Memorie Vol. 1° Cap. 4.
Settembre 1846
Suez
Settembre 1846
Suez
1. Partenza per Suez. — 2. Ricevimento ed alloggio in Suez. — 3. La locanda delTransito. — 4. Carattere dei servi greci, armeni e copti. — 5. Il Popo greco di Suez e la sua cappella. — 6. Visita alla sua casa. — 7. Il successore del Popo greco. — 8. La fontana di Mosè. — 9. Ostacoli per la partenza. — 10. Una donna che inghiotte monete. — 11. Il passaggio degli Ebrei pel Mar Rosso. — 12. Arrivo di pellegrini musulmani. — 13. Lettere d’Alessandria ed apparecchi per la partenza.
Finalmente giunse il giorno di lasciare il Cairo. Consegnato il bagaglio al Transito inglese, e preso commiato dagli amici, salimmo in vettura, pagando per ciascuno tre ghinee, equivalenti a circa 16 franchi. Vettura e strada erano tanto comode, che sovente ci facevano fare salti poco piacevoli! Ma pure meglio così che in groppa a cammelli, i quali ci avrebbero impiegato tre lunghe giornate, laddove con la vettura A Suez: 4.9.1846 A.Rossogiungemmo a Suez in meno di trent’ore. Dopo il taglio dell’istmo, Suez è divenuta una bella città, quasi tutta europea, piccola sì, ma gaja; provveduta di un canale di acqua dolce, si è vestita di vegetazione, si è adornata di giardini, sicchè ha mutato intieramente di aspetto. Ma nel 1846 che brutto paese! Non una pianta, non un filo d’erba, ma sale da per tutto, nella terra, nelle acque e nell’aria. Allora non era che un piccolo villaggio, quasi tutto arabo e mussulmano fanatico, con una ventina al più di famiglie greco-scismatiche, peggiori dei mussulmani medesimi. Il mezzo principale di loro sussistenza era il commercio marittimo ed il passaggio dei pellegrini, che andavano e venivano dalla Mecca.
Un primo canale navigabile fu avviato dal faraone Neco II e portato a termine dall’imperatore persiano Dario; esso partiva dall’antica Bubasti, presso l’attuale città di Zagazig, passava per Heliopolis e arrivava ai Laghi Amari, a quell’epoca collegati con il Mar Rosso. In età romana era già inutilizzabile. In età moderna furono fatti diversi progetti di taglio dell’istmo, ma si temeva che fra il Mediterraneo e il Mar Rosso vi fosse un dislivello tale da rendere necessario l’uso di chiuse. Nel 1846 fu costituita a Parigi una Société d’étude pour le canal de Suez che fece un rilievo topografico preciso e dimostrò che il dislivello era trascurabile. Solo nella seconda metà del secolo la diffusione della navigazione a vapore rese l’impresa interessante dal punto di vista economico. Il progetto definitivo fu elaborato dall’ingeniere trentino Luigi Negrelli. I lavori, guidati dal francese Ferdinand de Lesseps, durarono dal 1859 al 1869. “Si stima che un milione e mezzo di egiziani lavorarono al canale, e che 125.000 di essi morirono, principalmente a causa del colera.” (Wikipedia). Nel 1875 Ismail Pascià, a causa dell’esorbitante debito pubblico egiziano, dovette cedere la sua quota di azioni del canale all’Inghilterra. Nel 1882 truppe britanniche giunsero a Suez, e “Il 29 ottobre 1888, la convenzione di Costantinopoli confermò la neutralità del canale (sotto protezione britannica), dichiarato «libero e aperto, in tempo di guerra come in tempo di pace, a qualsiasi nave civile o militare, senza distinzione di bandiera».” (Wikipedia)
La città di Suez ( السويس Al-Sūwais) si trova al bordo settentrionale del mar Rosso. Al tempo del primo viaggio del Massaia al nord si estendeva la vasta depressione dei Laghi Amari, separata dal mare in età antica, ed occupata da una vasta palude salmastra. Come nota il Massaja più avanti, il flusso della marea penetrava nella palude; ed a volte era così improvviso da travolgere coloro che si erano avventurati a piedi o a cavallo nelle acque basse. In seguito al taglio del canale l’acqua del mare vi fluisce liberamente.
/34/ 2. Al nostro arrivo cercammo l’Agente Consolare, certo signor Costa, ricco mercante greco-scismatico, al quale eravamo stati raccomandati. Questi ci ricevette gentilmente ed al modo arabo ed orientale, presentandoci la pipa ed il caffè senza zucchero. Dopo breve conversazione ci condusse in una vecchia casa di sua proprietà, poco distante da quella ch’egli abitava, e ci assegnò il suo figlio maggiore, affinchè ci servisse di guida, e pensasse a provvederci di ciò che avevamo di bisogno. Era un giovane di circa venti anni, e parlava e scriveva sufficientemente l’italiano. Il primo giorno ci fece portare un modesto pranzetto all’araba; ma poi, arrivata la carovana, assestammo la nostra casa, e Fra Pasquale cominciò a fare la cucina. E poichè la casa era abbastanza grande, potemmo adattare una camera ad uso di cappella, e celebrarvi la santa Messa.
In tutto Suez non si trovava che un solo cattolico, ed era un Maltese, il quale teneva spaccio di vini, liquori e commestibili. Come d’ordinario tutti i Maltesi, egli si regolava da buon cristiano frammezzo a mussulmani e scismatici. Appena seppe del nostro arrivo, fu subito da noi, esibendosi in tutto ciò che avrebbe potuto giovarci. La mattina non mancava mai alla Messa, e dopo si tratteneva un po’ con noi in conversazione.
3. Vi era in Suez anche una locanda, che apparteneva all’impresa delTransito, e tenuta da un protestante inglese. Per esservi ricevuto, bisognava spender molto, circa tre scudi al giorno, e non sempre vi si trovava alloggio; poichè, destinata al Transito, doveva principalmente servire per gli Inglesi ed altri forestieri, che viaggiavano direttamente dall’Europa alle Indie, e viceversa. Laonde nei giorni di passaggio, le stanze erano tutte piene. Il servizio era egiziano; che vuol dire misto di cristiani e mussulmani. L’umile servizio colà vien prestato da mussulmani, perché essi mal si adattano a servire in una casa cristiana, né i padroni li ammettono facilmente; il servizio nobile poi vien prestato da Greci, da Armeni, e raramente da Copti.
4. E qui voglio accennare di passaggio il carattere che distingue queste tre sorta di servi in Oriente. Il Greco è molto furbo, trafficante ed economo, ma per sè, non pel padrone, a spese del quale anzi largheggia volentieri. La sua moralità va invigilata, tanto nel maneggio della roba, quanto nelle attinenze con le persone, che sono in famiglia; poichè egli è molto inclinato al brutto vizio. È superbo e pieno di amor proprio, e difficilmente si lascia prendere in fallo. Dove il Greco è lontano dai suoi Popi o preti, trovandosi a servire un cattolico, sarà religioso quanto si vuole; ma non si speri ch’egli riformi il suo interno, e molto meno le sue basse inclinazioni.
L’Armeno è trafficante e dominato dalle passioni non meno del Greco; /35/ma è di un’indole più dolce, più religiosa, e possiam dire più tendente al cattolicismo. Quando nel suo cuore vi è sentimento di religione, lo trovate esatto nelle pratiche della morale cristiana, e sarà anche spirituale e mistico; ma se si aliena dalla religione, allora nelle sue passioni diventa più grossolano del Greco. Questo è astuto e molto cauto nel sedurre, laddove quello, se non manca di furberia, ha poca riserbatezza. In tutto il resto l’Armeno è un buon servitore.
L’armeno poi è anche speculista, ma è di una natura più dolce, più religioso, e possiamo dire più tendente al cattolicismo. Quando nel fondo del cuore è ben dominato dalla religione, prende bene la morale cristiana, e sarà anche mistico e spirituale; ma guai se non è dominato nel cuore dalla religione, perché allora te sue passioni materiali sono più grossolane del greco, perché quest’ultimo non suol gettare la sua rete, se non è sicuro del suo colpo, mentre quello è meno polito e civile nelle sue passioni. In tutto il resto l’armeno è mercante fino, ma più cristiano del greco, cercando questi il lucro ad ogni costo come l’ebbreo.Memorie Vol. 1° Cap. 4 nota a p.29.
Quanto al Copto bisogna distinguere. Il contadino, che è la parte più sana di questa razza, difficilmente abbandona la sua campagna e si mette a servizio. Il Copto poi delle città, dell’uno e dell’altro sesso, si pone a preferenza al servizio di ricchi mussulmani, e si adatta facilmente a tutti i loro usi e brutali consuetudini. Nelle sue passioni il Copto è più grossolano dei mussulmani medesimi. Ho avuto agio di conoscerli bene nei viaggi, che con essi ho fatto per mare e per terra: e mi sono accorto che i Greci e gli Armeni hanno un po’ di riserbatezza, la quale li trattiene dal commettere certe bassezze, laddove i Copti non hanno affatto ritegno o pudore. La loro religione poi è più mussulmana che cristiana. Studiano con premura la letteratura araba, e la storia di quei popoli e ne conoscono i pregiudizi, e forse per questo sono cercati per iscrivani tanto dai Governi, quanto dai particolari.
...il Copto delle città poi dei due sessi entra a preferenza al servizio dei ricchi mussulmani e si addatta facilissimamente a tutti i loro usi e passioni, come nazione particolarmente dominata; impara la letteratura araba e fa lo scrivano, sia dei particolari che del governo, per poco che abbia studiato conosce tutte le storie arabe coi pregiudizii che vengono di seguito. Questi nelle sue passioni materiali è grossolano più dei mussulmani stessi: io stesso gli ho veduti in detaglio nei viaggi, e sulle barche; la loro religione esterna è quasi più mussulmana che cristiana. I greci ed armeni professano una tal quale civiltà che gli trattiene da certe bassezze, mentre i giovani copti hanno perduto affatto questo sentimento di civiltà.Memorie Vol. 1° nota a p. 29.
/36/ 5. La colonia greco-scismatica di circa venti famiglie, che dimorava in Suez, aveva una piccola chiesa, ufficiata da un prete (colà chiamato Popo), s’intende scismatico esso pure. Questi non avendo grandi occupazioni pel suo gregge, passava quasi tutta la giornata sulla porta della bottega del nostro buon Maltese. Avendo più volte manifestato il desiderio di avvicinarci, il Maltese ce ne parlò, e, nel tempo stesso ci avvertì che quel povero Popo era un uomo molto semplice, ma molto inclinato a bere. Per istudiare più davvicino gli Orientali, risposi che lo avrei veduto ben volentieri. Non tardò di fatto a presentarsi col nostro Maltese; e tanto io, quanto i miei compagni, i quali più volte lo avevano veduto uscendo a passeggio, lo ricevemmo con segni di affezione, e lo invitammo a pranzo con noi.
Dopo di aver pranzato e meglio bevuto, ci invitò a vedere la sua chiesa, e lo seguimmo. La chiesa era piccola e secondo il gusto greco: benchè povera, nella navata che serviva pel popolo, era alquanto decente, e nel frontone, che chiude ilSancta Sanctorum, vi erano le immagini dei dodici Apostoli in istile semplice e bisantino, e niente altro di particolare. Indi schiuse una porta e c’introdusse nelSancta Sanctorum. Che luogo di pietà e di pulitezza! Una vecchia tavola, nuda e con qualche rozzo candeliere di sopra serviva di altare; in un angolo, un incensiere di rame tutto annerito; altrove, alcuni piatti di rame arrugginiti e sporchi, e dentro una cassa, pochi poveri paramenti sacri gettati là disordinatamente. Ma il buon Popo non ci avca ancora fatto vedere il meglio. Aprì un armadietto, le cui tavole tarlate facevano polvere da per tutto, e ci presentò dentro un piatto alcuni pezzetti di pane mezzo muffito, dicendoci: — È questa l’Eucaristia conservata per gli infermi. — Al sentire nominare l’Eucaristia (in verità supponevamo che fosse valida la sua Ordinazione, e quindi la consacrazione), ci venne spontaneo di metterci in ginocchio, se non altro per edificare quel poveretto, il quale è da dubitarsi se comprendeva che cosa fosse Eucaristia! Allora egli vedendo noi in quell’atteggiamento, e non sapendo darsi ragione di quell’atto, montò in collera, e prorompendo in esclamazioni ed in gesti di disprezzo, che gli fecero cadere per terra la sua Eucaristia, sembrava un ossesso; sicchè noi ci alzammo ed uscimmo presto di là, donde anche una nauseante afa calda ed un nugolo di grosse mosche ci cacciavano via.
6. Rabbonacciatosi dopo pochi minuti, ci raggiunse, e ci condusse a casa sua, dove trovammo in sulla porta una giovane, che ci stava ad aspettare. Ella era sua moglie, vestita come a nozze, con ghirlande di oro, pietre preziose ed altri ornamenti all’uso orientale. Con affettate cerimonie e molto contenta dell’onore che loro facevamo, e introdusse in casa, e ci /37/ presentò una merenda sontuosa e pulita, almeno per quei luoghi. Quella Popessa in verità mi fece un’impressione spiacevole, principalmente in vederla così azzimata, piena di vanagloria, e tenere un contegno tutt’altro che modesto, come si converrebbe alla moglie di un Popo. Ma il P. Giusto, che sul conto suo aveva sentito varie dicerie dal Maltese nostro amico, non ne fu meravigliato: anzi dirigendole parole di lode, le diede motivo a sciogliere la lingua, e mostrarsi realmente qual’ella era.
7. Quel giovane che il signor Costa ci aveva dato per guida, finchè dimoravamo in Suez, faceva anche da diacono nella parrocchia del nostro Popo, e frequentava spesso con questa scusa anche la sua casa; il che dava motivo a dicerie nel paese. Veramente questo giovane non sembravami pasta d’Agnus Dei. Io ebbi varie conferenze con lui, e mi sforzai di gettare qualche buon seme nel suo cuore; ma trovai un cuore di sasso, e non solo indisposto a ricevere il bene, ma bollente di odio settario contro di noi. — I Latini, diceva, vogliono dominarci; ma noi non ci lasceremo vincere. Siete pur degni di compassione. Il Papa vi proibisce le donne ma noi abbiamo acquistato la nostra libertà e ce ne gloriamo. —
Queste e simili sentenze mostravano abbastanza la perversità e corruzione del suo cuore. Faceva un po’ di scuola greca ed araba a giovani d’ambo i sessi, e sulla sua moralità, principalmente in iscuola, si dicevano brutte cose; ma suo padre, persone autorevole in paese, imponeva silenzio a tutti. Egli vedeva con pena l’erezione della nostra cappella, e guardava di mal occhio il Maltese che la frequentava. Era insomma un brutto soggetto.
Nel 1850, ritornando io a Roma per affari della Missione e passando per Suez, seppi che, morto quel buon uomo del Popo, il giovane Costa, pagando non so quanti scudi al suo Vescovo, era divenuto erede della parrocchia e della Popessa, licenziando con bel modo un’altra giovane sposa che si aveva! Oh la moralità dello scisma greco e dei greci scismatici!...
8. Non molto lontano da Suez eravi una fonte di acqua salmastra, la quale poteva solamente servire per lavare e per altri umili usi; ma per bere e per servizio di cucina si faceva venire per mare altra acqua in una barca. Il Governatore la faceva portare e poi distribuire agli amici ed alle persone particolarmente raccomandate. Quest’acqua veniva dalla fontana di Mosè, così chiamata, perché credesi che sia appunto quella, che il gran condottiero del popolo di Dio fece miracolosamente scaturire per dissetare il popolo ebreo dopo il passaggio del Mar Rosso. Per alcuni giorni l’Agente Consolare Costa ce la diede, ma poi, o il facesse con intento di guadagnare, o per un malanimo verso di noi Latini, eccitato in lui da /38/ mussulmani e consettarj, fatto sta che cessò di passarcela. Il Maltese ci consigliò di fare una visita al Governatore e parlargliene. Di fallo vi andammo, e fummo ricevuti nella sala del Divano, dov’egli soleva dare udienza e tenere giudizio. Gli movemmo discorso dell’acqua e del bisogno che ne avevamo; e subito diede ordine che ci fosse portata, raccomandandoci di dare qualche piccola retribuzione al solo portatore.
Il termine di origine persiana diwan ﺩﻳﻮﺍﻥ indicava originariamente registri amministrativi; passò poi ad indicare il locale in cui questi erano tenuti, infine i cuscini su cui sedevano gli scrivani.
9. Questo Governatore, che tanto gentilmente ci avea provveduti di acqua, poco dopo, forse sobillato da quei fanatici mussulmani, mise fuori ostacoli sul nostro viaggio in Abissinia; e diceva che, trattandosi di un Vescovo, il solo Vicerè poteva mandarlo colà, dopo aver pagati alcuni tributi, e compite altre formalità; perché l’Abissinia era un paese appartenente al Sultano, e quindi dipendente anche dal Vicerè. Risposi che non essendo io un Vescovo copto mandato in Abissinia, ma un Vescovo Missionario latino, destinato dai miei Superiori ai paesi galla, non poteva essere obbligato né a tributi, né ad altro; in Abissinia poi io non avrei fatto altro che passare, non fermare la mia residenza. Tuttavia il Governatore mi consigliò di scrivere al Governo per ottenere documenti più espliciti. Ne scrissi subito al Console Generale francese ed a Monsignor Delegato, il che fece ritardare di quindici giorni la nostra partenza.
10. Uscendo dalla casa del Governatore vidi sotto il portone una povera donna, vecchia, quasi nuda e legata ad un grosso anello di ferro. Domandai al nostro Maltese il perché di quel castigo; ed egli, che ben conosceva il paese, ci raccontò che nell’Egitto si percepiva un piccolo tributo personale anche dai poveri, quando poteva provarsi che possedessero qualche cosa. La donna suddetta faceva il mestiere di girare pel paese con un paniere al braccio, raccogliendo stracci, ossa ed altre miserie. Erano più anni che essa non pagava il suo tributo; ed essendo stata denunziata da una sua compagna come posseditrice di alcune monete d’oro, le quali teneva nascoste tra i suoi stracci, un giorno fu sorpresa dagli agenti del Governo ed intimata a pagare. Vedendosi scoperta, prima che la frugassero, inghiotti in un attimo le sue monete. Ma non valse quest’astuzia a salvarla; poichè gli esattori, che erano avvezzi a vedere simili scene, la legarono e la tenevano là, finchè non avesse messo fuori per altra via quel miserabile tesoro a beneficio del Governo. Così son trattati i poveri dai figli di Maometto!
11. Nel tempo della nostra dimora in Suez, verso sera, in cui erano diminuiti i calori cocenti, facevamo una passeggiata in riva al mare; e lì il nostro discorso cadeva spesso sul passaggio del popolo ebreo pel Mar Rosso, e sulla strada che dovette tenere, venendo dalla terra di Gessen. Erano da /39/ noi riferite le diverse opinioni, ed anche le eterodosse si discutevano; facevamo inoltre riscontri locali, e ciascuno diceva il suo parere su questo gran fatto scritturale. Suez è situato sulle riva del Mar Rosso, e propriamente in fondo al golfo, che da esso prende il nome; ed è probabile, e molti indizj ci portano a credere che in quel lontano tempo il mare si estendesse oltre il sito della presente città. Il flusso e riflusso, che scende quasi a due metri dalla sua totale elevazione al suo totale abbassamento, ha dato motivo a molte difficoltà ed obbiezioni sul racconto mosaico. Ma le prove son palpabili, ed i luoghi, le misure, i segni e le circostanze, così chiaramente descritti nella Sacra Scrittura, e che ancora si riscontrano in quelle spiagge dell’Oriente, sciolgono ogni difficoltà ed obbiezione. Il luogo del passaggio accennato dalla Bibbia è là designato ancora dalla costante tradizione a mezza giornata di cammino da Suez verso Austro. Là il deserto, la strada tenuta dagli Ebrei nella loro fuga dall’Egitto, il mare, le montagne vicino alla spiaggia, la distanza di una notte di viaggio dall’una all’altra sponda, la fontana di Mosè, e là tutti i nomi biblici ancora conservati, o di poco alterati nei posteriori dialetti. Dunque per queste ragioni, e per tante altre che si potrebbero addurre, siamo costretti ad ammettere che gli Ebrei non potevano tenere altra via che quella indicata dai cattolici espositori, e non mai molto più basso, cioè quasi alla sponda, come pretendono varj miscredenti e nemici della Bibbia.
I moderni commentatori individuano il passaggio del “mare di Giunchi” (che la versione dei Settanta identifica nel Mar Rosso) nelle lagune salmastre più a nord di Suez, e non a sud (“austro”) dove lo pone il Massaja.
/40/ 12. Mentre fra noi si parlava dell’imbarco, tutti i giorni arrivavano dal Cairo carovane di pellegrini, diretti alla Mecca; e quindi di giorno in giorno crescevano le ricerche di barche ed aumentavano i prezzi: ed intanto le lettere che aspettavamo da Alessandria per ordinare al Governatore di lasciarci partire in pace, ancora non arrivavano. In questo tempo noi facevamo provviste pel viaggio, che, sino a Gedda, ci avrebbe forse tenuti sul mare più di quanto temevamo, anche un mese; giacché esso doveva dipendere dal mare e dal vento più o meno favorevole. Nel nostro passaggio dall’Europa all’Egitto venivamo portati da piroscafi che resistono alle furie dei venti e del mare, e sui quali si può passeggiare, conversare e dormire a piacimento; ma sulle barche arabe il viaggiatore affida la sua vita a piccoli legni, che uno sbuffo di vento, od una falsa manovra dei marinari possono capovolgere. Più, si sta stipati tra persone rozze e sudicie, piene di pregiudizi contro di noi, ed anche nemici. Tutti questi pensieri si presentavano sovente alla nostra immaginazione, ed accrescevano i nostri timori. Fra di noi non si pensava, non si parlava d’altro, e financo dormendo si sognava questo. — Ma, in conclusione, dicevamo sorridendo, siamo in ballo, e bisogna ballare; e poi il mare ha anch’esso il suo padrone, che e Dio, e noi in lui dobbiamo affidarci e sperare. —
13. In mezzo a queste nostre preoccupazioni, ecco giungere da Alessandria le aspettate lettere. Con esse si ordinava al Governatore ed all’Agente Consolare di procurarci un sicuro imbarco, assisterci e proteggerci: più s’ingiungeva loro di accompagnarci con lettere al Governatore di Gedda, il quale poi doveva notificare al Governo il nostro arrivo col primo corriere. Ci fu mandata anche la bandiera francese con facoltà di inalberarla sulla barca, per far conoscere a tutti che noi viaggiavamo sotto la protezione della Francia; la quale avrebbe domandato rigoroso conto delle nostre persone e di ogni mancanza di riguardo che ci fosse stata usata per via. Al ricevere ordini così precisi dal Governo e dal Console Generale, il Governatore e tutti gli altri ufficiali si scossero, e con l’Agente Consolare andarono al porto, e scelsero la più solida e miglior barca, e la noleggiarono per noi, non ostante i richiami di altri, che già l’avevano accaparrata. Per renderla più sicura la dichiararono barca della posta del Governo con facoltà d’inalberarvi la bandiera francese e l’egiziana. Ciò fatto, il Governatore prese alcuni giorni di tempo per apparecchiare la posta. Fra Pasquale ed il Maltese allestirono le provviste per mangiare e dormire in tutto il viaggio; Partenza da Suez: 22.9.1846 A.Rossoe noi ci affrettammo a scrivere le lettere da spedirsi in Egitto ed in Europa, con le quali annunziavamo la nostra partenza da Suez.
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