi confessai da don Cafasso di questo, secondo me, azzardato parlare. Mi
ascoltò, pensò alquanto, poi disse: "Dal momento che quanto dite si avvera,
potete stare tranquillo e continuare". Però solo anni dopo quando morì il
giovane Casalegno e lo vidi nella cassa sopra due sedie nel portico,
precisamente come nel sogno, allora più non esitai a credere fermamente che quei
sogni fossero avvisi del Signore » (M.B., vol. V, p. 376).
A sua volta, don E. Ceria, biografo di don Bosco, che compilò
gli ultimi nove volumi delle Memorie biografiche, classifica i sogni di don
Bosco in tre gruppi: - Sogni che non sono altro che sogni (come facciamo noi
nelle notti di cattiva digestione): a rigore di termini non ci dovrebbero stare
nella vita di don Bosco. Qualcuno fu riportato nelle Memorie biograficbe per
conoscere più elementi possibili della vita di don Bosco.
- Sogni che non furono sogni ma vere visioni: avvenuti in pieno
giorno, come la rivelazione sul futuro di Giovanni Cagliero.
- Sogni fatti di notte, che rivelano cose oscure o future.
È difficile però distinguere tra le tre categorie. Una volta,
non sappiamo quando, don Bosco sognò di trovarsi in San Pietro, dentro la grande
nicchia che si apre sotto il cornicione a destra della navata centrale,
perpendicolarmente alla statua bronzea di san Pietro e al medaglione in mosaico
di Pio IX. Egli non sa capacitarsi come sia capitato lassù. Vuole scendere.
Chiama, grida, ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall'angoscia, si sveglia.
Un sogno da cattiva digestione, si direbbe. Ma chi guarda quella nicchia di San
Pietro in questo 1936 vi vede la grandiosa statua di don Bosco dello scultore
Canonica. E allora si capisce che la cattiva digestione non c'entrava.
Il sogno che rivela il futuro
« A nove anni - narra don Bosco nelle Memorie biografiche -
feci un sogno che mi rimase profondamente impresso nella mente. Mi parve di
essere vicino alla mia casa, ai Becchi, in un cortile spazioso dove era raccolta
una moltitudine di ragazzetti che giocavano. Alcuni ridevano, altri
bestemmiavano. Io mi sono subito lanciato in mezzo a loro, per farli
smettere.
Il quel momento apparve un Uomo venerando, nobilmente vestito.
Il volto era così luminoso che non potevo fissarlo. Mi chiamò per nome e mi
disse: - Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai
acquistare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a parlare loro sulla
bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù.
Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e
ignorante. In quel momento i ragazzi, cessando le risse e gli schiamazzi, si
raccolsero tutti intorno a Colui che parlava. Quasi senza sapere cosa dicessi: -
Chi siete voi - domandai - che mi comandate cose impossibili?
- Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili, dovrai
renderle possibili con l'obbedienza e acquistando la scienza.
- Come potrò acquistare la scienza?
- Io ti darò la Maestra. Sotto la sua guida potrai diventare
sapiente.
- Ma chi siete voi?
- Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a
salutare tre volte al giorno. Il mio nome domandalo a mia Madre.
In quel momento vidi accanto a lui una Donna di maestoso
aspetto, vestita di un manto che splendeva come il sole. Scorgendomi confuso, mi
fece cenno di avvicinarmi, mi prese con bontà per mano: - Guarda! - mi disse.
Guardando mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi, e al loro posto
vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di altri
animali.
- Ecco il tuo campo, ecco dove dovrai lavorare. Renditi umile,
forte e robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali
tu lo farai per i miei figli.
Volsi allora lo sguardo, ed ecco: invece di animali feroci
apparvero altrettanti mansueti agnelli che, saltellando, correvano e belavano,
come per far festa intorno a quell'Uomo e a quella Signora.
A quel punto mi misi a piangere, e pregai quella Donna a voler
parlare in modo chiaro, perché io non sapevo cosa volesse significare.
Lei mi pose la mano sul capo e mi disse: - A suo tempo tutto
comprenderai.
Aveva appena dette queste parole che un rumore mi svegliò, e
ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che
facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli
schiaffi ricevuti da quei monelli.
Al mattino ho raccontato il sogno prima ai miei fratelli, che
si misero a ridere, poi a mia madre e alla nonna. Ognuno dava la sua
interpretazione: "Diventerai un pecoraio" disse Giuseppe. "Un capo di briganti"
malignò Antonio. Mia madre: "Chissà che non abbia a diventare prete". Ma la
nonna diede la sentenza definitiva: "Non bisogna badare ai sogni" ».
Il sogno del campo di meliga
Il 12 ottobre 1844 a Torino, alla vigilia di trasferire
l'Oratorio nella periferia di Valdocco, don Bosco fa un altro sogno « che mi
parve un'appendice di quello fatto ai Becchi, a nove anni ».
Ancora irrompono i lupi ed egli tenta di fuggire. Ma « una
signora vestita da pastorella mi fa cenno di seguirla, guidando quello strano
gregge. Facemmo tre fermate. Ad ogni fermata molti di quei lupi si cangiavano in
agnelli. Oppresso dalla stanchezza tentai di sedermi, ma lei m'invitò a
continuare il cammino. Arrivammo a un vasto cortile, con porticato intorno, e
all'estremità una chiesa. Il numero degli agnelli divenne grandissimo.
Sopraggiunsero parecchi pastori per custodirli. Ma si fermavano poco. Allora
successe una meraviglia. Molti agnelli si mutavano in pastorelli, che si
prendevano cura degli altri. La pastorella mi invitò a guardare a mezzodì.
Guardando vidi un campo in cui era stata seminata meliga, patate, cavoli,
barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. "Guarda un'altra volta" mi disse;
e guardai di nuovo. Allora vidi una stupenda ed alta chiesa. Un'orchestra, una
musica istrumentale e vocale mi invitavano a cantar messa. Nell'interno di
quella chiesa era una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali era scritto:
Hic domus mea, inde gloria mea (Qui è la mia casa, di qui uscirà la mia gloria)
» M.B. ed. Ceria, p. 136).
Il sogno delle tre chiese
Nello stesso mese di ottobre rifece un altro sogno che è in
sostanza una variante del primo. Don Bosco lo riferì a don G.B. Lemoyne che
s'affrettò a metterlo per iscritto (M.B. p. 298).
« ... Una signora mi disse: "Guarda!". E io vidi una piccola
chiesa, piccola e bassa, con un piccolo cortile e giovani in gran numero...
Essendo la chiesa divenuta troppo angusta, ricorsi ancora a lei, ed essa mi fece
vedere un'altra chiesa, assai più grande, con una casa vicina... Mi vidi
circondato da uno stuolo immenso di giovani, e vidi una grandissima chiesa, con
molti edifici tutto intorno e con un bel monumento nel mezzo ».
C'è evidente prefigurazione dello sviluppo dell'Oratorio: la
prima cappellina ricavata dalla tettoia Pinardi del 1846, la chiesa di san
Francesco di Sales consacrata il 20 giugno 1852 che fu la vera Porziuncola
salesiana e infine il grande santuario sognato, la basilica di Maria
Ausiliatrice, chiesa madre della Congregazione, inaugurata il 9 giugno 1868,
nel contesto sonante di tutte le istituzioni di Valdocco. C'erano in chiesa 1200
giovani. Non manca neppure il monumento che i posteri erigeranno a lui, don
Bosco, davanti al Santuario.
La strenna della Madonna
Dopo le preghiere della sera, il 2 gennaio 1862, i giovani, in
silenzio, attesero don Bosco. Aveva promesso di annunciare qualcosa di nuovo per
l'anno nuovo.
Disse infatti: « La strenna che vi do non è mia. Che direste se
la Madonna in persona venisse da voi a uno a uno per dirvi una parola? Se ella
avesse preparato per ciascuno di voi un suo biglietto per indicarvi ciò di cui
più abbisognate, o quello che lei vuole da voi? Ebbene, la cosa è appunto così.
La Madonna dà a ciascuno di voi una strenna.
Prima di tutto però io voglio premettere alcune condizioni. La
prima è che non si divulghi il fatto fuori di casa, perché io potrei essere
compromesso. La seconda è questa: chi vuole credervi, ci creda; se qualcuno non
ci vuol credere, stracci il suo biglietto e non ci dia retta, ma non se ne
burli, si guardi dal metterlo in ridicolo.
Capisco che qualcuno vorrà sapere e domanderà: Come è avvenuto
questo? La Madonna ha scritto lei i biglietti? La Madonna in persona ha parlato
a don Bosco? Don Bosco è il segretario della Madonna? Io vi rispondo: non vi
dirò niente di più di ciò che ho detto. I biglietti li ho scritti io, ma come
sia avvenuto non ve lo posso dire, né alcuno si prenda l'incarico di
domandarmelo perché mi metterebbe negli imbrogli.
Ciascuno si contenti di sapere che il biglietto viene dalla
Madonna. È una grazia speciale. È da anni che domando questa grazia, e
finalmente l'ho ottenuta. Venite dunque in camera mia e darò a ciascuno il
proprio biglietto. Vi assicuro che nemmeno io so quel che è scritto su ogni
singolo biglietto. Io li ho scritti sopra un quaderno; accanto al biglietto c'è
il nome di ognuno di voi; taglio il biglietto e trattengo i nomi. Per cui se
qualcuno lo perde o se lo dimentica, non ci posso più far nulla. Dato che la
faccenda è molto lunga, in queste sere potrete incominciare a sfilare in camera
mia. Dormite bene e buona notte ».
I giovani si affrettarono ad affollarsi con grande ansietà
nella camera di don Bosco e ricevettero il loro biglietto personale. Chi era
fuori di sé dalla gioia, chi piangeva, chi se ne stava appartato; qualcuno lo
faceva vedere ai compagni; altri lo tenevano gelosamente nascosto. Ma per ognuno
c'era la parola giusta della Madonna, la rivelazione delle proprie doti
particolari, utilizzate o no.
Don Bosco sapeva bene che i ragazzi hanno qualche dote che può
diventare la qualità che più li distingue dagli altri. Quante doti aspettano di
essere riconosciute: nei più bravi che non vogliono farsi avanti; in quelli che
sono lenti per natura ma che poi finiscono con il fare un lavoro magnifico; chi
ha hobbies al di fuori della scuola; occorre essere pronti a scoprire e
incoraggiare queste doti naturali dei giovani.
Il sogno dei due Samaritani
Nell'aprile del 1864, a Torino, don Bosco tenne un corso di
Esercizi spirituali ai suoi giovani, seguiti con grande fervore. I ragazzi ne
uscirono con una freschezza di gioia nel cuore.
Come spesso succede dopo gli Esercizi, c'era stato subito dopo
un crollo improvviso. Il demonio, cacciato fuori, aveva scoperto (come narra
Gesù in una parabola) che la casa era pulita, spazzata, adorna, ma vuota e
allora, con sette spiriti peggiori, tentava di riprenderne possesso. Don Bosco
ebbe due sogni. Così narra il primo: « La notte che precedeva il 3 aprile mi
pareva di stare dal balcone a guardare i ragazzi che si divertivano nel cortile.
All'improvviso vidi apparire un vasto lenzuolo bianco che si stese a coprire
tutto il cortile; i ragazzi continuavano a giocare e a gridare. Poi, vidi molti
uccellacci e spaventosi corvi svolazzare sopra quel lenzuolo cercando un varco;
appena lo trovavano picchiavano addosso ai giovani e li beccavano. Ogni volta
che raggiungevano i ragazzi ne facevano strage: a chi cavavano gli occhi; ad
altri bucavano la lingua tanto da ridurla in frammenti; ad altri ancora
beccavano la fronte; a molti straziavano e laceravano il cuore. E, cosa strana,
nessuno dei ragazzi feriti reagiva; tutti restavano come insensibili, non
cercavano neppure di difendersi. Subito dopo, udii un gemito corale, straziante,
prolungato: i feriti dai corvi si agitavano, gridavano e si ritiravano lontani
dagli altri. Mentre stavo ragionando su quello che vedevo, udii bussare alla
porta e mi svegliai ».
Dopo aver raccontato il sogno ai ragazzi, don Bosco notò che
nelle settimane successive pochi ragazzi si confessarono e le comunioni
calavano. Allora il sogno si ripresentò:
« Mi pareva di trovarmi presso la ringhiera a guardare i
ragazzi in ricreazione. Di lassù vedevo i ragazzi feriti dai corvi. Ed ecco,
vidi avanzare un Personaggio con un flacone di balsamo, un medicinale
meraviglioso, accompagnato da un individuo che teneva in mano un pannolino. I
due pietosi Samaritani cominciarono a medicare le piaghe dei feriti; appena
spalmavano l'unguento, i feriti guarivano di colpo. Ne vidi alcuni però che,
all'avvicinarsi dei due prodigiosi infermieri, si scostavano e fuggivano perché
non volevano essere guariti. Io li conosco tutti e procurerò di sanare le loro
ferite.
Il Personaggio misterioso col vasetto di medicinale era Gesù;
chi l'accompagnava era il sacerdote ».
L'usignolo e lo sparviero
Tra il 3 e il 7 luglio 1872 il caldo stagnava sulla città di
Torino. Don Bosco in quei giorni pregò il Signore di fargli conoscere la
cartella clinica spirituale dei suoi ragazzi. E una notte sognò quanto narrò
poi nel sermoncino detto « la buona notte » con cui era solito congedarsi dai
suoi figlioli al termine d'ogni giorno.
« Mi pareva di trovarmi in un cortile molto spazioso,
circondato e cintato di case, di piante e di cespugli. Sui rami degli alberi e
tra la verzura pigolavano uccelli dentro i nidi, pronti ormai a spiccare i primi
voli. A un tratto mi cadde davanti ai piedi un piccolo usignolo; volevo
raccoglierlo, ma l'usignolo mi sfuggì e se ne volò al centro del cortile. Lo
rincorsi per aiutarlo, ma quello sbatté le ali e sfrecciò verso il cielo. Di
colpo gli piombò addosso uno sparviero, lo ghermì e se lo portò via per
divorarselo.
"Povero usignoletto - mormorai - io volevo salvarti, ma tu mi
sei sfuggito. Perché hai fatto questo?". Mi rispose un flebile lamento, come un
accorato pigolio, poi udii una voce chiara che diceva: "Siamo in dieci, siamo in
dieci, siamo in dieci". Lì per li mi svegliai; ma la notte seguente ripresi il
sogno dal punto d'interruzione precedente.
Vidi volteggiare nell'aria lo sparviero; io lo rimproverai per
la sua crudele rapina. Subito mi cadde ai piedi un biglietto su cui erano
scritti i nomi di dieci ragazzi, che avevano la cartella clinica della loro
anima molto disastrata: in quel mese di luglio si erano rovinati spiritualmente
».
Fin qui il sogno. Don Bosco era persuaso che le vacanze sono
un tempo difficile per i giovani, una specie di pericoloso collaudo e usava una
frase molto espressiva: « I ragazzi vanno in vacanza con ali di colomba e
tornano in autunno con le corna del diavolo ».
Voleva dire che i giovanetti, quando vanno in vacanza, si
fanno l'idea - anche se non l'esprimono in modo esplicito - che sia meglio
vivere in fretta, perché il domani potrebbe non venire mai. E per troppi
ragazzi vivere in fretta si traduce in dolorose esperienze di peccato.
Tocca ai genitori e agli educatori vigilare sul comportamento
dei loro ragazzi e tenerli sotto un amorevole e dolce controllo.
Un sogno missionario rivelatore
L'immensa pianura e gli uomini feroci
Tra il 1871 e il 1872 don Bosco fece un sogno nel quale
convergono il fervore immaginoso degli anni giovanili in cui vagheggiava di
andar missionario e insieme si profila il campo specifico della futura missione
dei salesiani. Il Santo lo narrò prima a Pio IX e poi ai suoi preti Lemoyne e
Barberis che lo trascrissero fedelmente.
« Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia e totalmente
sconosciuta. Era un'immensa pianura incolta, nella quale non si scorgevano né
colline né monti. Nelle estremità lontanissime, però, si stagliavano scabrose
montagne. Vidi turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di statura
straordinaria, aspetto feroce. Avevano capelli ispidi e lunghi, colore
abbronzato e nerognolo. Erano vestiti soltanto di larghi mantelli di pelli di
animali, che scendevano loro dalle spalle. Per armi usavano una lunga lancia e
la fionda.
Quelle tribù di uomini sperse offrivano allo sguardo scene
diverse: alcuni correvano dando la caccia alle fiere; altri andavano, portando
conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Gli uni
combattevano fra di loro; gli altri venivano alle mani con soldati vestiti
all'europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello
spettacolo.
Ed ecco spuntare all'estremità della pianura molte persone: dal
vestito e dal modo di agire capii che erano missionari di vari Ordini. Si
avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Li fissai
ben bene, ma non conobbi nessuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi: i barbari
però appena li videro, con furore si avventarono contro e li uccidevano.
Ficcavano i macabri trofei sulla punta delle loro lunghe picche.
Intanto vidi in lontananza un drappello di altri missionari
che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di
giovanetti. Io tremavo pensando: "Vengono a farsi uccidere". E mi avvicinai.
Erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri
salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere
personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch'essi
missionari salesiani, proprio dei nostri.
"Come mai?" dissi tra me. Non avrei voluto lasciarli andare
avanti, ed ero lì per fermarli. Mi aspettavo che da un momento all'altro
toccasse loro la stessa sorte dei primi missionari, quando vidi che il loro
comparire metteva allegria in tutte quelle tribù dei barbari. Abbassarono le
armi, deposero la loro ferocia, e accolsero i nostri con ogni segno di cortesia.
Meravigliato dicevo tra me: "Vediamo un po' come va a finire!". E vidi che i
nostri missionari si avanzavano verso quei selvaggi, li istruivano, ed essi
ascoltavano volentieri la loro voce. Insegnavano, ed essi imparavano con
premura. Ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica i loro
ammonimenti.
Stetti ad osservare: i missionari recitavano il Rosario, e i
selvaggi rispondevano a quella preghiera. Dopo un po' i salesiani andarono a
porsi nel centro di quella folla che li circondò. S'inginocchiarono. I selvaggi,
deposte le armi, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei salesiani
intonare Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte a una voce,
continuarono il canto, con tanta forza di voce che io, quasi spaventato, mi
svegliai ».
È riconoscibile la sceneggiatura delle immense distese della
Patagonia, del Chaco, della Terra del Fuoco con la cornice innevata delle Ande
altissime. I poveri indios selvaggi... da salvare. Solo il 29 gennaio 1875 don
Bosco annunciò la prima spedizione missionaria in Argentina che sarebbe stata
guidata da don Giovanni Cagliero.
Il sogno dell'identità salesiana
« Sono miei figli e li affido a te... »
È del 1877 il sogno profetico nel quale il carisma proprio
della famiglia salesiana è reso in trasparenza: dedicarsi alla formazione
cristiana dei ragazzi, mediante una tenera devozione a Maria.
Parve a don Bosco di trovarsi in un luogo sconosciuto, ma
nell'ambiente familiare della sua infanzia tribolata: un rustico, attrezzi
agricoli sparsi su un'aia. È l'alba. Silenzio. D'un tratto s'ode una voce.
Appare un ragazzo di stalla (com'era stato lui stesso alla cascina Moglia)
vicino a una Donna soave, vestita da contadina. Il ragazzo canta in francese: «
Amico venerato, sii per noi padre diletto ». Don Bosco si smarrisce e non riesce
a capire. Il ragazzo continua a cantare: « I miei compagni ti diranno ciò che
vogliamo ». All'improvviso irrompono sull'aia una vera fiumana di giovani che
ritmano un coro: « O nostra guida, menaci al giardino della bontà ». « Ma chi
sono questi ragazzi? » domanda imbarazzato don Bosco. Gli rispondono in canto:
« La nostra patria è il paese di Maria ».
Allora si avanza la gentilissima Donna; prende per mano il
ragazzetto cantore, accenna agli altri ragazzi di seguirla e si sposta verso
un'altra aia più grande, non molto lontana, prospiciente un grosso fabbricato.
La Donna dall'aspetto misterioso e celestiale si volge a don Bosco e gli dice: «
Questi giovani sono tutti tuoi ». « Miei? - risponde turbato don Bosco. - Ma con
quale autorità lei me li affida? ». « Con quale autorità? - La Donna ha un
leggero sbalzo di voce e un filo di sorriso. - Sono miei figli e li affido a te
». « Ma come farò contanti giovani così chiassosi e irrequieti? ». « Osserva »,
gli ingiunge la Donna.
Don Bosco si volge e vede una grande schiera di ragazzi che
avanzano. La Madonna getta su di loro un suo lungo velo azzurrino; poi lo
ritira. E di colpo, come al tocco di una bacchetta magica, quei ragazzi
diventano adulti: preti e chierici. « E questi preti e chierici sono miei? »
chiede don Bosco. « Saranno tuoi se saprai formarteli » conclude la Donna e
scompare con un sorriso.
La gemma preziosa
Un altro sogno stupendo è del 1885, pochi anni prima della
morte del Santo. È una sceneggiata poetica, secondo il gusto del tempo, volta a
far capire ai ragazzi il valore della virtù della castità, la sua bellezza rara
e preziosa. È la pulizia interiore che onora la vita, l'arricchisce, la rende
capace di amore vero, disinteressato, generoso, libero e rispettoso degli
altri.
Racconta don Bosco: « Mi pareva - raccontò - di trovarmi
davanti a un immenso, incantevole declivio; verdeggiava in dolce pendio:
sembrava un paradiso terrestre, illuminato da una luce più abbagliante del
sole. L'erba pettinatissima era punteggiata di fiori. In mezzo vi si stendeva un
tappeto di un candore così niveo da accecare. Sugli orli del tappeto si leggeva,
a caratteri d'oro, la seguente scritta: "Beati i puri che camminano secondo la
Legge del Signore. Dio non priverà di beni quanti camminano nell'innocenza. Non
resteranno confusi in tempi critici e si sazieranno durante i giorni di
carestia. Il Signore conosce i giorni degli immacolati e la loro eredità
perdurerà in eterno".
"Poi vidi due stupende fanciulle dodicenni sedute sul margine
del tappeto dove il declivio faceva scalino. Il loro contegno era dignitoso;
irradiavano dagli occhi una gioia di felicità celestiale. Sulle loro labbra
sfavillava un dolce sorriso. Una veste bianca scendeva fino ai loro piedi e una
cintura rossa fiammeggiante con bordi d'oro allacciava i fianchi. Portavano al
collo come monile un nastro di corolle di gigli, di viole, di rose. Come
braccialetti avevano ai polsi un mazzo di margherite. Ma la bellezza e il
fulgore di quei fiori non erano confrontabili con le gemme più preziose. Una
capigliatura gli scendeva lungo le spalle. Cominciarono un colloquio con uno
squillo incantevole di voce.
Una di loro disse: "Che cos'è l'innocenza? È lo stato felice
della Grazia santificante conservata per mezzo della costante ed esatta
osservanza della Legge di Dio". E l'altra fanciulla ribatteva: "La purezza è
fonte e origine di ogni scienza e di tutte le virtù".
La prima riprese il duetto dopo un attimo di silenzio e disse:
"Oh, se i giovani conoscessero quale prezioso tesoro è l'innocenza! Ma purtroppo
non riflettono e non pensano quale danno si infliggono quando la macchiano.
L'innocenza è come uno squisitissimo liquore". E la seconda fanciulla aggiunse:
"D'accordo, ma è racchiuso dentro un flacone di fragilissimo cristallo; se non è
portato con grande cautela facilmente s'infrange come il vetro soffiato". E la
prima ancora: "L'innocenza è una gemma preziosissima". La seconda commentò: "Ma
chi non ne conosce il valore, la perde con facilità; e la baratta con qualsiasi
oggetto vile e banale" ».
Ultimo sogno missionario
I salesiani, con Maria, in tutto il mondo
Durante la notte dal 9 al 10 aprile del 1886 don Bosco fece un
altro stupendo sogno missionario. Gli pareva di essere vicino alla casa nativa
presso Castelnuovo su un poggio detto « Colle del vino ». Di lassù lo sguardo
spaziava. Ed ecco, ode lo strepito e il chiasso di una numerosa moltitudine di
ragazzi. Poco dopo se li vede spuntare dinanzi e corrergli incontro per
gridargli: « Ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei e non ci sfuggirai
».
Don Bosco li guarda e si chiede che cosa vogliano da lui. A un
tratto vede avanzare un immenso gregge guidato da una Pastorella che, separati
gli agnelli dalle pecore, si ferma dinanzi a lui per dirgli: « Guarda ciò che ti
sta dinanzi. Ebbene: ricorda il sogno da te fatto a nove anni di età ». Con un
sorriso fa venire attorno a don Bosco i ragazzi, e gli dice: « Guarda ora da
questa parte; spingi il tuo sguardo. Anzi, spingetelo voi tutti per leggere
quanto sta scritto. Che cosa si vede? ». « Scorgo montagne, poi mare e altri
monti e mari » risponde don Bosco. « Io leggo Valparaiso » trilla un fanciullo.
« E io Santiago » interloquisce un ragazzo.
« Adesso - continua la Pastorella - volgiti a guardare da
questa parte ». « Scorgo montagne, colline e mari », soggiunge don Bosco. « Noi
leggiamo Pechino » esclamano i ragazzi. E don Bosco vede un'immensa città
attraversata da un largo fiume su cui si scorgevano ponti lunghissimi. « Bene »
approva la nobile e stupenda Pastorella, che sembra la Mamma di tutti quei
giovani. Poi aggiunge: « Ora, tira una sola linea da un'estremità all'altra, da
Pechino a Santiago; fa' centro nel mezzo dell'Africa, e avrai un'idea esatta di
quanto dovranno fare i tuoi salesiani ». « Ma come è possibile fare tutto
questo? - obietta don Bosco. - Le distanze sono immense, i luoghi inaccessibili;
sono pochi i salesiani... ». « Non ti turbare. Faranno questo i tuoi figli e i
figli dei tuoi figli e i loro figli ancora; ma si procuri di conservare lo
spirito della tua Congregazione ».
Poi con uno sguardo profondo la Pastorella aggiunge: « Mettiti
di buona volontà. C'è una sola cosa da fare: raccomanda ai tuoi figli che
coltivino costantemente le virtù della Vergine Madre ». « Ebbene - conclude don
Bosco - predicherò a tutti queste parole ». « Sta' attento però con quelli che
studiano le scienze divine, perché la scienza del Cielo non si deve mischiare
con le cose della terra ». Di colpo, tutto si eclissa e svanisce. Don Bosco non
vede più nulla. Quando don Bosco raccontò per la prima volta questo sogno, gli
facevano corona alcuni sacerdoti che di tratto in tratto esclamavano: « Oh, la
Madonna! ». E don Bosco sottolineava: « Lei ci ama. È la Mamma ».
Intervista a don Bosco
L'intervista è lo scoop (la trovata che fa colpo) del
giornalismo moderno. Oggi tutti i personaggi si fanno intervistare per i mass
media e per farsi conoscere al mondo. Don Bosco non amava la pubblicità. Ma era
divenuto una personalità di calibro mondiale, specie sulla fine della sua vita,
e non poté sfuggire alle domande dirette di un reporter del Journal de Rome, che
lo affrontò appunto a Roma nell'aprile del 1884. L'intervista fu pubblicata sul
giornale il 25 aprile 1884. Eccone uno stralcio:
D. - Vorrebbe dirci qual è il suo sistema educativo?
R. - Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare
le cose che loro sono maggiormente simpatiche. Il punto sta nello scoprire quali
sono i germi delle loro buone qualità, e poi procurare di svilupparli. Ognuno fa
con piacere solo quello che sa di poter fare. Io mi regolo con questo principio,
e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. In 46 anni
non ho mai inflitto un solo castigo. E oso affermare che i miei alunni mi
vogliono molto bene. Il mio sistema, voi l'avete capito, è educare con ragione,
religione e amore.
D. - Come ha fatto a estendere le sue opere fino alla Patagonia
e alla Terra del Fuoco?
R. - Un po' alla volta.
D. - Che cosa ne pensa delle condizioni della Chiesa in Europa,
in Italia e del suo avvenire?
R. - Io non sono un profeta. Lo siete invece un po' tutti voi,
giornalisti. Quindi è a voi che bisognerebbe domandare che cosa accadrà.
Nessuno, eccetto Dio, conosce l'avvenire. Tuttavia, umanamente parlando, c'è da
credere che l'avvenire sarà grave. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non
temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna, che visibilmente
protegge il mondo contemporaneo, saprà far sorgere dei redentori.
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