lunedì 2 ottobre 2017

O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio!


TERRIBILI CASTIGHI

Il nome di veniale, dato al peccato di cui parliamo, è nome improprio, che non ne designa la natura, perchè si può attribuire anche al mortale, il quale è pur remissibile, capace di venia cioè di perdono, se l'uomo si pente, ne domanda perdono a Dio e lo confessa al sacerdote. Del resto anche la colpa veniale non ottiene remissione che con la penitenza o con qualche atto soddisfatorio. Se tu pecchi, per quanto leggermente, e non ti penti, Dio ti punirà o in questa vita o nell'altra, e ti farà scontare severamente la colpa commessa.
Anzi talvolta la Giustizia divina ha castigato in questo mondo certe colpe veniali, con un rigore che ci riempie di spavento e ci dimostra quanto essa odia il peccato, anche leggero. Nella Sacra Scrittura possiamo trovare non pochi esempi.

L'infelice moglie di Lot fu colpita di morte istantanea e cambiata in una statua di sale per una curiosità. Udiva il crepitar delle fiamme, le grida disperate dei cittadini; e si voltò per osservare quel terribile spettacolo.

Mosè ed Aronne furono esclusi dalla terra promessa per una mancanza di confidenza, quando percossero due volte la rupe per ottenere l'acqua tra le infuocate arene del deserto. Quanto non sono imperscrutabili i giudizi divini! Dio perdonò al capo del sacerdozio levitico il grave peccato di aver assecondato Israele, nel fabbricarsi il vitello d'oro, e non perdonò quella leggera diffidenza! E notiamo la gravezza del castigo. I due fratelli avevano strappato il loro popolo dalla schiavitù dei Faraoni, l'avevano condotto per il deserto, attraverso a mille stenti, difendendolo dai nemici. Avevano speso tutta la loro vita nel beneficarlo. nobilitarlo della lunga schiavitù ed elevarlo a vera nazione. Non rimaneva più che introdurlo nella terra promessa, luogo sospirato da tanto tempo e riposo beato di lunghe fatiche. Quanto tranquilli sarebbero allora discesi nella tomba benedetti dalla tribù! Ma no: essi hanno commesso un peccato veniale, e per questo peccato non toccheranno la meta ardentemente bramata. 

Vedranno da lungi quella terra fortunata, contempleranno le fertili valli baciate dalle onde del Giordano, le colline popolate di vigneti, le pianure biondeggianti di messi mature; ma non vi porranno piede. Altri coglierà il frutto delle loro fatiche, altro gusterà la gioia di porre fine al pellegrinaggio d'Israele ed intonare il cantico finale di ringraziamento all'Eterno, che nutri il suo popolo con la dolce manna e lo salvò da mille pericoli. Mosè ed Aronne moriranno senza compiere la loro missione, in castigo della loro diffidenza.

Infelice Davide! Nel colmo di sua potenza dimenticò per un istante che Dio dal campo lo aveva sollevato al trono e gli aveva cambiato l'umile bastoncello nello scettro. Fece il censimento del suo popolo e si compiacque vanamente di quel numero sterminato di sudditi, attribuendo quasi a sè quella gloria che era di Dio. Subito l'ira divina scese su di lui e domandò una severa espiazione, proponendogli tre orribili flagelli: la peste, la fame e la guerra. « Venga la pestilenza, esclamò l'umile monarca pentito, e così correrò anch'io il pericolo comune di essere infetto e punito personalmente della mia colpa ». Ed il contagio invase il popolo, e ben sessantamila perirono.

L'Arca santa veniva portata processionalmente, con gran pompa, dalla casa di Aminadab a Gerusalemme. Davide, seguito da trentamila guerrieri, il fiore dell'esercito d'Israele, nelle loro brillanti armature, le faceva corteggio, al suono delle cetre e dei timpani, tra il fumo degli incensi ed il lieto canto dei salmi. Ad un tratto i buoi recalcitrando, fanno dondolare l'Arca; ed Oza stende la mano per fermarla. Non l'avesse mai fatto! All'istante cade al suolo morto, quasi colpito dal fulmine. Egli era semplice Levita e non poteva toccare l'Arca. Quella morte improvvisa gettò lo spavento in tutti. 
Davide concepì un'idea così grande della maestà divina, che non osò più ospitare l'Arca nel suo palazzo, e la fece condurre nella casa di Obededon.
Profeta, disse un dì il Signore a Semeia, va', distruggi l'altare profano che Geroboamo edificò agli idoli ed annunziagli terribili castighi. Ma bada di non mangiare, né di bere cosa alcuna in quel luogo maledetto e di non ritornare per la via per cui sei venuto. Veloce il servo di Dio vola alla reggia, parla con voce franca all'empio monarca e con un cenno atterra l'altare. 
Legate il temerario, esclamò furibondo Geroboamo; e stese la mano verso le guardie. Ma quella, mano resta paralizzata; ed allora il superbo dovè umiliarsi ed implorare la sanità dal profeta. L'uomo di Dio pregò e gliela ottenne. 
Compiuta la sua missione, Semeia, rifiutando i doni del re, se ne ritornava per una via diversa da quella per cui era venuto. Quand'ecco incontra un altro profeta, il quale, per mettere alla prova la sua obbedienza, lo invita con calde istanze a rifocillarsi. Resiste egli, ma poi si lascia vincere. Poco dopo un leone, strumento dell'ira divina, lo sbranò per punire quella trasgressione agli ordini ricevuti.

Ascendeva Eliseo, già vecchio cadente, la bella collina di Bethel, popolata di verdi foreste; ed una turba di monelli si prese a burlarlo, dicendo: « Vieni su, o vecchione, vieni su, o calvo ». Il servo di Dio fu afflitto da quella mancanza di rispetto alle sue calvizie, e maledisse gli insolenti nel nome del Signore. Subito uscirono dalla selva due orsi feroci, che si scagliarono su quei tristi, sbranandone quarantadue.

Più terribile fu ancora la punizione toccata ai Betsamiti. Migliaia e migliaia di essi restarono fulminati per aver guardato con curiosità ed irriverenza nell'Arca santa.

Maria, sorella di Mosè, per una mormorazione contro il fratello fu punita di lebbra. 
Anania e Safra dissero una bugia a S. Pietro e furono colpiti di morte istantanea.

Dinanzi a queste terribili punizioni vengono spontanee le parole della Scrittura: Quis non timebit te, o Rex gentium? (Ier. X, 7) Quis novit potestatem irae tuae, et prae timore tuo iram dinumerare?(LXXXIX, 11, Ps.). Notiamo che in tutti questi fatti scritturali, i santi Padri vedono per lo più solamente una colpa veniale, per difetto dì materia, o per difetto di cognizione, o per difetto di volontà o per altre circostanze attenuanti.
Soggiungiamo poi a nostro conforto che certamente Dio punì con rigorosa pena temporale tali mancanze per usare misericordia nella vita futura.

Ora se Dio castiga con la morte, che è la massima pena temporale, il peccato veniale, dobbiamo concludere che essa non è cosa da nulla, come talvolta ci pensiamo, ma un male grandissimo da evitare a qualunque costo.

Mentre Dio suole spesso flagellare con tanto rigore il peccato veniale, spesso premia anche con preziosi favori le piccole corrispondenze alla grazia, per invitarci ad essere fedeli nel poco. 
Fu rivelato a S. Gregorio Magno, che il Signore gli donò la somma tiara pontificia, per un'elemosina fatta ad uno sconosciuta Euge, serve borse et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis super multa te constituam (Matth. XXV, 23). Orsù, servo buono e fedele, perchè nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto.

Un giovane gesuita, in tempo di vacanza, stava per andare a diporto, quando un Padre lo pregò di fermarsi a servirgli la Santa Messa. Acconsentì egli di buon grado, e rinunciò alla passeggiata. Dopo alcuni anni andò missionario tra gli infedeli, e colse la palma del martirio. Venne rivelato ad un confratello, che il fortunato giovane era stato da Dio favorito della grazia insigne di versare il sangue per la fede, per quel piccolo sacrifizio fatto in quel dì, a richiesta del sacerdote. O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei: quam incomprehensibilia sunt judicia eius et investigabiles viae eius (ad Romanos XI, 33)! O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! Quanto incomprensibili sono i suoi giudizi ed imperscrutabili le sue vie!

AMDG et BVM

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