martedì 4 febbraio 2014

San Giuseppe da Leonessa

  San Giuseppe da LeonessaSan Giuseppe da Leonessa (RI)
Sacerdote Cappuccino (1556-1612)
          approfondimenti:


            L'identità di San Giuseppe svelata dalla ricognizione
            delle reliquie 
- di mons. Giuseppe Chiaretti 


Giuseppe Desideri, terzo di otto figli, nacque a Leonessa (Ri) l'otto gennaio 1556 da Giovanni e Francesca Paolini. Nel battesimo ricevette il nome di Eufranio, dal significato molto bello: portatore di gioia. Sui tredici anni Eufranio rimase orfano di ambedue i genitori e si prese cura di lui lo zio paterno Giovanbattista Desideri che lo condusse a Viterbo per fargli continuare gli studi, iniziati nella sua patria. 


immagine San Giuseppe da Leonessa

Nel 1571 si trasferirono a Spoleto dove lo zio fu chiamato all'insegnamento delle Lettere. In questa località, all'insaputa dello zio e degli altri parenti, Eufranio decise di entrare nell'Ordine dei Cappuccini che aveva conosciuto da poco, mentre veniva costruito il convento di Leonessa. 
A sedici anni indossò l'abito cappuccino ad Assisi. Fin dal noviziato egli praticava la più rigorosa mortificazione: si sceglieva l'abito più povero e rifiutato da tutti; tutti i giorni durante le quaresime, e per tre volte la settimana negli altri tempi, viveva di solo pane e acqua; ed infine martoriava il suo corpo con orribili penitenze. 

Spesso passava la notte intera davanti all'immagine del suo Signore crocifisso contemplando i misteri della Passione e cercava di riviverli nelle sue penitenze. Se poteva andava ogni ora a fare visita al Santissimo Sacramento. Si confessava quasi quotidianamente per cancellare dalla sua anima ogni minima traccia di peccato. 

Ordinato sacerdote, il 24 settembre 1580, ad Amelia (Tr), iniziò il suo fecondo apostolato tra le popolazioni dell'Umbria, dell'Abruzzo e del Lazio. Tanta era la fiamma dell'amore divino che lo infuocava e lo spingeva con ardore apostolico in mezzo agli uomini, che riposava poche ore la notte per portare con sollecitudine sollievo ai poveri e ai sofferenti. Il suo desiderio più ardente era quello di morire martire per la fede. 

Nel mese di agosto 1587 ottenne il permesso di andare missionario in Turchia. Dopo aver lucrato il "Perdono di Assisi", partì per Venezia dove si imbarcò per Costantinopoli prendendo alloggio in un vecchio monastero a Pera. Si prese cura dei tanti cristiani prigionieri dei turchi, rapiti nelle varie scorrerie compiute da questi in Italia, confortandoli in tutti i modi possibili e invitandoli a non lasciare il Vangelo per seguire la dottrina di Maometto. Era infaticabile nelle opere di carità e di misericordia. Una epidemia gli portò via tutti i compagni, eccetto fra Gregorio da Leonessa. 

Cominciò allora predicare Cristo per le strade e alle entrate delle moschee. Un giorno si introdusse nel palazzo del sultano, Murad III che, presolo per pazzo, lo scacciò via dalla sua presenza facendolo condannare al crudele e doloroso supplizio del gancio. Giuseppe non aspettava altro: morire per la religione cristiana era il suo grande desiderio! Aveva 33 anni, come Gesù, sul monte Calvario. Resistette per tre giorni e, secondo gli atti della canonizzazione, venne liberato da un angelo che lo guarì anche dalle ferite. 

Segnato dalle stigmate del martirio, fece ritorno in Italia e, nel mese di dicembre del 1589, riprese con raddoppiato zelo la sua attività apostolica. Iniziò il suo girovagare per il centro della nostra penisola arrivando a predicare fino a 6-8 volte al giorno. 

I miseri, gli abbandonati, la gente dispersa dei paesini montani, i pastori che vivevano lontani dal consorzio umano, erano fatti oggetto delle sue attenzioni e delle sue premure, anche attraverso l'istituzione dei monti frumentari per combattere la piaga dell'usura, pure a quel tempo molto diffusa, ed assicurare loro la sussistenza. 
Si fece letteralmente tutto a tutti. 

Aveva tanta forza e coraggio nel richiamare i cuori più induriti, tanto da non aver timore di rimproverare apertamente i signorotti del tempo, come il Barone Orsini di Amatrice. 

Uno dei mezzi principali da lui usati per il rinnovo della vita religiosa fu la pratica delle Quarant'ore. Era una specie di missione popolare. Ad ogni ora d'adorazione seguiva una predica. Alla fine delle Quarant'ore padre Giuseppe innalzava su una collina vicina al paese una croce a ricordo della missione, croce che egli stesso portava sulle spalle. 


Crocifisso San Giuseppe da Leonessa. Link alla pagina del Crocifisso


Questo duro apostolato durò per ben ventidue anni, continuamente nutrito e potenziato dalla preghiera e dalla penitenza. Questi viaggi apostolici gli procuravano fatiche a non finire, ma provava grande gioia nel servire il Signore nei fratelli. 


Per il Giubileo del 1600 padre Giuseppe si preparò con un anno di digiuno, di preghiere e di penitenze, recandosi poi a Roma da Otricoli (Tr), dove si trovava a predicare, per lucrarne l'indulgenza. 


Nel mese di ottobre 1611 predicò per l'ultima volta a Campotosto (Aq). Era il 18, giorno della festa di san Luca. 



Tornò al convento di Amatrice appoggiandosi al suo bastone. Era minato da un male incurabile che ben preso lo avrebbe condotto alla tomba. 



Si recò a Leonessa alla fine del mese, restandovi circa dieci giorni: era l'ultimo incontro con i parenti, con i paesani, con la sua patria di origine. Lungo la strada del ritorno ad Amatrice benedisse la sua Leonessa con parole che ancor oggi commuovono i suoi paesani. 



Nel convento di Amatrice celebrò l'ultima santa Messa il 28 dicembre, festa liturgica dei santi Innocenti. Il male peggiorava di giorno in giorno, le forze gli venivano meno. Volle ricevere ogni giorno la comunione fuori della sua cella, perché non riteneva opportuno che Gesù eucaristico entrasse nel suo povero tugurio. Il due febbraio fu operato dal medico di Amatrice, Severo Canonico. Una operazione inutile e dolorosa. Giuseppe accettò, per ubbidienza, le sofferenze con coraggio e rassegnazione rimettendosi alla volontà del Signore tenendo tra le braccia il suo amato crocifisso. Il tre febbraio il chirurgo tentò un altro intervento con la speranza di strapparlo alla morte, tutto risultò inutile. 



Sorella morte lo chiamò nel pomeriggio del sabato quattro febbraio, mentre Giuseppe invocava la Madre del cielo; furono le sue ultime parole su questa terra: "Sancta Maria succurre miseris"



La sua morte diede adito ad una sorta di gara tra le popolazioni amatriciane, ognuno voleva accaparrarsi qualche sua reliquia: da tutti era ritenuto "Santo". 



Fu beatificato nel 1737 e il 29 giugno del 1746 nella Basilica di san Giovanni in Laterano fu elevato alla gloria dei Santi dal papa Benedetto XIV, insieme a san Camillo de Lellis, suo contemporaneo e abruzzese come lui. Il Papa disse: «Negli ultimi secoli è difficile trovare uno che più di lui si sia dato alle penitenze e alle mortificazioni». 



San Giuseppe riposa a Leonessa, tra i suoi paesani, nel Santuario eretto in suo onore nella casa paterna che lo vide nascere. Nel 1950 Pio XII lo ha proclamato patrono delle Missioni in Turchia. Il due marzo 1967 il Papa Paolo VI lo ha proclamato "Patrono principale" dell'Altopiano leonessano. 



La festa liturgica in suo onore si celebra il 4 febbraio, giorno della sua morte.


4 febbraio
4 aprile
SAN GIUSEPPE DA LEONESSAconfessore
Giuseppe da Leonessa - Immagine venerata a VindoliSan Giuseppe (al secolo Eufranio Desideri) nacque a Leonessa (Rieti) nel Gennaio 1556 da un agiata famiglia di mercanti. Seguendo l'esempio di San Francesco d'Assisi rinunciò alle ricchezze famigliari. Vestito l'abito dei Cappuccini tra il 1571 ed il 1572 intraprese un'intensa attività di predicazione nei territori appenninici tra Marche e l'Umbria, fino a quando nel 1587 chiese ed ottenne da Papa Sisto V di recarsi in Turchia per curare, confortare e consolare gli schiavi cristiani inermi e gli appestati , per evangelizzare i turchi e lo stesso sultano. Quando tentò di avvicinarsi a quest'ultimo, che si chiamava Amurat III fu incarcerato e torturato. Fu sottoposto al supplizio del gancio, a cui venne appeso con una mano ed un piede per ordine del sultano stesso. Sfiorò il martirio. Dopo esser stato torturato fu espulso da Costantinopoli. Secondo altre fonti fu torturato perché accusato di omicidio e quindi salvato miracolosamente da un angelo che gli ordinò di ritornare in Italia. Ritornato in patria, riprese la predicazione con rinnovata lena. Si dedicò ai poveri e agli infermi, lottò contro le prepotenze e le ingiustizie, realizzando rifugi per ammalati e pellegrini ed istituendo i monti frumentari e quelli di pietà nei paesi pedemontani dove più misere erano le condizioni economiche della popolazione. Fra Giuseppe era considerato un Santo già in vita, i contemporanei gridarono al miracolo in più di una circostanza, famoso è rimasto il miracolo della moltiplicazione delle fave. Morì in fama di santità dopo una malattia lunga e dolorosa il 4 febbraio del 1612. La morte lo colse ad Amatrice, altro paese del reatino dove fu sepolto. Alla sua morte il barone Latino Orsini chiese ed ottenne che il pittore Pasquale Rigo si recasse da Montereale ad Amatrice per immortalare il Santo. L'immagine consegnata ai posteri dall'artista locale, a cui l'iconografia di San Giuseppe da Leonessa ha fatto costante riferimento nei secoli a venire, è oggi venerata nel paese di Vimdoli. Proprio il pittore Rigo nel gennaio del 1613 rilasciò la seguente dichiarazione al notaio Cipriano Rufino, che la avalla e la trasmette al tribunale ecclesiastico per il processo di canonizzazione: ".. l'anno passato, e proprio nel mese di febraro , ritrovandomi alquanto indisposto dalla polacra, che spesse volte mi soleva travagliare, fui chiamato per parte dell'università dell'Amatrice , che volese andare in detta terra per fare il ritratto del padre fra Giuseppe cappuccino da Leonessa, già poco prima morto; et io ritrovandomi impedito, come ho detto, recusai d'andare. (…) ecco che mentre uscì dalla messa, mi trovai guarito, e così ancorché fusse cattivissimo tempo di neve, ghiacci, venti, me ne andai alla istessa hora senza patire scomodità alcuna per il viaggio ne mai più (Iddio gratia) ho inteso dolore di detta infermità. Il che reputo a gratia fattami dal Signore per la intercessione di detto padre fra Giuseppe". Il Santo fu canonizzato da Papa Benedetto XIV. Gli abitanti di Leonessa, ritenendo più giusto che le spoglie del Santo riposassero nella città d'origine, una notte del 1639 perpetrarono il "sacro furto", trasportandone il corpo nel paese natio. Ancora oggi le spoglie del Santo riposano nella chiesa barocca di San Giuseppe a Leonessa. Alla processione di aprile con il cuore del Santo partecipano moltissime persone; i festeggiamenti in onore del Santo si ripetono anche la seconda domenica di settembre. 
[ Testo di Andrea Del Vescovo ]

Nessun commento:

Posta un commento