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mercoledì 30 marzo 2016

Guglielmo Massaja --- Memorie storiche...

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5.
SUL MARE ROSSO:
RISCHI DI LINCIAGGIO E DI NAUFRAGIO.

Arrivato il giorno determinato la mattina verso le otto venne il Signor Costa e ci portò tutti dal governatore, il quale chiamò il Reïs (capitano) della barca e fece la consegna delle nostre persone e di tutto [p. 61] il bagaglio, fatta quindi innalberare la bandiera egiziana, e poscia accanto la francese ci congedò. noi però siamo ritornati un momento in casa per fare un poco di pranzo, mentre gli uomini della barca anche loro recaronsi alle loro case per congedarsi dalle loro famiglie[;] circa le dieci [di] mattina già eravamo tutti in barca, e levata l’ancora salutammo gli amici e la città di Suez. i primi timori... arrivo alla fontana di MosèCome noi non eravamo ancora accostumati a simili barche, appena perduta la vista di Suez e siamo entrati al largo le unde facendosi un poco più vive alcuni di noi tremava[no] a certi colpi di vento, benché ordinarii ed i marinari ridevano dicendo forze in cuor loro[:] vedrete di meglio.

martedì 23 settembre 2014

Guglielmo Massaja Memorie storiche... 10. INVASIONE ABISSINA. CONSACRAZIONE EPISCOPALE DI MONS. DE JACOBIS.

/77/

10.
INVASIONE ABISSINA.
CONSACRAZIONE EPISCOPALE DI MONS. DE JACOBIS.

questioni di degiace Ubiè col governo di MassawahEravamo entrati in Decembre, l’epoca appunto in cui dai paesi alti possono discendere le truppe abissinesi, ai paesi bassi del littorale, (1a) benche ciò non sia una cosa ordinaria, ma solo in caso di conflitto per gravi motivi. Ismaele effendi, quel governatore stesso che aveva distrutta la mia casa, era una persona intrapprendente, ed aveva fatto un passo che offese i diritti dell’Abissinia sulla costa: aveva fatto due fortezze, una in Arkeko, ed un’altra ad Umkullo, e vi teneva stazione di soldati egiziani, contro i diritti dei Naïb, i quali in tutti i tempi sono sempre stati considerati come dipendenza abissinese, ed i Turki non sortivano dall’isola colla forza; ciò aveva irritato il Naïb, e questi gridò presso il principe Ubie.
Questo fatto aveva sollevato molte dicerie, ed essendo arrivato il mese di Decembre, epoca unica che la forza Abissina può discendere in tutto l’anno, gli abitatori della costa temevano. Per questa ragione noi abbiamo accelerato[p. 132] [23.12.1848;
3.3.1849]
l’operazione delle Ordinazioni per disperdere subito tutti questi ordinandi e rimandarli tosto ai loro paesi prima dei torbidi politici, tanto più poi che a misura che le notizie dei movimenti militari d’Abissinia prendevano consistenza gli stessi abissinesi non erano più sicuri nei paesi del littorale.
/78/ guerra tra l’Abissinia e Massawah. fuga delle popolazioni all’isolaPer questa ragione, appena finite le ordinazioni, e partiti che furono gli ordinandi, invece di passare le feste del Natale in terra ferma abbiamo deciso di ritirarci nell’isola di Massawa, e colà abbiamo fatto trasportare tutti gli effetti di casa e di Chiesa, a fronte che l’Agente Consolare Degoutin ci consigliasse a non temere. Crescevano intanto ogni giorno le notizie di ostilità e di guerra trà l’Abissinia e Massawah. Tutto il villagio di Umkullo si era ritirato, il solo V. Console Degoutin restava là, si può dire anche prudentemente, sia per non accelerare lo spaurachio publico con danno del commercio, sia anche perche egli, come amico dell’Abissinia, pensava che non sarebbe stato toccato, e nel caso avrebbe potuto fare le parti di conciliatore.
Discesa delle truppe abissinesi alla costa.
massacri
[3-4.1.1849]
Appena passata la festa del Natale latino (1b) l’Abissinia infatti incomminciò a moversi e discendere; l’istesso Degoutin [p. 133] aveva messo in salvo la sua famiglia e qualche cosa più preziosa, ritenendo sempre ancora in Umkullu molti capitali sulla speranza che gli abissinesi avrebbero rispettato la bandiera francese. Le trupe di Ubiè erano accampate già in Ajlat (1c) luogo di sorgenti minerali abbastanza calde, e dove passavano facevano man bassa. Allora il Governatore di Massawah trovandosi alle strette convocò tutti gli europei a consiglio.
Si trovavano in Massawah allora, oltre di me, di Monsignor Dejacobis, ancora due viaggiatori Francesi M.r Vissier, e M.r Arnou di ritorno da una missione in Arabia Felice sulle rovine di Sahaba, i quali avendo trovato colà delle iscrizioni etiopiche, erano ritornati in Massawah per andare ad Aksum, e confrontare certi caratteri trovati in Sababa con quelli di Aksum; vi erano ancora alcuni Greci, ma non furono chiamati. Vedete, disse il governatore, il mio predecessore ha fatto queste fortezze in terra ferma senza consultare il governo, ed ha compromesso la pace tra Massawah e l’Abissinia (2a); Massawah vive dell’Abissinia, come /79/questa vive di Massawah. Per questo, come suppongo, sono discese le truppe abissinesi, truppe non disciplinate, le quali faranno del gran mali in questi contorni; se si sparge molto sangue dagli Abissinesi [p. 134] in questi contorni, la maggior parte della popolazione qui radunata cercherà di vendicarsi contro i cristiani che vi sono qui, ed io non ho soldati abbastanza per custodire le fortezze fuori, e l’ordine qui nell’interno. Massawah gremita di gente
[5.1.1849].
minacie di fame
[Per di] Più, come vedete, l’isola è piena di gente, e se gli Abissinesi verranno e si impadroniranno di Umkullu e di Arkeko non avremo più aqua bastante, perché le cisterne del governo non bastano per molti giorni, come non ci basterà il pane per tutta questa gente. Cosa sarebbe meglio fare quì? Io sono d’avviso di mandare oggi una deputazione al campo, per la quale prego i due Monsignori Massaja e Dejacobis con proposte di pace. Se acettano bene, se non acettano, prima di tutta penso a salvare gli europei: vi darò delle barche ed anderete tutti a Dalak fino all’ultima decisione di questo affare.
Deputazione al campo abissinese appoggiata da noi.
spedizione di abba Emnatu
[4.1.1849].
Dejacobis si risolve di esser consacrato vescovo.
Io con Monsignore Dejacobis abbiamo deciso di spedire al campo abissino Abba Emnatu con un’altro sacerdote indigeno muniti di istruzioni e di lettere, e partirono quasi subito. Fratanto si presero tutte le misure per la fuga a Dalak in caso di rifiuto. Avendo fatto qualche rimprovero a Monsignore Dejacobis per la sua ostinazione nel rifiuto della consacrazione, ho veduto che si dimostrò commosso e spiacente di essersi così regolato; [gli dissi:] allora siamo ancora a tempo e se vuole lo faremo prima di partire per [p. 135] Dalak, oppure lo faremo in Dalak. Allora Egli mi rispose, che se tutti i Cristiani suoi non sarebbero partiti [tutti] con noi per Dalak, egli contava di morire coi suoi cristiani in Massawah, epperciò, che avrebbe amato meglio che si fosse fatto [il rito della consacrazione episcopale] in Massawah prima di partire.
Epifania latina
[6.1.1849].
Sentendo così, non ho voluto rifiutarmi al consenso dato. Una parte del Pontificale con altri oggetti sacri erano già sulla barca in mare, ed ho mandato subito [chi di dovere] per fa[r]gli ritornare. Si trattava niente meno di fare la funzione di notte la mattina del sei Gennajo giorno /80/ dell’Epifania, consacrazione di Dejacobis di notte
[iniziata la sera di domenica
7.1.1849]
e farla in modo che terminasse al più tardi verso le otto, perché era il caso della partenza.
La risposta della delegazione spedita non era ancor venuta, ma già dal publico si conosceva, ed i mussulmani nell’isola erano furiosi contro i Cristiani; epperciò per fare la funzione avevamo bisogno di una quantità di soldati per custodirci; la casa aveva una sortita dalla parte del mare, dove restavano gli europei sopra la barca armati, e mi dicevano di restare tranquillo da quella parte. La gran porta dalla parte della città era molto forte, ma vi abbisognava sempre almeno una decina di soldati; ho mandato perciò [richiesta] al Governatore il quale gli promise.
cerimonia della consacrazione[p. 136] Abbiamo lavorato sino quasi [a] mezza notte per preparare la cappella nella sala di conversazione sopra il mare, e nell’istruire i due Preti indigeni assistenti, i quali nemanco erano capaci di servire la Messa latina: appena ci restarono due ore per un poco di riposo, perché prima delle tre quelli che erano di guardia dovevano chiamarci.
Alle tre circa [ci siamo] alzati, [e] abbiamo dato tutti gli ordini necessari; Fr. Pasquale, l’unico che avevamo, il quale poteva ancora aiutarci in certe cose, era l’unica persona sicura per guardare la casa, armato con due pistole, poteva appena fare qualche comparsa per poter dire d’aver sentita la S. Messa il giorno dell’Epifania, e prepararsi alla S. Communione girando di quà e di là. L’altare maggiore pel Consecrante era fatto con tre casse vuote una sopra l’altra; l’altarino del consecrando con due casse, poste una sopra l’altra alla distanza di un mettro; due altre casse coperte di rosso servivano di sedia ai due Pontefici. Quattro piccoli candelieri da tavola si trovavano sull’altare maggiore, e due sull’altarino; la cappella era una stanza larga tre metri, e lunga quattro. Dopo le tre si incomminciò la funzione, nella quale il consacrando teneva abitualmente nelle mani il Pontificale per tenersi al corrente della rubrica, e me lo consegnava quando io doveva leggere, dimodoché faceva anche un poco da ceremoniere, per mancanza di altra persona che conoscesse il latino, e per assicurarsi di nulla obliare. Avevamo tre mitre, ma un solo pastorale, epperciò sul fine [del rito] per fare il giro e benedire, e per l’intronizzazione [il consacrato] prese il mio ed io me ne stava diritto senza pastorale. [p. 137] Come Monsignore Dejacobis non aveva ne croce ne annello, io gli ho dato una mia seconda croce molto semplice, ed un annello di argento con pietra falsa, due oggetti che il sant’uomo conservò sempre sino alla sua morte; l’annello poi dopo la sua morte passò a Monsignor Spacapietra, il quale lo teneva come una reliquia, e morendo lo consegnò al suo Segretario affinché lo /81/ mandasse al Generale della Congregazione dei Lazzaristi. fine della funzioneLa funzione è stata così semplice e povera, che incomminciando la Messa io diceva l’introibo ed il salmo da solo senza [in]serviente, e lo stesso fece il consecrando, al suo altarino.
Con tutta questa povertà debbo dire che la funzione fù commoventissima: nel famoso prefazio della funzione io non poteva trattenere le lacrime, ed il consecrato più dime ancora. I due europei, i quali avevano trovato il modo di montare qualche volta sino alla fenestra per vedere, furono veduti anche [a] piangere, benché persone non molto spirituali. Il consecrato poi ha troppo corrisposto all’Ordine ricevuto, come ognun sa, per poter ancora aggiungere ilvisum est Spiritui Sancto, anche in quel miserabile tugurio, ed in quella eccezionale circostanza.
disfatta la cappella, entrammo in barca.Appena finita la funzione si distrusse subito la cappella, si legarono gli effetti, e legati dalla finestra si consegnavano alla barca, dove siamo discesi tutti, compresa [la gente del]la casa di Monsignore Dejacobis.
nostra fuga a Dalac
[8.1.1849]
[p. 138] Monsignore Dejacobis però non volle venire, e restò in Massawah, ma il Governatore per assicurare [l’incolumità del]la sua persona gli assegnò una barca per salvarsi in mare coi suoi cristiani al menomo movimento pericoloso. Prima però di separarci abbiamo preso il caffè sulla barca insieme. Così finì quella famosa giornata per noi, ma non per il paese.
strage a Umkulu,
casa, e bandiera francese abruciata.
il console in pericolo
[6.1.1849]
Gli abissinesi di quella stessa giornata vennero in Umkullu, dove fecero man bassa, abbruciando tutto il villaggio, compreso anche la casa di Degoutin agente consolare francese, e la stessa bandiera consolare che egli aveva innalzato per salvarsi: fù un vero miracolo che si sia salvato egli. L’armata abissina una volta lanciata sopra un povero paese non conosce più legge, ne disciplina; cerca prima di tutto di rubare, e poi ammazza chiunque si oppone alla sua ingordigia, e dopo che ha rubato, tutto abbrucia e nulla lascia. Il povero Degoutin che ancora non conosceva l’uso dell’armata abissina, quando ha veduto arrivare l’armata si è ritirato in casa e chiuse la porta. Come la sua casa era la più bella di Umkullu, e l’unica fatta in muro, coi fucili ha potuto lottare ed ammazzare anche qualcheduno, ma poi non poteva reggere; fortunatamente qualcheduno dei capi avendo saputo che era il console stesso capitulò, lo fece passare in mezzo all’armata e lo mandò a Massawah coi suoi due servi, ma la casa con tutto quello che vi era [p. 139] restò preda. Come io era venuto qualche giorno prima da Umkullo, calcolando quello che vi era, il poveretto ha dovuto perdere almeno 15. mille franchi. La casa principale in massoneria fù salvata, ma la scuderia, la vet - /82 / tura, cavalli, muli, e molte mercanzie che aveva tutto fù vittima, parte del fuoco, e parte del pigliaggio. (1d)
gli abissinesi in Arkeko.
sentono il canone e fuggono
[7.1.1849]
Dopo che hanno messo a ferro e fuoco Umkullu, l’armata passò ad Arkeko, ma la fortezza d’Arkeko era più solidamente costruita; aveva una guernigione di soldati armati di buoni fucili e due cannoni, che il Governatore di Massawah aveva mandato nella notte precedente. I soldati avendo veduto gli abissinesi [a] venire spararono loro contro il cannone, e fortunatamente la balla dove passò tutto distrusse: gli Abissini non ancora accostumati al cannone si spaventarono e fuggirono. Così terminò la campagna, e se ne andarono: di nuovo verso le aque calde di Ajlat; ma dopo essere rimasti tre giorni nei contorni di Massawah. L’armata abissina non aveva uomini di calcolo alla testa, del resto avrebbe potuto distruggere [p. 140] anche Massawa, ma allora gli Abissinesi temevano troppo il cannone, cosa che non temono più tanto oggi, perché si accostumarono. (1e)
ritorno delle truppe abissine
[10.1.1849].
nostro ritorno da Dalac
[12.1.1849].
Così l’armata abissina dopo tre giorni di dimora nei contorni di Massawah se ne partì, e noi grazie a Dio siamo ritornati sani e salvi da Dalak. I mussulmani di Massawah fecero una sollevazione il giorno stesso della nostra partenza contro i cristiani, ma questi non trovandosi più [nella città] dovettero calmarsi. Partiti che furono gli abissinesi, e che i mussulmani poterono sortire trovarono vittime senza fine ovunque, e trovarono molti che non erano ancor morti, ma emasculati, i quali poi guarirono, perché fra i turchi gli eunuchi essendo preziosi, non per spirito di carità, bensì di interesse trovarono chi loro prodigò le dovute cure.
/83/ risentimenti della Francia.La distruzione della casa del Console, e sopratutto della bandiera sollevò momentaneamente una questione diplomatica in Francia, sia contro l’Egitto, sia contro l’Abissinia, ma l’Egitto si difese con dire che Degoutin non ha voluto fuggire da Umkullu abbandonato dalle truppe. L’Abissinia poi non calcola le questioni diplomatiche, ma come i ragazzi teme solo la forza, e la Francia che in quel momento non voleva fare la guerra, seppelì la questione; compensò un tantino il povero daneggiato Agente consolare, ma nella sostanza lo fece risponsabile della bandiera esposta ai nemici, e fu ancora [p. 141] più tardi levato dal suo impiego di Vice Console.
fine della discesa degli abissiniLa discesa delle truppe abissinesi non ha avuto altro scopo fuori di quello di protestare contro il governo turco, il quale per la prima volta aveva esercitato atti di possesso in terra ferma, perché da un secolo prima la Turchia ha mai avuto altra pretenzione che la sola isola di Massawa, stata accordata dall’Abissinia pacificamente per la sicurezza dei mercanti arabi sulla costa.
l’abolizione della schiavitù una menzognaLa diplomazia europea se in verità fosse stata dominava da un vero principio di civilizzazione cristiana relativamente all’abolizione della schiavitù, doveva anzi tutto riconoscere questa proprietà dell’Abissinia sulla costa per levarla dalle mani dei mussulmani, naturalmente interessati in favore del commercio dei schiavi; ecco una grande operazione che tendeva a chiudere le porte alla sortita dei schiavi.
In secondo luogo doveva pensare all’educazione dell’Abissinia cristiana, punto diplomatico che ha fatto dire e scrivere tante belle cose, ma in realtà sempre abbandonato; eppure punto fondamentale, quando veramente e sinceramente la nostra europa avesse fatto [come] una base diplomatica la purgazione del mondo dalla schiavitù, ma sgraziatamente la redenzione del mondo dalla schiavitù non era che un punto secondario da servire unicamente per coprire certe operazioni meno rette nella diplomazia.
unico rimedio contro il commerciio degli schiavi era qello di educare l’Abissinia, e mantenere intatti i suoi diritti sopra il litorale.[p. 142] La massima in Europa non era che una simulazione ed un’ipocrisia, motivo per cui i bastimenti di ronda, mentre facevano oggi [facevano] un sequestro di una barca, domani passavano vicini ad un gran mercato di schiavi senza nulla dire, ed i rappresentanti dei rispettivi governi stazionati nei luoghi stessi del commercio se ne stavano tranquilli; [come] l’Europa civilizzatrice contro la schiavitù, lo stesso ha imparato [a] fare l’Abissinia, dove io in 35. anni sono stato testimonio di leggi fatte contro il commercio dei schiavi, oggi le promulgavano per darla ad intendere all’Europa e domani a nome del governo stesso si /84/ percepiva la dogana dei schiavi in tutti i mercati, ed il governo stesso vendeva i schiavi fatti nei rasia [nelle razzie] dandoli in pagamento ai mercanti.
Intanto il litorale dell’Africa orientale che mai ha appartenute, ne all’Egitto, ne alla Porta ottomana, essa ne è oggi [e] divenuta padrona sino a Gardafui; l’Abissinia quindi che si voleva civilizzata e rispettata nella sua autonomia come Paese cristiano è stata abbandonata a se, e cammina [a] gran passi alla sua totale rovina per mancanza di principio vitale, e di organizzazione sociale. Il principio vitale che consisteva nella religione cristiana si è affatto estinto sotto la pressione dell’eresia; l’organizzazione sociale senza religione, si è cangiata in un dispotismo brutale che si cangia come il vento, fatto per mangiare e distruggere le popolazioni; disgrazia che minacia la nostra stessa europa sotto un’altro nome di progresso, e di libertà, fatta per mangiare e distruggere le nazioni più grandi che hanno educato il mondo.
[p. 143] Ritornando ora alla nostra storia, dopo tre giorni di dimora in Dalak, ci venne l’annunzio che ogni pericolo era scomparso, col ritorno degli abissinesi (1f); la barca stessa che ci aveva portata la notizia era incaricata dal governatore di riportarci tutti a Massawah, motivo per cui siamo subito partiti, l’indomani mattina. nostre conversazioni e congratulazioni dopo il ritorno da Dalac.La sera verso le due già eravamo in Massawah aspettati dal Governatore stesso, e specialmente da tutti i nostri: dopo un sì grave pericolo trovarci tutti salvi ed una buona salute, lascio considerare [quale fosse] la consolazione reciproca: noi avevamo poco da raccontare, ma i rimasti, che confusione di storie...! che prorito di parlare...! per parte nostra che voglia d’interrogare e di sentire, come è andato questo? come è andato quel certo affare...!! sopratutto Degoutin, per il quale siamo partito tanto in pena, che bisogno di sfogarsi coi suoi racconti...! la sua famiglia poi che l’avevamo lasciata nella desolazione pel timore di perdere il marito, il Padre, che bisogno di versare a noi la consolazione di averlo riveduto...!
Appena poi ci siamo trovati soli con Monsignor Vescovo di Nilopoli, qual bisogno anche noi di parlare della nostra gran funzione fatta così economicamente, e direi quasi poeticamente; quanto Dejacobis era restio dal ricevere la consacrazione [p. 144] altrettanto poi era penetrato della grandezza del nuovo stato a cui Iddio l’aveva sollevato; allora /85/ m’accorsi da dove partivano le difficoltà che mi faceva, metteva fuori certe idee sul carattere episcopale, e sui doveri del Vescovo, alle quali io [non] vi aveva mai pensato: oh quanto lo Spirito Santo abbundò con lui mentre mancavano tante altre cose in quella funzione tutta semplice ed apostolica...! non potei a meno di esclamare frà me stesso; allora dissi, questa storia raccontata tal quale forse fara ridere qualcuno, ma riderà forse perché l’ha compresa, oppure perché non l’avrà abbastanza compresa? nessuna fra le tante che si dicono chiese separate dalla Cattolica è maestosa come questa quando siede con tutta la maestà di Regina, ma nessuna è più sublime di essa, perché sa abbassarsi sino alle catacombe quando è il caso, San Pietro in Roma e la cappella provisoria di Massawah, sono la storia parlante di questa grande verità.
2° viaggio:
mar.-6.5.1849
cfr. p.70-75]
Nell’ultimo viaggio per Aden andando [io] aveva incomminciato a provare un dolore alla base della colonna vertebrale; questo dolore in Aden non m’impediva di occuparmi, ma a fronte di alcuni rimedii usati colà mai mi ha lasciato; ancora ritornando, in viaggio principalmente sempre mi disturbava, sopra tutto verso sera, ricordandomi del mio Padre che ne fù quasi sempre affetto, questo mi era un pensiero [preoccupante]; nel mio viaggio ultimo a Dalak questo stesso dolore pareva voler cangiare sede e portarsi al ginocchio;[p. 145] in modo particolare verso sera io mi trovava molto tormentato con un poco di movimento febbrile; in Massawah non vi era medico, ma un semplice flebotomo arabo; l’ho fatto chiamare, e mi feci applicare una quantità di ventose all’osso sacro, ed un’altra quantità sopra il ginocchio, e ne fui molto sollevato, ma pure non mi lasciava; ho mandato un’abissino in Tigre a cercarmi una gran quantità di sanguisughe, insegnandogli la maniera di conservarle e di prenderle; per impegnarlo gli ho promesso di dargli uno scudo ogni cento; dopo quasi due settimane ritornò portandone una grande quantità. Ne ho applicato due giorni di seguito 50. al giorno nella regione dell’osso sacro, e poi due altri giorni al ginocchio, e con questo il mio dolore sparì e [non] l’ho mai più veduto per grazia di Dio. In Europa i medici fanno molto uso delle mignatte ma in troppo piccola quantità, [invece applicate] per simili malattie in gran quantità sono come uno specifico; io sono arrivato ad ordinarne anche 400. in otto giorni. La mignatta all’ano poco basta[:] 15. o 20. bastano, massime coi fomenti, ma nelle altre località l’uomo può sostenerne anche centinaia, massime certi individui dominati da pletora.

(1a) Le pioggie della zona torrida nel nostro emisfero sogliono avere luogo nei mesi del nostro estate, e potrebbe anche dirsi fra i due equinozii, perché sono regolati dai passi che fa il sole percorrendo il zodiaco, più o meno intense secondo i diversi paesi, e la diversa altezza latitudinale. Però anche in eguale longitudine i paesi alti nelle pioggie precedono i paesi bassi. I paesi più vicini al tropico sogliono partecipare, nelle stagioni, delle due zone. Massawah, benché [situata] nella zona torrida, pure, sin nelle variazioni del termometro, sia in riguardo ai venti ed alle pioggie si [man]tiene ancora col nostro inverno. La sue pioggie perciò, benché poche, sono dominanti dalla metà di novembre sino alla metà di Febbrajo cir[c]a. In questo fratempo i litorali di Massawah sono verdi di erba, ed i suoi fiumi hanno aqua dovunque. Le armate abissine hanno gran bisogno di questo, sia per i bestiami indispensabili per il trasporto, sia ancora per la cavalcatura; quindi anche per gli uomini che non possono sopportare la sete. Ecco la ragione, per cui le truppe abissine non possono discendere al litorale fuori dei tre mesi del nostro inverno.[Torna al testo ]
(1b) Il Natale latino occorre 12. giorni prima del Natale abissino, celebrato questo secondo il calcolo Juliano, nello stesso giorno in cui presso di noi occorre l’Epifania. Era quella l’epoca delle gran pioggia in Massawa, in cui la terra anche più arida ed arenosa, non manca di qualche verdura per i pascoli. Come questa verdura è molto superficiale, qualche settimana prima non esiste, e qualche settimana dopo sarebbe già arsa dal sole. Per questa sola ragione la discesa delle truppe abissine alla costa non può aver luogo che nella quinde[ci]na dei nostro Natale, perché l’abissino non può camminare senza bestie da soma.[Torna al testo ]
(1c) Le terme di Ajlat si trovano circa tre leghe francesi al Nord di Massawah. In Ajlat si trova tutto l’anno aqua in sufficiente quantità per l’armata abissina, e si trova anche un poco di pascolo, ma non sufficiente. L’armata abissina non avrebbe potuto [spostarsi] più al Sud, perché la montagna Taranta è troppo difficile [da scalare] per un’armata. Più verso il Nord l’alto piano si abbassa, e le strade sono più praticabili per discendere dall’alto piano dell’Amassen.[Torna al testo ]
(2a) Da queste parole del governatore di Massawah si vede chiaro che la terra ferma sino al mare /79/ è stata sempre considerata come proprietà abissina. Nel 1846. quando io sono arrivato a Massawah, ho trovato che l’opinione publica confermava una tale proprietà. [1840]Negli ultimi anni del Re Luigi Filippo solamente pare che in diplomazia le potenze abbiano riconosciuto il dominio della Porta Ottomana in tutto il litorale dell’Africa orientale da Massawah sino a Gardafui. Quindi le compre fatte da certi europei, anche privati, fatte prima di detta epoca devono considerarsi come valide, come frà le altre fu [l’acquisto del]la Baja di Hett fatta da due viaggiatori francesi, [che] ottenne[ro] una lettera di approvazione dal ministero di Francia. Pochi anni dopo data proprietà essendo passata nella mani del Signor Degoutin, già Vice Console di Massawah, [lug. 1845]egli la vendette al governo egiziano. La Sublime Porta fece tanti impegni per possedere la costa orientale dell’Africa per assicurarsi la chiave della tratta dei neri, contro le vigilanze europee.[Torna al testo ]
(1d) Il povero Degoutin aveva una specie di diritto di essere compensata dal suo governo per i danni ricevuti nella catastrofe. Ma i viaggiatori per lo più sono quelli che guastano gli affari con false relazioni, e per lo più guidati sempre da passioni personali. Il povero Degoutin mandato a Massawah come primo agente consolare, e con piccolissima paga, era autorizzato a fare il commercio per vivere. Fece anzi del gran bene in Massawah; fu egli che rilevò il commercio europeo colà, e si può dire che fu l’unico console acclamato da tutti: Eppure ebbe in paga la destituzione senza speranza d’impiego. La discesa della truppa abissina fù la sua rovina.[Torna al testo ]
(1e) Molto si disse, e molto si scrisse sopra il bisogno di educare l’Abissinia Cristiana, affinché divenisse un piccolo regno, per contenete il progresso dell’islamismo, già padrone di tutti quei contorni. Lo scopo era la civilizzazione dell’Africa, e l’abolizione della tratta. La nazione abissinese educata in regno, sotto la protezione di qualche potenza europea, sarebbe stato un punto troppo importante a questo scopo. Ma le potenze europee [non] furono mai diplomaticamente unite a questo scopo; ogni potenza guardò sempre l’Abissinia con viste particolari ed egoistiche. Ciascheduna potenza moltiplicando missioni politiche, per lo più sterili, e moltiplicando regali di armi, la fecero più forte, più superba, ma non più civile. Il solo principio religioso meglio protetto, poteva contribuire all’educazione di quel paese. Ma è passato il tempo in cui le nostre potenze potevano fare cose mirabili coll’elemento cattolico, unico capace. La povera Abissinia cristiana lottera ancora qualche tempo per la sua indipendenza; ma pericola molto di cadere nelle mani del radicalismo musulmano.[Torna al testo ]
(1f) La truppa [degli] abissinesi non usa di portarsi grandi provviste, perché la più parte formata di povera gente, la quale mancando di mezzi non può portare grandi provviste; nei paesi alti vive di razzia, ma nei paesi bassi non essendovi seminati non trova da vivere; i pochi bestiami che ci sono, le popolazioni nomadi che non hanno case in simili circostanze le portano altrove; epperciò morirebbero di fame.[Torna al testo ]

lunedì 8 settembre 2014

Massaja 3


Arrivato il giorno determinato la mattina verso le otto venne il Signor Costa e ci portò tutti dal governatore, il quale chiamò il Reïs (capitano) della barca e fece la consegna delle nostre persone e di tutto [p. 61] il bagaglio, fatta quindi innalberare la bandiera egiziana, e poscia accanto la francese ci congedò. noi però siamo ritornati un momento in casa per fare un poco di pranzo, mentre gli uomini della barca anche loro recaronsi alle loro case per congedarsi dalle loro famiglie[;] circa le dieci [di] mattina già eravamo tutti in barca, e levata l’ancora salutammo gli amici e la città di Suez. i primi timori... arrivo alla fontana di MosèCome noi non eravamo ancora accostumati a simili barche, appena perduta la vista di Suez e siamo entrati al largo le unde facendosi un poco più vive alcuni di noi tremava[no] a certi colpi di vento, benché ordinarii ed i marinari ridevano dicendo forze in cuor loro[:] vedrete di meglio. Per fortuna Iddio fù provido per noi e pensò ad accostumarci poco per volta, motivo per cui ci diede una bella giornata, e potemmo con sufficiente tranquillità filosofare e discorrere sul passaggio di Mosè [avvenuto] poco presso in quel medesimo luogo supponendo sotto i nostri piedi la carcassa di Faraone [sotto i nostri piedi sepolta] con tutta la sua superba armata sepolta ed impietrita. Abbiamo camminato sino verso le 5. ore di sera e siamo andati ad ancorare nelle vicinanze della fontana di Mosè, dove abbiamo passata [p. 62] la notte. arrivo a Tor
[25.9.1846],
fermata di un giorno;
L’indomani appena abbiamo avuto tempo per prendere un poco di caffè e già si tirava l’ancora, e si spiegava la vela. Tutta la giornata e stata di [navigazione] con un piccolo venticello di terra tanto che bastava per camminare lentamente, e camminando sino a sera dopo le cinque abbiamo gettato l’ancora in un piccolo porto del villaggio chiamato Tor, abitato tutto da greci scismatici soggetti al monte Sinai il quale si trovava in vista, lontano da quanto dicevano circa tre ore di viaggio. Il capitano inclinava a passare la giornata dell’indomani/36/ in Tor per farvi alcune provviste di capre, ova e galline, perché non si sarebbe più trovato altro villaggio sino a Jambo, epperciò abbiamo acconsentito con molto piacere.

L’indomani abbiamo deciso di passare la giornata nel villaggio per passeggiare un poco: Fr: Pasquale doveva portare qualche provvista per fare un poco di pranzo nel villaggio; epperciò, appena preso il caffè siamo discesi, ed arrivati al villaggio, per mettere di buon’umore i nostri barcajuoli abbiamo dato loro qualche piastra per comprarsi un capretto. Così essi di buon’umore hanno fatto il giro del villaggio per comprarsi latte di capra, galline, ova, e formagetti freschi del paese. la guerra dei due preti per causa di moglie.Le notizie del paese dicevano che i due preti del paese avevano fatto questio[ni] frà [di] loro per causa delle loro mogli, le quali avevano fatto baruffa e portata la guerra nella quale vi furono feriti. discesa del procuratore del Sinai, amicizia con lui, e progetto di viaggio al Sinai.Per questa ragione era disceso il Procuratore del famoso monastero del monte Sinai, il quale è [p. 63] considerato cola non solo come ordinario ecclesiastico, ma ancora come plenipotenziario civile. Sarebbe stata per noi una bellissima circostanza per fare una passeggiata al Monte Sinai, per la quale i missionarii non sarebbero stati contrarii, ma tutto considerato, cioè il ritardo del viaggio nostro di tre o quattro giorni ad minus, la spesa che non sarebbe stata indifferente, calcolato il regalo di uso da farsi al monastero, ed altri inconvenienti di minor rilievo, fatto consiglio cogli stessi missionarii si risolvette quasi a pieni voti per la negativa. Io me ne sono rimasto in conversazione col monaco, il quale parlava un’italiano sufficiente da farsi comprendere, mentre i missionarii facevano alcune escursioni sopra quelle aride colline, e Fr: Pasquale preparava il pranzo. Essendo venuto a farci visita il procuratore del monastero l’abbiamo invitato a pranzo, ed acettò con piacere, e diede ordine anche lui per farci preparare qualche cosa: la cucina fu fatta nella casa stessa del Procuratore, dove si recò Pr: Pasquale colle sue piccole provisioni recate dalla barca, e così il pranzo ebbe luogo colà, dove la Chiesa greca e la latina passarono qualche ora in buona armonia fino a tanto che la conversazione si tenne sopra cose mondane e puramente materiali, ma quando il Reverendo greco ebbe gustato qualche bicchiere di vino e qualche chiccara di aquavite, ed ho cercato destramente di toccare certe corde che interessavano troppo la macchina nel più vivo, [p. 64]avendo veduto che incomminciava a tirare [dei] calci, per non guastare la fritata senza aver il tempo materiale di aggiustarla con qualche utilità ho giudicato meglio di conservare le ova per miglior occasione. visita della chiesa di Tor,Dopo il pranzo abbiamo visitato la Chiesa, ancor più miserabile di quella di Suez, ma non abbiamo cercato di visitare il San[c]ta San[c]torum, e sortiti siamo andati a vedere la fontana, dove il villagio prende l’aqua /37/ [prende l’aqua] dolce per gli usi di casa, e dove fanno bere le loro capre. Le barche arabe che venivano da Suez, dove l’aqua dolce era molto cara prima che ci fosse il canale, partivano da Suez con pochissima aqua e venivano a Tor per fare la loro provvista, così ho veduto che facevano i nostri barcajvuoli. ed il supposto luogo del cantemus domino; esaggerazioni dei ciceroni greci.Questi greci di Tor credono che Mosè abbia passato il mare rosso a Tor, e credono che anche quella sia una fonte ottenuta da Mosè miracolosamente, ed alcuni fanno vedete il luogo dove egli compose ilcantemus Domino, ma stando alla comune [ubicazione] del luogo dove entrò il popolo ebbreo secondo i segnali della Scrittura, Mosè avrebbe triplicato il viaggio colla diagonale che avrebbe fatto. Sarei stato molto curioso di discorrere sulla storia del Sinai, ma, parte perché la sua lingua italiana era insufficiente, e parte anche vedendo la gran facilità di esaggerare, incapace poi di distinguere il reale dal fattizio ho giudicato meglio [di] lasciare a parte l’impegno; questi greci in Oriente sono quelli che hanno guastato ed avvilito tutte le tradizioni dei luoghi santi; più tardi poi mi sono convinto [p. 65] the i ciceroni greci dei luoghi santi sono quelli che hanno riempito l’Abissinia di ridicole tradizioni sui medesimi. partenza da Tor, passaggio del golfo dell’arabia petrea, arrivo a Jambo in sei giorniPassata intanto la giornata verso sera siamo entrati sulla barca per partire la mattina seguente sul fare del giorno. Abbiamo camminato tutto il giorno costeggiando sempre il litorale asiatico, e non è che verso sera che abbiamo perduto di vista il monte Sinai, a misura che si avvicinava l’imboccatura del golfo dell’Arabia petrea. Abbiamo camminato tutta la notte e la mattina seguente eravamo ancora avanti l’imboccatura suddetta con un’agitazione di mare non indifferente. Non avendo più le date non posso dire il certo, ma credo che eravamo il giorno della Croce 14. Settembre, perché mi ricordo che abbiamo fatto un poco di festa sotto questo [giorno] in quel luogo. Avendo perduto tutte le memorie, non posso dirlo certo, ma credo che abbiamo ancorato due notti, e da Tor abbiamo [abbiamo] camminato sei giorni e quattro notti per arrivare a Jambo sopra il quale passa il tropico, e dopo il quale si entra nella zona torrida. In Jambo siamo rimasti fermi due giorni per fare provviste di aqua e di altro. Nei due giorni siamo discesi, ma con poca soddisfazione, perché il paese, già fanatico e pieno di pellegrini fanatici era meglio usar prudenza. Una sera vicino a noi si trovava ancorata una barca piena di pellegrini algerini, molti dei quali io aveva conosciuto in Alessandria ed in Cairo andando al Consolato[p. 66] perché questi benedetti algerini di recente conquistati dalla Francia, questa per accaparrarseli dava il passaggio gratis a tutti i pellegrini che andavano alla Meca sopra tutti i vapori del governo andando e venendo; non contento di questo in Alessan[dria], in Cairo, in Suez, ed in Gedda i Consoli avevano delle somme disponi- /38/ bi[li] per soccorsi straordinarii agli Algerini di passaggio. questioni con i pellegrini algerini.
ci obbligarono ad abbassare la bandiera francese
[1.10.1846]
Con tutto questo questi algerini incomminciarono già in Suez a lanciarci qualche parola di poco rispetto, e quella sera essendo vicini a noi non la finivano più; vedendo così ho creduto [di] fare una cosa prudenziale ordinando che si mettesse la bandiera francese. L’avessi mai fatto! perché si alzarono tutti, e con minacie ci obligarono ad abbassarla; il capitano della barca vedendo queste teste esaltate, per assicurarsi nella notte che non arrivasse qualche cosa di sinistro prese il partito di allontanare la barca; non vi è che il timore che avvilisce ed abbatte il mussulmano, le generosità e le cortesie lo fanno più insolente; così in proporzione sono gli abissinesi, e generalmente tutti i popoli che non hanno gustato il Vangelo e temperata la loro natura collo spirito del medesimo. Questa è la ragione che i nostri così detti fratelli popoli dell’istessa Europa, a misura che progrediscono e civilizzano allontanandosi da Cristo diventano ancor più barbari degli stessi mussulmani; ancora temono le masse cattoliche, ma pure incomminciano a dare dei saggi di una barbarie che non si trova altrove; con questa gente non c’è che il bastone che gli avvilisca, e fino a tanto che le masse sono ancora [p. 67] di Cristo resta a vedere se sia più giusto consigliare la pazienza, oppure un’azione energica; tanto più quando un gruppo di mascalzoni con bugie e con patenti ipocrisie si sono impadroniti del governo ed a nome del popolo dopo aver caciato i legittimi governi vogliono ancora caciare Cristo per fare vero macello dei popoli. Del fatto suddetto io ho fatto una fedele relazione al governo francese, ma nulla ha fatto, e ciò in tempo di monarchia.

Dopo due giorni passati in Jambo la mattina del terzo giorno prima del giorno abbiamo levato l’ancora e spiegata la vela; so che abbiamo messo sette giorni per arrivare al porto di Rabbo; in questi sette giorni abbiamo riposato la notte due o tre volte in qualche ancoraggio isolato nell’littorale dell’Arabia Petrea che abbiamo sempre seguito fedelmente, ma non avendo oggi le mie memorie non posso dire il nome di detti luoghi. tropico, passaggio alla zona torrida.
minaccia di naufragio; nostri timori
[30.9.1846-1.10.1846]
Lasciando Jambo sotto il tropico abbiamo avuto una forte agitazione del mare; una notte camminando la barca tutto all’improvviso fece un gran colpo in modo che ci spaventò, e tanto che temendo, ci siamo confessati tutti a vicenda; come era oscuro non si poteva vedere cosa fosse; i marinari [si] calarono nell’aqua e con grandi sforzi la tirarono fuori. La povera barca era entrata sopra un banco coperto di circa un metro di aqua, ed ogni momento alzata da un’ [p. 68] undata, passata questa abbassandosi batteva sul banco di corallo e faceva un colpo che ci spaventava: fortunatamente la barca non essendo molto /39/ carica i colpi erano tali da poter resistere senza rompersi; appena sortito dal banco col lume la visitarono, e non facendo aqua fummo tranquilli, e continuammo il nostro viaggio con un vento in poppa che si camminava quasi come [su] un vapore. arrivo a Rabbo dopo Jambo nel settimo giorno
[5.10.1846].
La mattina del settimo giorno dalla partenza da Jambo verso le dieci siamo entrati nel porto di Rabbo.


visita del Comandante.Rabbo è il porto di Medina, dove Maometto, cacciato dalla Meca sua patria, si refugiò, e dove incomminciò il suo regno; quindi dopo aver regnato in Meca molti anni verso il suo fine volle ritirarsi in Medina, e colà essendo morto avvi colà il suo sepolcro, motivo per cui dopo Meca, dove esiste il gran tempio di Kàba (1a) Medina è il secondo santuario dei mussulmani. Rabbo porto di Medina, paese fanatico; conversazione col comandante albanese.Rabbo è luntano una buona giornata da Medina, ed il commercio di quest’ultima per tutte le asportazioni ed importazioni si fanno per Rabbo, città forte con un governatore, ed una dogana. Come il paese è molto fanatico mussulmano, già eravamo avvertiti in Suez che non potevamo sbarcare senza esporsi a pericolo. Però venne a trovarci il Governatore stesso, uomo di circa 60. anni, un’albanese, il quale ha fatto il soldato più di 30. anni fedelmente ed era arrivato sino al grado[p. 69] di Capitano, ma di quelli che non avendo fatto studii sufficienti non avrebbe potuto sperare un grado superiore nell’armata attiva, ha ottenuto in premio un governo di una posizione forte di secondo ordine. Come era nativo di un paese misto di cristiani e di mussulmani non era un fanatico seguace di Maometto, anzi aveva una simpatia per i cristiani, e se non erro, aveva anche dei parenti cristiani; sgraziatamente non poteva esternare questa sua simpatia per i cristiani ed anche per gli europei, perché [abitava] in un paese fanatico mussulmano, dove sarebbe certamente stato accusato come cristiano. Avendo inteso che erano venuti europei, era venuto egli a trovarci per impedire la nostra discesa, e si presentò anzi con regali, perché conosceva benissimo che noi avevamo del vino e del[l’]aquavite sperando di bere, cosa che non avrebbe potuto fare in Rabbo, dove il vino e tutti gli spiriti non possono entrare sotto gran pena. Parlava l’arabo, il turco, e suffi- /40/ cientemente l’italiano; epperciò potevamo conferire insieme senza pericolo di essere compresi. Noi eravamo fortunati di aver trovato una persona di quel carattere in un paese, dove non potevamo sperare di parlare liberamente, ed il desiderio [p. 70] che avevamo d’informarsi degli usi di quei paesi impenetrabili per noi, ci rendeva la conversazione sua molto cara. Eravamo fissi di passare solamente un giorno in Rabbo, ma egli tanto fece che restammo due giorni. Io aveva scritto molti detagli sulla Mecca e sopra Medina, ma restarono perduti con molti altri documenti. Nei due giorni che passammo colà veniva sempre il pranzo fatto da casa sua, ed egli ha mangiato anche qualche volta con noi. carattere e sentenze di questo comandante;Questo uomo è stato caratterizzato da noi per un vero incredulo mussulmano, e nel suo cuore forze più cristiano che mussulmano, perché diceva certe sentenze da crederlo tale: quando beveva era solito dire[:] turco fino mangiar porco e bever vino; quando si parlava di Maometto diceva: i Santi Cristiani o hanno una sola moglie oppure nessuna, ma il nostro Profeta ne aveva 14 e tutte rubate, anzi le mogli degli altri erano tutte sue. Potrei rapportare qui molte altre confessioni sortite dalla bocca di questo uomo, le quali potrebbero anche essere utili per far conoscere cosa è l’islamismo, eresia che ha perduto e perde ancora tante anime, eresia che presenta l’estrema libertà alle passioni del[l’]uomo, unita ad un’estremo dispotismo monarchico, ma sarei troppo lungo e sortirei dal mio scopo.

p[a]rtenza da Rabbo. arrivo a Gedda, Capitale del mare rosso, e porto del pellegrinaggio;
ricevuti dal cancelliere Serkis
[8.10.1846]
Passati due giorni in Rabbo la mattima del terzo giorno siamo partiti di là e la mattina del terzo giorno poco dopo [p. 71] la levata del sole già eravamo avanti [a] Gedda, città la più grande di tutta la costa asiatica del mare rosso, città importante sia come capitale e sede del governo di tutta l’Arabia, situata sui confini dell’Arabia petrea, e dell’Arabia felice; importante ancora come emporio di tutto il commercio del mare rosso; importante poi sopratutto come porta d’ingresso e di sortita del tanto famoso pellegrinagio dei mussulmani. Gedda veduta dal mare è bellissima per le sue case, benché mal fabricate, sono però tutte bianche epperciò visibilissime, e bella ancor più per i suoi alti minaretti (1b) e Moschee (2a). Appena ancorati nel porto, come allora non si parlava /41/ ancora di quarantina in tutto il mare rosso abbiamo spedito subito un biglietto al Console, perché noi non abbiamo osato sbarcare senza di lui. Il Console Flesnel non essendovi venne subito il suo canceliere Signor Serkis armeno cattolico con una barca per noi, ed un’altra per il bagaglio.

Così abbiamo avuto tutta la commodità di sbarcare senza altro pensiere, restando Fr: Pasquale a custodire il bagaglio nello sbarco e trasporto alla dogana e sino alla casa del suddetto Cancelliere Serkis, dove noi siamo entrati, accompagnati da lui. Come il nostro contratto colla barca era solamente per Gedda fu di natura sua congedata restando a noi l’impegno di cercar[ne] un’altra[p. 72] barca direttamente per Massawah, in quel tempo, via, quasi unica per l’Abissinia.


Il cangiamento della barca ci ha necessitati a restare in Gedda quasi due intiere settimane. Messa a cui intervennero anche i scismatici ed eretici; battesimo di molti bimbi eterodossiCome in Gedda arriva raramente un Prete all’arrivo di qualche Prete si dice la Messa in casa del Console Francese, alla quale in quel tempo intervenivano tutti i cristiani, anche scismatici ed eretici; i cristiani colà sotto la pressione dell’islamismo, si trovano come obligati a restare uniti. Si trovavano in Geddà da cinque a sei famiglie di Greci Scismatici, i quali avevano da cinque a sei pargoletti dei due sessi non ancora battezzati, (1c) pregato dai parenti ho dovuto battezzarli sulla promessa di educarli nel cattolicismo, benché si sappia che poi queste promesse non sono osservate. Come già dissi, mancando il Console Signor Flesnel scrittore orientalista e Console di Gedda, ne faceva le veci il suo Cancelliere Serkis armeno Cattolico, e noi eravamo in casa sua lautamente trattati. storia dolorosa della moglie di Serkis.Questi, venuto da giovane in Gedda come negoziante, ed avendo fatto una più che mediocre fortuna, volendo maritarsi, e non trovando una giovane in paese si era risoluto di comprarsi una /42/ schiava Galla, ed istruitala la fece battezzare da un prete di passaggio, e sposatala gli diede un figlio, che al nostro arrivo aveva già circa otto anni. La moglie, benché trattata in quella casa come una regina, pure mancando [di] una coltura religiosa, e per altra parte continuamente tentata da altre compagne Galla che si trovavano in paese, divenute mussulmane, non era [p. 73] contenta del suo stato: sentendo che noi eravamo destinati per i paesi Galla, avrebbe voluto ritornare ai suoi paesi, cosa impossibile, ma mi accorsi che ciò non era una realtà, ma che di sotto vi era qualche altra cosa. Tre anni dopo seppi che fù rapita dal Pascià Governatore, cosa che sollevò una questione diplomatica colla Sublime Porta; costò a quel Pascià la perdita della sua posizione. Il Signor Serkis fù tanto afflitto che nell’anno morì in Cairo, e dopo di lui morì anche il suo figlio. Ho veduto alcuni altri di questi matrimonii di europei fatti con schiavi [che] senza una precedente solida educazione raramente riescono. In Gedda si fa il commercio del balzamo, ed io avendone bisogno pel mio ministero ho incaricato Serkis di cercarmene, e di farmi venire un branco con foglie, e di farmelo aggiustare in un vaso. Così fece[;] ho comprato quattro oncie di balzamo, e mi portarono un branco dell’arbusto da cui lo cavano, e chiusolo in un vaso di vettro ermeticamente, ho voluto portarlo con me pel confronto in caso di trovarlo in Abissinia.

partenza da Gedda
[15.10.1846]
arrivo a Confuda
[20.10.1846]
ultimo porto del continente asiatico;
Intanto, dopo aver fatto un poco di apostolato in Gedda, forze senza frutto, dopo dodeci giorni, sopra un’altra barca noleggiata per noi siamo partiti per Massawah verso la metà di Ottobre. Colla partenza da Gedda abbiamo proseguito due giorni la costa asiatica [p. 74] dell’Arabia Felice sino a Confuda porto e città secondaria, dove il nostro Capitano della barca si era riservato di approdare e fermarsi un giorno per qualche suo affare particolare.

partenza per il continente africano
[22.10.1846];
arrivo a Dalac.
Rimasti a Confuda un giorno siamo partiti per Massawah camminando all’ovest per attraversare il mare rosso e portarci verso il littorale affricano. Dopo due giorni di alto mare siamo arrivati al piccolo arcipelago di Dalac, un gruppo di isolette abitate da una popolazione di circa 300. anime al più, le quali vivono di pascoli, e di piccolo commercio con Massawah. Qui si trova la pesca delle perle. I Veneziani avevano qui uno stabilimento per la pesca delle perle, ed ancora vi sono le cisterne fatte da essi; dopo di loro si sono stabiliti i Bagnani che la fanno con utile, perché ne conoscono il modo; sono venuti più volte europei, ma hanno fatto fiasco, perché non hanno saputo il modo di maneggiare gli indigeni conoscitori, oppure perché sono stati soppiantati dai Bagnani; mancomale si trova colle perle anche la madre perla di ottima qualità.

(1aKaba, luogo santo musulmano, è il punto, verso il quale tutti i musulmani del mondo, nelle loro preghiere, devono diriggersi, e verso il quale devono fare le loro adorazioni. Maometto, prima che conquistasse la città della Meca, aveva ordinato che il punto di direzione suddetto fosse il tempio di Gerusalemme, dove si suppone esistere la pietra sopra la quale Abramo ha fatto il [suo] sacrifizio del suo figlio Isacco. Dopo conquistata la città della Meca, ha ordinato che il punto di direzione suddetto fosse il tempio della Kàba, dove si suppone esistere la così detta pietra nera, sopra la quale Ismaele era solito sacrificare. Per i musulmani Ismaele, benché figlio di schiava, pure è considerato primogenito di Abramo; per loro Sara legittima moglie di Abramo, non è un’argomento di precedenza sopra la schiava Agar.[Torna al testo ]
(1b) Minaretti sono certe specie di torri vicine alle moschee, simili ai campanili vicini alle nostre Chiese, dai quali credo io che abbiano preso l’idea. L’architettura dei minaretti è tutta araba, diversa dai nostri campanili. Quasi in cima del minaretto esiste una specie di poggiolo o balcone in circolo, di dove il così detto santone pronunzia ad alta voce la cognita specie di formola di fede musulmana[:] Allà illalà... in tutte le ore della preghiera determinate dal corano sì di giorno che di notte. Nelle piccole moschee dei paesi si dice ad alta voce, ma in Gedda la formola è cantata.[Torna al testo ]
(2aMoschea nome dato dagli europei, ma il vero nome è Mesghid, cioè luogo di adorazione, /41/ derivato dal verbo sagada che significa adorare. Le moschee di Gedda, di Meca, e di Medina sono lo più ricche, perché i pellegrini danno molto; le moschee di Caïro sono più numerose e più grandiose; le moschee di Costantinopoli sono le più meschine, fuori di S. Soffia, benché in architettura più regolari, essendo la più parte chiese profanate.[Torna al testo ]
(1c) Debbo quì riferire il criterio che mi sono fatto nel battesimo di questi bimbi figli di eretici. L’eresia può essere un titolo civile di separazione dalla vera Chiesa di Cristo, ma mai un titolo the possa derogare la legge divina che da alla Chiesa il diritto materno sopra tutta questa società rebelle, e che la dispensi dall’amministrare i sacramenti quando nulla osta per parte dell’individuo. Se nei nostri paesi non si battezzano, è solo per mancanza del consenso paterno, assistito dalla legge civile. Simili bimbi, come figli di battezzati, naturalmente nascono alla Chiesa di Dio, e non all’eresia. La stessa scomunica della [della] Chiesa, come pena medicinale colpisce gli adulti colpevoli, ma non gli altri in buona fede, e tanto meno i bimbi. L’educazione futura incerta può essere un motivo, ma non è sufficiente, massime trà gli infedeli, dove può arrivare la morte. Fra le vittime di Gedda nel massacro del 1857. [15.6.1858]io aveva là più di 25. battezzati; per compimento vedasi ciò che ho scritto altrove a questo proposito. (anno 1864. mio viaggio)[Torna al testo ]

domenica 7 settembre 2014

Guglielmo Massaja (2)

Memorie Vol. 1° Cap. 4.
Settembre 1846
Suez
1. Partenza per Suez. — 2. Ricevimento ed alloggio in Suez. — 3. La locanda delTransito. — 4. Carattere dei servi greci, armeni e copti. — 5. Il Popo greco di Suez e la sua cappella. — 6. Visita alla sua casa. — 7. Il successore del Popo greco. — 8. La fontana di Mosè. — 9. Ostacoli per la partenza. — 10. Una donna che inghiotte monete. — 11. Il passaggio degli Ebrei pel Mar Rosso. — 12. Arrivo di pellegrini musulmani. — 13. Lettere d’Alessandria ed apparecchi per la partenza.

Capolettera F

Finalmente giunse il giorno di lasciare il Cairo. Consegnato il bagaglio al Transito inglese, e preso commiato dagli amici, salimmo in vettura, pagando per ciascuno tre ghinee, equivalenti a circa 16 franchi. Vettura e strada erano tanto comode, che sovente ci facevano fare salti poco piacevoli! Ma pure meglio così che in groppa a cammelli, i quali ci avrebbero impiegato tre lunghe giornate, laddove con la vettura A Suez: 4.9.1846 A.Rossogiungemmo a Suez in meno di trent’ore. Dopo il taglio dell’istmo, Suez è divenuta una bella città, quasi tutta europea, piccola sì, ma gaja; provveduta di un canale di acqua dolce, si è vestita di vegetazione, si è adornata di giardini, sicchè ha mutato intieramente di aspetto. Ma nel 1846 che brutto paese! Non una pianta, non un filo d’erba, ma sale da per tutto, nella terra, nelle acque e nell’aria. Allora non era che un piccolo villaggio, quasi tutto arabo e mussulmano fanatico, con una ventina al più di famiglie greco-scismatiche, peggiori dei mussulmani medesimi. Il mezzo principale di loro sussistenza era il commercio marittimo ed il passaggio dei pellegrini, che andavano e venivano dalla Mecca.
Un primo canale navigabile fu avviato dal faraone Neco II e portato a termine dall’imperatore persiano Dario; esso partiva dall’antica Bubasti, presso l’attuale città di Zagazig, passava per Heliopolis e arrivava ai Laghi Amari, a quell’epoca collegati con il Mar Rosso. In età romana era già inutilizzabile. In età moderna furono fatti diversi progetti di taglio dell’istmo, ma si temeva che fra il Mediterraneo e il Mar Rosso vi fosse un dislivello tale da rendere necessario l’uso di chiuse. Nel 1846 fu costituita a Parigi una Société d’étude pour le canal de Suez che fece un rilievo topografico preciso e dimostrò che il dislivello era trascurabile. Solo nella seconda metà del secolo la diffusione della navigazione a vapore rese l’impresa interessante dal punto di vista economico. Il progetto definitivo fu elaborato dall’ingeniere trentino Luigi Negrelli. I lavori, guidati dal francese Ferdinand de Lesseps, durarono dal 1859 al 1869. “Si stima che un milione e mezzo di egiziani lavorarono al canale, e che 125.000 di essi morirono, principalmente a causa del colera.” (Wikipedia). Nel 1875 Ismail Pascià, a causa dell’esorbitante debito pubblico egiziano, dovette cedere la sua quota di azioni del canale all’Inghilterra. Nel 1882 truppe britanniche giunsero a Suez, e “Il 29 ottobre 1888, la convenzione di Costantinopoli confermò la neutralità del canale (sotto protezione britannica), dichiarato «libero e aperto, in tempo di guerra come in tempo di pace, a qualsiasi nave civile o militare, senza distinzione di bandiera».” (Wikipedia)
La città di Suez ( السويس Al-Sūwais) si trova al bordo settentrionale del mar Rosso. Al tempo del primo viaggio del Massaia al nord si estendeva la vasta depressione dei Laghi Amari, separata dal mare in età antica, ed occupata da una vasta palude salmastra. Come nota il Massaja più avanti, il flusso della marea penetrava nella palude; ed a volte era così improvviso da travolgere coloro che si erano avventurati a piedi o a cavallo nelle acque basse. In seguito al taglio del canale l’acqua del mare vi fluisce liberamente.
/34/ 2. Al nostro arrivo cercammo l’Agente Consolare, certo signor Costa, ricco mercante greco-scismatico, al quale eravamo stati raccomandati. Questi ci ricevette gentilmente ed al modo arabo ed orientale, presentandoci la pipa ed il caffè senza zucchero. Dopo breve conversazione ci condusse in una vecchia casa di sua proprietà, poco distante da quella ch’egli abitava, e ci assegnò il suo figlio maggiore, affinchè ci servisse di guida, e pensasse a provvederci di ciò che avevamo di bisogno. Era un giovane di circa venti anni, e parlava e scriveva sufficientemente l’italiano. Il primo giorno ci fece portare un modesto pranzetto all’araba; ma poi, arrivata la carovana, assestammo la nostra casa, e Fra Pasquale cominciò a fare la cucina. E poichè la casa era abbastanza grande, potemmo adattare una camera ad uso di cappella, e celebrarvi la santa Messa.
In tutto Suez non si trovava che un solo cattolico, ed era un Maltese, il quale teneva spaccio di vini, liquori e commestibili. Come d’ordinario tutti i Maltesi, egli si regolava da buon cristiano frammezzo a mussulmani e scismatici. Appena seppe del nostro arrivo, fu subito da noi, esibendosi in tutto ciò che avrebbe potuto giovarci. La mattina non mancava mai alla Messa, e dopo si tratteneva un po’ con noi in conversazione.
3. Vi era in Suez anche una locanda, che apparteneva all’impresa delTransito, e tenuta da un protestante inglese. Per esservi ricevuto, bisognava spender molto, circa tre scudi al giorno, e non sempre vi si trovava alloggio; poichè, destinata al Transito, doveva principalmente servire per gli Inglesi ed altri forestieri, che viaggiavano direttamente dall’Europa alle Indie, e viceversa. Laonde nei giorni di passaggio, le stanze erano tutte piene. Il servizio era egiziano; che vuol dire misto di cristiani e mussulmani. L’umile servizio colà vien prestato da mussulmani, perché essi mal si adattano a servire in una casa cristiana, né i padroni li ammettono facilmente; il servizio nobile poi vien prestato da Greci, da Armeni, e raramente da Copti.
4. E qui voglio accennare di passaggio il carattere che distingue queste tre sorta di servi in Oriente. Il Greco è molto furbo, trafficante ed economo, ma per sè, non pel padrone, a spese del quale anzi largheggia volentieri. La sua moralità va invigilata, tanto nel maneggio della roba, quanto nelle attinenze con le persone, che sono in famiglia; poichè egli è molto inclinato al brutto vizio. È superbo e pieno di amor proprio, e difficilmente si lascia prendere in fallo. Dove il Greco è lontano dai suoi Popi o preti, trovandosi a servire un cattolico, sarà religioso quanto si vuole; ma non si speri ch’egli riformi il suo interno, e molto meno le sue basse inclinazioni.
L’Armeno è trafficante e dominato dalle passioni non meno del Greco; /35/ma è di un’indole più dolce, più religiosa, e possiam dire più tendente al cattolicismo. Quando nel suo cuore vi è sentimento di religione, lo trovate esatto nelle pratiche della morale cristiana, e sarà anche spirituale e mistico; ma se si aliena dalla religione, allora nelle sue passioni diventa più grossolano del Greco. Questo è astuto e molto cauto nel sedurre, laddove quello, se non manca di furberia, ha poca riserbatezza. In tutto il resto l’Armeno è un buon servitore.
L’armeno poi è anche speculista, ma è di una natura più dolce, più religioso, e possiamo dire più tendente al cattolicismo. Quando nel fondo del cuore è ben dominato dalla religione, prende bene la morale cristiana, e sarà anche mistico e spirituale; ma guai se non è dominato nel cuore dalla religione, perché allora te sue passioni materiali sono più grossolane del greco, perché quest’ultimo non suol gettare la sua rete, se non è sicuro del suo colpo, mentre quello è meno polito e civile nelle sue passioni. In tutto il resto l’armeno è mercante fino, ma più cristiano del greco, cercando questi il lucro ad ogni costo come l’ebbreo.Memorie Vol. 1° Cap. 4 nota a p.29.

Monsignor Massaja ed il Popo di Suez
Monsignor Massaja ed il Popo di Suez

Quanto al Copto bisogna distinguere. Il contadino, che è la parte più sana di questa razza, difficilmente abbandona la sua campagna e si mette a servizio. Il Copto poi delle città, dell’uno e dell’altro sesso, si pone a preferenza al servizio di ricchi mussulmani, e si adatta facilmente a tutti i loro usi e brutali consuetudini. Nelle sue passioni il Copto è più grossolano dei mussulmani medesimi. Ho avuto agio di conoscerli bene nei viaggi, che con essi ho fatto per mare e per terra: e mi sono accorto che i Greci e gli Armeni hanno un po’ di riserbatezza, la quale li trattiene dal commettere certe bassezze, laddove i Copti non hanno affatto ritegno o pudore. La loro religione poi è più mussulmana che cristiana. Studiano con premura la letteratura araba, e la storia di quei popoli e ne conoscono i pregiudizi, e forse per questo sono cercati per iscrivani tanto dai Governi, quanto dai particolari.
...il Copto delle città poi dei due sessi entra a preferenza al servizio dei ricchi mussulmani e si addatta facilissimamente a tutti i loro usi e passioni, come nazione particolarmente dominata; impara la letteratura araba e fa lo scrivano, sia dei particolari che del governo, per poco che abbia studiato conosce tutte le storie arabe coi pregiudizii che vengono di seguito. Questi nelle sue passioni materiali è grossolano più dei mussulmani stessi: io stesso gli ho veduti in detaglio nei viaggi, e sulle barche; la loro religione esterna è quasi più mussulmana che cristiana. I greci ed armeni professano una tal quale civiltà che gli trattiene da certe bassezze, mentre i giovani copti hanno perduto affatto questo sentimento di civiltà.Memorie Vol. 1° nota a p. 29.
/36/ 5. La colonia greco-scismatica di circa venti famiglie, che dimorava in Suez, aveva una piccola chiesa, ufficiata da un prete (colà chiamato Popo), s’intende scismatico esso pure. Questi non avendo grandi occupazioni pel suo gregge, passava quasi tutta la giornata sulla porta della bottega del nostro buon Maltese. Avendo più volte manifestato il desiderio di avvicinarci, il Maltese ce ne parlò, e, nel tempo stesso ci avvertì che quel povero Popo era un uomo molto semplice, ma molto inclinato a bere. Per istudiare più davvicino gli Orientali, risposi che lo avrei veduto ben volentieri. Non tardò di fatto a presentarsi col nostro Maltese; e tanto io, quanto i miei compagni, i quali più volte lo avevano veduto uscendo a passeggio, lo ricevemmo con segni di affezione, e lo invitammo a pranzo con noi.
Dopo di aver pranzato e meglio bevuto, ci invitò a vedere la sua chiesa, e lo seguimmo. La chiesa era piccola e secondo il gusto greco: benchè povera, nella navata che serviva pel popolo, era alquanto decente, e nel frontone, che chiude ilSancta Sanctorum, vi erano le immagini dei dodici Apostoli in istile semplice e bisantino, e niente altro di particolare. Indi schiuse una porta e c’introdusse nelSancta Sanctorum. Che luogo di pietà e di pulitezza! Una vecchia tavola, nuda e con qualche rozzo candeliere di sopra serviva di altare; in un angolo, un incensiere di rame tutto annerito; altrove, alcuni piatti di rame arrugginiti e sporchi, e dentro una cassa, pochi poveri paramenti sacri gettati là disordinatamente. Ma il buon Popo non ci avca ancora fatto vedere il meglio. Aprì un armadietto, le cui tavole tarlate facevano polvere da per tutto, e ci presentò dentro un piatto alcuni pezzetti di pane mezzo muffito, dicendoci: — È questa l’Eucaristia conservata per gli infermi. — Al sentire nominare l’Eucaristia (in verità supponevamo che fosse valida la sua Ordinazione, e quindi la consacrazione), ci venne spontaneo di metterci in ginocchio, se non altro per edificare quel poveretto, il quale è da dubitarsi se comprendeva che cosa fosse Eucaristia! Allora egli vedendo noi in quell’atteggiamento, e non sapendo darsi ragione di quell’atto, montò in collera, e prorompendo in esclamazioni ed in gesti di disprezzo, che gli fecero cadere per terra la sua Eucaristia, sembrava un ossesso; sicchè noi ci alzammo ed uscimmo presto di là, donde anche una nauseante afa calda ed un nugolo di grosse mosche ci cacciavano via.
6. Rabbonacciatosi dopo pochi minuti, ci raggiunse, e ci condusse a casa sua, dove trovammo in sulla porta una giovane, che ci stava ad aspettare. Ella era sua moglie, vestita come a nozze, con ghirlande di oro, pietre preziose ed altri ornamenti all’uso orientale. Con affettate cerimonie e molto contenta dell’onore che loro facevamo, e introdusse in casa, e ci /37/ presentò una merenda sontuosa e pulita, almeno per quei luoghi. Quella Popessa in verità mi fece un’impressione spiacevole, principalmente in vederla così azzimata, piena di vanagloria, e tenere un contegno tutt’altro che modesto, come si converrebbe alla moglie di un Popo. Ma il P. Giusto, che sul conto suo aveva sentito varie dicerie dal Maltese nostro amico, non ne fu meravigliato: anzi dirigendole parole di lode, le diede motivo a sciogliere la lingua, e mostrarsi realmente qual’ella era.
7. Quel giovane che il signor Costa ci aveva dato per guida, finchè dimoravamo in Suez, faceva anche da diacono nella parrocchia del nostro Popo, e frequentava spesso con questa scusa anche la sua casa; il che dava motivo a dicerie nel paese. Veramente questo giovane non sembravami pasta d’Agnus Dei. Io ebbi varie conferenze con lui, e mi sforzai di gettare qualche buon seme nel suo cuore; ma trovai un cuore di sasso, e non solo indisposto a ricevere il bene, ma bollente di odio settario contro di noi. — I Latini, diceva, vogliono dominarci; ma noi non ci lasceremo vincere. Siete pur degni di compassione. Il Papa vi proibisce le donne ma noi abbiamo acquistato la nostra libertà e ce ne gloriamo. —
Queste e simili sentenze mostravano abbastanza la perversità e corruzione del suo cuore. Faceva un po’ di scuola greca ed araba a giovani d’ambo i sessi, e sulla sua moralità, principalmente in iscuola, si dicevano brutte cose; ma suo padre, persone autorevole in paese, imponeva silenzio a tutti. Egli vedeva con pena l’erezione della nostra cappella, e guardava di mal occhio il Maltese che la frequentava. Era insomma un brutto soggetto.
Nel 1850, ritornando io a Roma per affari della Missione e passando per Suez, seppi che, morto quel buon uomo del Popo, il giovane Costa, pagando non so quanti scudi al suo Vescovo, era divenuto erede della parrocchia e della Popessa, licenziando con bel modo un’altra giovane sposa che si aveva! Oh la moralità dello scisma greco e dei greci scismatici!...
8. Non molto lontano da Suez eravi una fonte di acqua salmastra, la quale poteva solamente servire per lavare e per altri umili usi; ma per bere e per servizio di cucina si faceva venire per mare altra acqua in una barca. Il Governatore la faceva portare e poi distribuire agli amici ed alle persone particolarmente raccomandate. Quest’acqua veniva dalla fontana di Mosè, così chiamata, perché credesi che sia appunto quella, che il gran condottiero del popolo di Dio fece miracolosamente scaturire per dissetare il popolo ebreo dopo il passaggio del Mar Rosso. Per alcuni giorni l’Agente Consolare Costa ce la diede, ma poi, o il facesse con intento di guadagnare, o per un malanimo verso di noi Latini, eccitato in lui da /38/ mussulmani e consettarj, fatto sta che cessò di passarcela. Il Maltese ci consigliò di fare una visita al Governatore e parlargliene. Di fallo vi andammo, e fummo ricevuti nella sala del Divano, dov’egli soleva dare udienza e tenere giudizio. Gli movemmo discorso dell’acqua e del bisogno che ne avevamo; e subito diede ordine che ci fosse portata, raccomandandoci di dare qualche piccola retribuzione al solo portatore.
Il termine di origine persiana diwan ﺩﻳﻮﺍﻥ indicava originariamente registri amministrativi; passò poi ad indicare il locale in cui questi erano tenuti, infine i cuscini su cui sedevano gli scrivani.
9. Questo Governatore, che tanto gentilmente ci avea provveduti di acqua, poco dopo, forse sobillato da quei fanatici mussulmani, mise fuori ostacoli sul nostro viaggio in Abissinia; e diceva che, trattandosi di un Vescovo, il solo Vicerè poteva mandarlo colà, dopo aver pagati alcuni tributi, e compite altre formalità; perché l’Abissinia era un paese appartenente al Sultano, e quindi dipendente anche dal Vicerè. Risposi che non essendo io un Vescovo copto mandato in Abissinia, ma un Vescovo Missionario latino, destinato dai miei Superiori ai paesi galla, non poteva essere obbligato né a tributi, né ad altro; in Abissinia poi io non avrei fatto altro che passare, non fermare la mia residenza. Tuttavia il Governatore mi consigliò di scrivere al Governo per ottenere documenti più espliciti. Ne scrissi subito al Console Generale francese ed a Monsignor Delegato, il che fece ritardare di quindici giorni la nostra partenza.
10. Uscendo dalla casa del Governatore vidi sotto il portone una povera donna, vecchia, quasi nuda e legata ad un grosso anello di ferro. Domandai al nostro Maltese il perché di quel castigo; ed egli, che ben conosceva il paese, ci raccontò che nell’Egitto si percepiva un piccolo tributo personale anche dai poveri, quando poteva provarsi che possedessero qualche cosa. La donna suddetta faceva il mestiere di girare pel paese con un paniere al braccio, raccogliendo stracci, ossa ed altre miserie. Erano più anni che essa non pagava il suo tributo; ed essendo stata denunziata da una sua compagna come posseditrice di alcune monete d’oro, le quali teneva nascoste tra i suoi stracci, un giorno fu sorpresa dagli agenti del Governo ed intimata a pagare. Vedendosi scoperta, prima che la frugassero, inghiotti in un attimo le sue monete. Ma non valse quest’astuzia a salvarla; poichè gli esattori, che erano avvezzi a vedere simili scene, la legarono e la tenevano là, finchè non avesse messo fuori per altra via quel miserabile tesoro a beneficio del Governo. Così son trattati i poveri dai figli di Maometto!
11. Nel tempo della nostra dimora in Suez, verso sera, in cui erano diminuiti i calori cocenti, facevamo una passeggiata in riva al mare; e lì il nostro discorso cadeva spesso sul passaggio del popolo ebreo pel Mar Rosso, e sulla strada che dovette tenere, venendo dalla terra di Gessen. Erano da /39/ noi riferite le diverse opinioni, ed anche le eterodosse si discutevano; facevamo inoltre riscontri locali, e ciascuno diceva il suo parere su questo gran fatto scritturale. Suez è situato sulle riva del Mar Rosso, e propriamente in fondo al golfo, che da esso prende il nome; ed è probabile, e molti indizj ci portano a credere che in quel lontano tempo il mare si estendesse oltre il sito della presente città. Il flusso e riflusso, che scende quasi a due metri dalla sua totale elevazione al suo totale abbassamento, ha dato motivo a molte difficoltà ed obbiezioni sul racconto mosaico. Ma le prove son palpabili, ed i luoghi, le misure, i segni e le circostanze, così chiaramente descritti nella Sacra Scrittura, e che ancora si riscontrano in quelle spiagge dell’Oriente, sciolgono ogni difficoltà ed obbiezione. Il luogo del passaggio accennato dalla Bibbia è là designato ancora dalla costante tradizione a mezza giornata di cammino da Suez verso Austro. Là il deserto, la strada tenuta dagli Ebrei nella loro fuga dall’Egitto, il mare, le montagne vicino alla spiaggia, la distanza di una notte di viaggio dall’una all’altra sponda, la fontana di Mosè, e là tutti i nomi biblici ancora conservati, o di poco alterati nei posteriori dialetti. Dunque per queste ragioni, e per tante altre che si potrebbero addurre, siamo costretti ad ammettere che gli Ebrei non potevano tenere altra via che quella indicata dai cattolici espositori, e non mai molto più basso, cioè quasi alla sponda, come pretendono varj miscredenti e nemici della Bibbia.
I moderni commentatori individuano il passaggio del “mare di Giunchi” (che la versione dei Settanta identifica nel Mar Rosso) nelle lagune salmastre più a nord di Suez, e non a sud (“austro”) dove lo pone il Massaja.

Arrivo a Suez di pellegrini mussulmani
Arrivo a Suez di pellegrini mussulmani

/40/ 12. Mentre fra noi si parlava dell’imbarco, tutti i giorni arrivavano dal Cairo carovane di pellegrini, diretti alla Mecca; e quindi di giorno in giorno crescevano le ricerche di barche ed aumentavano i prezzi: ed intanto le lettere che aspettavamo da Alessandria per ordinare al Governatore di lasciarci partire in pace, ancora non arrivavano. In questo tempo noi facevamo provviste pel viaggio, che, sino a Gedda, ci avrebbe forse tenuti sul mare più di quanto temevamo, anche un mese; giacché esso doveva dipendere dal mare e dal vento più o meno favorevole. Nel nostro passaggio dall’Europa all’Egitto venivamo portati da piroscafi che resistono alle furie dei venti e del mare, e sui quali si può passeggiare, conversare e dormire a piacimento; ma sulle barche arabe il viaggiatore affida la sua vita a piccoli legni, che uno sbuffo di vento, od una falsa manovra dei marinari possono capovolgere. Più, si sta stipati tra persone rozze e sudicie, piene di pregiudizi contro di noi, ed anche nemici. Tutti questi pensieri si presentavano sovente alla nostra immaginazione, ed accrescevano i nostri timori. Fra di noi non si pensava, non si parlava d’altro, e financo dormendo si sognava questo. — Ma, in conclusione, dicevamo sorridendo, siamo in ballo, e bisogna ballare; e poi il mare ha anch’esso il suo padrone, che e Dio, e noi in lui dobbiamo affidarci e sperare. —
13. In mezzo a queste nostre preoccupazioni, ecco giungere da Alessandria le aspettate lettere. Con esse si ordinava al Governatore ed all’Agente Consolare di procurarci un sicuro imbarco, assisterci e proteggerci: più s’ingiungeva loro di accompagnarci con lettere al Governatore di Gedda, il quale poi doveva notificare al Governo il nostro arrivo col primo corriere. Ci fu mandata anche la bandiera francese con facoltà di inalberarla sulla barca, per far conoscere a tutti che noi viaggiavamo sotto la protezione della Francia; la quale avrebbe domandato rigoroso conto delle nostre persone e di ogni mancanza di riguardo che ci fosse stata usata per via. Al ricevere ordini così precisi dal Governo e dal Console Generale, il Governatore e tutti gli altri ufficiali si scossero, e con l’Agente Consolare andarono al porto, e scelsero la più solida e miglior barca, e la noleggiarono per noi, non ostante i richiami di altri, che già l’avevano accaparrata. Per renderla più sicura la dichiararono barca della posta del Governo con facoltà d’inalberarvi la bandiera francese e l’egiziana. Ciò fatto, il Governatore prese alcuni giorni di tempo per apparecchiare la posta. Fra Pasquale ed il Maltese allestirono le provviste per mangiare e dormire in tutto il viaggio; Partenza da Suez: 22.9.1846 A.Rossoe noi ci affrettammo a scrivere le lettere da spedirsi in Egitto ed in Europa, con le quali annunziavamo la nostra partenza da Suez.