mercoledì 2 dicembre 2020

La generazione di coloro che si spingono nel deserto ha il coraggio di canzonare le belle parole e l’etica senza scopo, perché si è annoiata della superficialità e ha fame e sete dell’azione.

 


L’aspetto più importante nei Santi Serafino e

Motovilov, non è solo il diretto incontro di Dio con

un Santo, ma pure l’incontro di un Santo con un

altro Santo; in ciò si è verificato il fatto che i Santi

divengono identici con lo stesso Dio.

La stessa cosa avviene quando si congiunge

al fuoco un oggetto: subito questo s’infiamma

e diviene a sua volta fuoco; la Rivelazione non

accade sempre come un incontro diretto tra Dio e

l’uomo; è abbastanza sicuro che accada quando

due Santi s’incontrano (Mt 19,20). Parimenti

quest’aspetto non è stato ancora pienamente

apprezzato nella teologia Ortodossa moderna.

Ogniqualvolta i Santi manifestano l’increata gloria 

di Dio, Dio li manifesta. Questa è la prova che

la Divina Rivelazione non può essere soltanto un

indifferente modo di avvicinarsi alla divinità o di

essere in personale relazione con Dio; si può solo

identificare con Lui. L’uomo riceve la rivelazione

solamente se si identifica con la Grazia di Dio e 

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viene riempito della divina Luce. Tale condizione,

è stata definita deificazione. San Simeone il Nuovo

Teologo (956-1022) opera una chiara distinzione

tra coloro che vedono la Luce e coloro che dimorano 

in Essa. 

I primi sono dei cristiani che vengono purificati e 

illuminati quando sono ancora

verso la piena integrazione con il Corpo Risorto;

i secondi s’identificano già con il Corpo Risorto di

Cristo e ne divengono “particolarmente membra”

(1Cor 12,27).

Dal momento che Dio c’impartisce per grazia

qualunque cosa Gli appartenga per natura, tutti

coloro che ricevono la divina Rivelazione divengono 

increati per grazia, onnipotenti, onniscienti,

senza inizio e senza fine, come San Massimo il

Confessore li descrive nella sua opera 

“Contemplazione in Melchisedek” (PG 91,1137-1141). È

quest’identità con Dio che garantisce quella vera

Rivelazione – iniziativa divina, non semplice trasmissione 

d’informazioni – accaduta realmente

ai destinatari di essa. Unicamente attraverso

quest’assunzione di grazia di Dio i Santi possono

vedere, non con i loro occhi fisici, la Luce divina

della Rivelazione. È il potere del Santo Spirito che

rende possibile tale visione. Queste visioni non

hanno nulla a che vedere con i sensi. Sono un’as-

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sunzione di esseri umani nel Regno divino.

I Santi Serafino e Motovilov hanno visto questa 

luce riempire ciascuno il corpo dell’altro. La

convenzionale percezione della santità oggi, pure

fra tanti Ortodossi, ha a che fare solo con valori

morali e risultati personali, piuttosto che con

l’assunzione nel regno increato di Dio. Ciò avviene

perché si è persa la significativa differenza tra un

santo e un eroe. Oggi, Oriente e Occidente tendono

a identificare similmente i santi con gli eroi e con

gli uomini che operano grandi imprese. Un grande

filantropo, un grande statista o qualcuno che è

morto al posto di un altro in un campo di 

concentramento è una qualifica per la santità.

Di fatto la deificazione dell’uomo è l’unico

modo perché un essere umano possa ricevere la

santità per grazia di Dio e ciò non ha nulla a che

fare con la moralità. Presume il ristabilimento

dell’umanità in un modo di vita immacolato secondo 

la propria creazione, affinché gli esseri umani 

siano elevati nel Regno increato di Dio e partecipino 

pienamente di Lui. È ciò che Dio aveva creato

originalmente a Sua immagine e somiglianza, ciò

che è santificato, non quello che l’uomo raggiunge

come compimento morale di certi principi e certe 

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leggi. Questo non significa che l’immoralità sia

accettabile a Dio. Significa solo che la moralità, in

se stessa, è inadeguata a causare la santità. Vivere

secondo natura è la sola condizione che conduce il

popolo all’impeccabilità. L’essere umano, tornando

per grazia di Dio al modo di vita ad immagine e

somiglianza divina, ossia al modo con il quale gli

uomini erano stati inizialmente creati, non può

rimanere peccatore.1 Gli esseri umani possono

tornare, per grazia di Dio, a vivere a immagine

e somiglianza divine, cioè nel modo con il quale

erano stati inizialmente creati. Ecco perché non

possono rimanere nel peccato. Vivere secondo

natura non solo favorisce la Rivelazione Divina

ma mantiene pure le persone innocenti dopo la

prima esperienza di rivelazione. I pensieri malvagi

non possono attraversare la mente di quelli che,

anche una sola volta, sono stati riempiti della

luce divina. Questa è la grande differenza tra gli

esseri umani la cui natura è stata ripristinata ed è

stata elevata nel Regno dell’increata gloria di Dio

e coloro che si mantengono negli standard morali

confidando soltanto nei loro sforzi. Le persone che

sostengono un buon grado di moralità non hanno

nessuna garanzia che alcun pensiero malvagio

non attraversi la loro mente, malgrado il grande

sforzo che continuamente fanno. Invece nel caso 

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della vera santificazione tutto il corpo, l’anima e

la mente sono saturi della Gloria increata di Dio

e restano sempre puri, secondo la natura umana,

tranne nel caso in cui rischiano di tornare nel peccato. 

Oggi quest’aspetto dell’umanità rinnovata,

che notiamo in forma eclatante in San Serafino di

Saròv, è stato perso in gran parte delle denominazioni 

cristiane. Perciò è inevitabile che ogni sorta di

persone buone e diligenti siano elevate alla santità

e vengano conformemente venerate.


Secondo l’antropologia Ortodossa, esistono tre

stati nei quali possono ritrovarsi gli esseri umani:

a. Lo stato contro natura. È una condizione

peccaminosa nella quale ogni pensiero malvagio

attraversa liberamente la mente umana e conduce

ad atti e parole altrettanto malvagi. È lo stadio

vissuto dalla maggioranza dell’umanità e si definisce 

contro natura perché non è naturale, nel

senso che non ci riporta a quella natura umana

iniziale dono di Dio, ma ad una natura distrutta

dal nostro peccato, ossia ad un’esistenza condotta

autonomamente da Dio. Lo stato contro natura

è la natura della quale ci siamo appropriati, 

individualizzandola e portandola alla disgregazione.2

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b. Lo stato secondo natura consiste propriamente

nel vivere ad immagine e somiglianza di Dio; in

questo caso viviamo nella maniera in cui siamo

stati originariamente creati, in un modo che è

frutto della santificazione, non dell’unico sforzo

morale compiuto osservando determinati principi

o particolari leggi umane.

c. Lo stato oltre i limiti della natura nasce sempre

dall’iniziativa divina con la quale Dio si unisce

alle sue creature e si manifesta immediatamente

a loro. È proprio questo ad essere avvenuto nei

santi i quali, ancora in vita, hanno avuto la visione di 

Cristo risorto. È precisamente quanto è

accaduto a San Serafino e a Motovilov durante il

loro incontro.

Non esiste alcun modo per gli esseri umani

di evitare uno di questi tre stadi. Anche se ora

la maggioranza dell’umanità vive contro natura, 

nell’altra vita, per grazia di Dio, tutti gli

esseri umani si troveranno oltre i limiti della

loro natura.

Poste queste precisazioni ci chiediamo: può

l’uomo arrivare a vivere in questa vita secondo

natura e oltre i limiti della natura? Come si può

realizzare?

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Su questo punto San Serafino è particolarmente

illuminante. Come per tutti i Padri della Chiesa,

anche per Serafino l’uomo, attraverso l’ascesi e la

lotta contro le passioni, può arrivare ad eliminare 

l’appropriazione della natura, e possedere gli

stessi pensieri, lo stesso amore, la stessa volontà

di Cristo. La vita ascetica esige disciplina fisica e

intellettuale e prepara le persone a raggiungere lo

stato di illuminazione divina che non è un semplice

miglioramento intellettuale. L’ illuminazione non

può divenire una proprietà naturale dell’intelletto

umano; è una attività divina nel corpo e nell’anima 

che rende le persone innocenti attraverso una

sinergia tra lo sforzo umano e la grazia di Dio.

Lo stato successivo è la Rivelazione, detta anche

glorificazione o divinizzazione, causata interamente 

dall’increato potere dell’Uno che si identifica

direttamente nella sua creatura.

Più precisamente, i Padri affermano che ci sono

passioni innaturali e passioni naturali. Le passioni

innaturali dipendono dalla volontà personale e

sono, ad esempio, il mangiare per ingordigia, la

paura provocata dalla mancanza di fede e di fiducia

in Dio. Le passioni naturali non dipendono dalla

volontà personale, ma sono entrate nella natura

umana come conseguenza del peccato originale.

Queste sono comuni a tutti gli uomini che vivono 

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nella caduta e sono, ad esempio, la fame, la sete,

il dolore, la paura davanti alla morte.3

La lotta per superare le passioni è definita dai

Padri della Chiesa ascesi e origina tre successivi

stadi:

- il primo stadio è la purificazione, quando l’uomo, 

con l’aiuto dello Spirito, comincia a lottare

contro i suoi egoismi, a staccarsi da ogni legame

con l’ambiente; per esempio i legami parentali, la

ricchezza, la gloria di questo mondo, la cultura

filosofica ecc.;

- il secondo stadio è l’illuminazione, collegato

direttamente alla purificazione. Quando l’uomo si

purifica, viene corrispondentemente illuminato da

Dio. In questo stadio l’uomo trasforma tutte le

passioni innaturali in passioni naturali. Sempre

su questo livello l’uomo viene illuminato, non è

sottomesso all’istinto di sopravvivenza naturale

e il suo amore si trasforma in un amore che non

chiede reciprocità;

- infine, il terzo stadio è quello della divinizzazione (o glorificazione). Qui la grazia di Dio immedesima completamente l’uomo con Cristo risorto

in cui non vi sono più le passioni involontarie.


4 In quest’ultima situazione si possono compiere, per

volere di Cristo, anche “fatti inspiegabili”, 

rinvenibili nella vita di molti santi. Gli stiliti, ad esem-

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pio, vivevano su una colonna e si sa che alcuni di

loro riuscivano a sopportare il freddo dell’inverno

senza cambiare gli abiti portati in estate. Nello

stadio della divinizzazione vengono vinti i limiti

della natura; allora «i ciechi vedono, i sordi odono,

gli zoppi camminano…».5 Questo è l’ultimo stadio

dell’ascesi, della partecipazione all’amore di Dio,

in cui l’uomo “diventa Dio” per grazia.


La vita cristiana è una continua ascesi; per

questo nel mondo Ortodosso si dice che il cristiano

non è tanto colui che va in chiesa per la preghiera

domenicale, quanto colui che lotta con sé stesso

e con le sue passioni. La figura del vero cristiano

è l’athletes, il lottatore, l’atleta che lotta per 

conquistare il premio. Tale premio è la divinizzazione

che avviene nel contatto con l’increato vedendo,

nello Spirito, Cristo risorto, icona del Padre. Nella

sua continua lotta l’uomo si rende conto della sua

debolezza e della forza di Dio. Si rende conto che

i suoi sforzi sono inutili, se non viene sovvenuto

dallo Spirito. Con la lotta sperimenta in se stesso

la sua malattia, la propria debolezza e si affida

completamente nelle mani di Dio. In tal modo non

si sente soddisfatto e superiore rispetto agli altri

suoi fratelli, ma si pone tra loro come peccatore e

bisognoso dell’aiuto di Dio. Ciò spiega la sua umiltà 

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e il fatto di appropriarsi del peccato di tutti gli altri

suoi fratelli poiché ne condivide la stessa natura

umana decaduta.

Un atleta è stato anche Serafino di Saròv nel

quale ha brillato la gloria di Dio con la pienezza

dei doni dello Spirito. Egli però è stato anche un

essere umano: ha patito, lottato, pianto, tendendo

ogni giorno e senza sosta alla completa vittoria

per conseguire la corona di gloria che Dio dona a

quelli che lo amano.

Con la sua lotta San Serafino di Saròv si è reso

pienamente consapevole della debolezza dell’essere 

umano e dell’onnipotenza di Dio. Ha potuto

sperimentare in se stesso che l’uomo con le sue

forze non può fare niente, malgrado i suoi inutili

sforzi, senza l’aiuto dello Spirito di Dio, Spirito

vivificante.

La vita di San Serafino, come emerge dalle

pagine del presente libro, non ha bisogno di spiegazioni logiche o di lodi. Il Santo è un uomo che

ha la statura di un personaggio biblico. Egli si è

sentito peccatore come tutti, ma, a differenza di

molti, ha offerto a Dio la propria debolezza, non

la propria forza. Oltre a questa Dio ha da lui ricevuto 

il desiderio di Sé, del suo amore e dei suoi 

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doni. Ecco perché tale debolezza è divenuta forza

ricolma di santità, remissione dei peccati e possibilità 

di permanere nella Grazia divina.

In questo contesto non è fuori luogo la solenne 

dichiarazione di Cristo nei riguardi della

prostituta: “Le siano perdonati i suoi peccati perché

ha molto amato” (Lc 7,47). Ad essa vengono perdonati 

i suoi peccati…soltanto perché ha amato!

San Serafino di Saròv si può porre in un quadro

non differente. Egli ama Dio con tutta la sua forza,

senza compromessi. Quest’amore che “non cerca il

proprio interesse” (1Cor 13,5) è elargito a lui perché

lotta per superare le proprie passioni e per fare la

volontà di Cristo. Sente, infatti, che solo Lui può

salvarlo dai suoi peccati e dalla decadenza della

sua natura. Ecco perché San Serafino è l’uomo

riconciliato con sé e con chiunque preferisce il

peccato a Dio. Il Santo crede che tale peccato, che

si trova in tutti, è il pretesto per donare la salvezza

di Cristo. Questa prospettiva di fede è comune a

tutti i Santi che s’incontrano con Cristo. Essi 

riattualizzano nella loro vita la nota frase evangelica:

“Non hanno bisogno del medico quelli che stanno bene,

ma i malati” (Mt 9,12). Sono dunque veramente

beati coloro che si sentono malati, poiché hanno

bisogno della Grazia di Dio, non dei loro sforzi, 

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per giungere alla perfezione.

I divi e i “condottieri” di questo mondo non hanno 

mai sentito il bisogno di gridare intensamente

e fiduciosamente a Dio per cercare la salvezza per

il loro cuore ferito. Forse non hanno mai sentito

il vero stato in cui versa il loro cuore. Molti tra

loro sono eticamente perfetti, alcuni guidano le

masse e le istruiscono perfino nei dettagli più infinitesimali. 

Più che uomini sono perfette statue

di bellezza etica, ma fredde e senz’anima, chiuse

nella loro egoistica autosoddisfazione. Quando tali

persone levano la loro voce, organizzano il popolo

in caste, lo dividono e promettono quanto non

sono in grado di mantenere.

Il nostro tempo è colmo di tali realtà, ma molti

della nostra generazione, in fondo, desiderano altre

cose e sarebbero pronti a uscire nel deserto dietro

a qualche nuovo e autentico Mosè. Solo lì, nella

nudità esterna, senza gli ornamenti della cultura

e dei riconoscimenti sociali, si può osare un confronto. 

I morti rimangono nelle ricchezze, nella

museale bellezza della parola con la quale vengono

commemorati e riconosciuti. Tutto ciò copre il loro

odore di dissoluzione e conforta i pianti dei loro

parenti. La generazione di coloro che si spingono

nel deserto ha il coraggio di canzonare le belle 

parole e l’etica senza scopo, perché si è annoiata della 

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superficialità e ha fame e sete dell’azione. Quelli

che usciranno in quel deserto spirituale saranno

forse invisibili e insignificanti, ma incontreranno

la gloria increata di Dio, saranno pieni di tale Luce

condivisa indistintamente da San Serafino di Saròv,

dalla Madre di Dio e da tutti i Santi che vivono

uniti nell’identica Gloria divina.


Buona lettura.

 Georgios Ioannou Karalis

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AMDG et DVM

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