domenica 13 gennaio 2013

Battesimo di Gesù. La manifestazione divina. (Mt 3, 1-17; Mc 1, 2-11; Lc 3, 1-18.21-22; Gv 1, 19,34).



45. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù. La manifestazione divina. Mt 3, 1-17; 
      Mc 1, 2-11; Lc 3, 1-18.21-22; Gv 1, 19,34



Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le 
piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia 
in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, 
e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal 
moto lentissimo dell'acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume 
scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente a ciò 
l'acqua non stagni in palude. (L'acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un 
metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l'Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma 
io non ho occhio esatto nel calcolare). Pure è d'un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per 
l'umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l'occhio, che rimane stanco dallo squallore 
pietroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
Quella voce intima 
(è l’interno ammonitore Cap 21-34-46-55 Vol 2 Cap 106 Vol 5 Cap 361 Vol 10 Cap 605-
607, o la seconda voce Cap 41, o l’interna voce Cap 47 Vol 2 Cap 101, o l’intuizione interna Vol 6 Cap 396, 
o luce interna Vol 10 Cap 608), 
che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi 
avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare, il posto dove 
scorre un fiume, ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di 
monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano, e lo spazio desolato che osservo alla mia 
destra è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell'uomo è giusto, 
non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo 
concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. 
In lontananza, delle colline. 
Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che 
si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d'angeli e di voci celesti. Non so 
dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del 
Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non 
mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco 
subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e 
Giovanni «i figli del tuono» (Marco 3, 17; Vol 5 Cap 330; Vol 9 Cap 575). Ma allora come chiamare questo 
veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e 
severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e 
raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle 
piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto -  e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti 
(Matteo 3, 1-12; Marco 1, 1-8; Luca 3, 3-18; Giovanni 1, 19-34),
ma amplificate in irruenza  - vedo avanzarsi lungo una 
stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa 
rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l'hanno 
percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero 
continua dall'altro lato del fiume e si perde fra il verde dell'altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e 
ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che 
venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla 
distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun 
segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la 
fonte di quell'emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso 
Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio 
severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutti e due - è l'unica 
somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un 
bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che 
ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il 
volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi 
febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo 
nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo 
appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di 
tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me 
viene il mio Signore?».
Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
«Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?».
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù, risponde: «Lascia che 
si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia 
annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto 
e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell'acqua dove è già Giovanni, 
che lo battezza versandogli sul capo l'acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene 
sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l'Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello 
sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito, si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, 
testimoniando d'averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione 
infallibile del Redentore. 
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro 
il verde della sponda.


Dice Gesù:
«Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua 
madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza 
la colpa di Adamo.
Se l'uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le 
apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l'uomo innocente e 
che l'uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell'uomo: 
vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa, e l'uomo non ha più osato 
guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.
Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s'era curvata 
amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di 
giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che 
guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, 
attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito 
non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che  formano la parola. 
Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell'Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che 
perfeziona della mia divina perfezione l'Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della 
Legge di Dio.
Giovanni  non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa 
avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le 
orecchie dei pesanti avessero percepita?
Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l'attimo e il 
modo dell'incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell'ora per 
aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini 
con tal Colomba, e farne scendere l'annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: 
"Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto". Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel 
seguirmi e nel non seguirmi.
Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel 
Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei 
miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al 
Cielo. 
La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero
in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai 
dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora, il mondo 
non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per 
salvarvi, per portarvi alla fede in Me.
Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare 
gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li 
stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e 
attraente.
A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e 
come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio 
sdegno. Potrò una volta ancora fare l'antico rimprovero: (Vol 4 Cap 266) "Abbiamo sonato e non avete 
ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ".
Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e 
volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci 
a Me».
Come vede, mi sono affrettata a mettere quei particolari che, per la loro piccolezza, mi erano sfuggiti e che 
lei ha desiderato di avere.

AVE MARIA PURISSIMA!

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