mercoledì 9 agosto 2017

Da dove nasce la forza per affrontare il martirio?

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 11 agosto 2010


Il martirio
Cari fratelli e sorelle,
oggi, nella Liturgia ricordiamo santa Chiara d’Assisi, fondatrice delle Clarisse, luminosa figura della quale parlerò in una delle prossime Catechesi.
Ma in questa settimana - come avevo già accennato nell’Angelus di domenica scorsa - facciamo memoria anche di alcuni Santi martiri, sia dei primi secoli della Chiesa, come san Lorenzo, Diacono, san Ponziano, Papa, e san Ippolito, Sacerdote; sia di un tempo a noi più vicino, come santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona d’Europa, e san Massimiliano Maria Kolbe.

Vorrei allora soffermarmi brevemente sul martirio, forma di amore totale a Dio.
Dove si fonda il martirio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita (cfr Gv 10,10). Cristo è il servo sofferente di cui parla il profeta Isaia (cfr Is 52,13-15), che ha donato se stesso in riscatto per molti (cfr Mt 20,28). 

Egli esorta i suoi discepoli, ciascuno di noi, a prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “chi non prende la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). 

E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù stesso “è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” (Benedetto XVIVisita alla Chiesa luterana di Roma [14 marzo 2010]). 
Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42).

Ancora una volta, da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo.

Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr 2 Cor 12,9).

Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio.

Cari fratelli e sorelle, come dicevo mercoledì scorso, probabilmente noi non siamo chiamati al martirio, ma nessuno di noi è escluso dalla chiamata divina alla santità, a vivere in misura alta l’esistenza cristiana e questo implica prendere la croce di ogni giorno su di sé.

Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore più grande a Dio e ai fratelli per trasformare la nostra vita e trasformare così anche il nostro mondo. Per intercessione dei Santi e dei Martiri chiediamo al Signore di infiammare il nostro cuore per essere capaci di amare come Lui ha amato ciascuno di noi.

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VISITA PASTORALE ALLA BASILICA DI SAN LORENZO FUORI LE MURA
IN OCCASIONE DEL 1750° ANNIVERSARIO DEL MARTIRIO
DEL SANTO DIACONO
OMELIA DEL SANTO PADRE 
BENEDETTO XVI
I Domenica di Avvento, 30 novembre 2008


Cari fratelli e sorelle,
con l’odierna prima domenica di Avvento, entriamo in quel tempo di quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine della nostra storia. Adventus è la parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re o di imperatori nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.
Adottando questo termine Avvento, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. 

Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. 
Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando “di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”, come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

Vieni, Signore Gesù”: tale ardente invocazione della comunità cristiana degli inizi deve diventare, cari amici, anche nostra costante aspirazione, l’aspirazione della Chiesa di ogni epoca, che anela e si prepara all’incontro con il suo Signore. Vieni oggi, Signore; illuminaci, dacci la pace, aiutaci a vincere la violenza. Vieni, Signore, preghiamo proprio in queste settimane. “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”: abbiamo pregato così, poco fa, con le parole del Salmo responsoriale. Ed il profeta Isaia ci ha rivelato, nella prima lettura, che il volto del nostro Salvatore è quello di un padre tenero e misericordioso, che si prende cura di noi in ogni circostanza perché siamo opera delle sue mani: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore” (63,16). Il nostro Dio è un padre disposto a perdonare i peccatori pentiti e ad accogliere quanti confidano nella sua misericordia (cfr Is 64,4). Ci eravamo allontanati da Lui a causa del peccato cadendo sotto il dominio della morte, ma Egli ha avuto pietà di noi e di sua iniziativa, senza alcun merito da parte nostra, ha deciso di venirci incontro, inviando il suo unico Figlio come nostro Redentore. Dinanzi a un così grande mistero d’amore, sorge spontaneo il nostro ringraziamento e più fiduciosa si fa la nostra invocazione: “Mostraci, Signore, oggi, nel nostro tempo, in tutte le parti del mondo, la tua misericordia, lasciaci sentire la tua presenza e donaci la tua salvezza” (cfr Canto al Vangelo).

Cari fratelli e sorelle, il pensiero della presenza di Cristo e del suo certo ritorno al compimento dei tempi, è quanto mai significativo in questa vostra Basilica attigua al cimitero monumentale del Verano, dove riposano, in attesa della risurrezione, tanti cari nostri defunti. Quante volte in questo tempio si celebrano liturgie funebri; quante volte risuonano colme di consolazioni le parole della liturgia: “In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura”! (cfr Prefazio dei defunti I).

Ma questa vostra monumentale Basilica, che ci conduce col pensiero a quella primitiva fatta costruire dall’imperatore Costantino e poi trasformata sino ad assumere l’attuale fisionomia, parla soprattutto del glorioso martirio di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. 

Sono venuto a celebrare quest’oggi la santa Eucaristia per unirmi a voi nel rendergli omaggio in una circostanza quanto mai singolare, in occasione dell’Anno Giubilare Laurentiano, indetto per commemorare i 1750 anni della nascita al cielo del santo Diacono. La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di questo Santo, presso il cui sepolcro siamo riuniti. La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti. San Leone Magno, in una bella omelia, commenta così l’atroce martirio di questo “illustre eroe”: “Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e il fuoco che lo bruciava fuori fu più debole di quello che gli ardeva dentro”. Ed aggiunge: “Il Signore ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall’Oriente all’Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo” (Homilia 85,4: PL 54, 486).

Cade quest’anno il 50° anniversario della morte del Servo di Dio, Papa Pio XII, e questo ci richiama alla memoria un evento particolarmente drammatico nella storia plurisecolare della vostra Basilica, verificatosi durante il secondo conflitto mondiale, quando, esattamente il 19 luglio 1943, un violento bombardamento inflisse danni gravissimi all’edificio e a tutto il quartiere, seminando morte e distruzione. Non potrà mai essere cancellato dalla memoria della storia il gesto generoso compiuto in quella occasione da quel mio venerato Predecessore, che corse immediatamente a soccorrere e consolare la popolazione duramente colpita, tra le macerie ancora fumanti. Non dimentico inoltre che questa stessa Basilica accoglie le urne di due altre grandi personalità: nell’ipogeo infatti sono poste alla venerazione dei fedeli le spoglie mortali del beato Pio IX, mentre, nell’atrio, è collocata la tomba di Alcide De Gasperi, guida saggia ed equilibrata per l’Italia nei difficili anni della ricostruzione post-bellica e, al tempo stesso, insigne statista capace di guardare all’Europa con un’ampia visione cristiana.

Mentre siamo qui riuniti in preghiera, mi è caro salutare con affetto tutti voi, ad iniziare dal Cardinale Vicario, da Monsignor Vicegerente, che è anche Abate Commendatario della Basilica, dal Vescovo Ausiliare del Settore Nord e dal vostro Parroco, P. Bruno Mustacchio, che ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto all’inizio della celebrazione liturgica. Saluto il Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e i Confratelli della Comunità che svolgono il loro servizio con zelo e dedizione, accogliendo i numerosi pellegrini, assistendo con carità i poveri e testimoniando la speranza in Cristo risorto a quanti si recano in visita al cimitero del Verano. Desidero assicurarvi il mio apprezzamento e, soprattutto, il mio ricordo nella preghiera. Saluto inoltre i vari gruppi impegnati per l'animazione della catechesi, della liturgia, della carità, i membri dei due Cori Polifonici, il Terz’Ordine Francescano locale e regionale. Ho appreso poi con piacere che da qualche anno è qui ospitato il “laboratorio missionario diocesano” per educare le comunità parrocchiali alla coscienza missionaria, e mi unisco volentieri a voi nell’auspicare che questa iniziativa della nostra Diocesi contribuisca a suscitare una coraggiosa azione pastorale missionaria, che porti l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio in ogni angolo di Roma, coinvolgendo principalmente i giovani e le famiglie. Vorrei infine estendere il mio pensiero agli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, in quest’inizio dell’Avvento, quale miglior messaggio raccogliere da san Lorenzo che quello della santità? Egli ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende in modo luminoso e manifesta la perenne tensione dell’uomo verso Dio. Questa ricorrenza giubilare sia pertanto occasione per la vostra comunità parrocchiale di una rinnovata adesione a Cristo, di un maggiore approfondimento del senso di appartenenza al suo Corpo mistico che è la Chiesa, e di un costante impegno di evangelizzazione attraverso la carità. Lorenzo, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sia per ciascuno esempio di docile adesione alla volontà divina perché, come abbiamo sentito l’apostolo Paolo ricordare ai Corinzi, anche noi viviamo in modo da essere trovati “irreprensibili” nel giorno del Signore (cfr 1 Cor 1,7-9).

Prepararci all’avvento di Cristo è pure l’esortazione che raccogliamo dal Vangelo di oggi: “Vegliate”, ci dice Gesù nella breve parabola del padrone di casa che parte ma non si sa quando tornerà (cfr Mc 13,33-37). Vegliare significa seguire il Signore, scegliere ciò che Cristo ha scelto, amare ciò che Lui ha amato, conformare la propria vita alla sua; vegliare comporta trascorrere ogni attimo del nostro tempo nell’orizzonte del suo amore senza lasciarsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e problemi quotidiani. Così ha fatto san Lorenzo, così dobbiamo fare noi e chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia perché l’Avvento sia stimolo per tutti a camminare in questa direzione. Ci guidino e ci accompagnino con la loro intercessione l’umile Vergine di Nazareth, Maria, eletta da Dio per diventare la Madre del Redentore, sant’Andrea, di cui oggi celebriamo la festa, e san Lorenzo, esempio di intrepida fedeltà cristiana sino al martirio. Amen!

AMDG et BVM

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