domenica 6 agosto 2017

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni

I. La salita al monte di Gesù Cristo 
con i tre Apostoli

3. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. Questi tre apostoli, compagni intimi di Gesù Cristo, raffigurano le tre facoltà della nostra anima, senza le quali nessuno può salire al monte della luce, cioè alla sublimità della familiarità divina. Pietro s’interpreta “colui che conosce”, Giacomo “colui che soppianta o estirpa”, Giovanni “grazia del Signore”.

Gesù dunque prese con sé Pietro, ecc. 
Anche tu, che credi in Gesù e da Gesù speri la salvezza, prendi con te Pietro, vale a dire la conoscenza, la consapevolezza del tuo peccato, il quale consiste in tre vizi: la superbia del cuore, la concupiscenza della carne e l’attaccamento alle cose del mondo. 

Prendi con te Giacomo, cioè la distruzione (supplantatio) di questi tre vizi, affinché quasi sotto la pianta della ragione, cioè con la forza della ragione, tu possa distruggere la superbia del tuo spirito, mortificare la concupiscenza della tua carne e rigettare la vana falsità delle cose del mondo. 

Prendi infine anche Giovanni, cioè la grazia del Signore – il quale sta alla porta e bussa (cf. Ap 3,20) – affinché ti illumini e ti faccia conoscere il male che hai fatto e ti renda perseve­rante nel bene che hai incominciato a fare.

I tre apostoli sono quelle tre persone, delle quali Samuele disse a Saul: “Quando arriverai alla quercia del Tabor, ti verranno incontro tre uomini che stanno salendo a Dio in Betel: uno porta tre capretti, il secondo tre forme di pane, il terzo un’anfora di vino” (1Re 10,3).

La quercia del Tabor e il Tabor stesso sono figura della sublimità della vita santa, che giustamente viene chiamata e quercia, e monte, e Tabor: 

quercia, perché è costante e irremovibile fino alla perseveranza finale; 
monte, perché è elevata e sublime fino alla contemplazione di Dio; Tabor – che s’interpreta “splendore che viene” –, perché diffonde la luce del buon esempio. 
Nella sublimità della vita santa sono richieste queste tre qualità: che sia costante in se stessa, immersa nella contemplazione di Dio e luce che illumina il prossimo. 

“Quando dunque verrai”, cioè stabilirai di venire o di salire alla quercia o al monte Tabor, ti verranno incontro tre uomini, che stanno salendo a Dio in Betel. Questi tre uomini sono Pietro, colui che riconosce, Giacomo, colui che soppianta o sradica, e Giovanni, la grazia di Dio. Pietro porta tre capretti, Giacomo tre forme di pane, Giovanni un’anfora del vino.

Pietro, cioè colui che si riconosce peccatore, porta tre capretti. Nel capretto è simboleggiato il fetore del peccato; nei tre capretti le tre specie di peccati nei quali più frequentemente si cade, cioè la superbia del cuore, l’impudenza della carne, l’attaccamento alle cose del mondo. Quindi chi vuole salire al monte della luce deve portare questi tre capretti, cioè riconoscersi colpevole di queste tre specie di peccati.

Giacomo, cioè colui che soppianta o sradica i vizi della carne, porta tre forme di pane. Il pane simboleggia la bontà dell’animo, che consiste nell’umiltà del cuore, nella castità del corpo e nell’amore alla povertà; nessuno può avere questa bontà se prima non ha sradicato i vizi. Quindi porta tre forme di pane – vale a dire la triplice bontà dell’a­nimo – solo colui che reprime la superbia del cuore, che frena l’impudenza della carne e che rigetta l’avarizia del mondo.

Giovanni, cioè colui che con la grazia di Dio – che previene, accompagna e coopera – conserva tutte queste cose con fedeltà e costanza, porta veramente l’anfora del vino. Il vino nell’anfora rappresenta la grazia dello Spirito Santo, infusa nella volontà di fare il bene.

Gesù dunque prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Prendi anche tu insieme con te questi tre personaggi e accingiti così a salire sul monte Tabor.

*

4. Ma, credi a me, difficile è la salita, perché il monte è altissimo. Vuoi nondimeno salirvi con grande facilità? 
Procurati quella scala della quale si legge e si canta nel racconto biblico di questa domenica: 
“Giacobbe vide in sogno una scala drizzata, ossia appoggiata in terra, la cui sommità toccava il cielo; vedeva anche gli angeli di Dio che salivano e scendevano su di essa, e il Signore appog­giato alla scala” (Gn 28,12).

Fa’ attenzione alle singole parole e ne constaterai la concordanza con il vangelo.

Vide, ecco la conoscenza del peccato, della quale il beato Bernardo dice: Dio mi conceda di non avere altra visione se non la conoscenza dei miei peccati. Giacobbe, che ha lo stesso significato di “Giacomo”: ecco la sopraffazione della carne; di Giacobbe disse Esaù: “Ecco che per la seconda volta mi ha sopraffatto!” (Gn 27,36). 

In sogno, ecco la grazia del Signore che infonde il sonno della quiete e della pace. Così il Filosofo descrive il sonno: “Il sonno è la quiete delle facoltà animali, con la intensificazione, il rafforzamento di quelle naturali” (Aristotele, Il sonno e la veglia). Infatti quando uno dorme il sonno della grazia, in lui le potenze della carne desistono (quiescunt) dalle loro opere cattive, e si ravvivano, si rafforzano le potenze dello spirito. Dice infatti la Genesi: “Al tramonto del sole, un torpore cadde su Abramo e un grande terrore lo assalì” (Gn 15,12).

Per “sole” si intende qui il piacere carnale: quando questo viene vinto, scende su di noi un sopore, cioè l’estasi della contemplazione, e ci invade un grande orrore dei peccati passati e delle pene dell’inferno. 

Vuoi sentire il rafforzamento delle facoltà spirituali e l’infiacchimento di quelle carnali? “Io dormo”, dice la sposa del Cantico dei Cantici, cioè desisto dalla brama delle cose temporali, “e il mio cuore veglia” (Ct 5,2) nella contemplazione di quelle celesti. Quindi giustamente è detto: “Giacobbe vide in sogno una scala”: per mezzo di essa tu puoi salire al monte Tabor.

5. Osserva che la scala ha due “braccia” (montanti) e sei scalini, per mezzo dei quali è agevole la salita. 

Questa scala raffigura Gesù Cristo; 
le due braccia sono la natura divina e quella umana; 
i sei gradini sono la sua umiltà e povertà, la sapienza e la misericordia, la pazien­za e l’obbedienza. 

Fu umile nell’assumere la nostra natura, quando “guardò all’umiltà della sua ancella” (Lc 1,48). 
Fu povero nella sua natività, nella quale la Vergine poverel­la, dando alla luce lo stesso Figlio di Dio, non ebbe dove adagiarlo, avvolto in fasce, se non una mangiatoia di pecore (cf. Lc 2,7). 
Fu sapiente nella sua predicazione, perché “incominciò a fare e ad insegnare” (At 1,1). 
Fu misericordioso nell’acco­gliere benignamente i peccatori: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13) alla penitenza. 
Fu paziente sotto i flagelli, gli schiaffi, gli sputi; disse infatti per bocca di Isaia: “Ho reso la mia faccia come pietra durissima” (Is 50,7). La pietra, se viene percossa, non reagisce né si lamenta contro chi la percuote. Così Cristo: “Oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta (1Pt 2,23). 

Fu poi “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8). 

Questa scala era appoggiata alla terra quando Cristo era dedito alla predicazione e operava miracoli; toccava il cielo quando, come ci dice Luca, passava le notti in preghiera (cf. Lc 6,12), in colloquio col Padre.

Ecco, la scala è drizzata. 
Perché dunque non salite? 
Perché continuate a strisciare per terra con le mani e con i piedi? Salite, perché Giacobbe vide gli angeli che salivano e scendevano per la scala. 
Salite dunque, o angeli, o prelati della chiesa, o fedeli di Gesù Cristo! 
Salite, vi dico, a contemplare quanto è soave il Signore (cf. Sal 33,9);  - scendete ad aiutare e a consigliare il prossimo, perché di questo il prossimo ha bisogno. 

Perché tentate di salire per un’altra via, invece che per la scala? Da qualunque altra parte voi vogliate salire, incombe su di voi un precipizio. “O stolti e tardi di cuore”, non dico “nel credere” (Lc 24,25), perché voi credete, e anche i demoni credono (cf. Gc 2,19); ma siete duri e di sasso nell’operare. 

Presumete di poter salire per altra via al monte Tabor, al riposo della luce, alla gloria della beatitudine celeste, invece che per la scala dell’umiltà, della povertà e della passione del Signore? 

Convincetevi che non è possibile! Ecco la parola del Signore: “Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). E in Geremia leggiamo: “Tu mi chiamerai Padre, e non tralascerai di camminare dietro a me” (Ger 3,19).

Dice Agostino: “Il medico beve per primo la medicina amara, affinché non si rifiuti di berla l’ammala­to”. E Gregorio: “Bevendo il calice amaro si giunge alla gioia della guarigione”. “Per salvare la vita, devi affrontare il ferro e il fuoco” (Ovidio).
Salite dunque, non temete, perché c’è il Signore alla sommità alla scala, pronto ad accogliere quelli che salgono. “Gesù, infatti, prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì su di un monte altissimo”.
AMDG et BVM

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