S. Gertrude
COME IL SIGNORE, ORIENS EX ALTO, LA VISITO' LA PRIMA VOLTA
L'abisso della sapienza increata invochi l'abisso dell'ammirabile onnipotenza per esaltare quest'incomprensibile bontà che fece discendere i torrenti della sua misericordia, fino alla valle profonda della mia miseria!
Avevo compiuto venticinque anni ed era la seconda feria (giorno benedetto per me), che precedeva la festa della Purificazione della tua castissima Madre. Era la sera, dopo Compieta, nell'ora propizia del crepuscolo, quando Tu risolvesti, o Dio, che sei verità più pura della luce, e più intima di qualsiasi recondito segreto, di dissipare le folte tenebre che mi circondavano. Con un procedimento pieno di soavità e di tenerezza, hai incominciato a placare il turbamento che, già da un mese, Tu avevi suscitato nel mio cuore. Tale inquietudine era destinata, io penso, a rovesciare la fortezza della vana gloria e della curiosità, ch'io avevo innalzata nel mio insensato orgoglio, benchè portassi, ma senza frutto, il nome e l'abito di religiosa.
Era questo il cammino che Tu avevi scelto, o mio Dio, per mostrarmi la tua salvezza.
Pertanto, stando io, nell'ora sopraddetta, in mezzo al dormitorio, m'inchinai, secondo la regola dell'Ordine, verso una sorella anziana che mi passava dinanzi. Appena ebbi rialzato il capo, vidi davanti a me un giovane, splendente di grazia e di bellezza: poteva avere circa sedici anni, e il suo aspetto era tale, che i miei occhi non avrebbero potuto ammirare nulla di più attraente. Con accento di grande bontà Egli mi disse queste dolci parole: « Cito veniet salus tua: quare moerore consumeris? Numquid consiliarius non est tibi, quia innovavit te dolor? La tua salvezza non tarderà: perchè ti consumi nel dolore? Non hai un consigliere che possa calmare queste rinascenti angosce? ».
Mentre pronunciava queste parole, quantunque fossi sicura della mia presenza corporale in dormitorio, pure mi vidi in coro nel posto ove ero solita recitare le mie tiepide orazioni: Fu là che sentii queste altre parole: « Salvabo te et liberabo te, noli timere. Io ti salverò e ti libererò: non temere di nulla». Dopo tali accenti lo vidi prendere la mia destra nella sua nobile, delicata mano, come volesse ratificare solennemente le sue promesse.
Indi aggiunse: «Coi miei nemici hai lambito la terra ed hai succhiata il miele aderente alle spine: ritorna finalmente a me, ed io t'inebrierò al torrente della voluttà divina» (Ps. XXXV, 9).
Mentre così parlava io guardai e scorsi fra Lui e me, cioè fra la sua destra e la mia sinistra, una siepe così lunga che, nè davanti nè dietro di me, mi fu dato vederne il termine. La superficie appariva coperta di spine così fitte che in niun luogo trovavo un varco che mi permettesse passare, per raggiungere il bell'adolescente.
Me ne stavo titubante, ardendo di desiderio e sul punto di venir meno, quando Egli stesso mi afferrò la mano e, sollevandomi, senza alcuna difficoltà, mi pose al suo fianco; scorsi allora su quella mano che mi era stata tesa come pegno di fedeltà i preziosi gioielli delle sacre piaghe che hanno annullato i diritti di tutti i nostri nemici. Così io adoro, lodo, benedico, ringrazio, come posso, la tua sapiente misericordia e la tua misericordiosa sapienza, che seppe, in modo così carezzevole, piegare la mia testa ribelle sotto il tuo soave giogo, preparandomi un rimedio così adatto alla mia debolezza.
Da quel momento infatti, la mia anima ritrovò la calma e la serenità, incominciai a correre al profumo de' tuoi unguenti e, ben presto, gustai la dolcezza del giogo dell'amor tuo, che prima mi era sembrato duro e quasi intollerabile.
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