“Guerriglia”
« In una Francia vicina e oscura, un sopralluogo della polizia in un quartiere multietnico di periferia si trasforma in una tragedia: un poliziotto caduto in un’imboscata perde il controllo e incomincia a sparare alla cieca. La periferia si incendia e tutto il Paese si ritrova improvvisamente catapultato in una situazione di equilibri precari. Le fiamme appiccate dagli immigrati si propagano di città in città e la Repubblica, alla fine, esplode. […] I cittadini, privati di tutto e abbandonati a loro stessi, si preparano così ad affrontare la carneficina, ad affrontare la Guerriglia… ».
Questa, in buona sostanza, la trama di Guerriglia, romanzo di Laurent Obertone che ha già spopolato in Francia nonostante il boicottaggio dei principali media e che si appresta a uscire anche in Italia, martedì 18 luglio, tradotto da Catia Lattanzi e curato da Federico Goglio. Grazie all’editore, la neonata Signs Publishing, abbiamo avuto modo di leggere il romanzo completo in anteprima assoluta e di constatare un semplice fatto: Guerriglia non preconizza un futuro assurdo e distopico, ma illustra con la necessaria chiarezza e durezza dei termini le conseguenze tranquillamente plausibili del nostro presente.
Sarà per questo, forse, che anche in Italia vige un assordante silenzio mediatico (rotto solamente, per la carta stampata, dai quotidiani La Verità e Il Giornale) rispetto alla nuova opera di uno scrittore che il famoso e pluri-premiato Michel Houellebecq ha definito “il grande polemista di domani”, ma che dall’autore di Sottomissione si differenzia per aver basato il suo ultimo lavoro non sulla possibile anticipazione del futuro di una Francia “dolcemente islamizzata” dal moderatismo di facciata della Fratellanza musulmana, ma sul lavoro di studio, di investigazione e di previsione dei servizi di sicurezza francesi e di esperti del terrore e delle catastrofi.
Nel complesso, da questo lavoro, emerge un semplice concetto: stante la situazione attuale, di fronte a rivolte endemiche delle masse di immigrati di prima, seconda e terza generazione, coordinate con attacchi terroristici di larga scala e una rapida estensione del caos alle campagne, la Francia è potenzialmente in grado di crollare in soli 3 giorni.
Proprio questa è la scansione del libro, 3 giorni: il primo giorno, in cui la miccia viene accesa da un controllo di polizia finito in tragedia; il secondo giorno, in cui la rivolta prende piede in tutta la Francia e la miccia si consuma; il terzo giorno, in cui la bomba costituita da decenni di politiche di assimilazione fallite esplode, travolgendo tutto e tutti: semplici cittadini, poliziotti, funzionari, politici, giornalisti. La fine di tutto questo sta nel titolo: la guerriglia, unico futuro che attende un paese senza più un nome né un qualsiasi barlume di ordine sociale, in cui a contare non sono più un conto in banca o una buona posizione dirigenziale in una grande azienda, ma le scorte d’acqua, di cibo, di armi e, soprattutto, di coraggio di fare quello che va fatto quando il caos prende piede.
Chi però pensasse che Guerriglia di Laurent Obertone (il nome è uno pseudonimo, utilizzato per evitare gli ovvi problemi a cui va incontro chi scrive senza accettare le castrazioni imposte dal politically correct) sia un libro che parla in maniera un po’ tragica e roboante di immigrazione o una declinazione in salsa iper-contemporanea della “fine del mondo” e delle conseguenze del caos sulla psicologia delle folle (una specie di The Walking Dead, con gli “immigrati” al posto dei “vaganti”), si sbaglia di grosso. Guerriglia è un libro a 360 gradi, che delinea con chiarezza tutte le ragioni nascoste, i convitati di pietra e le verità innominabili che potrebbero portare un paese occidentale, ricco e, all’apparenza, perfettamente sicuro e solido, a precipitare nella preistoria in 72 ore a seguito di scelte politiche, culturali e sociali scellerate nei loro risultati e, in certi casi, anche nelle loro intenzioni.
Dall’animalismo, che fa disperare per la morte di un cane-poliziotto e fa ignorare bellamente il poliziotto in carne e ossa vittima della stessa fine, al potere dei media mainstream nel manipolare l’opinione pubblica verso il buon-vivere-con-tutti, parossistica (ma non poi così lontana dalla realtà) tendenza dei media e dell’opinione pubblica liberal-progressista a contestualizzare, ridurre di portata e, talvolta, giustificare la criminalità allogena nel nome della “tolleranza”, del “non aiutare l’estrema destra”, del “evitare generalizzazioni”. In Guerriglia c’è tutto, e dietro a giudici comprensivi con i criminali, omosessuali intenti a stigmatizzare l’uso di pronomi non sufficientemente neutri e terroristi armati di coltello che, al posto di una strenua resistenza, incontrano solo scuse e senso di colpa, c’è sempre un mortifero buon-vivere-con-tutti, che è semplicemente un sottomettersi, da parte della maggioranza, agli altri, alle etnie minoritarie così come agli orientamenti sessuali più disparati, dentro una macchina lanciata a rotta di collo verso un burrone che, alla fine, travolgerà tutti.
Nessuno, infatti, si salva dentro la guerriglia. Il romanzo di Obertone non ha vincitori: non vincono gli “antifa”, bianchi francesi che si vergognano della loro appartenenza alla parte più ricca e sviluppata del mondo e per questo appoggiano le rivolte degli immigrati, salvo poi venire travolti da una rabbia e da una violenza che, alla mano tesa dei progressisti, risponde col machete e con i kalash; non vincono i terroristi, che nonostante mettano in scena attentati spettacolari e di una portata e gravità mai viste prima, si trovano privi della possibilità di potersene gloriare, per il semplice motivo che, con la Francia, è venuta meno anche la linea internet su cui postare le proprie gesta, unica loro vera e terrificante finalità; non vincono gli “identitari”, o quella che viene genericamente chiamata “estrema destra”, che sebbene veda avverarsi tutte le proprie profezie nefaste sul destino della Francia dopo la Grande Sostituzione, non riesce nemmeno a costruire un barlume di resistenza e viene schiacciata dagli “sbirri” senza nemmeno l’onore di una vera lotta contro il nemico allogeno.
In mezzo a tutto questo, scorrono i personaggi di Guerriglia, romanzo totalmente privo di un protagonista ma denso di nomi – tutti fittizi, ma in certi casi rimandanti con tutta evidenza a personaggi realmente viventi – che compaiono e scompaiono con la fredda disinvoltura di comparse, che vengono meno, travolti dal caos senza fine, proprio quando vorresti saperne qualcosa di più. Lo stile di Obertone – duro e grezzo, ben lontano dall’eleganza estrema de Il Campo dei Santi di Jean Raspail, a cui Guerriglia è stato correttamente associato però a livello contenutistico – è un tutt’uno con la storia narrata: nella Francia che sprofonda sotto i colpi di un’ineluttabile cambiamento, non c’è spazio per i grandi personaggi, né per le grandi narrazioni geopolitiche, per quello che avrebbe potuto essere ma non è stato, per i dibattiti interminabili. C’è solo la fine di un mondo, che non lascia scampo a nessuno e che lascia dubitare per il futuro anche delle (poche) storie individuali a parziale lieto fine di un libro spietato, nei toni e nelle immagini evocate.
Da questa fine, da questo caos senza speranze di risoluzione, da queste immagini di morte a cui nessuno potrà scappare, possiamo – ma sarebbe meglio dire “dobbiamo” – trarre degli insegnamenti sulla gestione del nostro presente, come suggerisce, nella splendida prefazione al testo, Marco Lombardi, professore di sociologia e comunicazione, gestione della crisi e metodi per l’Intelligence all’Università Cattolica di Milano. Si tratta di cogliere i segnali d’allarme lanciati da Obertone per affrontare con determinazione il tempo presente, al fine di cambiare il futuro, che fino all’ultimo non è mai scritto. Si deve cominciare dalle cose banali, come far passare il semplicissimo concetto che un migrante non è un terrorista, ma un terrorista è un migrante, in quanto non si può far finta che Abdelhamid Abaaoud o Salah Abdeslam fossero semplicemente cittadini belgi, e non i figli, di seconda o terza generazione, di immigrati di ondate precedenti a quella attuale; si dovrà poi proseguire con quelle più complesse, come recuperare il vero valore di una cittadinanza che, nei paesi europei, ha rinunciato alla condivisione di valori e di regole e ha preso a definire i cittadini dei semplici utenti funzionali dei servizi statali.
L’alternativa a questa profonda presa di coscienza – a cui questo libro potrà, forse, dare un aiuto più grande di tanti studi approfonditi sul terrorismo e sui fenomeni migratori – c’è: mettere la testa sotto la sabbia e aspettare che arrivi la guerriglia.
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