sabato 15 aprile 2017

«Possa tu vivere 120 anni come Mosè»

PAPA BENEDETTO VISTO DA VICINO

13/04/2017  Don Antonio Tarzia, ex direttore delle Edizioni San Paolo, svela episodi inediti sul Papa emerito con il quale ha un antico rapporto di collaborazione e amicizia.

Novant’anni di grazia, novant’anni di testimonianza cristiana e di vita vissuta a servizio della comunità e della Chiesa. Tra le doti eccezionali che gli amici e i collaboratori più stretti attribuiscono all’uomo Joseph Ratzinger troviamo sempre la perfetta lucidità mentale, l’impressionante capacità di sintesi e la carità vissuta nel quotidiano. Delle beatitudini di Matteo (5,3-10) quelle che maggiormente lo vedono testimone sono: beati i miti, beati i puri di cuore e beati gli operatori di pace. Lo posso attestare personalmente, avendo l’onore di conoscerlo da oltre un trentennio e di aver lungamente collaborato con lui quando, ancora cardinale, Ratzinger divenne uno dei principali e più apprezzati autori delle Edizioni San Paolo, che allora dirigevo.
Della sua mitezza ricordo l’impaccio alla presentazione del suo libro Rapporto sulla fede, pubblicato con le Edizioni San Paolo nel 1985. Il libro era un dialogo con il giornalista Vittorio Messori, all’epoca redattore di Jesus, e fu un grande successo editoriale. Avevamo organizzato con monsignor Josef Clemens, segretario di Ratzinger, poi vescovo e segretario del Pontificio consiglio per i laici, l’incontro con i giornalisti, i fotografi e il pubblico al Centro congressi Augustinianum a Roma. La sala piena, anche nella parte superiore, contava molti vescovi e diversi cardinali. Non invitato, preceduto da motociclisti in divisa, arrivò anche l’onorevole Oscar Luigi Scalfaro, ministro degli Interni. Salutando, con affabile umorismo, disse: «Mi è stato segnalato dalle forze dell’ordine che qui c’è un raduno di vescovi e cardinali. Ho voluto accertarmi di persona che non si trattasse di un Conclave…». Il cardinale Ratzinger sorrideva, stringeva le mani e salutava con profondo disagio, pensando che fosse tutto esagerato.

LA “PROFEZIA” DEI BAMBINI

La sua timidezza apparve evidente qualche anno dopo ad Anacapri dove eravamo andati a ricevere il prestigioso Premio San Michele. In piazza Boffe, una mattina di sole, due bambini giocavano a rincorrersi quando la più piccola vide arrivare un gruppo di persone e in mezzo il cardinale vestito di rosso con la croce pettorale e la fascia scarlatta. «Chi è quello, chi è?» chiese mettendosi la mano davanti alla bocca. «È il Papa, c’è il Papa!» gridò il cuginetto più grande e, divertiti, forse impauriti, scapparono via per i vicoli. A me venne in mente il Salmo 8: «Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Con la bocca di bambini e di lattanti…». Il cardinale rosso in volto e con disagio tentava di cambiare discorso. Ma nel gruppetto di amici (c’era lo scrittore Marco Roncalli, nipote di Giovanni XXIII, la giornalista Donatella Trotta del Mattino, monsignor Clemens e Raffaele Vacca “patrocinatore” del premio) si accese un dibattito concludendo che se la profezia si fosse avverata il professor Vacca sarebbe stato in obbligo di apporre sul muro una lapide commemorativa dell’evento. Cosa che avvenne nel 2006, a un anno dall’elezione a sommo Pontefice: il sindaco circondato da una folla di anacapresi adornò piazza Boffe della lapide a perpetua memoria.

AMICO DELLA SAN PAOLO

  
Per oltre 20 anni tra l’editore San Paolo e il cardinale si consolidò un sodalizio: ogni anno un libro nuovo da portare in libreria e alla Fiera di Francoforte, la Buchmesse. Tra questi, pubblicammo numerose conferenze ufficiali svolte in giro per il mondo e le omelie che il cardinale Ratzinger teneva tutti i giovedì alla Messa che per anni celebrò in Santa Maria della Pietà, presso il Collegio teutonico. La sua scrittura minuta in perfetto tedesco era sempre chiara e profonda, documentata e protesa a un futuro di pace e santità cristiana. Tutti questi volumi furono tradotti in più lingue, alcuni in un numero incredibile di idiomi: Rapporto sulla fede in oltre 15 e La mia vita, pubblicata nel 1997, in almeno 45. I diritti d’autore venivano ogni anno versati in beneficenza e istituzioni caritative, missioni, orfanotrofi e conventi di clausura dell’Est europeo. Il cardinale Ratzinger mi diceva: «Mi raccomando prima pagate le tasse d’obbligo». Un anno solo non consegnò il volume concordato. Disse che doveva fare un fioretto perché, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva chiesto il silenzio per 12 mesi a un sacerdote, e nel fioretto chiedeva che questi avesse la forza di obbedire in carità e sincerità. Quel prete era il teologo brasiliano Leonardo Boff, esponente della teologia della liberazione.

IN TAVOLA L’ARANCIATA

Nel 1992 ero con il cardinale Ratzinger a Bassano del Grappa per ricevere il Premio internazionale medaglia d’oro al merito della Cultura cattolica. Il dottor Enrico Scalco, presidente del premio, donò al cardinale, come da statuto, oltre alla medaglia anche una cassa di bottiglie di grappa con l’etichetta personalizzata. Con un sorriso di complicità, accettando il dono, il cardinale si schermì dicendo: «Lo condividerò con i collaboratori perché non bevo superalcolici. Ma credo che sia molto buona la grappa di Bassano». Sapevamo tutti che lui a tavola beve solo aranciata amara,  succo d’arancia o the, e solo nei pranzi ufficiali assaggia un goccio di vino o birra.
Si sa della passione del Papa emerito per i gatti. Io ricordo che nella casa paterna in Germania ce ne sono due. Uno in bronzo con le orecchie dritte sta su un piedistallo in giardino, vicino alla fontana monumento dove c’è la Madonnina e la “barca della Chiesa” con tre naviganti sempre in bronzo: «Non sono apostoli», mi spiegò la sorella Maria, «ma i fratelli Ratzinger: io, Georg e Joseph. È un regalo dell’amica artista Cristina Stadler». L’altro gatto (di ceramica bianca) è in casa e guarda il pianoforte su cui il cardinale si rilassava ogni tanto suonando inni liturgici o brani classici di Beethoven o Mozart. Una volta, rientrando da Messa, il cardinale posò il suo zuccotto sulla testa del gatto con il collo lungo e questo gli bastò a guadagnarsi il titolo affettuoso di «Sua eminenza il gatto bianco».

L’INCONTRO IN VATICANO

  
Il mio incontro più recente con Sua Santità risale al 23 marzo 2017. Gli ho fatto visita in Vaticano nel monastero Mater Ecclesiae dove trascorre i giorni in ascolto della parola di Dio e in preghiera di ringraziamento e di supplica per la Chiesa e l’umanità. Dopo un’oretta di colloquio affettuoso sull’onda dei ricordi, sull’attualità e i progetti per il domani, salutando mi ha detto: «E adesso quando verrà a trovarmi?». «Quando lei vorrà, Santità. Mi fa chiamare e io vengo. Di certo chiederò un’udienza fra due anni, per una benedizione speciale». «Fra due anni… non so se ci sarò», l’ho sentito sussurrare, e mi è parso che chiudesse gli occhi. «Santità, fra due anni farò 50 anni di Messa e ho bisogno di una benedizione particolare». Rasserenato in volto, con un sorriso e tanta tenerezza, mi ha detto: «Cinquant’anni di sacerdozio… allora aspetterò!». Ho baciato le sue mani che avevo tra le mie e sono uscito dal monastero commosso e felice.
Adesso, Santità, vorrei augurarle, per i suoi 90 anni, con la bella tradizione ebraica: «Possa tu vivere 120 anni come Mosè», andando oltre – aggiungo – l’età di Leone XIII, il Papa più longevo della storia, tornato alla casa del Padre a 93 anni. Auguri Santità!

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