CAPITOLO I
GLORIOSO TRAPASSO DI GERTRUDE DI
HACKEBORN, SECONDA ABBADESSA DEL MONASTERO E SORELLA DI S. MATILDE
Geltrude di Hackeborn fu veramente grande,
piena di Spirito Santo e degna di tutta la nostra filiale tenerezza. Bisogna
renderle lode e onore perchè durante quaranta anni e undici giorni, ella
esercitò la carica abbaziale con saggezza, prudenza, soavità e discrezione
ammirabile, a la gloria di Dio ed a bene delle anime.
Aveva ardente amore per Dio, tenerezza e
sollecitudine incomparabile per il prossimo, disprezzo profondo per se stessa.
La sua umiltà la portava a visitare gli
ammalati, a soccorrerli, a servirli colle sue mani: li consolava, si sforzava
di farli riposare e voleva sollevarli in tutti i loro bisogni, cosa che faceva
spendendosi completamente, fino a quando la tenerezza delle sue figlie, non
subentrava a porre un limite alla sua dedizione d'amore. Spesso era la prima
nei lavori più pesanti, si faceva un onore di scopare il chiostro, riordinare
la casa, e talora si affaticava da sola, fino a quando il suo esempio e le sue
dolci parole trascinavano amabilmente le Suore a venirle in aiuto.
La sua esimia virtù aveva irradiato
splendori durante tutta la vita: rosa di meravigliosa freschezza, era la
compiacenza di Dio e degli uomini. Dopo quaranta anni e undici giorni di
fecondo Superiorato, fu colpita, da una malattia, chiamata piccola apoplessia.
Coloro ch'ebbero il bene di conoscerla
sanno quanto penetrò nell'anima delle sue figlie lo strale scoccato
dall'Ormipotente per attrarre a sè, e togliere dalla terrestre miseria
quell'anima così nobile e così ricca di virtù!
Noi non pensiamo che possa esservi stata in
tutto il mondo creatura dotata dai Signore di doni naturali, gratuiti e
nascosti, più ricchi e preziosi. Infatti, benché il numero delle persone che
aveva accolto e educato nella vita religiosa sorpassi di molto il centinaio,
pure non abbiamo mai sentito dire che alcuno ispirasse maggior affetto di lei e
potesse esserle preferita. Basti dire che alcune bimbe, di non ancora sette
anni, ricevute nel Monastero, ed incapaci di discernimento, erano talmente
attratte dalla sua bontà appena l'ebbero conosciuta per madre della loro anima,
che la preferirono tosto al babbo, alla mamma ed a tutti i parenti. Sarebbe
troppo lungo diffondersi in particolari e dire com'era giudicata dagli estranei
che la vedevano e raccoglievano le sue parole, ricche di sapienza celeste.
Tornino tutti questi doni che le furono accordati, in lode e ringraziamento a
Dio, abisso infinito e sorgente di ogni bene!
Quando dunque questo raggio di sole parve
scomparire sotto le ombre di morte, le figlie, temendo con la perdita di si
luminoso esemplare di saggia direttiva, d'una Madre sì tenera, di deviare dal
retto sentiero della perfezione, si rifugiarono, con slancio dei cuore, nel
Padre delle misericordie, implorando, con insistenti suppliche, la guarigione
della loro Madre. Dio, che è la bontà suprema dalla quale tutto ciò che è buono
riceve cose buone, non sdegnò le preghiere di quelle anime desolate; ma siccome
il rendere la salute all'inferma non entrava nei disegni della sua Provvidenza,
volle tuttavia consolare le figlie, mostrando la beatitudine della loro Madre.
Perciò esaudì le loro suppliche; dando loro, per mezzo di Geltrude, risposte
piene di conforto, come si vedrà in seguito.
Una volta infatti, mentre Geltrude pregava
per la malata, desiderando conoscere il suo stato, il Signore le disse: « Ho
atteso questo tempo con gaudio ineffabile, per condurre la mia Sposa nella
solitudine e parlarle cuore a cuore. Il mio desiderio si attua, perchè ella
entra in tutte le mie vie e compie in ogni cosa la mia Volontà ». Tali parole
significavano che la malattia è quella solitudine ove Gesù parla al cuore della
sua diletta, più che alle sue orecchie; le sue parole non colpiscono l'orecchio
del corpo, perchè le parole che si rivolgono al cuore sono più sentite che
ascoltate. Le parole del signore alla sua eletta sono le tribolazioni e le
angosce ch'ella prova pensando che la malattia la rende inutile, ch'ella perde
il tempo, che le consorelle affaticandosi intorno a lei, lo perdono esse pure,
giacchè non le sarà dato di poter guarire. Ma ella risponde a tali tentazioni
nel modo da Dio desiderato, cioè, custodendo la pazienza e non bramando che una
sola cosa, cioè che in essa si compia la divina Volontà.
Questa risposta si fa sentire fino in
cielo, non in modo umano, ma per mezzo dello strumeno divino del Sacro Cuore di
Gesù, ove risuona per allietare la SS. Trinità e tutta la Corte celeste.
Infatti il cuore dell'uomo non potrebbe certo accettare volontieri la
sofferenza per compiere la Volontà di Dio, se tale disposizione non fosse
riversata nell'anima sua dallo stesso Cuore di Gesù Cristo; è dunque per mezzo
di questo Cuore divino, che tale risposta può riecheggiare in cielo.
Disse ancora il Signore: «La mia eletta
compie i miei più cari desideri, accettando i dolori della malattia, lungi
d'imitare la regina Vasthi che disprezzò gli ordini d'Assuero, quando quel re
le ordinò di entrare col diadema in testa, perchè i grandi della corte
potessero, contemplare la sua bellezza. Io pure voglio far risplendere la
magnificenza della mia Sposa davanti all'adorabile Trinità ed a tutta la Corte
celeste, perciò la tormento con gli spasimi della malattia. Ma ella compie i
desideri del mio Cuore, accettando con tranquillità, pazienza e discrezione í
ristori che il suo stato reclama: ciò le varrà grandi gradi di gloria, perchè
deve superare se stessa per agire in tal modo. Ella però deve farsi coraggio
pensando che, grazie alla mia bontà infinita « diligentibus omnia eooperantur
in bonum - Tutto coopera al bene di coloro che amano » (Rom. VIII, 28).
Un'altra volta, mentre Geltrude pregava per
la malata, Gesù le disse: « Talvolta mi compiaccio di mirare, la mia eletta che
sta preparandomi doni graditi, e allora le procuro perle e fiori d'oro. Ecco
ciò che queste parole significano; Le perle sono i suoi sensi, i fiori sono le
ore disponibili che le permettono di prepararmi, ornamenti belli, graditi,
preziosi; giacchè, appena può e riprende le forze, si occupa subito della sua
carica, per quanto le riesce possibile. Con sollecitudine prende diverse misure
per conservare ed accrescere la Religione perché, dopo la sua morte, le sue
parole ed i suoi esempi siano come colonna saldissima che, per la mia eterna
gloria, sostenga la stato religioso.
Se però s'accorge che il lavoro nuoce alla
sua salute, lo lascia tosto e mi abbandona ogni cosa con grande fiducia. Questa
fedeltà a riprendere il lavoro, o a lasciarlo quando le forze declinano,
commuove profondamente il mio Cuore». Un'altra volta che la santa Abbadessa, di
dolce memoria, s'affliggeva di non poter compiere lavori di mano, temendo di
sciupare il tempo, si rivolse, con la solita umiltà a Geltrude, preferiva i
suoi consigli a quelli delle altre, le raccomandò di pregare il Signore per
quell'intenzione.
Geltrude lo fece ben volentieri e ricevette
questa risposta: « Il Re di bontà non esige che la sua diletta lavori a rendere
più bella la sua corona, mentre Egli stesso, prodigandole la sua immensa
tenerezza, si compiace di tenerle le mani strette nelle sue; ma ciò che vuole
prima di tutto, è che sempre si trovi pronta a compiere la sua Volontà. Così il
mio divin Cuore si compiace nella sua eletta, sia che sapporti dolcemente
l'infermità che le impedisce di lavorare, sia che si occupi, per quanto può,
della sua carica, quando la sofferenza le lascia un po' di respiro ».
Siccome poi la malattia le impediva di
esercitare perfettamente i suoi doveri di Abbadessa, ella pensò di dimettersi,
ma prima volle sapere da Geltrude quale era la divina Volontà. La Santa
ricevette questa risposta: « Con tale malattia santifico la mia Sposa per
stabilirmi in essa, quasi in gradita dimora, così come il Pontefice, mediante
la consacrazione, santifica una chiesa. Le serrature poste alla porta della
medesima, la garantiscono contro i malfattori; così, mediante la malattia, Io
la chiudo, per così dire, afflnchè i suoi sensi siano liberati da una folla di
cose esteriori, che non hanno grande utilità e spesso turbano il cuore,
allontanandolo da me. Nel libro della Sapienza ho proclamato: « Deliciae meae
sunt esse cum fìliis hominum - Le mie delizie sono di stare coi figli degli
uomini » (Prov. VIII, 31). Ho dunque mandato la malattia a questa mia Sposa per
abitare in essa, secondo quest'altra parola: « Juxta est Dominus his qui
tribulato sunt corde - Il Signore è vicino a coloro che soffrono » (Ps. XXXIII,
19). Ho voluto ch'ella sia adorna di buoni desideri e di ottima volontà, perchè
mi sia dato dimorare in essa come un re sul suo letto di riposo, e gustare le
mie delizie nella sua anima, prima di fare gustare a lei stessa le gioie
eterne. Lo ho lasciato l'uso parziale dei sensi esteriori, perché potesse
trasmettere ancora le mie volontà alle sue figlie, come altra volta diedi agli
Israeliti l'Arca santa che rivelava i miei oracoli e nella quale essi dovevano
onorarmi. Simile a quell'Arca santa ella deve dare la manna, cioè diffondere
sulle sue suddite la dolcezza delle consolazioni con teneri affetti, e parole
soavi. Ella deve rinchiudere anche la verga di Aronne per la correzione delle
ribelli, dopo di aver riflesso la cosa nel vigore dello spirito, ricordandosi
che avrei potuto Io stesso correggere i cattivi col rimorso, o con la
sofferenza, ma che ho preferito agire con la sua mediazione per aumentare i
suoi meriti. Quando ella avrà esercitato la sua missione secondo la misura
delle sue forze, non subirà nessun detrimento se, fra coloro ch'ella corregge,
ve ne sono alcune che non si emendano, perchè l'uomo pianta e inaffia, ma Io
solo dò l'incremento ».
Altra volta ella si turbò, temendo che vi
fosse negligenza da parte sua nell'omettere la S. Comunione, l'orazione ed
altre pratiche di Regola. Le sembrava anche di comunicarsi con poco rispetto,
poiché la sua grave infermità le impediva di prepararsi accuratamente. Il
Signorà volle istruirla e consolarla per tramite di Geltrude: « Sappi che
quando, per giusto senso di discrezione, tralascia di comunicarsi; o di
compiere altra pratica, la mia infinita bontà si affretta ad attribuirle un
bene che supplisce a quello che non ha potuto acquistare, perchè tutti i tesori
della Chiesa sono miei, ed Io posso disporre dei medesimi ».
Siccome è proprio delle anime virtuose
temere il male anche dove non esiste, ella si contristò, vedendo le persone che
la servivano, perdere il tempo, poichè le lor cure non le portavano nessun
reale refrigerio. Ma Dio, che è fedele e che non permette che un'anima sia
tentata al di sopra delle sue forze, la consolò ancora per mezzo di Geltrude. «
Desidero che per mio amore e per mio onore ella sia servita con rispetto,
bontà, diligenza e allegrezza, perchè Io, il Dio che in essa abita, l'ho posta
a capo del Monastero; ciascuna è dunque tenuta ad assisterla, come i membri
servono il capo. Ella, da parte sua, deve rallegrarsi che ani serva di lei,
come di un tenero amico, per aumentare i meriti dei miei eletti, giacchè
considererò come resi a me tutti i servigi che le saranno prodigati, e tutta
l'affezione che le si dimostrerà, sia pure con una sola parola».
Nel giorno di S. Lievino (vescovo e
martire, compagno di S. Bonifacio - XII Novembre) tutta la Comunità si era
riunita per domandare la sua guarigione al santo martire; Geltrude, avendolo
pregato con maggior insistenza, ebbe questa risposta: « Quando il re si rallegra
con la sua sposa nel segreto della camera nuziale, è forse conveniente che un
soldato venga a pregarlo di far uscire la sposa, perchè la famiglia del servo
possa godere la presenza dell'augusta regina? Così non si può troppo supplicare
per avere la guarigione di una persona tanto unita a Dio e che, con la sua
sapienza e bontà, offre al Re dei cieli le prove della sua tenerezza ».
Impariamo che coloro che maggiormente glorificano Dio nel loro stato
d'infermità, meritano, invocando i Santi, di ricevere una dolce abbondanza di
grazia che accresce la loro pazienza e li aiuta a ritrarre dalla malattia
frutti più graditi a Dio.
Prendo come testimonio della fedeltà di
quanto dico tutte le persone che in questa malattia hanno riconosciuto la
grazia di Dio, ed ammirato la virtù di quella veneranda Madre.
Durante ventidue settimane ella rimase così
priva dell'uso della lingua da non poter manifestare nessun desiderio, nè con
parole, nè con segni; ella diceva solo queste due parolette: spiritus meus - il
mio spirito. Le consorelle che la servivano non potevano nè capire, né
sodisfare i suoi desideri. La cara Madre, dopo d'aver ripetuto lungamente e con
fatica: spiritus meus, vedendo che tutto era inutile, taceva come un dolce
agnello, e, guardando con l'occhio semplice della colomba quello che si faceva
contro la sua volontà, sorrideva mestamente, senza mai lasciar trapelare la
minima impazienza.
Il grande amore di Dio e del prossimo, vita
della sua vita, erano così profondamente radicati nei suo cuore che, persino
nei momenti del più acuto spasimo, bastava una sola parola riguardante Dio, per
renderla serena, tanto che sembrava non avere più nulla da soffrire.
La sua grande divozione si manifestava con
copiosissime lagrime prima della S. Comunione, e con lo zelo per ascoltare la
S. Messa. Ella voleva, ad ogni costo esservi condotta, quantunque fosse priva
dell'uso di una gamba e che l'altra fosse così addolorata da non poter neppure
toccarla: ma tutto dissimulava purchè non la privassero del grande tesoro della
S. Messa.
Aveva pure grande fervore per il divin
Ufficio. Facile ad assopirsi per la sua malattia, si faceva violenza per
destarsi quando suonavano le ore canoniche, e riusciva, come per miracolo, a
mantenersi sveglia. Se poi aveva incominciato il suo leggero pasto, le
interrompeva sino alla fine delle preghiera. L'ultima volta che disse: spiritus
meus, fu per chiedere di recitare Compieta, dopo dì che entrò in agonia.
La sua bontà mostrò assai spesso la
perfezione della sua carità; siccome non poteva articolare che le due parole
spiritus meus, se ne serviva in ogni bisogno, per ricevere cioè coloro che la
visitavano, per accompagnare un gesto affettuoso a chi la circondava, per
rispondere a tutte le domande, per esprimere tenerezza alle sue figlie,
stringendo loro la mano e accarezzandole amorosamente. Tutte confessavano che,
lungi dall'annoiarsi, provavano a quel capezzale delizie misteriose, molto più
che se ne avessero ascoltato discorsi eloquenti, accompagnati da doni preziosi.
Ella congedava le sue figlie con le stesse parole: spiritus meus, levando la
mano malata per benedirle con soavità: scena commovente e dolce!
Un giorno seppe che una sua figlia, colpita
da grave malore, aveva dovuto coricarsi. Quantunque non potesse nè fare un
passo, nè dire altre parole se non spiritus meus, fece capire, con cenni
ripetuti, che voleva visitare l'inferma e lo fece con tanta insistenza che
bisognò accontentarla e condurla dalla malata. Ella le mostrò tali segni di
compassione coi suoi gesti, che anche i cuori indifferenti, ne furono commossi
fino alle lagrime. Ma la penna non può vergare il poema di virtù e di tenerezza
che si celava in quel cuore; perciò offriamo a Dio, Autore d'ogni bene, un
sacrificio di lode per i doni meravigliosi fatti alla sua Sposa.
Da quanto andiamo dicendo, si può
concludere che vi era qualche cosa di miracoloso nel pronunciare ch'ella
faceva, in modo distinto, queste parole spiritus meus, poichè non poteva dire
altro. Geltrude, che l'amava con particolare tenerezza, volle interrogare il
Signore chiedendoGli la ragione di questo fatto. Egli rispose: « Sono il Dio
che abito in essa: ora Io ho attirato e unito intimamente il suo spirito al
mio, si che ella, in tutte le creature, cerca me solo. Quando per chiedere, o
per rispondere, ella dice spiritus meus, parla di me, che vivo nel suo spirito.
Così ogni volta che pronuncia queste parole, mostro alla Corte celeste come
quest'anima non pensi che a me e le preparo una eterna ricompensa ».
Potremmo ancora riportare molti altri fatti
riguardanti questa venerata Madre, ma crediamo bene abbreviare perchè tali cose
provano una sola realtà cioè che, essendo ancora visibile, agli occhi umani,
pure Dio abitava in lei e con lei, così che, in tutte le, sue azioni, ella si
lasciava condurre dolcemente, dallo Spirito del Signore (ciò che è conforme
agli insegnamenti della Sacra Scrittura).
Un mese prima di perdere la parola, ella si
sentì così male da sembrare sul punto di morire. Quando le venne data con
sollecitudine l'Estrema Unzione, davanti alla Comunità riunita, il Signore Gesù
apparve raggiante di splendore: Egli tendeva le mani come per abbracciare la
sua Sposa, e stava sempìe di fronte a lei, in modo che potesse vederlo da
qualsiasi parte si fosse voltata.
Géltrude comprese la tenerezza del Signore
per la sua Sposa diletta, giacchè, quattro mesi prima della sua morte, si era
mostrato a lei nello stesso atteggiamento, tendendo le mani per ammettere fa
sua anima al divino amplesso e all'eterno bacio.
Geltrude chiese poi al Signore come mai
quella venerarti da Abbadessa potesse uguagliare i meriti delle vergini già
canonizzate, che avevano, versato il sangue per la fede. Le rispose Gesù: « Il
primo anno che ella ricevette la carica abbaziale unì talmente la sua volontà
alla mia e compi, con la mia grazia, tutte le sue opere con tale perfezione, da
uguagliarsi alle vergini più sante; in seguito ella continuò a progredire; così
le riserbo un aumento di beatitudine pari ai suoi meriti ». Da queste divine
parole si potrà comprendere la fulgida gloria di cui la nostra Madre è
rivestita in cielo.
Quando arrivò il giorno tanto ardentemente
desiderato e preparato con tante suppliche, quando scoccò l'ora dell'agonia il
Signore accorse a lei con gaudio: a destra aveva la sua beatissima Madre, a
sinistra S. Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto. Il Salvatore era
seguito da una immensa moltitudine di Santi e specialmente dalla candida
falange delle Vergini che, durante l'agonia della morente, sembravano riempire
la casa e frammischiarsi con le monache.
Le consorelle non abbandonarono la
moribonda, deplorando la sua perdita con lagrime, sospiri e supplicando Dio per
il trapasso di quella diletta. Quando Gesù giunse al suo capezzale, le mostrò
tanta bontà, con tenerezze divine, che la morte perdette tutta la sua amarezza.
Quando poi, nella lettura del Passio, si giunse a quelle parole et inclinato
capite emisit spiritum, Gesù. parve non poter, più trattenere le fiamme del suo
amore: si chinò verso la malata, aperse con le sue stesse mani il Cuore e lo
tenne davanti a lei.
La Comunità tutta era in preghiera.
Geltrude, spinta dalla sua particolare affezione, disse al Signore: « O buon
Maestro, in virtù di quella inesauribile tenerezza con cui ci hai dato una
Superiora così degna del nostro amore, degnati, per quanto è possibile,
assimilarla alla tua Madre, mostrandole qualche cosa dell'affezione di cui hai
circondato la beatissima Vergine, quando usci dal suo corpo mortale». Il
Signore, commosso da tenera compassione, parve dire a sua Madre: « Dimmi, o
Madre, ciò che ho fatto per Te; di più dolce, quando stavi per uscire dal
corpo, perché questa mia Sposa mi prega di agire nello stesso modo con la sua
Superiora morente ». La misericordiosissima Vergine rispose con bontà: « La
cosa che mi parve più deliziosa, o Figlio mio, fu quella di trovare un rifugio
sicuro fra le tue braccia ». « Tu hai ricevuto questo favore, o Madre, per
avere meditato spesso sulla terra, con dolorosi sospiri, tormenti della mia
Passione ». E aggiunse: « La mia eletta dovrà supplire a tali meriti che non ha,
sopportando oggi l'angoscia che le procura la sua respirazione difficile, tante
volte quante tu stessa hai sospirato in terra al ricordo della mia Passione».
Cosi ella passò quel giorno d'agonia.
Durante questo tempo ella usufruì delle tenerezze del divin Cuore che si apriva
davanti a lei come un giardino di fiori profumati, o come un tesoro di aromi
preziosi. Ad ogni istante si vedevano gli Angeli scendere dal cielo, guardarla
e invitarla a seguirli con questa dolce melodia da essi modulata: « Vieni, vieni;
vieni, o Signora, perché le delizie del cielo sono preparate per te ». «
Alleluia, Alleluia! - Veni, veni, veni, Domina, quia te expeetant coelt
deliciae. Alleluia, Alleluial ».;
L'ora deliziosa s'avvicinava, l'ora nella
quale le Sposo celeste, il Re di gloria, il Figlio del Padre si preparava a
fare riposare nella Camera nuziale dell'amore quella Sposa diletta che
aspettava con sì ardenti desideri il volo supremo. Il Signore si avvicinò e le
disse queste dolci parole « Ecco che nel bacio del mio potente amore, io
m'impossesso di te, affine di presentarti al Padre mio, nell'amplesso del mio
Cuore ». Come se avesse voluto dirle: « La mia onnipotenza ti ha trattenuta
finora in terra per darti possibilità di maggior merito; ma l'ardore della mia
tenerezza non può più trattenersi, quindi ti libera dal corpo e ti consegna a
me, come desideratissimo tesoro, perchè calmi la violenza dell'amore, gustando
in te le più soavi delizie ». E subito quell'anima felice, cento volte felice,
lasciando la spoglia mortale, s'inalzò con giubilio ineffabile, per entrare
nell'augusto santuario del S. Cuore di Gesù, che le era stato aperto con tanto
amore, letizia e generosità, come più sopra abbiamo detto. Nessun mortale
saprebbe immaginare quello che lassù quell'anima, che meritò di passare per
tale via, ricevette di tenerezza, ciò che vide e intese. La debolezza umana:
non potrebbe esprimere che balbettando le tenere carezze dello Sposo che
accolse la sua diletta nelle profondità del suo Sacro Cuore, e i giocondi
trasporti della Corte celeste che, con le sue lodi, parve coronare quella festa
di nuove gioie.
Unite pur non al palpito gaudioso del
cielo, tenteremo di cantare un inno di giubilo e di ringraziamento a Dio,
Autore di ogni bene.
Quando dunque quel sole brillante, che aveva
diffuso così lontano i suoi benefici raggi, scomparve dalla terra, quando
quella gocciolina d'acqua rientrò nell'oceano da dove era uscita, le figlie,
rimaste quaggiù nelle tenebre della desolazione, levarono verso il cielo lo
sguardo della fede per tentare di scoprire mediante la speranza, qualche cosa
della gloriosa felicità della loro Madre. Tuttavia esse continuavano a piangere
per il sacrificio di una Madre così buona, veramente superiore a tutto quello
che avevano visto nel passato, e che potevano sperare nell'avvenire. I loro
rimpianti erano però illuminati da un certo senso di gioia al pensiero della
gloria di quell'eletta: così facevano salire le loro lodi verso il cielo,
confidando la loro desolazione alla tenera affezione dell'Estinta. Esse cantarono
il Responsorio Surge Virgo, et nostra Sponso preces aperi; tua vox est dulcis
in aure Domini: quae pausas sub umbra Diletti. Ab aestu mundi transfer nos ad
amoena paradisi. Pulchre Sion filia pro mortali tunica. Agni testa vellere, et
corona gloriae. Ab aestu. - Levati, o Vergine, e presenta le nostre preghiere
allo Sposo: la tua voce è dolce all'orecchio del Signore: o tu, che riposi
all'ombra del Diletto, toglici dagli ardori di questo mondo e trasportaci nelle
delizie del Paradiso. O figlia di Sion che hai mutata la tunica mortale con la
veste dell'Agnello e con la corona della gloria.
Essendo malata Matilde, cantora del
Monastero, fu Geltrude che intonò questo canto: il corpo verginale, tempio
agusto di Cristo, fu portato da mani caste in cappella e deposto davanti
all'altare.
Quando tutta la Comunità si prostrò in
preghiera, l'anima dell'eletta defunta comparve, rivestita di gloria
incomparabile. Ella stava davanti alla SS. Trinità e pregava per le agnellette
che, durante il terreno pellegrinaggio, le erano state confidate.
Mentre si cantava la S. Messa per la
defunta, Geltrude sfogava il suo dolore con Gesù, il quale volendo consolarla
le disse con tenerezza: « Non basto forse io a darti tutto quello che ti ho
tolto? Nel secolo si usa fidarsi di un uomo onesto, il quale dopo la morte dei
suoi vassalli, prende in tutela i loro beni, perchè si è persuasi che egli
nulla trascurerà per il vantaggio degli eredi. Fidati dunque di me, io ti
consolerò perchè sono la bontà infinita: se tu a me ti rivolgerai con tutto il
cuore, sarò per te, tutto quello che la defunta Madre era per ciascuna di voi
».
Nello stesso momento in cui, come più sopra
si disse, il Signore ricevette nel suo Cuore l'anima della defunta, diffuse sul
mondo intero una rugiada di grande dolcezza, e Geltrude comprese che in
quell'istante, tutte le preghiere che salivano al cielo erano esaudite.
All'indomani, giorno della sepoltura,
Geltrude fece la sua oblazione all'Offertorio della prima Messa, per l'anima
della defunta. Per supplire ai suoi meriti offerse l'amabilissimo Cuore di
Gesù, tale e quale è nei suoi rapporti con l'umanità, cioè colmo dei beni e
delle perfezioni che scorrono dal medesimo Cuore sui cuori degli uomini, per
risalire poi, con pienezza, verso Dio. Il Signore parve accettare
quell'offerta, sotto il simbolo di un vaso, in forma di cuore, colmo di ricchi
doni: Egli lo chiuse nel suo seno, poi chiamò l'anima della defunta, dicendole:
« Vieni piccola vergine (virguncula) vieni da me, e disponi dei beni che le tue
figlie ti hanno mandato ». Ella si volse allora al suo Diletto, ed immerse la
mano nel seno del Signore, osservando quello che in esso racchiudeva. Siccome
colà trovava la perfezione di tutte le virtù e di tutti i doni, ella toglieva a
uno a uno quei tesori, li indirizzava a Dio, e diceva con la sua solita
dolcezza: « O amato Gesù, questo converrebbe alla Priora, questo a quell'altra,
e questo a quell'altra consorella». Siccome sulla terra aveva notato ciò che
mancava a ciascuna, ora cercava di supplirvi con le virtù del Cuore di Gesù. Il
Signore, guardandola con ineffabile amore, le disse ancora: « Avvicinati di
più, o mia diletta ». Ella si alzò e si pose a sinistra del Signore che la
circondò col suo braccio e, serrandola al Cuore, le disse: « Vedi ora le cose
come le miro Io stesso ».
Quelle parole le fecero capire ch'ella era
guidata dall'affezione umana nel distribuire alle sue figlie i doni del
Signore, secondo ciò che aveva conosciuto in terra. Ora che il Signore l'aveva
unita totalmente a sè, ella non poteva vedere se non ciò che Dio vedeva, quel
Dio che ama gli uomini più di quanto noi possiamo comprendere e che però loro
lascia dei difetti, che servono ai suoi disegni di Provvidenza.
All'elevazione Geltrude offerse a Dio, per
l'anima della sua diletta Priora, in unione alla sacratissima Ostia la filiale
tenerezza che Gesù provò per Maria, sua amorosissima Madre. Allora il Figlio di
Dio, chiamando soavemente la defunta, le disse: « Avvicinati, piccola vergine.
Voglio mostrarti la filiale affezione del mio Cuore ». La Madonna prese
quell'anima fra le sue braccia, la condusse dal Signore che si chinò su lei per
farle gustare, con un soavissimo bacio, qualche cosa della filiale tenerezza
che sentiva per la sua Madre. Siccome tale visione si ripeteva ad ogni S.
Messa, e più di venti erano già state celebrate per la defunta, Geltrude cercò
di offrire a Dio qualche cosa di più grande ancora, per aumentare i meriti
della sua amatissima Priora. Ella presentò dunque la filiale affezione che
Gesù, come Dio, ebbe per il Padre, e che, come uomo, ebbe per la Madre.
Il Figlio di Dio, tenendosi ritto davanti
all'eterno Genitore, chiamò l'anima della defunta e le disse: « Vieni, mia
Signora e mia Regina, perchè ti viene invìato un dono ancora più prezioso ». E
siccome l'anima della defunta, guidata dalla Mano della Madonna, erasi inalzata
a vette sublimi, Geltrude, seguendola con lo sguardo, le disse: « O Madre mia,
ben presto non potrò più nè vederti, nè capire la meravigliosa gloria che ti
circonda ». Ella rispose: « Tu potrai però sempre interrogarmi su quanto
desideri sapere ». E Geltrude: « O Madre cara, perchè le tue preghiere non ci
ottengono di frenare le lagrime? Noi ci sentiamo tutte male a furia di piangere
la tua assenza, pur sapendo che a te non piacciono queste esagerazioni
indiscrete ».
La defunta rispose: « Il mio Salvatore;
nella sua dolce tenerezza, muta per me in gloria e in vantaggio tutto quello
che di solito torna di poco profitto ad altri: ora sappi che, per la
discrezione con cui seppi guidarvi, Egli mi permette di offrire in un calice
d'oro tutte le lagrime che voi versaste per la mia morte. Per ciascuna di
queste lagrime Egli versa in me le dolci acque della Divinità e quando esse
hanno calmato la mia sete, canto al Diletto un inno di ringraziamento per le
mie figlie e per tutti colora che mi piangono ».
Geltrude chiese se tale effetto era
raggiunto da tutte le lagrime, o soltanto da quelle che si versavano in vista
di Dio, per il timore che la sua morte portasse un rilassamento nella religiosa
osservanza. Quell'anima beata rispose: « Questa gioia mi viene elargita, anche
per le lagrime che si versano solo per semplice tenerezza; tuttavia quando
offro le lagrime sparse per l'onore di Dio, allora il mio Salvatore stesso
canta con me l'inno del ringraziamento: queste sante lagrime mi procurano un
gaudio superiore alle altre, così come il Creatore è al di sopra delle creature
».
Poi, avendo chiamata Geltrude per nome, le
disse: « Cara figlia, sappi che ho ricevuto una ricompensa speciale per averti
incoraggiata in vista di Dio, a compiere quell'affare che bene conosci. Per
questo io ascolto sempre nel Cuore del mio Diletto un canto d'amore che
assomiglia a quello di uno strumento melodioso, tanto che tutta la Corte
celeste si rallegra con me. Tale canto procura ai miei occhi un mite splendore,
al palato un gusto squisito, all'odorato un soave profumo. Soltanto il senso
del tatto non prova speciale godimento, perchè ho commesso alcune negligenze a
questa riguardo, quantunque con buona; intenzione e per amore di pace ».
Mentre si sonava l'Elevazione, Geltrude
offerse l'Ostia santa al Padre, per riparare le negligenze della defunta.
L'Ostia divina apparve allora come uno scettro ammirabile che sembrava
bilanciarsi con un grazioso movimento: esso era davanti all'anima della defunta
che non poteva tuttavia toccarlo, perchè, nell'altra vita, non si può supplire
alle mancanze commesse quaggiù. In virtù di quel sentimento di affettuosa
riconoscenza di cui il Signore l'aveva dotata, la defunta parve pregare per
tutti coloro che assistevano alle sue esequie: tale preghiera ottenne a
ciascuna la remissione di molti peccati, e un aumento di grazia, di forza, di
vigore per fare il bene.
Alla benedizione che si dava alla fine
della S. Messa, la diletta Priora apparve in piedi, davanti al trono della
sempre adorabile Trinità, alla quale rivolse questa supplica: « O Dio, che sei
l'Autore di ogni, bene, accorda un favore alla mia spoglia mortale. Quando le
mie figlie verranno sulla mia tomba a gemere sulle loro pene e sulle loro
colpe, fa che una segreta consolazione le assicuri che io sono veramente la
loro Madre ».
Il Signore accolse con bontà questa domanda
e in nome della sua Onnipotenza, della sua Sapienza e Bontà, benedisse ciascuna
anima in particolare. Quando poi questa beata Madre venne deposta nella tomba,
il Signore, per confermare quella benedizione, parve fare tanti segni di croce
quante erano le palate di terra che cadevano sulla cassa. Allorchè essa fu
interamente ricoperta, la Vergine Maria, Madre di Dio, tracciò ella pure con la
sua dolce mano, lo stesso segno di croce, come un sigillo, atto a testimoniare
il favore concesso da Dio alla defunta.
All'intonazione del responsorio « Regnum
mundi »; dopo la sepoltura, il cielo parve ammantarsi dì nuova gioia, così come
una casa di cui ogni pietra, e ogni lastra si fossero messe a danzare, per
esprimere la loro allegrezza. La defunta apparve preceduta da un coro di
vergini, di cui ella era la regina: con una mano teneva un giglio circondato da
altri fiori, con l'altra guidava le vergini che le erano state confidate e che
l'avevano preceduta nella gloria. Al loro seguito camminavano altre vergini del
Paradiso. Fra gioia ed allegrezza esse giunsero al trono di Dio. Alle parole
del Responsorio: quem vidi, Dio Padre accordò nuovi favori a quell'amatissima
anima che conduceva le vergini, già sue figlie. All'altra parola quem amavi, il
Figlio di Dio le accordò pure le sue grazie; all'espressione in quem credidi,
lo Spirito Santo l'arricchì dei suoi doni. Ma quando si cantò quem diiext, la defunta
aperse le braccia per dare un tenero amplesso a Gesù, suo amatissimo Sposo.
In seguito venne detto il Responsorio
Libera me e si vide in cielo radunarsi un altro coro composto dalle anime che,
in virtù dei meriti della defunta, delle S. Messe e preghiere offerte per lei,
in quel giorno erano giunte all'eterna gloria. In quel numero si notò un
fratello converso del Monastero che aveva trascurato la vita spirituale; egli
per i meriti della santa Priora, aveva avuto il massimo refrigerio.
Nel trentesimo giorno la beata Priora
apparve ancora a Geltrude raggiante di una gloria così meravigliosa, da
eclissare tutto quello che prima aveva ammirato. Si vedevano rifulgere di
splendore soprattutto i mali sopportati pazientemente nell'ultima malattia. Un
libro d'oro, magnificamente ornato, apparve davanti al trono: esso conteneva
tutti gli insegnamenti che aveva dati agli inferiori. In avvenire si vedranno i
tesori che i suoi esempi e le sue parole avranno prodotto nelle anime.
Geltrude, stupita di tante meraviglie,
chiese alla beata Priora quale ricompensa avesse ricevuto per i dolori
sopportati al braccio destro. Ella rispose: « Con la destra abbraccio
teneramente il mio Diletto e provo una gioia incomparabile, vedendo come il mio
amatissimo Sposo trovi le sue delizie nell'essere circondato dal mio braccio,
come da preziosa collana. Il lato destro della defunta sembrava, dalla testa
fino ai piedi tempestato di gemme preziose, il cui splendore si rifletteva
anche sul lato sinistro. L'ornamento di destra indicava le ricompense ai suoi
dolori, lo splendore di sinistra stava a significare i meriti acquistati per
l'unione della sua volontà al divin beneplacito. Era dunque, da una parte e
dall'altra, come un gioco di luci, simile a quello dei raggi di sole che si
riflettono nelle acque. La sofferenza poi che la beata Madre defunta aveva
provato per la perdita della parola, le fu ripagata da un bacio divino, che le
venne dato da Gesù appena spirata, il cui splendore sarebbe durato eternamente,
con gaudio ineffabile di tutta la Corte celeste.
AMDG et DVM
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