«Ed ora? Che dirvi ora, o anime che sentite morire la fede? Quei Savi d'oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta. Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina.
Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser "quella", attesa da secoli dall'umanità: il Messia. Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo " voci " celesti, diceva loro: "È quella stella che segna l'avvento del Messia".
Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo.
E sono riusciti. Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano
nell'anima l'ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode ed onore.
Non cercavano un utile proprio. Anzi vanno incontro a fatiche e spese, e nulla chiedono di compenso che sia umano. Chiedono soltanto che Dio di loro si ricordi e li salvi per l'eternità.
Come non hanno nessun pensiero di futuro compenso umano, così non hanno, quando decidono il viaggio, nessuna umana preoccupazione. Voi vi sareste messi mille cavilli: "Come farò a fare tanto viaggio in paesi e fra popoli di lingua diversa? Mi crederanno o mi imprigioneranno come spia? Che aiuto mi daranno nel
passare deserti e fiumi e monti? E il caldo? E il vento degli altipiani? E le febbri stagnanti lungo le zone paludose? E le fiumane gonfiate dalle piogge? E il cibo diverso? E il diverso linguaggio? E... e... e ".
Così
ragionate voi. Essi non ragionano così. Dicono con sincera e santa audacia:"Tu, o Dio, ci leggi nel cuore e
vedi che fine perseguiamo. Nelle tue mani ci affidiamo. Concedici la gioia sovrumana di adorare la tua Seconda Persona fatta Carne per la salute del mondo".
Basta. E si mettono in cammino dalle Indie lontane. (Gesù mi dice poi che per Indie vuol dire l'Asia meridionale, dove ora è Turchestan, Afganistan e Persia). Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano
unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero sulle pagine sterminate dei nevai. Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro all'azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli marini, fermano il loro andare. E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire.
Quando si cerca Dio, le abitudini animali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane.
La stella li prende da settentrione, da oriente e da meridione, e per un miracolo di Dio procede per tutti e tre verso un punto, come, per un altro miracolo, li riunisce dopo tante miglia in quel punto, e per un altro dà loro, anticipando la sapienza pentecostale, il dono di intendersi e di farsi intendere così come è nel Paradiso,
dove si parla un'unica lingua, quella di Dio.
Un unico momento di sgomento li assale quando la stella scompare e, umili perché sono realmente grandi,
non pensano che sia per la malvagità altrui che ciò avviene, non meritando i corrotti di Gerusalemme di
vedere la stella di Dio. Ma pensano di avere demeritato di Dio loro stessi, e si esaminano con tremore e contrizione già pronta a chiedere perdono.
Ma la loro coscienza li rassicura. Anime use alla meditazione, hanno una coscienza sensibilissima, affinata da una attenzione costante, da una introspezione acuta, che ha fatto del loro interno uno specchio su cui si riflettono le più piccole larve degli avvenimenti giornalieri. Ne hanno fatto una maestra, una voce che avverte e grida al più piccolo, non dico errore, ma sguardo all'errore, a ciò che è umano, al compiacimento di ciò che è io. Perciò, quando essi si pongono di fronte a questa maestra, a questo specchio severo e nitido,
sanno che esso non mentirà. Ora li rassicura ed essi riprendono lena.
"Oh! dolce cosa sentire che nulla è in noi di contrario a Dio! Sentire che Egli guarda con compiacenza l'animo del figlio fedele e lo benedice. Da questo sentire viene aumento di fede e fiducia, e speranza, e fortezza, e pazienza. Ora è tempesta. Ma passerà, poiché Dio mi ama e sa che lo amo, e non mancherà di
aiutarmi ancora". Così parlano coloro che hanno la pace che viene da una coscienza retta, che è regina di ogni loro azione.
Ho detto che erano "umili perché erano realmente grandi".
Nella vostra vita, invece, che avviene? Che uno,
non perché è grande, ma perché è più prepotente, e si fa potente per la sua prepotenza e per la vostra idolatria sciocca, non è mai umile. Ci sono dei disgraziati che, solo per essere maggiordomi di un prepotente, uscieri di un ufficio, funzionari in una frazione, servi insomma di chi li ha fatti tali, si dànno delle pose da semidei.
E fanno pietà!...
Essi, i tre Savi, erano realmente grandi. Per virtù soprannaturali per prima cosa, per scienza per seconda
cosa, per ricchezza per ultima cosa. Ma si sentono un nulla, polvere sulla polvere della terra, rispetto al Dio
altissimo, che crea i mondi con un suo sorriso e li sparge come chicchi di grano per saziare gli occhi degli
angeli coi monili delle stelle.
Ma si sentono nulla rispetto al Dio altissimo, che ha creato il pianeta su cui vivono e lo ha fatto variato mettendo, Scultore infinito d'opere sconfinate, qua, con una ditata del suo pollice, una corona di dolci
colline, e là un'ossatura di gioghi e di picchi, simili a vertebre della terra, di questo corpo smisurato a cui
sono vene i fiumi, bacini i laghi, cuori gli oceani, veste le foreste, veli le nubi, decorazioni i ghiacciai di
cristallo, gemme le turchesi e gli smeraldi, gli opali e i berilli di tutte le acque che cantano, con le selve e i
venti, il grande coro di laude al loro Signore.
Ma si sentono nulla nella loro sapienza rispetto al Dio altissimo, da cui la loro sapienza viene e che ha dato
loro occhi più potenti di quelle due pupille per cui vedono le cose: occhi dell'anima, che sanno leggere nelle cose la parola non scritta da mano umana, ma incisa dal pensiero di Dio.
Ma si sentono nulla nella loro ricchezza: atomo rispetto alla ricchezza del Possessore dell'universo, che sparge metalli e gemme negli astri e pianeti e soprannaturali dovizie, inesauste dovizie, nel cuore di chi
l'ama.
E, giunti davanti ad una povera casa, nella più meschina delle città di Giuda, essi non crollano il capo dicendo: "Impossibile", ma curvano la schiena, le ginocchia, e specie il cuore, e adorano. Là, dietro quel povero muro, è Dio. Quel Dio che essi hanno sempre invocato, non osando mai, neppur lontanamente,
sperare di averlo a vedere. Ma invocato per il bene di tutta l'umanità, per il "loro" bene eterno. Oh! questo
solo si auguravano. Di poterlo vedere, conoscere, possedere nella vita che non conosce più albe e tramonti!
Egli è là, dietro quel povero muro. Chissà se il suo cuore di Bambino, che è pur sempre il cuore di un Dio,
non sente questi tre cuori che, proni nella polvere della via, squillano: "Santo, Santo, Santo. Benedetto il Signore Iddio nostro. Gloria a Lui nei Cieli altissimi e pace ai suoi servi. Gloria, gloria, gloria e benedizione"? Essi se lo chiedono con tremore di amore. E per tutta la notte e la seguente mattina preparano
con la preghiera più viva lo spirito alla comunione con il Dio-Bambino.
Non vanno a questo altare, che è un grembo verginale portante l'Ostia divina, come voi vi andate con l'anima
piena di sollecitudini umane. Essi dimenticano sonno e cibo e, se prendono le vesti più belle, non è per
sfoggio umano ma per fare onore al Re dei re. Nelle regge dei sovrani i dignitari entrano con le vesti più belle. E non dovrebbero essi andare da questo Re con le loro vesti di festa? E quale festa più grande di questa per loro?
Oh! nelle loro terre lontane, più e più volte si sono dovuti ornare per degli uomini pari a loro. Per far lorofesta e onore. Giusto dunque umiliare ai piedi del Re supremo porpore e gioielli, sete e preziose piume.
Mettergli ai piedi, ai dolci piccoli piedi, le fibre della terra, le gemme della terra, le piume della terra, i
metalli della terra - sono ancora opera sua - perché esse pure, queste cose della terra, adorino il loro Creatore.
E sarebbero felici se la Creaturina ordinasse loro di stendersi al suolo e fare un vivo tappeto ai suoi passetti di Bambino, e li calpestasse, Egli che ha lasciato le stelle per loro, polvere, polvere, polvere.
Umili e generosi. E ubbidienti alle " voci " dell'Alto. Esse comandano di portare doni al Re neonato. Ed essi
portano doni. Non dicono: " Egli è ricco e non ne ha bisogno. È Dio e non conoscerà la morte ".
Ubbidiscono. E sono coloro che per primi sovvengono la povertà del Salvatore. Come provvido quell'oro per chi domani sarà fuggiasco! Come significativa quella resina a chi presto sarà ucciso! Come pio quell'incenso a chi dovrà sentire il lezzo delle lussurie umane ribollenti intorno alla sua purezza infinita!
Umili, generosi, ubbidienti e rispettosi l'uno dell'altro. Le virtù generano sempre altre virtù. Dalle virtù volte
a Dio, ecco le virtù volte al prossimo. Rispetto, che è poi carità. Al più vecchio è deferito di parlare per tutti,
di ricevere per primo il bacio del Salvatore, di sorreggerlo per la manina. Gli altri potranno vederlo ancora.
Ma egli no. È vecchio, e prossimo è il suo giorno di ritorno a Dio. Lo vedrà, questo Cristo, dopo la sua straziante morte e lo seguirà, nella scia dei salvati, nel ritorno al Cielo. Ma non lo vedrà più su questa terra. E allora per suo viatico gli rimanga il tepore della piccola mano, che si affida alla sua già rugosa.
Nessuna invidia negli altri. Ma anzi un aumento di venerazione per il vecchio sapiente. Ha meritato certo più di loro e per più lungo tempo. Il Dio-Infante lo sa. Ancora non parla, la Parola del Padre, ma il suo atto è parola. E sia benedetta la sua innocente parola, che designa costui come il suo prediletto.
Ma, o figli, vi sono altri due insegnamenti da questa visione.
Il contegno di Giuseppe che sa stare al "suo" posto. Presente come custode e tutore della Purezza e della
Santità. Ma non usurpatore dei diritti di queste. È Maria col suo Gesù che riceve omaggi e parole. Giuseppe ne giubila per Lei e non si accora d'esser figura secondaria. Giuseppe è un giusto, è il Giusto. Ed è giusto sempre. Anche in quest'ora. I fumi della festa non gli salgono al capo. Resta umile e giusto.
È felice di quei doni. Non per sé. Ma perché pensa che con essi potrà fare più comoda la vita alla Sposa e al dolce Bambino. Non vi è avidità in Giuseppe. Egli è un lavoratore e continuerà a lavorare. Ma che "Loro"' i suoi due amori, abbiano agio e conforto. Né lui né i Magi sanno che quei doni serviranno ad una fuga e ad
una vita d'esilio, nelle quali le sostanze dileguano come nube percossa dai venti, e ad un ritorno in patria
dopo aver tutto perduto, clienti e suppellettili, e salvate solo le mura della casa, protetta da Dio perché là Egli
si è congiunto alla Vergine e si è fatto Carne.
Giuseppe è umile, egli, custode di Dio e della Madre di Dio e Sposa dell'Altissimo, sino a reggere la staffa a questi vassalli di Dio. È un povero legnaiuolo, perché la prepotenza umana ha spogliato gli eredi di Davide dei loro averi regali. Ma è sempre stirpe di re ed ha tratti di re. Anche per lui va detto: Era umile perché era
realmente grande.
Ultimo, soave, indicatore insegnamento.
È Maria che prende la mano di Gesù, che non sa ancora benedire, e la guida nel gesto santo.
È sempre Maria che prende la mano di Gesù e la guida. Anche ora. Ora Gesù sa benedire. Ma delle volte la
sua mano trafitta cade stanca e sfiduciata, perché sa che è inutile benedire. Voi distruggete la mia benedizione. Cade anche sdegnata, perché voi mi maledite. E allora è Maria che leva lo sdegno a questa
mano col baciarla. Oh! il bacio di mia Madre! Chi resiste a quel bacio? E poi prende con le sue dita sottili, ma così amorosamente imperiose, il mio polso e mi forza a benedire.
Non posso respingere mia Madre. Ma bisogna andare da Lei per farla Avvocata vostra. Essa è la mia Regina prima d'esser la vostra, ed il suo amore per voi ha indulgenze che neppure il mio conosce. Ed Essa, anche senza parole ma con le perle del suo pianto e col ricordo della mia Croce, il cui segno mi fa tracciare
nell'aria, perora la vostra causa e mi ammonisce: Sei il Salvatore. "Salva".
Ecco, figli, il "vangelo della fede" nell'apparizione della scena dei Magi. Meditate e imitate. Per il vostro bene».
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