lunedì 26 febbraio 2018

LA SFIDA IN ATTO CONTRO LA CHIESA E L'EUCARISTIA


Nuovo appello di padre Weinandy: Con questa falsa misericordia si distrugge la Chiesa


Weinandy
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Di padre Thomas G. Weinandy tutti ricordano la lettera aperta che inviò a pF la scorsa estate, da lui resa di dominio pubblico il 1 novembre su Settimo Cielo:
Oggi, sabato 24 febbraio, egli torna alla carica con la conferenza che ha tenuto questa mattina a Sydney, promossa dalla University of Notre Dame dell'Australia.
In essa, padre Weinandy descrive e denuncia l'attentato, di gravità senza precedenti, che talune teorie e pratiche "pastorali" incoraggiate da pF stanno compiendo contro la Chiesa "una, santa, cattolica e apostolica" e in particolare contro l'Eucaristia che è "culmine e fonte" della vita della Chiesa stessa.
Settimo Cielo offre qui di seguito ai propri lettori, in quattro lingue, i passaggi cruciali dell'atto d'accusa di padre Weinandy. Ma chi volesse leggere la sua conferenza per intero, nella lingua originale inglese, la trova in quest'altra pagina web:

> The Four Marks of the Church: The Contemporary Crisis in Ecclesiology
Padre Weinandy, 72 anni, è teologo tra i più noti e stimati e vive a Washington nel Collegio dei Cappuccini, l'ordine francescano al quale appartiene. È tuttora membro della commissione teologica internazionale che affianca la congregazione vaticana per la dottrina della fede, ivi nominato nel 2014 da pF.
Ha insegnato negli Stati Uniti in varie università, a Oxford per dodici anni e a Roma alla Pontificia Università Gregoriana.
È stato per nove anni, dal 2005 al 2013, direttore esecutivo della commissione dottrinale della conferenza episcopale degli Stati Uniti. E ha continuato a farne parte come "advisor" fino al giorno della pubblicazione della sua lettera aperta a pF, quando fu costretto a dimettersi.
A lui la parola.
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LA SFIDA IN ATTO 

CONTRO LA CHIESA E L'EUCARISTIA
di Thomas G. Weinandy
È vero che la Chiesa del dopo Vaticano II era piena di divisioni, con dispute sulla dottrina, la morale e la liturgia. Queste controversie continuano tuttora. Tuttavia, durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, non vi è mai stato alcun dubbio su ciò che la Chiesa insegna riguardo alla sua dottrina, alla sua morale e alla pratica liturgica. [...] Tale non è il caso, in molti modi significativi, dell'attuale pontificato di pF.


Sfida alla unicità della Chiesa

[...] A volte sembra che pF identifichi se stesso non come promotore di unità ma come agente di divisione. La sua filosofia pratica, se si tratta di una filosofia intenzionale, sembra consistere nella convinzione che un bene unificante maggiore emergerà dal presente conflitto di opinioni divergenti e dalla turbolenza delle divisioni che ne derivano.
La mia preoccupazione qui è che tale approccio, anche se non intenzionale, colpisce proprio l'essenza del ministero petrino come inteso da Gesù e come perennemente compreso dalla Chiesa. Il successore di san Pietro, per la natura stessa dell'ufficio, deve essere, letteralmente, l'incarnazione personale e quindi il segno compiuto della comunione ecclesiale della Chiesa, e così il principale difensore e promotore della comunione ecclesiale della Chiesa. [...] Quando invece sembra incoraggiare la divisione dottrinale e la discordia morale all'interno della Chiesa, l'attuale pontificato trasgredisce il contrassegno fondante della Chiesa: la sua unicità. E in che modo si manifesta questa offesa contro l'unità della Chiesa? Con la destabilizzazione degli altri tre contrassegni della Chiesa.


Sfida alla apostolicità della Chiesa

In primo luogo, viene minata la natura apostolica della Chiesa. Come è stato spesso notato da teologi e vescovi, e più frequentemente da laici (quelli che possiedono il "sensus fidelium"), l'insegnamento dell'attuale pontefice non si caratterizza per la sua chiarezza. [...] Come si è visto in "Amoris laetitia", riconcepire ed esprimere di nuovo la fede apostolica e la tradizione magisteriale precedentemente chiare in un modo apparentemente ambiguo, così da seminare confusione e incertezza all'interno della comunità ecclesiale, equivale a contraddire i propri doveri come successore di Pietro e a tradire la fiducia dei suoi fratelli vescovi, così come quella dei sacerdoti e di tutti i fedeli.
Ignazio [di Antiochia] si sgomenterebbe per un simile stato di cose. Se per lui era distruttivo dell'unità della Chiesa un insegnamento eretico abbracciato da coloro che sono solo vagamente associati con la Chiesa, quanto più devastante è un 'insegnamento ambiguo quando è autorizzato da un vescovo che è incaricato da Dio di assicurare l'unità ecclesiale. [...]
Inoltre, [...] l'apparente approvazione di un'interpretazione della dottrina o della morale che contravviene a ciò che sono stati l'insegnamento ricevuto dagli apostoli e la tradizione magisteriale della Chiesa – definiti dogmaticamente dai concili e dottrinalmente insegnati dai precedenti papi e dai vescovi in ​​comunione con lui, così come accettati e creduti dai fedeli – non può essere proposta come insegnamento magisteriale. [...] In materia di fede e morale l'insegnamento di nessun papa vivente ha la precedenza apostolica e magisteriale sull'insegnamento magisteriale dei precedenti pontefici o sulla consolidata tradizione magisteriale della dottrina. […] Quindi il fatto che l’insegnamento ambiguo di pF a volte sembra fuoruscire dall'insegnamento magisteriale della comunità ecclesiale che risale agli apostoli dà motivo di preoccupazione, perché, come detto sopra, favorisce la divisione e la disarmonia piuttosto che l'unità e la pace nell'unica Chiesa apostolica. [...]
Sfida alla cattolicità della Chiesa
In secondo luogo, [...] l'universalità della Chiesa si manifesta visibilmente in quanto tutte le Chiese particolari sono legate assieme, attraverso il collegio dei vescovi in ​​comunione con il papa, nella professione della stessa fede apostolica e nella predicazione dell'unico Vangelo universale all'umanità intera. [...] Anche questo contrassegno dell'unità cattolica è attualmente messo alla prova.
L’adozione della sinodalità da parte di pF è stata molto ostentata, come concessione di una maggiore libertà autodeterminata alle Chiese geograficamente locali. [...] Nella forma auspicata, tuttavia, da pF e sostenuta da altri, questa nozione di sinodalità, invece di assicurare l'unità universale della Chiesa cattolica come comunione ecclesiale composta da più Chiese particolari, è ora impiegata per minare tale unità e quindi consentire delle divisioni all'interno della Chiesa. [...]
Stiamo assistendo oggi alla disintegrazione della cattolicità della Chiesa, poiché le Chiese locali, a livello sia diocesano che nazionale, spesso interpretano le norme dottrinali e i precetti morali in vari modi contrastanti e contraddittori. [...] Il contrassegno dell'unità della Chiesa, unità che il papa è divinamente incaricato di proteggere e generare, sta perdendo la sua integrità perché i suoi segni di cattolicità e apostolicità sono caduti in un disordine dottrinale e morale, in un'anarchia teologica che il papa stesso, forse involontariamente, ha avviato, sostenendo una concezione imperfetta della sinodalità. [...]
Sfida alla santità della Chiesa e all'Eucaristia
In terzo luogo, questo ci porta al quarto contrassegno della Chiesa: la sua santità. Questo contrassegno è anch'esso sotto assedio, soprattutto, ma non sorprendentemente, in relazione con l'Eucaristia. [...]
Per partecipare pienamente all'Eucaristia della Chiesa, [...] bisogna infatti incarnare i quattro contrassegni della Chiesa, poiché solo così facendo si è in piena comunione con la Chiesa per ricevere la comunione, cioè il corpo e il sangue di Gesù risorto, fonte e culmine dell’unione con il Padre nello Spirito Santo. [...]
La prima questione [...] riguarda specificamente la santità. Anche se bisogna professare l'unica fede apostolica della Chiesa, la fede in se stessa non è sufficiente per ricevere Cristo nell'Eucaristia. Richiamandosi al Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II afferma che "occorre perseverare nella grazia santificante e nella carità, rimanendo in seno alla Chiesa col ‘corpo’ e col ‘cuore’” (Ecclesia de Eucharistia 36). All'inizio del secondo secolo Ignazio sostenne la stessa cosa: che si può ricevere la comunione solo “in uno stato di grazia” (Ad. Eph. 20). Così, in accordo con il Catechismo della Chiesa cattolica e con il Concilio di Trento, Giovanni Paolo conferma: “Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, ‘si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale’” (ibid.). In conformità con la tradizione dottrinale della Chiesa, Giovanni Paolo quindi ribadisce che il sacramento della Penitenza “diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al sacrificio eucaristico” quando c'è peccato mortale (ibid. 37). Pur riconoscendo che solo la persona può giudicare il suo stato di grazia, afferma che “nei casi però di un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, la Chiesa, nella sua cura pastorale del buon ordine comunitario e per il rispetto del sacramento, non può non sentirsi chiamata in causa” (ibid.). Giovanni Paolo rafforza il suo monito citando il diritto canonico. Dove c'è una “situazione di manifesta indisposizione morale”, cioè quando, secondo il diritto canonico, delle persone "ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto", per loro è stabilita "la non ammissione alla comunione eucaristica” (ibid.).
Qui percepiamo la presente sfida alla santità della Chiesa e in particolare alla santità dell'Eucaristia. La questione se le coppie cattoliche divorziate e risposate che compiono degli atti coniugali possano ricevere la comunione trascina con sé la questione stessa del “comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale”, e quindi se esse posseggano “una manifesta mancanza delle disposizioni morali appropriate” per ricevere la comunione.
PF insiste  sul fatto che tali coppie dovrebbero essere accompagnate e così aiutate a formare adeguatamente le loro coscienze. È vero che esistono casi matrimoniali particolari in cui si può giustamente riconoscere che un precedente matrimonio era sacramentalmente invalido, anche se le prove di annullamento non sono ottenibili, consentendo così a una coppia di ricevere la comunione. Nondimeno, il modo ambiguo con cui pF propone questo accompagnamento pastorale consente a una situazione pastorale di evolvere in modo tale che rapidamente si affermi la pratica comune secondo la quale quasi ogni coppia divorziata e risposata si giudicherà libera di ricevere la santa comunione.
Questa situazione pastorale si svilupperà perché comandi morali negativi, come “non commettere adulterio”, non sono più riconosciuti come norme morali assolute che non possono mai essere valicate, ma come ideali morali, obiettivi che potrebbero essere raggiunti solo dopo un certo periodo di tempo, o nemmeno potrebbero essere mai realizzati nella vita di una persona. In questo "interim" indefinito le persone possono continuare, con la benedizione della Chiesa, ad impegnarsi, nel modo migliore in cui sono capaci, a vivere vite “sante” e così ricevere la comunione. Tale pratica pastorale ha molteplici conseguenze dannose, dottrinali e morali.
In primo luogo, consentire di ricevere la comunione a coloro che oggettivamente sono in grave peccato manifesto è un evidente attacco pubblico alla santità di ciò che Giovanni Paolo definisce “il Santissimo Sacramento”. Il peccato grave, per sua stessa natura, come Ignazio, il Vaticano II e Giovanni Paolo attestano, priva della santità, poiché lo Spirito Santo non dimora più in tale persona, rendendo così la persona inadatta a ricevere la santa comunione. La ricezione della comunione in un tale stato, letteralmente, di "disgrazia" produce una menzogna, poiché col ricevere il sacramento si afferma di essere comunione con Cristo, quando in realtà non lo si è.
Allo stesso modo, tale pratica è anche un'offesa alla santità della Chiesa. Sì, la Chiesa è composta di santi e di peccatori, tuttavia, coloro che peccano, cioè tutti, devono essere peccatori-pentiti, in particolare dei peccati gravi, per partecipare pienamente alla liturgia eucaristica e ricevere così il santissimo corpo e sangue di Gesù risorto. Una persona in grave peccato può ancora essere un membro della Chiesa, ma come peccatore grave questa persona non partecipa più della santità della Chiesa come uno dei santi fedeli. Ricevere la comunione in uno stato così lontano dalla santità vuol dire, insisto, produrre una menzogna, perché nel ricevere il sacramento si attesta pubblicamente di essere in stato di grazia e membro vivo della comunità ecclesiale, quando non lo si è.
In secondo luogo, e forse ancor più gravemente, permettere di ricevere la comunione a coloro che persistono in peccato grave, apparentemente come atto di misericordia, comporta sia la minimizzazione del male di un peccato grave e della sua carica di condanna, sia lo snaturamento della grandezza e della forza dello Spirito Santo. Tale pratica pastorale riconosce implicitamente che il peccato continua a dominare l'umanità nonostante l'opera salvifica di Gesù e la sua unzione dello Spirito Santo su tutti coloro che credono e sono battezzati. In realtà qui Gesù non è più Salvatore e Signore, ma piuttosto Satana continua a regnare.
Inoltre, approvare le persone in peccato grave non è in alcun modo un atto di benevolenza o di amore, poiché si acconsente a un condizione nella quale potrebbero essere condannati per l'eternità, mettendo così a repentaglio la loro salvezza. Allo stesso modo, poi, si reca danno anche a questi peccatori gravi, perché si dice sottilmente a loro che sono talmente peccatori che nemmeno lo Spirito Santo è abbastanza forte da aiutarli a cambiare i loro comportamenti peccaminosi e renderli santi. Sono come intrinsecamente non più salvabili. In realtà, ciò che alla fine viene loro offerto è l'ammissione che la Chiesa di Gesù Cristo non è veramente santa e quindi non è in grado di santificare veramente i suoi membri.
Da ultimo, c'è lo scandalo che dà la pratica pastorale pubblica di permettere alle persone in peccato grave manifesto e impenitenti di ricevere la santa comunione. Non c'è semplicemente il fatto che i membri fedeli della comunità eucaristica saranno sconcertati e probabilmente a disagio, ma, più gravemente, avverrà che saranno tentati di pensare che anche loro possono peccare gravemente e continuare ad essere in ottimi rapporti con la Chiesa. Perché cercare di vivere una vita santa, persino un'eroica vita virtuosa, quando la Chiesa stessa sembra non esigere una tale vita, o nemmeno incoraggiarla? Qui la Chiesa diventa una caricatura di se stessa e una simile sciarada non fa altro che generare disprezzo e sdegno nel mondo, irrisione e cinismo tra i fedeli o, nel migliore dei casi, una speranza contro la speranza tra i piccoli.

AMDG et DVM

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