Sermone di san Bonaventura
per la Santa Pasqua
1. Levati, o Signore, salvami, tu che percuoti coloro che mi perseguitano senza motivo.
[prologo]
Signore Dio, te ne prego, abbi misericordia; chi rialzerà Giacobbe, che è cosi piccino? Le parole proposteci in secondo luogo si leggono nel capitolo settimo di Amos, nelle quali si dimostra l’immensa nobiltà ed eccellenza di Cristo risorto, mentre dalla sua altezza in un certo modo muore nella nostra considerazione, dalla sua certezza nella nostra conoscenza cade, dalla sua grandezza si abbassa alla nostra misura.
E perché muore nella nostra considerazione dalla sua altezza, perciò Amos chiede ansiosamente: chi lo rialzerà?, vale a dire colui che è morto nella nostra considerazione. Cade nella nostra conoscenza dalla sua certezza, perciò dice:Giacobbe, che viene interpretato soppiantatore; infatti la nostra conoscenza viene soppiantata dalla sua certezza, mentre si sforza di afferrare Colui che eccelle secondo il detto del Salmo: Si accosterà l’uomo ad un cuore profondo e Dio sarà esaltato. Rispetto alla nostra misura egli si abbassa dalla sua grandezza, perciò soggiunge: perché è piccolo. Il sole infatti, benché sia otto volte più grande della terra, tuttavia se lo si proporziona con la terra, appare più piccolo, benché sia più grande.
Ma Amos, volendo rimuovere questa incongruenza dalle menti dei fedeli, invoca in primo luogo l’autorità del Padre a rialzare il morto, dicendo: Signore, cioè, tu che puoi rialzare il morto nel nostro pensiero; in secondo luogo (invoca) l’eterna verità a mostrare ciò che non è noto, col soggiungere: o Dio, ossia tu che puoi rivelare nella nostra conoscenza ciò che non è noto; in terzo luogo (invoca) l’amore paterno ad esaltare il Cristo, con l’aggiungere: abbi misericordia, te ne prego, così perché lo debba esaltare pur nella nostra proporzione.
Pertanto desiderando noi offrirvi alcune considerazioni sull’immensità della risurrezione di Cristo, prima invochiamo, sull’esempio di Amos, l’autorità del Padre, che rialzi nella nostra considerazione il morto; poi (invochiamo) la verità eterna, che mostri alla nostra conoscenza l’ignoto; in terzo luogo (invochiamo) l’amore paterno affinché esalti Cristo nella nostra proporzione; affinché finalmente rialzato in noi Colui che da vita a tutto; e mostrato in noi Colui che illumina ogni cosa, ed esaltato in noi Colui che supera ogni cosa, per suo mezzo, possano essere dette da me e ascoltate da voi intorno alla sua risurrezione quelle cose che siano a gloria e ad onore dello stesso risorto e a consolazione delle anime. Cosi sia
[sermone] 2. Levati, Signore, salvami, tu che percuoti tutti coloro che mi perseguitano senza motivo. Oggi è spuntato per noi il giorno festivo di esultanza e di letizia, è arrivato il gaudio pasquale d’immensa giocondità per il fatto che siamo invitati alle nozze dell’Agnello risorto e della sua Sposa la madre Chiesa. Perciò, o carissimi, godiamo nell’animo, esultiamo nel presagio, diamo gloria a Dio nella parola, affinché per Cristo nostro Redentore e per la sua Sposa la nostra lode sia lieta e dignitosa. Godiamo, dico, per l’aumento della nostra letizia, esultiamo per il frutto della nostra fiducia, diamo gloria a Dio per la crescita della nostra vittoria, e diciamo a Cristo trionfatore con la gioia del nostro cuore: Tu speranza del nostro combattimento, tu gloria del nostro genere umano, perché hai vinto tutti i nemici. Nella nascita infatti recò la partecipazione della natura, nella Passione il beneficio della grazia, ma nella risurrezione il completamento della gloria. Il profeta Davide, desiderando che questo gaudio pasquale e infinito beneficio della gloria avvenissero ai suoi giorni, esclamava con ardentissimi sospiri: Levati, Signore, salvami, ecc., nella quale espressione in verità in giustissimo ordine si notano tre cose, e cioè: la sentita invocazione della risurrezione del Signore, la perfetta liberazione dell’uomo prigioniero e la giusta distruzione del dominio diabolico.
Oggi infatti il Signore nostro Gesù Cristo per virtù propria è risorto, ha liberato l’uomo dal dominio diabolico e ha sommerso il diavolo con il suo esercito nel profondo del mare infernale.
In primo luogo dunque si nota la sentita invocazione della risurrezione del Signore, quando dice: Levati, Signore, cioè dai morti;
in secondo luogo la perfetta liberazione dell’uomo prigioniero, quando soggiunge: salvami;
in terzo luogo la distruzione del dominio diabolico, quando aggiunge: tu, che percuoti tutti coloro che mi perseguitano senza motivo. È detto senza motivo, perché se pure l’uomo era trattenuto in carcere giustamente, tuttavia il diavolo lo deteneva ingiustamente, perciò fu giusta la distruzione del suo potere.
3. Dice dunque: Levati, Signore, dove si nota la sentita invocazione della risurrezione del Signore. Veramente questa risurrezione doveva desiderarsi con tutte le midolla del cuore e doveva essere invocata con voci melodiose e con gola rilassata per i tre privilegi spirituali che Cristo ebbe nella sua risurrezione sopra tutti gli altri utili a noi. Il primo privilegio dunque fu il primato dell’insolita novità; il secondo privilegio fu la forza del proprio potere; il terzo privilegio fu l’esemplarità della nostra sorte necessaria, cioè della risurrezione.
4. In primo luogo Cristo ebbe il primato dell’insolita novità nella sua risurrezione. Nessuno infatti, pur morendo in penosa vecchiaia, è risorto dai morti incominciando una nuova vita di gioia inestimabile; perché in questo modo il Signore Gesù Cristo fu il primogenito dei morti, che vinto l’impero della morte, è stato cinto della corona d’una nuova incorruttibilità. Chi infatti avrebbe dovuto per primo vincere la tristezza antica della morte e dare inizio alla nostra perpetua letizia, se non Colui che aveva la chiave per aprire l’accesso all’eternità? Egli, infatti, come avente autorità, poteva ordinare agli angeli: Sollevate le vostre porte, o principi, e alzatevi, o porte eterne; infatti per mezzo del mio sangue è stata restituita la concordia universale e rimessa la sentenza del castigo. Ora dunque, rimossa la spada fiammeggiante dalla porta del Paradiso, voglio che si apra la porta celeste perché sono il Signore degli eserciti, che con il proprio sangue, vinto il diavolo, ho conquistato il regno celeste. E perciò non in quanto Dio, ma in quanto uomo, egli è il re della gloria. E a proposito di questa novità si dice nella prima ai Corinzi: Cristo risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, ecc. L’Apostolo come prudente e discreto, nel mettere in luce le primizie originali, che Cristo ebbe nella risurrezione, prima di tutto, affinché la consolazione non si perda in allegria, presenta l’infelicità della morte che è argomento di desolazione, quando dice: a causa di un uomo venne la morte; poi, affinché la desolazione non si trasformi in tristezza, aggiunge la medicina della risurrezione che è motivo di consolazione, quando soggiunge: e per causa di un uomo, Cristo, venne la risurrezione dei morti. Una cosa dunque è mitigata dall’altra. Inoltre, poiché la morte è stata occasionata dall’astuzia del nemico, ma causata e originata dall’arroganza dell’animo e completata dalla concupiscenza della carne, si dice: come in Adamo tutti muoiono, a causa della sua prevaricazione. Perché però abbiamo la medicina della morte nella divina misericordia per merito della Passione del Signore, si aggiunge: e in Cristo tutti riavranno la vita, per merito della sua Passione. Quindi la causa prima e immediata della morte non è Dio, dal momento che Dio è essere sommo e indefettibile, e la morte è la maggiore di tutte le privazioni prodotte dalla punizione, ma la volontà che si allontana dalla rettitudine e dalla perpetuità della giustizia, come si dice nella Sapienza: Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei morenti… La giustizia infatti è perpetua e immortale. Il guadagno dell’ingiustizia è la morte.
5. In secondo luogo Cristo nella sua risurrezione mostrò la forza del proprio potere. Infatti non ebbe bisogno dell’aiuto di una devota preghiera né del soccorso del servizio angelico, benché abbia fatto uso dell’ossequio della milizia celeste. Di ciò è detto nel Salmo: Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io ora sorgerò, dice il Signore. Poveri e miseri erano i santi padri posti nel limbo quasi in uno squallidissimo carcere, non avendo mezzi con i quali redimersi; e perciò assai miseri e gementi anelavano con intensi desideri che si accelerasse quel beneficio della risurrezione; esaudendo i loro voti, il Signore dice: Ora sorgerò. Parla in prima persona come chi ha potere di deporre la propria vita nella Passione e di riprenderlanella risurrezione. Ma obietterà forse il filosofo della natura: Come poté avvenire questo, che un corpo animale e composto di parti contrastanti sia indissolubile e duri in perpetuo?. A lui risponde il teologo: Se vuoi, affinché il tuo argomento stia saldo in tutta la materia, ti dimostrerò le molte incongruenze. Infatti, in primo luogo, tu vuoi che Dio non possa fare più della natura, e l’artefice più della sua opera: nessuno dubita che ciò sia illogico. Altra obiezione: È impossibile secondo la natura: dunque è semplicemente impossibile. Rispondo: Certamente no. La seconda incongruenza è che tu vuoi che la natura abbia delle forze occulte, come la calamità che attira il ferro e la salamandra che non brucia nel fuoco, e molte altre cose; e tu pretendi che Dio non abbia altro potere se non quello che tu puoi vedere con i tuoi occhi. Questo è il massimo della illogicità dal momento che vediamo piccole opere di Dio e molte di più, le più grandi, sono occulte; come è detto nell’Ecclesiastico. La terza contraddizione è che pretendi che Dio abbia promesso l’obbedienza alla natura: se ciò fosse vero, non avrebbe dato la vista al cieco, non avrebbe mondato il lebbroso, non avrebbe risuscitato il morto. In quarto luogo supponi il falso: procedi affermando cose non concesse, dicendo che il corpo animale è composto di parti tra loro contrarie: perché non si tratta di corpo animale, ma di corpo spirituale e innalzato e collocato al di sopra di ogni contrarietà grazie allo stato di gloria, è reso idoneo dall’anima a durare perpetuamente. E la conclusione di queste parole può essere ricavata dai detti di Agostino nella lettera a Consenzio, dove dice così: «Dalla consuetudine delle opere sperimentate, la debolezza umana misura le opere divine non sperimentate, e chiacchiera, con sottigliezze dicendo: Se c’è carne, c’è anche sangue; se c’è sangue, ci sono anche gli altri liquidi; se ci sono gli altri liquidi, dunque c’è anche la corruzione. Nella stessa maniera potrebbe dire: se c’è la fiamma, anche arde; se arde, anche brucia; dunque bruciò i tre fanciulli nella fornace ardente. Se credi che quello sia un miracolo, perché dubiti intorno alle cose meravigliose? Che se non credi, sei più cieco della cecità dei Giudei. Può dunque la divina potenza lasciare o togliere alla natura corporale alcune qualità secondo il suo volere, può rinvigorire le membra mortali, allontanando da esse la mortalità; può fare che un’immagine sia vera, senza alcuna imperfezione; che sia vero il movimento, e non vi sia nessuna fatica; che si abbia vero potere di mangiare, e non vi sia alcuna necessità di farlo».
6. In terzo luogo si deve desiderare questa risurrezione che è modello della nostra risurrezione, ossia della nostra sorte. Cristo, capo e modello della nostra risurrezione è risorto a questo scopo, per rendere certi noi, sue membra, della nostra risurrezione; altrimenti sarebbe una cosa mostruosa, se risorgesse il capo senza le membra. E per questo argomentava assai bene ed efficacemente l’Apostolo contro coloro che negavano la risurrezione, dicendo: Se i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto. Se dunque è necessario che Cristo sia risorto, perché ciò che avvenne ora è impossibile che non sia avvenuto; è necessario pertanto che i morti risorgano. Per cui subito continua: È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Di conseguenza, a seminar nei cuori dei fedeli la fede della risurrezione e rimuovere l’ambiguità della diffidenza e della disperazione, dice nella prima ai Tessalonicesi: Se infatti noi crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato; cosi anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù con lui. Avendo dunque questa ferma fiducia, con il beato Giobbe non dobbiamo rattristarci della morte di qualche buon cristiano, come gli altri che non hanno speranza.
7. In secondo luogo segue la perfetta liberazione dell’uomo prigioniero, quando soggiunge: salvami.
Infatti Cristo liberò ossia salvò perfettamente l’uomo misero per il fatto che prima lo salvò dall’offesa di ogni colpa mediante l’effusione della grazia giustificante;
poi lo salvò dall’obbligo della pena sopportando la morte sotisfattoria;
in terzo luogo lo liberò completamente nella generale risurrezione dalla sventura e dalla miseria corporale conferendogli la gloria trasformatrice.
8. In primo luogo lo salvò dal danno di ogni colpa infondendogli la grazia giustificante. E di questo si dice nella lettera agli Efesini: Ma Dio, che è ricco nella misericordia, per l’eccessivo amore con il quale ci amò, essendo noi morti al peccato, ci ha ridato la vita in Cristo, per la cui grazia siete stati salvati. Veramente ricco e sovrabbondante fu Dio Padre nella misericordia,quando per manifestare l’eccessiva carità e affetto che aveva verso di noi, volle dare vita a noi morti nei peccati e salvarci dalla morte di qualsivoglia peccato infondendo in noi la vita della grazia per merito della Passione dell’Unigenito Figlio suo. Certamente, se il torrente di tanta dolcezza irriga le anime cristiane, esse non dovrebbero dare luogo all’ingratitudine, bensì con profonda devozione e amore dovrebbero rendergli di continuo molte grazie. Di questo parlò l’angelo a Maria Vergine: Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati.
9. In secondo luogo lo salvò dall’obbligo della pena sopportando la morte sotisfattoria, come è detto in Isaia: Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza? Io, che parlo con giustizia e sono grande nel soccorrere. Perché rossa è la tua veste, e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Infatti gli spiriti angelici, vedendo Cristo splendido nella sua veste e che avanzava nella pienezza della sua forzaper l’eccessiva ammirazione prorompono in queste parole: Chi è costui che viene da Edom? Edom infatti viene interpretato «sanguinante»; con le vesti tinte dall’abbondante aspersione del proprio sangue, che scorse dalle mani e dai piedi nella crocifissione, dalla testa nella coronazione, da tutto il corpo nella flagellazione, e dal cuore nell’apertura del costato. Inoltre:Chi è costui che viene da Bosra, cioè dal luogo della tribolazione e dell’angustia? Bosra infatti viene interpretata «angustia». Rispondendo loro Gesù (dice): Io che parlo con giustizia,annunciando con la parola ed eseguendo con l’opera; infatti accettai la morte per l’inflessibile rigore della divina giustizia che puniva a causa della prima prevaricazione: e sono grande nel soccorrere i vostri padri, che erano nel limbo per decreto immutabile e per giuramento esplicito; giuramento fatto da Dio Padre ad Abramo, di dargli me in prezzo della liberazione, affinché il mio popolo, liberato dalla mano dei demoni, senza timore serva liberamente a Dio. E perciò l’indumento del mio corpo è rosso e sanguinante: e le vesti, cioè le mie membra, sono schiacciate come i grappoli nel torchio dei pigiatori, per il fatto che il torchio è il recipiente adatto per spremere i grappoli della morte e dell’angoscia; li ho pigiati io da solo,affinché con il mio sangue spremuto da tutto il corpo venisse pagato il debito di pena dell’uomo miserabilissimo. Per cui nel Salmo: Egli libererà il povero dal potente e il misero che non trova aiuto. Avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Il nostro re, Cristo, prima dei secoli ha operato la salvezza sulla terra.
10. In terzo luogo salverà l’uomo nella risurrezione generale dalla sventura e dalla miseria conferendogli la gloria trasformatrice. Se ne parla nella lettera ai Filippesi: Aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso. Chi infatti vuole che il corpo si conformi allo splendore del corpo di Cristo nella patria, deve prima, durante questa vita, sull’esempio di Cristo mortificare il suo corpo con digiuni e umiliarlo con castighi e anche sottometterlo a umili servizi; perché nella gloria sorgerà tanto più conforme allo splendore di Cristo, quanto più nella vita sarà stato umile per amore suo.
11. In terzo luogo si nota nella frase proposta la giusta distruzione del dominio diabolico, quando soggiunge: tu che percuoti tutti coloro che mi perseguitano senza motivo. Ma si dice questa distruzione del diavolo giusta per tre ragioni: prima perché fu ingannato astutamente e fraudolentemente fu usurpato il dominio del primo uomo; seconda, perché furono maligne la presunzione e l’ingiustizia nell’istigare l’uccisione di Cristo innocente; terza, per ristabilire l’equilibrio di equità e di giustizia non sopportando che l’ordine dell’universo sia perturbato. Per cui fu giusto che fosse distrutto il dominio diabolico, sia perché dolosamente e astutamente aveva usurpato il potere del primo uomo, sia perché ingiustamente ed empiamente aveva istigato la morte di Cristo innocente, sia perché nella sua equità la giustizia divina non poteva sopportare lo sconvolgimento dì tutto l’universo.
12. In primo luogo fu giusta la distruzione del dominio diabolico a causa dell’astuto e fraudolento inganno nell’usurpazione del dominio del primo uomo. A questo si può applicare quel passo dei Numeri: Una stella spunterà da Giacobbe e uno scettro sorgerà da Israele e percuoterà i capi di Moab e devasterà tutti i figli di Seth. E l’Idumea sarà la sua conquista.Questa stella è la Vergine Maria per il fulgore delle virtù e delle grazie: ma scettro, che ha la forza per espugnare in aiuto ai miseri, è il Signore nostro. Egli, in virtù del proprio sangue, abbatté i capi infernali del superbo Moab, e con l’arte della sua multiforme sapienza superò l’inganno del diavolo traditore che aveva introdotto la morte, portò via con sé l’uomo che teneva prigioniero e gli apportò la medicina della guarigione da quello stesso legno, con cui il nemico lo aveva vulnerato con inganno. Di questo parimenti si parla nel tema annunciato più sopra:Levati, Signore, salvami, tu che percuoti tutti coloro che mi perseguitano senza motivo.
13. In secondo luogo fu giusta la distruzione del dominio diabolico per la maligna empietà e l’ingiustizia nel suggerire la morte di Cristo innocente. Per cui si dice in Abacuc: Hai demolito la cima della casa dell’empio, l’hai scalzata fino alle fondamenta. Hai maledetto i comandanti dei suoi guerrieri che irrompevano come turbine per disperdermi. Il diavolo empiamente e ingiustamente volse la mano contro Cristo, sul quale non aveva alcun diritto, persuadendo i suoi infernali soci che venivano come un turbine a disperdere l’innocente e crocifiggerlo. Perciò fu cosa giusta che proprio il diavolo, capo della corte infernale, fosse percosso, spogliato e privato del potere e del dominio sul suo schiavo.
14. In terzo luogo fu giusta la distruzione del dominio diabolico per ristabilire l’equità della retta giustizia che non sopporta lo sconvolgimento dell’ordine dell’universo. Perciò si dice nell’Esodo: La tua destra, Signore, annienta il nemico; con sublime grandezza abbatti i tuoi avversari. Scateni il tuo furore, che li divora come paglia. Infatti l’equità della giustizia divina «comanda che l’ordine dell’universo sia conservato e vieta che sia turbato». Di conseguenza, affinché il diavolo non riportasse vantaggio dalla sua malizia e dal peccato, per mezzo del quale aveva sconvolto tutto l’universo, fu cosa degna che venisse percosso, privato e punito. E per questo si dice in Isaia: Tremerà l’Assiria percossa dalla verga. L’Assiria significa il diavolo che si spaventa, quando la divina giustizia lo percuote con la verga. Preghiamo, ecc.
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