sabato 8 febbraio 2014

L’ITALIA, LA PALUDE E LA CEI


L’ITALIA, LA PALUDE E LA CEI
di L. P.






L’Italia non è un paese allo sbando o una <palude fangosa>. Ha i suoi problemi, è vero – e tra questi la mancanza di lavoro ( soprattutto per i giovani ) e il mancato sostegno alle famiglie sono i dati più drammatici – ma ha anche in sé le forze per risalire la corrente” ha affermato “lanciando un messaggio di speranza” il cardinal  Angelo Bagnasco all’apertura del Consiglio permanente della CEI. (Avvenire – 27 gennaio 2014 ).
   
Questo passo, tratto da un lungo articolo, ci è parso da citare a taglio proprio oggi che osserviamo, sugli schermi tv e della rete, le immagini delle immani alluvioni sotto cui gran parte dell’Italia tròvasi sommersa.
Abbiamo pensato di riportarlo perché la nostra cara Italia è diventata, infatti, una vera e propria palude in termini geofisici e meteorologici.  Non si dà inverno che non si verifichino, da qualche decennio in qua, disastri e cataclismi: frane, alluvioni, crolli, con la conseguenza di uno stato quasi perenne di caos e di sofferenze. Le cronache di questi giorni sono bollettini di guerra.
    
I lettori ci obietteranno che le piogge rovinose, le inondazioni fluviali, gli smottamenti, i venti strapazzoni sono fenomeni che, in sé e per sé, non vanno imputati all’opera dell’uomo. E giustamente, noi rispondiamo, perché le forze della natura sovrastano anche la tecnologìa più raffinata e non conoscono ostacoli. Ma noi preme tirar giù una riflessione di livello più elevato proprio in riferimento agli eventi naturali che in questi giorni hanno funestato paesi, popolazioni, abitazioni. 
     
Intanto, che la campagna si allaghi, così come il mare possa, per forza di cicloni, erompere al di là dei moli è faccenda del tutto spiegabile, cosa che non può dirsi quando questi fenomeni si verificano nelle città.  Esse, specialmente le moderne, sono il prodotto della tecnica umana che, spesso, si compiace di progettare ed erigere complessi urbanistici senza la previsione di opportune  salvaguardie. Non per nulla, ogni volta che si indaga su taluni esiti, vengono fuori e una superficiale progettazione, e una insufficiente vigilanza e una assente manutenzione degli impianti e degli spazi urbani. E ciò vale tanto per la moderna scienza che per l’antica dacché la megalomania di un’architettura, che sembra sfidare la legge di gravità e il buon senso con l’erigere monumentali  edifici sempre più alti e in siti precarii  è diretta filiazione, mai interrotta, di quella torre di Babele che Dio rese, peraltro, inutile sia  per colpire la superbia umana che per diffidare l’umanità dal programmare un’unica entità politica di stampo mondialistico. A Dio piacciono le differenze culturali.
    
Ed eccoci, allora, arrivati al cuore dell’argomento. 
 
La Chiesa, negli anni passati – anni che sembrano secoli! – era solita, in occasione di eventi disastrosi, tanto di origine naturale come tempeste, inondazioni, terremoti, carestie, pestilenze  quanto di origine umana come guerre, crisi economiche, discordie, ecatombi etniche, la Chiesa, dicevamo, aveva nel proprio repertorio eucologico una serie di riti con i quali e durante i quali, riconosciuti a Dio la potenza creatrice e la proprietà delle cose create, se ne invocava e Gli si chiedeva  la cessazione di uno stato di calamità o se ne impetravano benefici quali tempo propizio, raccolti abbondanti, salute fisica, buona e sana prole.
    Gesù che doma la tempesta sul lago di Tiberiade (Mt. 8,23/27 – Mc. 4, 35/41 – Lc. 8, 22/25), così come tutti i miracoli da Lui operati su storpi, ciechi, lebbrosi, indemoniati, muti e morti sono la dimostrazione del dominio di Dio sulla natura e sulle forze demoniache. Le quali ultime, secondo San Tommaso d’Aquino, possono però causare, col permesso divino che a ciò conferisce chiara marca di castigo, turbolenze atmosferiche o altri fenomeni di violenza naturale: 
In angelo aut in daemone, si incorporei ponantur, non est alia potentia neque operatio nisi intellectus et voluntas. . . unde nulla virtus seu potentia in angelo potest esse nisi pertinens ad apprehensionem vel appetitum intellectuale; unde substantia intellectualis separata a corpore potest movere imperio voluntatis aliquod corpus non sibi unitum” (De Malo, q. 16, a. 1, ad 14).
Nell’angelo o nel dèmone, posti come esseri incorporei, non c’è altra potenza  ed operazione se non l’intelletto e la volontà. . .per cui nessuna potenza o nessuna virtù può essere nell’angelo se non pertinente all’apprensione o all’appetito intellettuale; onde la sostanza intellettuale, distinta dal corpo, può muovere, con il comando della volontà, qualche corpo non unito a sé”.
     
Ne parlò, a proposito, Dante tomista  quando descrisse la vicenda di Bonconte da Montefeltro, morto nella battaglia di Campaldino (11 giugno 1289), il cui cadavere fu travolto dall’alluvione, abbattutosi in Pratomagno, ad opera del demonio, quale  vendetta contro il corpo di  chi  èrasi pentito in punto di morte. “ Ben sai come nell’aere si raccoglie/quell’umido vapor che in acqua riede/tosto che  sale dove ‘l freddo il coglie./ Giunse quel mal voler, che pur mal chiede/ con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento/ per la virtù che sua natura diede” (Purg. V, 109/112).

   
A questi eventi, dicevamo, la Chiesa rispondeva con le famose e dimenticate “Rogazioni”, riti distinti in “minori e maggiori” celebrati rispettivamente nei tre giorni precedenti l’Ascensione e il 25 aprile. Lo scopo era quello di “allontanare i flagelli della giustizia di Dio e di attirare le <benedizioni della sua misericordia sui frutti della terra>”. 
Le processioni, tipiche delle Rogazioni minori, svolte in tre giorni, vedevano in testa al corteo le Confraternite con le loro insegne, quindi il clero, le donne, i bambini e gli uomini. I paramenti erano di colore viola, quello che si adotta per il rito penitenziale, e indicavano palesemente la consapevolezza che i disastri venivano considerati quale castigo divino in risposta ai tanti peccati commessi. 
    
A fulgore et tempestate, a peste, fame et bello – libera nos Domine”. 

La processione che il cardinal Federigo Borromeo promuove, in occasione della peste di Milano (Promessi Sposi, cap. XXXII ) è l’esempio di un intervento che si attiva quando la circostanza è eccezionalmente grave. Così come grave, è da qualche anno, quella italiana. E non soltanto in termini  geografici.
    
Ora, se nella celebrazione delle Rogazioni era implicito il riconoscimento dei peccati, l’aver cancellato questa ritualità vuol dire, forse, che l’umanità non pecca più, che gli eventi catastrofici non sono più ritenuti un monito di Dio? Il secondo caso è, probabilmente quello più certificato. Guai, infatti, a dire e a predicare che il terremoto di Haiti, l’inondazione di New Orleans, lo tsunami dell’Indonesia, il terremoto del Giappone, il terremoto di Messina, il naufragio del Titanic sono il segno del dito di Dio che dice “basta !”. C’è sempre qualche teologo, qualche nota rivista, qualche deputato  o qualche autorevole opinionista che riduce a brandelli l’ingenuo e l’improvvido che si azzardi a mescolare la misericordia del Signore con le catastrofi. Al prof. Roberto De Mattei mal gliene incolse quando espose questa verità ché anche dai siti cattolici – e ricordiamo la rivista “Frate Indovino” – lo impallinarono come retrivo, oscurantista e blasfemo.
     
Noi ci prendemmo la briga, e non per una difesa d’ufficio del professore che sa bene difendersi eccome, ma per nostra rappresaglia, di elencare al teologo di turno il catalogo dei disastri biblici che, così come sono riportati nella Sacra Scrittura, non sembrano affatto eventi casuali ma, al contrario, castighi veri, propri e conclamati, comminarti dal Signore all’uomo peccatore. Incominciava, il catalogo, con la cacciata dal paradiso terrestre, tanto per fare un esempio da poco… La moderna cultura cattolica, che  si rifiuta di considerare questi eventi come pedagogìa severa e salutare, ha modellato quello che, dal  1963, si  appella “cristiano adulto”, un tipo che disdegna e nega l’esistenza  di un Dio geloso e severo, un tipo che, confidando molto e molto impegnandosi per i diritti dell’uomo nel solco del 1789  e niente applicandosi per quelli di Dio, è arrivato ad ammettere l’Inferno vuoto, la comunione sulle mani, il divorzio, l’aborto, l’omosessualità, la famiglia allargata, la convivenza, l’autogiustificazione, la fede multipla cioè il credito accordato a tutte le religioni;  un cattolico che alla domenica mattina va a Messa, si comunica e la sera si ritrova in un ashram a mugulare “aum” davanti ad un levigato ed obeso Buddha. Come niente fosse.
    
Accanto al cristiano adulto figura, dal 1963, il “prete adulto”, colui che non sa più come ci si comporta quando cade una sacra particola durante il rito della Comunione, colui che non ritiene di “riconsacrare” una  chiesa violata da atti blasfemi e vandalici quali quelli che si ebbero a Roma tre anni or sono quando un teppista, entrata in una chiesa del centro, e, asportata la statua della vergine Maria la fracassò sulla strada; colui che stima atto canonico il conferimento dell’Eucaristìa a personaggi notoriamente pubblici peccatori, come avvenne, infatti, a Genova durante le esequie del prete Andrea Gallo. 
Se, poi, si aggiunge, che l’autorità laico/politica  nostrana sta, con il varo di leggi inique e oscene che gridano vendetta, dilatando la frattura tra il diritto di Dio e quello dell’uomo a vantaggio di questo, non vediamo come non si possa considerare l’Italia, “una palude fangosa”. 
    
Già, perché la CEI, il quarto grande sindacato italiano, avendo cancellato la vetusta fede  sulla potenza di Dio e scartavetrato i vecchi riti  rogatorii, ha riposto, e ripone la sua fiducia nell’Ufficio Meteo dell’Aeronautica o nell’Istituto Sismologico Italiano, i quali, con illuminata e supponente sicumera ci avvertono che “ il Po è sotto controllo – il sisma è monitorato - l’Etna è sotto osservazione attenta”.
Perciò: sonni tranquilli.
Il cardinal Bagnasco ci assicura che l’Italia non è “una palude fangosa”.

Possiamo affermare che è qualcosa di peggio?

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