mercoledì 9 dicembre 2020

Il Rosario è scuola di contemplazione e di silenzio.

 

"Il Rosario è scuola di contemplazione e di silenzio. 

A prima vista, potrebbe sembrare una preghiera che accumula parole, difficilmente quindi conciliabile con il silenzio che viene giustamente raccomandato per la meditazione e la contemplazione. 

In realtà, questa cadenzata ripetizione dell’Ave Maria non turba il silenzio interiore, anzi, lo richiede e lo alimenta...Il silenzio affiora attraverso le parole e le frasi, non come un vuoto, ma come una presenza di senso ultimo che trascende le parole stesse e insieme con esse parla al cuore. 

Così, recitando le Ave Maria occorre fare attenzione a che le nostre voci non “coprano” quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come “il sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,12). 

Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria!...

Anche il Rosario, per essere preghiera contemplativa, deve sempre emergere dal silenzio del cuore come risposta alla Parola, sul modello della preghiera di Maria. 

A ben vedere, il Rosario è tutto intessuto di elementi tratti dalla Scrittura. 

C’è innanzitutto l’enunciazione del mistero, fatta preferibilmente...con parole tratte dalla Bibbia. 

Segue il Padre nostro: nell’imprimere alla preghiera l’orientamento “verticale”, apre l’animo di chi recita il Rosario al giusto atteggiamento filiale, secondo l’invito del Signore: “Quando pregate dite: Padre…” (Lc 11,2). 

La prima parte dell’Ave Maria, tratta anch’essa dal Vangelo, ci fa ogni volta riascoltare le parole con cui Dio si è rivolto alla Vergine mediante l’Angelo, e quelle di benedizione della cugina Elisabetta. 

La seconda parte dell’Ave Maria risuona come la risposta dei figli che, rivolgendosi supplici alla Madre, non fanno altro che esprimere la propria adesione al disegno salvifico, rivelato da Dio. 

Così il pensiero di chi prega resta sempre ancorato alla Scrittura e ai misteri che in essa vengono presentati" 

(Benedetto XVI, 19 ottobre 2008)


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